A cosa può portare una tazza
di tè
Una volta arrivati a casa di
Yoshikawa, Anko si tolse le scarpe e fece per entrare, ma si bloccò.
-
Scusa, ma sono fradicia. Rischio di gocciolare dappertutto.
-
Aspetta un attimo, allora – Yoshikawa andò a prenderle uno
straccio, che Anko usò per “strisciare” fino al bagno, appoggiandovi sopra i
piedi.
-
Ma così non arriverò mai! – rise la ragazza, appoggiandosi a
Noboru.
-
No, è qui in fondo al corridoio, guarda!
Anko fece un bel bagno caldo, ma
visto che quando uscì dalla vasca le uniche cose asciutte erano le mutandine e
il reggiseno, indossò solo quelle, con sopra una maglia extra-large dello zio
pompiere che le arrivava quasi alle ginocchia. Non si sentiva affatto in
imbarazzo, in fondo la gonna dell’uniforme scolastica era molto più corta!
-
Ti ho preparato un tè caldo. Ne vuoi un po’?
-
Sì, grazie, è proprio quello che ci vuole! – disse Anko accettando
la tazza che Yoshikawa le porgeva e inginocchiandosi a capotavola, accanto a
lui.
I due ragazzi sorseggiarono i
loro tè per alcuni minuti, poi Yoshikawa si voltò a guardarla, tranquillo.
Quando Anko se ne accorse, arrossì impercettibilmente, e disse:
- C-che cosa c’è? Ho
qualcosa in faccia?
- Che cosa ti è
successo? Sembrava stessi scappando da qualcosa.
La ragazza abbassò lo sguardo,
amareggiata.
-
O da qualcuno?
Senza volerlo grosse lacrime
calde cominciarono a scorrerle lungo le guance, e Anko si ritrovò, quasi senza
accorgersene, a raccontare tutto a Yoshikawa… o meglio, al suo Noboru. Cominciò
dall’inizio, da quella bambola distrutta di quand’era bambina che dominava i
suoi ricordi, per poi arrivare alla repulsione per gli uomini che aveva
contraddistinto la sua adolescenza e agli avvenimenti di quel giorno. Fu tutto
un po’ confuso, naturalmente, e chissà quanto ne capì Yoshikawa, ma quando Anko
alzò gli occhi non vide né sorpresa né compassione nel suo sguardo, solo un
sorriso dolce e tranquillo. Come faceva quel ragazzo, che per colpa sua aveva
tentato più volte di suicidarsi, a non perdere mai la testa quand’era con lei?
Yoshikawa si scostò leggermente
dal tavolo, e davanti ad un’Anko sconvolta e scossa dai singhiozzi, accennò il
semplice gesto di allargare le braccia. Un gesto spontaneo e gentile, che ad
Anko sembrò la cosa più genuina che avesse mai visto fare da qualcuno, e come
una bambina spaventata vi si rifugiò senza indugio.
Chissà per quanto tempo rimase
lì, accoccolata contro il petto di Yoshikawa, la testa sulla sua spalla, a
piangere… Doveva essere davvero stremata, perché senza accorgersene passò dal
pianto al sonno. Quando si svegliò, sentì un leggero profumo di tè, e un attimo
dopo si rese conto che il suo naso premeva contro il collo di Yoshikawa.
Arrossendo vistosamente, alzò il capo e incontrò gli occhi scuri e tranquilli
del ragazzo che la osservavano.
-
Stai meglio? – le chiese.
-
S-sì, ma… mi sono addormentata?
-
Per un po’…
-
Un po’… quanto?
-
Diciamo una mezz’oretta.
Anko non riusciva a credere alle
proprie orecchie: aveva dormito per mezz’ora tra le sue braccia? E lui non si
era spostato da quella scomoda posizione sul pavimento solo per lei? Ah, Noboru…
ehi, no, un momento: ma che andava a pensare?
-
Mi… mi dispiace, scusa. I-io non… - da quando in qua balbettava in
continuazione? Le sembrava di essere tornata a quelle assurde giornate a
Okinawa, accidenti!
“Insomma, Anko, un po’ di
contegno!” pensò la ragazza, prima di accorgersi che per tutta la conversazione
non si erano spostati dalla loro posizione. Senza voltare la testa, sentiva un
braccio di Yoshikawa che le circondava la schiena e le toccava il gomito, mentre
l’altro stava all’altezza della vita della ragazza. Le loro gambe si toccavano,
dandole un senso di calore che non aveva mai provato.
