Gothic_92
Messaggi personali.
1.Salotto.
...qui risponde la mia segreteria telefonica. Se volete
lasciare un messaggio personale anche se non sono in casa, vi sarà possibile
dopo il segnale acustico.
Bip.
< Perché lo hai fatto? >
Così mi svegliai.
Stranamente non dormivo nel mio letto, ma il divano era
altrettanto comodo.
Aprì gli occhi fissando per qualche secondo il soffitto
candido. Ero stranita.
Cioè, già dire che ero era tanto.
Avevo un vuoto di memoria e mi ero persino svegliata male. Se
non fosse stato per quel trillo forse sarei stata ancora nel mondo dei sogni...e
magari non mi sarei mai neppure svegliata.
Mi tirai su dal divano aiutandomi con lo schienale in pelle, al
contatto rabbrividì.
Tutta la casa era fredda.
Mi guardai intorno con gli occhi piccoli e ancora un po’
appiccicaticci, assonnati.
Appunto, sbadigliai.
Mi grattai la testa accarezzando i dolci riccioli neri fuori
posto e appoggiai i piedi sul parquet nero.
No, non sembrava nero perché era buio...era proprio
nero.
Ancora una volta mi aiutai a tirare su quel corpo magro e
cadaverico che mi ritrovavo e, senza forze, ricaddi indietro.
Solo allora il mio cervello prese a ragionare, a fabbricare
almeno un pensiero.
Chi ero?
No, va beh, sapere chi ero veramente si, lo sapevo...ma chi ero
per aver meritato di ricevere quel messaggio personale sulla mia
segreteria?.
Fissai il telefono scuro, ne vedevo solo i contorni e il
bottoncino rosso che segnalava che c’era un messaggio da ascoltare...che io
avevo già sentito.
Premetti il bottoncino e attesi, buttandomi contro la spalliera
del divano e ascoltando quella voce che mi aveva svegliato.
Perché lo hai fatto?
Corrugai le sopracciglia ed evitai si ringhiare. Al contempo
dalla mia bocca sigillata uscì un cupo mormorio simile a quello di una
belva.
Odiavo quei messaggi stupidi, non che ne avessi mai ricevuti
altri.
Erano delle cose senza senso, senza significato, mi sarebbe
tanto venuta voglia di richiamare e di urlare in faccia a quella persona: "Ma
fatto cosa?! Razza di rincitrullito, se non mi spieghi non ti posso mica
rispondere! Perché lo hai fatto?...ma se non so neppure cos’ho mangiato ieri
sera!".
I miei pensieri si bloccarono e io ammutolii.
C’era stato un ieri sera?.
Non ricordavo davvero....e un ieri mattina?.
Balzai in piedi con un attimo di agitazione...ma cosa stava
succedendo?
Solo poco dopo capii che avevo perso davvero la memoria...
Ricordavo chi ero, ricordavo il mio viso anche senza
specchiarmi, ricordavo di odiare il mio volto pallido e il mio corpo scarno, i
miei occhi scurissimi e profondi...
Ma non ricordavo nulla di amici, parenti, locali e feste...
Ricordavo tutto di me stessa, degli altri avevo cancellato ogni
ricordo. Sapevo però che c’erano, o almeno c’erano stati...e quella chiamata ne
era una prova...qualcuno mi conosceva e mi avrebbe chiamato, fatto vivo...i miei
amici avrebbero voluto sapere dov’ero!.
L’ansia si calmò e io mi risedetti sul divano sospirando.
Rimasi a fissare il telefono quasi sperando che qualcun altro chiamasse.
Ero sveglia, ma non del tutto, sicura però che non mi sarei
ri-addormentata.
Rimasi a giochicchiare con le dita per qualche secondo, poi
scossi la testa.
No, nessuno avrebbe chiamato, doveva essere notte fonda.
Eppure, quel messaggio mi pareva così strano...chissà chi mai
lo aveva lasciato.
Lo riascoltai un ennesima volta e mi resi conto che era un
ragazzo...dalla voce straziata.
Oddio!...cosa avevo fatto?!...cominciavo a preoccuparmi
davvero.
