Sfumature, la vita è fatta di sfumature di Mania (/viewuser.php?uid=588696)
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PROLOGO
▬
C A P I T O
L O U
N I C O ▬
“ Sfumature, la vita è
fatta di sfumature „
I
rami si intrecciavano in una serie di percorsi nodosi, grotteschi, a
incastrarsi li uni negli altri, separando il terreno nudo dal cielo
rischiarato dalla luce delle sporadiche stelle – lucciole
troppo piccole, smarrite, per poter rendere meno lugubre la notte nella
foresta.
A piedi nudi, Regina sentiva la terra secca a contatto con la propria
pelle. Prestava somma attenzione mentre procedeva, cercando di non
inciampare nelle radici a ergersi al di sopra della superficie del
terreno, rivelandosi stropicciate in curve come lo erano i tronchi
neri. Nel buio delle ombre, sentiva riecheggiare ululati lontani
sommarsi ai versi delle civette uscite per la caccia, in un concerto di
versi di animali notturni poco rassicuranti – anime delle
tenebre tormentate quanto quella della donna a perdersi tra sentieri
non tracciati.
Era finita in quel labirinto naturale senza sapere come o quanto,
vestita unicamente della sua veste da sera e i capelli sciolti a
scivolarle lungo la schiena in movimenti frastagliati, definiti
malamente, ansiosi anche loro di trovare una fine a una strada non
tracciata. Camminava, ma le pareva tutto completamente identico, senza
alcun punto di riferimento da poter prendere per scegliere una
direzione, nessun appiglio al quale potersi aggrappare per uscire da
quell’incubo nel quale era precipitata.
Il freddo della notte si insinuava sotto il cotone leggero,
provocandole scie di brividi a percorrerle il corpo per ricordarle di
essere smarrita senza niente se non se stessa – ma era
ciò che Regina si era fatta bastare per tutta la vita, il
suo cuore nero e la propria magia resa oscura da dolori di cui non
aveva voluto dimenticare le cicatrici lasciatele nell’anima.
Non temeva quel luogo e non avrebbe ceduto al desiderio di portarsi le
mani sulle braccia alla ricerca di calore, al contrario,
avrebbe mantenuto la propria aria regale macchiata di spocchia mentre
procedeva.
Sentiva di avere occhi a seguire ogni suo passo, per tale ragione non
lasciò trapelare che fastidio e irritazione –
tenne per sé il timore di non capire in quale artifizio
fosse incappata, quale maleficio le avessero lanciato contro e chi ne
fosse l’artefice.
Lo scorrere del tempo era sabbia nella clessidra, scivolava via
morbidamente con l’implacabilità delicata
dell’inevitabile – non mostrava veemenza, quasi
voleva consolare per l’immutabilità di cui era
fatto. Regina avrebbe potuto dire di essere lì da cinque
minuti come da cinque ore, impossibilitata anche dall’assenza
di costellazioni conosciute a stabilire l’ora della notte
nella quale si trovasse.
All’inizio cominciarono come brezze di vento a passare tra i
rami scheletrici, lasciando dietro di sé la parvenza di
chiacchiericci indistinti – artificiali. Poi, i sussurri
nelle pieghe delle tenebre, oltre i tronchi di alberi spogli ormai
morti, presero a mormorare parole indistinte, da prima solo
indecifrabili lamenti a soffocare sotto i richiami degli animali a
popolare segretamente la foresta, per farsi più insistenti.
Ne andò alla ricerca come se si trattasse di funghi da
scovare tra le radici, con l’attenzione alterigia di grande
regina che era sempre stata, prestando cura a come poggiare i propri
piedi nonostante l’incremento di rapidità e quando
inciampò, riuscì a mantenersi in equilibrio
compiendo affollati piccoli passi per rimettersi con la schiena dritta.
Con una mano appoggiata al tronco ruvido, il respiro formato da grezze
inspirazioni e angoscianti espirazioni, i capelli dalle punte
d’inchiostro a ricaderle scompostamente sulle guance
prosciugate dal sangue per il gelo della notte, si trovò
davanti a sé argentee figure trasparenti a volteggiare
nell’intreccio deforme dei rami.
Fantasmi, evanescenti siluette i cui lineamenti rimasero indistinti nei
primi attimini nei quali i suoi occhi si riempirono dei loro volteggi.
Danzavano sospinti dal vento, avvolti da attanaglianti strascichi di
parole conditi da versi strozzati a rimarcare un dolore ancestrale,
distrutto e incatenato per sempre al tempo della vita –
rimpianti e recriminazioni. Fu quando mise a fioco i loro volti che
anche le parole presero la nitidezza di cui avevano mancato fino a quel
momento e anche Regina si ritrovò a smarrire parte del suo
controllo.
«Perché,
Regina? Perché ci hai fatto questo?»