-
Non preoccuparti, nessun disturbo – le disse il ragazzo coi suoi
soliti modi gentili – Piuttosto, non vorrei che avessi preso freddo…
Freddo? Ma se stava meglio che
sotto al kotatsu… (*)
Preso un po’ di coraggio, Anko
alzò leggermente la testa:
-
Ecco, io… - cominciò.
-
Sì?
-
Grazie… - sussurrò sorridendo, prima di accorgersi che levando il
capo in quel modo, la distanza tra le loro labbra diminuiva notevolmente,
arrivando al massimo a una decina di centimetri. Anko arrossì ancora, se
possibile, e senza rendersene conto socchiuse le labbra.
Aveva la mano appoggiata sulla
maglia di lui, contro il suo petto. Strinse un po’, e sentì la stoffa tra le
dita. Il cuore cominciò a batterle talmente forte che pensava di averlo ormai in
gola, e allo stesso tempo smise quasi completamente di respirare.
Chi si avvicinò per primo? Bella
domanda. Forse entrambi, nello stesso momento, cominciarono a diminuire piano
piano la distanza che li separava. Strofinarono un po’ la punta dei loro nasi,
in una tenera carezza, poi toccò alle labbra. Da un leggero sfiorarsi, passarono
ai baci veri e propri, lunghi, senza fretta, mentre ciascuno assaporava il
sapore del tè rimasto sulle labbra dell’altro. Entrambi sentirono un forte
calore partire dalla bocca e irradiarsi per tutto il viso, per poi scendere
verso il collo e il resto del corpo. In realtà non si mossero: si strinsero solo
sempre di più l’uno all’altra, ma solo le loro labbra si cercavano.
Fu Anko a prendere l’iniziativa
successiva. Prese il labbro inferiore del ragazzo, mentre Yoshikawa si dedicava
a quello superiore di lei. Piano piano le loro bocche si aprirono sempre di più,
finché le lingue si incontrarono. Entrambi sentirono una scossa percorrere loro
la schiena in tutta la sua lunghezza, mentre le intimità ormai si sfioravano.
Yoshikawa, di rimando, sentì un forte calore venire dal basso e rispondere
all’impulso di poco prima, complici forse i seni di Anko che gli premevano sul
petto, e che il ragazzo poteva sentire in tutta la loro morbidezza attraverso la
maglia.
Per questo fu il primo a
staccarsi, stordito e ansimante, e mentre cercava di calmarsi Anko riappoggiò la
testa sulla sua spalla, felice, anche se il suo naso, premuto di nuovo contro il
collo di lui, lo faceva infiammare. Se Yoshikawa avesse chinato un po’ la testa,
avrebbe poggiato la guancia contro i morbidi capelli di lei, ma il loro profumo
giungeva lo stesso a torturarlo.
Avrebbe dovuto togliersi in
fretta da quella situazione, per non peggiorare le cose, ma non poteva
semplicemente scostarsi da Anko, visto lo stato d’animo in cui si trovava la
ragazza. In quel momento lei aveva bisogno di lui, era vulnerabile, e non
l’avrebbe ferita per niente al mondo.
Tuttavia qualcosa si era
risvegliato dentro di lui, qualcosa addormentato da tanto tempo che era il caso
di tenere a bada. Perciò disse la prima cosa che gli venne in mente:
-
Ti vanno latte e biscotti?
(*)
kotatsu: sistema di riscaldamento
tradizionale costituito da un braciere o una stufetta elettrica, posti sotto un
tavolino basso ricoperto da una trapunta.
Non è finita, non è finita. Ma col cavolo
che la finisco se qualcuno non recensisce! Anche solo per dirmi: “Maledetta! Non
dovevi prendere in prestito il titolo della più bella canzone dei Modena City
Ramblers per la tua fanfiction! Non ti perdonerò mai!” o per ribattere: “Ma
come? Non era una citazione di “Kiss me Licia”?”. Assolutamente no! Comunque è
vero che il titolo l’ho preso dagli MCR, non picchiatemi per
questo.
Però vi prego, vi supplico, vi scongiuro…
una recensione! Piccola, piccola, ma mi basta. E poi posto il terzo
capitolo.
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