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CAPITOLO 3:
DENTIFRICIO
- Sparisci! -
Quella mattina la rosa non era di buon umore, per nulla. Stizzita,
arrabbiata, furiosa, camminava per i corridoi del castello, facendo
cozzare i tacchi degli anfibi rossi sul pavimento lucido. Digrignava i
denti, si torturava mani e unghie e si ostinava a mordersi le labbra:
inveire contro quella sottospecie moschettiere pomposo non sarebbe
stato molto carino per una ragazza per bene. I capelli
arruffati e gli occhi spiritati erano visibili anche da ragguardevoli
distanze e, di certo, non invogliavano al dialogo. Proseguì
ancora, scendendo gli scalini con una foga tale, che sembrava stesse
calpestando nemici caduti in battaglia anziché innocue
mattonelle di granito scuro.
Alle sue spalle uno Zoro confuso che reclamava la sua colazione.
Il verde, poco empatico, la seguiva da una buona mezz'ora, non
curandosi del fatto che, se non fosse scomparso al più presto,
sarebbe finito in un angolino a soffrire le pene dell'inferno. Eppure,
come al solito, non coglieva i segnali: nè le occhiatacce,
nè tanto meno gli inviti espliciti a togliersi dal suo raggio
d'azione.
- Ti ho detto di sparire! -
All'ennesimo strillo, con tanto di vena pulsante sulla fronte, qualcosa
intuì. La guardò ancora una volta con sguardo
interrogativo, dopodiché entrò nella prima stanza a caso
del lungo corridoio in cui erano finiti, chiudendovisi dentro. Che poi
quella camera fosse in realtà la sauna e lui fosse vestito di
tutto punto, erano dettagli.
Eliminata una scocciatura, Perona riprese la sua marcia verso il bagno
padronale. Aveva la sensazione che perfino gli insetti la temessero
tanto era furiosa, un affronto del genere era stato un duro colpo per
la sua pazienza inesistente e per la sua privacy. Spazzolino da denti
alla mano e tubetto di dentifricio nell'altra, corse a perdifiato su
per la rampa dell'ala ovest e poi ancora più su, verso la
torretta ristrutturata appositamente per farla diventare un immensa
area benessere.
Maledisse ancora una volta quei lunghi corridoi, appuntandosi che
questo sarebbe stato l'ennesimo punto su cui avrebbe potuto attaccarlo.
Impiccarlo magari.
Arrivata davanti alla grande porta di legno massiccio nemmeno si
preoccupò di bussare; si fiondò nel locale, venendo
inondata dal vapore caldo e avvolgente che riempiva ogni angolo della
stanza. Sarebbe diventata riccia in breve tempo, capelli crespi e gonfi
che l'avrebbero fatta somigliare ad una caramella gommosa scaduta.
Avrebbe dovuto trascorrere almeno tre ore davanti allo specchio con
spazzola, balsamo e mousse per rimettere in ordine quel cespuglio
incolto, e la cosa non le piaceva. Per niente.
- Tu! -
Minacciandolo con la sua arma aromatizzata al dentifricio, gli
arrivò ad un palmo dal muso, piazzandogli lo spazzolino sotto al
naso.
Quello nemmeno si scompose, in piedi davanti allo specchio appannato,
intento ad asciugarsi i capelli neri ed umidi. Mezzo nudo, stringeva un
asciugamano in vita, coprendosi ciò che, in un altro momento, le
avrebbe volentieri fatto gola. Sembrava calmo, pacato, imperturbabile.
In netta contrapposizione al tornado di furia omicida che gli
trotterellava davanti, sbraitando parole a caso e prendendosela con i
suoi fantasmini.
E se attaccava loro, la faccenda era grave.
La fissò come se
fosse la cosa più normale del mondo, un marshmellow incazzato
nero che lo punzecchiava con una sorta di scopettino fucsia che odorava
di pesca e zucchero. Continuò a spazzolarsi i denti,
indifferente, voltandosi nuovamente verso la parete lucida. Sapeva per
una certa esperienza che certe donne, quando partiva loro l'embolo, era
meglio lasciarle sbollire, calmare e tranquillizzare se non si aveva a
disposizione una buona dose di sedativo.
Non c'era reputazione che tenesse: una donna inferocita non temeva
neppure lui, che per tagliarle a metà non avrebbe avuto
bisogno di altro se non di un secondo.
Con il senno di poi aveva poi appreso che Perona, per quanto infantile
e collerica, ci metteva ben poco per ristabilire il suo equilibrio
interiore. Bastava lasciarle esaurire il fiume di parole che sentiva
l'esigenza di dire o sbatterla al muro con una certa convinzione. E
dato che aveva appena fatto una riposante doccia non aveva troppa
voglia di sudare facendo certe attività.
- Non osare ignorarmi! -
Lo prese dall'asciugamano che aveva legato in vita, riportando l'attenzione su di sè.
- I capelli te li puoi sistemare anche in un altro momento! -
Rassegnato, poggiò il rasoio che aveva appena impugnato sul
piano del lavello, continuando a stringere lo spazzolino tra i denti.
Roteò gli occhi, voltandosi e guardandola nel modo più
gelido, impassibile e convinto che potè; sfortunatamente per lui
la rosa aveva deciso di prendersela con la sua bocca piuttosto che con
il suo famigerato sguardo.
Gli strappò lo spazzolino dai denti, cavandogli quasi gli incisivi, portandolo tra le sue labbra rosee e carnose.
Pochi secondi e quel malcapitato oggetto volò nell' angolino.
- Ti sei fregato il mio dentifricio! -
Un pugno minacciò di abbattersi sulla sua testa. Lo
scansò, come se nulla fosse, afferrandole la mano e
stringendola.
- Vacci piano. -
Gelido come un iceberg fece calare il silenzio nella stanza. Si
sentivano solo le gocce di vapore condensarsi sul vetro umido della
finestra, i loro respiri attutiti e lo scarico delle tubature vecchie e
arrugginite, ma ancora funzionanti.
Perona ritrasse la mano, scottata, visibilmente dispiaciuta. Strinse il
polso con l'altra, lasciando cadere ogni cosa che stringeva tra le
dita, tranne lo spazzolino: che ci fosse affezionata lo sapeva anche
lui. Rosa e ridicolo, era un gingillo che si portava sempre dietro da
quando lui glielo aveva portato.
Si era detto che lo aveva fatto perchè di averla in giro con l'alito pestilenziale non gli andava.
In realtà sapeva anche lui che un minimo di attenzione ce lo
aveva messo. Di certo, se fosse tornato con l'aggeggio blu a forma di
mostro marino che aveva visto nel Bazar lei gli avrebbe, come minimo,
ucciso un timpano.
La donna abbassò la testa, cominciando a disegnare con la punta
dei piedi strani ghirigori. Sapeva di aver esagerato, ma odiava chi
invadeva i suoi spazi, per piccoli che fossero. Fece per aprire bocca
ma un'altra gliela tappò, bloccando ogni possibile parola che
avrebbe potuto dire, ogni cosa che avrebbe peggiorato il suo stesso
umore.
Un bacio, semplice, che le lasciò in bocca un aroma dolciastro
che ben conosceva e che quella mattina non aveva potuto provare.
- Così siamo pari. -
Solita vita, solite scuse.
Tutto per strapparle un bacio.
Angolo dell'autrice:
Allora bimbini miei, siamo qui riuniti oggi per celebrare l'ultima storia che vedrete fino alla fine della mia scuola. Contenti?
Io si.
Alu.
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