I lineamenti di chi aveva lasciato dietro di sé, calpestato
pur di poter trovare un briciolo di soddisfazione
dell’infliggere la propria stessa sofferenza al prossimo, e
anche di chi aveva amato senza rendersi conto di quanto un tale
sentimento non potesse implicare la possessione, la costrizione o la
prigionia. Con il vuoto d’aria a bloccarle la trachea,
osservò la nenia di quesiti piovere su di lei per bocca
prima di Henry, seguito dal vorticare dell’evanescente volto
del defunto padre, che lasciò presto il posto a quello di
Robin e a quelli della famiglia Charming al completo – una
famiglia che sarebbe potuta essere anche la propria se solo fosse stata
in grado di combattere il dolore, invece di incendiarlo con il rancore.
Scivolavano via levitando tutt’attorno a lei, in cerchi per
stiparla al centro del mulinello invisibile creato dai loro stessi
movimenti circolari, per intrappolarla al centro dei getti delle loro
domande senza risposta, infiammando a ogni giro il tono con cui erano
poste, per farle pesare su di lei come bracieri incandescenti riversati
a quintali – per ferirla, marchiarla, imprimerle la medesima
condanna che Regina stessa aveva voluto per loro e anche per
sé.
Cercò di scacciarli, digrignando i denti ed evocando la
propria magia che ebbe l’unico effetto di passare attraverso
gli argentati contorni incorporei, aumentando la rapidità
con il quale si chiudevano sopra di lei, quasi a volerla soffocare
sotto l’addensarsi dei perché
rappresi in lamenti e condanne. Correre, attraversarli e avvertire il
fiato gelido della morte, risultava unicamente un accelerante alla
giostra grottesca sulla quale era salita, ritrovandosi ad alzare il
capo verso un cielo, ora coperchiato da tutti i volti di coloro ai
quali aveva strappato gioie e distrutto promesse. Finì per
arrendersi all’evidenza di non poter sfuggire a quel
tribunale infernale, collocato chissà dove e allestito forse
proprio da se stessa – dalle sue scelte –,
attestandosi al centro di una radura come tante ne aveva incontrate
nella foresta dagli alberi neri, per annegare sotto i propri fantasmi e
i quesiti che era stato il proprio cuore per primo a formulare.
L’aria mancò, estirpata dalla pressa delle
occasioni perdute concretizzate su tutti coloro che aveva respinto, le
ginocchia cedettero per andare a sprofondare nel terreno secco e quando
chiuse gli occhi per provare almeno in quel modo a non dover sopportare
l’incombenza dei propri errori, anche lì li
ritrovò. E le loro urla divennero le proprie, si fusero e
amalgamarono in una sostanza identica, perpetua che
perseverò a riecheggiare tra le pareti del nulla di tenebre
omogenee in cui improvvisamente si era ritrovata a precipitare.
Di colpo, si risvegliò nel proprio letto.
Forse aveva gridato davvero, oppure era solo ciò che
rimaneva dei rimasugli dell’incubo insieme al calore
dell’agitazione ad appiccicarle i capelli al volto e la gola
arsa dalla voglia di ossigeno quanto di acqua. Si era tirata su tanto
rapidamente dal materasso, scollando la schiena dalla superficie
morbida dello stesso, da non essersi resa conto di aver compiuto gesti
abbastanza bruschi da ridestare anche l’uomo al proprio
fianco.
Robin Hood, nonostante la sorpresa alla quale aveva risposto quasi come
a un richiamo di battaglia, cercando con lo sguardo un’arma
nei dintorni, ritrovò le fila della realtà
più rapidamente del tempo che occorse a Regina per
sbarazzarsi dell’angoscia del sogno. Ne osservò il
profilo prima di azzardarsi a proferire una sola sillaba, notando anche
nell’ombra la piega delle sopracciglia infossarsi in una
preoccupazione che si scioglieva lentamente, dissolvendosi nel respiro
affannato.
«Mia signora, vi sentite bene?», furono, prima del
suono delle parole di Robin, le mani dell’uomo stesso a
trovarla nelle pieghe delle lenzuola e della notte, per ridonarle la
consapevolezza di dove fosse, scivolando sulla pelle resa lucida di
sudore per ridonarle tepore.
«Solo…», si bloccarono nella gola le
prime sillabe, provando vanamente a spingerle forzosamente, compresse
della brutalità del respiro irregolare, alla ricerca
disperata di ossigeno per riprendere le linee logiche dei propri
pensieri e ripercorrere in pochi attimi lo sgomento del proprio incubo
– personificazione dei propri rimpianti e paura di averne di
altri a sommarsi ai vecchi. «Solo un brutto sogno, ma niente
streghe verdi di cui preoccuparsi», asserì infine
sdrammatizzando da sola quel brutale risveglio.