Dopo istanti di panico in cui cominciai a girovagare intorno al
tavolino del soggiorno, fissando quel telefono morto, sentii il bisogno di
pensare a che cosa era potuto accadere da sconvolgere così quella persona.
Doveva essere un mio amico, certo, la voce era abbastanza
giovane.
Il mio ragazzo? Avvampai al pensiero e scossi la testa: no, no,
non era possibile.
Allora chi cavolo era?! Cosa cavolo era avvenuto?!.
A furia di pensare e non ricordare mi venne mal di testa.
Cominciai a sudare freddo e il cuore sembrava voler uscire dal mio corpicino di
quindicenne.
Ero in un lago di sudore quando mi ristesi sul divano incerta
sul da farsi.
Ero da sola, questo era chiaro, non ricordavo neppure se avevo
genitori o meno...ma ricordavo benissimo che la mia casa era formata solo da
poche stanze: il salotto, la cucina, la mia camera e un bagno...nessuna camera
matrimoniale e quindi niente genitori.
Cominciai a respirare pesantemente...no! un attacco di
panico!.
Dovevo calmarmi, di sicuro non era la prima volta che
succedeva, non poteva essere la prima volta che perdevo la memoria in questo
modo!...forse se aspettavo fino al mattino sarebbe partito un video legato al
televisore davanti a me, oltre il tavolino, che mi avrebbe detto chi ero, cosa
facevo o cosa avevo combinato!...
...si, si...dovevo stare calma...
Ancora il mio cuore parve fermarsi: ...e se non fosse stato
così? E se io non avessi ricordato o qualcuno non mi avrebbe fatto
ricordare?...
No, no...dovevo piantarla di pensare...mi faceva solo male.
Purtroppo i miei occhi vagarono per la stanza: oltre al divano
e il mobiletto c’era la tv nera, spenta, in stand by, che emetteva un sibilo
fastidioso...volevo spegnerla, ma non vedevo il telecomando e non avevo la forza
per arrivare sin la.
Ci provai, ma mi resi conto che ogni movimento mi causava
dolori incredibili: il sudore mi aveva reso tutt’una con il divano.
Sorrisi per la prima volta in quella notte...chissà se tutte le
altre volte era successo così...o forse era la prima volta che mi svegliavo di
notte spaventata e timorosa.
Uff...dovevo solo attendere il giorno...che però sembrava non
farsi neppure vedere oltre le lunghe tende bianche dietro il televisore.
La mia casa mi pareva persa nel buio. Provai a immaginare di
uscire, ma non ricordavo neppure la strada per andare a scuola...
Senza farlo apposta risi...e poi mi bloccai.
Io andavo a scuola.
Anche dirmi quelle parole mi sembravano strane...pensarci mi
fece diventare triste e mi racchiusi in me, la testa fra le gambe staccate
miracolosamente dalla pelle del divano.
Non capivo nulla di quella notte, ma ero intenzionata ad
aspettare e non pensare...o sarei diventata pazza.
Di sicuro il mio comportamento era quello di una persona
istintiva, ma quella notte, forse perché mi ero svegliata di scatto subito
spaventata, avevo evitato di sentirmi male come prima...non mi piaceva quella
sensazione di paura, mista all’irrefrenabile pensiero di essere un nulla, un
nessuno.
Perché era ciò che ero in quel momento.
Quasi ironicamente mi dissi che se, invece, mi fossi ritrovata
nel panico assoluto, sicurissima di non sapere mai più chi fossi o che cosa
avessi fatto prima di quel giorno o notte, sarei riuscita persino ad
uccidermi...
Avrei camminato sin alla cucina, avrei preso un bel coltello e
mi sarei riseduta sul divano, come immersa in una patina che mi impediva di
pensare razionalmente.
Avrei preso il coltello e avrei guardato i miei polsi puri un
ultima volta e poi...zack!.
Sorrisi della mia stupidità e scossi la testa: in quel buio
ogni mia parola poteva sembrare o diventare realtà.
Mi guardai i polsi come ad assicurarmi che non fosse mai
successo.
Nel buio, sul divano, non vidi nulla e quindi passai un
polpastrello sulle vene in risalto.