«E spero anche niente scimmie voltanti, ne ho viste a
sufficienza per una vita intera» assecondò
l’ironia della compagna come dei suoi movimenti, seguendola
nel ritornare ad abbassarsi sul materasso stringendola tra le braccia,
provando a sciogliere i brividi che ancora persistevano condensati
sulla sua pelle con le carezze delle proprie dita. Con le labbra a
perdersi tra le ciocche d’ossidiana di lei,
depositò corone di soffici baci nell’accompagnarla
nel ritrovare serenità sotto la coltre di lenzuola, fino a
quando non avvertì il diaframma di Regina tornare ad
abbassarsi e rialzarsi con naturalezza placida. «Comunque,
desiderate parlarne?», glielo domandò
sussurrandolo appena all’orecchio, scostandole i capelli
indietro.
«Non occorre, non vi è nulla che mi possa
preoccupare di quell’incubo» rispose chiudendo gli
occhi, spazzando via dalla propria mente le ceneri dei fantasmi che
erano venuti a tormentarla, ricordandole quanto avesse dovuto
distruggere di se stessa – e degli altri – prima di
riuscire a costruire – prima di essere pronta a farlo.
«Allora, buonanotte. Di
nuovo» le augurò Robin, con un
pizzico di fasullo risentimento per essere stato svegliato di
soprassalto anche lui, ma senza alcuna vera intenzione di
rinfacciarglielo.
Non era come quando da piccola era gettata in orrendi mondi onirici,
ora Regina non temeva più di riaddormentarsi e nemmeno di
dover affrontare nuovamente i precedenti tormenti – avrebbe
dato anche ai sogni la possibilità di una seconda
opportunità, e magari di una terza ora che ne conosceva il
valore. Cambiare, costruire nuovi orizzonti e non infossarsi nelle
ombre rancorose di un passato ridotto in rovine, erano tutte cose di
cui aveva imparato lentamente l’esistenza – anche
per sé. La vita non era così semplice come
facevano pensare le favore, non vi erano delineazioni sempre marcate
tra tenebre e luce e non sempre le une erano il male e le seconde il
bene. Si riduceva tutto alle sfumature, alla bellezza di saper cogliere
caleidoscopi di frammenti diversi, per arrivare a scoprire cose nuove
sotto altre ritenute scontate; come che un pecoraio era un principe, un
pirata un eroe, una bestia un filatore, un ladro un padre e un uomo
d’onore, e una regina cattiva nient’altro che una
donna alla ricerca di un lieto fine smarrito - finalmente ritrovato,
ricostruito e reso eterno non dall’assenza di sempre
probabili nemesi all’orizzonte, ma dalla determinazione di
superarle insieme.
M A N I
A’ s W
O R D S
Finalmente ho scritto una Outlaw Queen, che mi implorava di essere
scritta dall’inizio di questa seconda metà di
terza stagione – che poi è più una
Regina!Centric e comunque una shot dalle pochissime pretese.
Ora, avevo iniziato a scriverla prima di vedere la 3x19 e tipo avevo
mille dubbi su quanto Regina fosse IC, perché Regina
felicemente innamorata non sapevo come descriverla, immaginarla e
renderla in modo IC, ma poi appunto ho visto la 3x19 e quindi ora ho
meno dubbi rispetto a prima. [S
P O I L E R] No, ma avete visto quanto sono belli lei e
Robin? E alla fine quando c’è anche Henry? Sono
una coppia stupenda, lei è stupenda, lui è
stupendo. E ora voglio una scena con Henry e Roland, perché
possiamo considerarli fratellastri, no? Sto divagando, me ne rendo
conto. Ma questo episodio mi ha messo addosso un quantitativo di feels
incredibili, ma non è codesta la sede per divagare. [ / S P O I L E R ]
Riprendendo le fila del discorso collegato alla shot, volevo solo
specificare che il “insieme” finale non comprende
solo Regina e Robin, ma la famiglia allargata in generale, ecco
– una famiglia decisamente molto allargata. E anche che
l’incubo forse non è una trovata in sé
molto originale, ma in realtà mi piace molto come
l’ho costruito e anche reso, quindi spero che anche voi
possiate trovarlo ben descritto.
Ah, ho lasciato Robin chiamarla “mia signora”
perché mi si scioglie il cuore quando lo fa, è un
gentiluomo nonostante sia un ladro.
Ultima specificazione va anche al fatto che l’idea delle
sfumature mi sia venuta prendendo spunto da quello che dice Regina a
Snow nella 3x18, quando dopo aver scoperto il passato di Cora, Snow si
chiede “Non eravamo noi i buoni?” e Regina risponde
con qualcosa di simile a “Non è così
semplice”.
Non sapevo se mettere l'avviso angst o meno, d'altronde la scena dei
fantasmi è solo un sogno, quindi mi semnrava esagerato e ho
evitato.
Come sempre ringrazio tantissimo chi ha letto, ancora di più
chi deciderà di lasciarmi una piccola recensione per farmi
contenta e saltellare allegramente di gioia.
Alla prossima,
Mania▬
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