Quello che sentii mi fece fremere e alzare dal divano ad una
velocità spaventosa, tanto che la testa mi fece male oscurandomi la vista per
qualche secondo.
Mi dissi che non dovevo svenire, prima almeno dovevo
controllare.
Mi avvicinai ad un raggio di luna che filtrava dalle tende e
illuminava parte del tavolino, lontano dal telefono.
Tremante, posi i miei polsi sulla superficie vetrata e attesi
che le immagini giungessero al mio cervello: sulla mia pelle cadaverica, da
dove, da sempre (quel sempre immaginario e tanto metaforico) riuscivo ad
intravedere ogni vena e quasi il pulsare del sangue, proprio lì, lungo una linea
decisa e ritta, i miei polsi erano attraversati da enormi cicatrici.
Erano molte, alcune superficiali, dei semplici taglietti che si
stavano rimarginando, altri, come nel passare del tempo, si facevano sempre più
profondi e minacciosi...fino a quelli che, visti così, mi parvero fatali.
Erano presso che spaventosi, sentii che stavo impallidendo e
pian piano perdevo coscienza tanto mi parvero strani e...impossibili.
Ero una persona che non amava il dolore...cosa mi aveva spinta
a farmi questo?...
...ah già, la pazzia.
Cercai di trattenere un urlo e ci riuscì, dalla mia bocca uscì
solo un gemito soffocato.
In quell’istante mi rendevo conto di quanto ero stata pazza...e
forse lo ero ancora. Ma no, i pazzi non si possono definire tali, non hanno
coscienza del loro stato...quindi sospirai e mi strinsi le mani in petto.
Cercai di respirare regolarmente, anche se la paura del gesto
mi scendeva ancora lungo la schiena come un brivido. Calma, mi dicevo,
devo stare calma. Oramai tutto era passato, ciò che avevo fatto era
andato...di certo ora non potevo fare una cosa del genere, il mio corpo
rifiutava psicologicamente e fisicamente un danno simile.
Forse perché l’avevo fatto, avevo compiuto quel gesto...
Spalancai gli occhi e fissai il telefono.
Perché lo hai fatto?
...quelle parole forse intendevano dire quello?
Mi riguardai le mani anche se con orrore e mi resi conto di
quanto già era avanzato lo stato di cicatrizzazione naturale quasi
miracoloso.
Se quel messaggio era davvero arrivato quella notte no, di
certo non si riferiva a quello. Di sicuro il mio atto era avvenuto almeno
qualche mese prima...
Forse avevo già vissuto quei momenti di panico, forse avevo
anche trovato il coltello insanguinato e l’avevo lavato emesso a posto, magari
avevo anche cambiato la federa del divano per dimenticare.
Mi alzai da terra e fissai la pelle chiara del sofà, la
scandagliai attentamente e, quasi non più sconvolta, mi resi conto dell’enorme
alone lasciato dal sangue.
Sarebbe stato inutile persino lavare il divano oramai, era una
macchia che non sarebbe mai scomparsa.
Mi rifiutai di sedermi ci ancora e rimasi per un attimo in
piedi, barcollante e tremante. Il mio corpo non mi reggeva in piedi, sembravo
quasi un’anoressica, ma non lo ero.
Non volevo apparire magra davanti a qualcuno, era che non
desideravo mangiare. Ogni volta che avevo davanti del cibo era come se fosse
stato un rifiuto interiore.
Io non mangio mi dicevo con tristezza, come ripetendo le
parole di qualcun altro.
Alzai la testa testardamente, negli occhi forse un fuoco
nuovo.
Se dovevo cambiare, cioè, se dovevo evitare di diventare pazza,
avrei dovuto cominciare da qualcosa....mangiare!.
I primi passi furono difficili, quasi quasi andavo
all’indietro, ma poi sbuffai contro me stessa e fissai l’enorme tavolo metallico
alla sinistra del salotto e oltre, i fornelli scuri e spenti...
...così mi diressi energicamente verso la cucina.
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Note dell'Autrice
Grazie a chi leggerà e a chi commenterà...la storia nons arà molto lunga, ma
spero non vi annoierà!
Ciao MIKYma
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