Julie.

di Hypoprenya
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Omofobia. Odiava quel termine. Non era una fobia. Affatto. Sarebbe stato più coerente classificarla come una malattia, una patologia molto grave che non porta alla morte, però capace di sigillare la mente di chi ne soffre ed impedire di accettare l’Amore in tutte le sue forme. Che scopo ha tale disprezzo? Non lo aveva mai compreso. Odiava la società e i molteplici pregiudizi presenti in essa. Odiava la Chiesa, Dio non esisteva, come non esiste tutt’ora. Era solo una delle tante invenzioni dell’uomo per spiegare la presenza della vita sulla Terra e l’assenza di essa negli altri pianeti. Si fidava a stento di ciò che vedeva con i suoi occhi, figuriamoci di una “divinità” ipocrita a tal punto d’esser convinto di sapere cosa sia giusto o sbagliato, buono e cattivo e cosìvvia. Odiava i preti. Gente che predica il bene, la pace, la lealtà e cazzate simili non dovrebbe ridursi allo stupro di minori, giusto? Giusto. “Che punto solo a quello O non farti vedere il bello che ti mettono davanti per nascondere il macello” si ripeteva. La Musica l’aveva aiutata più di quanto ogni persona avrebbe mai potuto fare. Non era affatto una cosa superficiale, non lo era mai stata. Rifletteva su ogni virgola, su ogni parola, su ogni verso, si poneva domande. Amava perdersi in quel mondo. Odiava se stessa più di chiunque altro. Lei era sbagliata. Non biasimava la gente che l’aveva sempre scansata, che la scansava e che, in futuro, l’avrebbe scansata, anche lei se fosse stata una qualsiasi altra persona l’avrebbe fatto. Anzi, provava per loro addirittura un sentimento che si avvicinava alla comprensione. Odiava passare per l’ “asociale”, anche se in fondo lo era. Odiava le etichette, il bisogno di dover dare sempre un nome a tutto, non tutto ha una definizione, ok? Ok. Odiava fingere per far sì che gli altri non si preoccupassero di lei. Odiava questo suo egoismo e disprezzava il fatto di dover ammettere che fosse parte integrante di se stessa. Odiava essere quello che era. Nessuno avrebbe mai voluto esserlo. Quel corpo era solo una gabbia. Troppi attimi della sua vita trascorsi cercando una soluzione per evadervi. Odiava le occhiaie che, ogni mattina, le incupivano il viso. Odiava essere così fottutamente debole. Ogni qualvolta che cresceva in lei una qualsiasi ambizione, in breve tempo vedeva le sue speranze bruciarle davanti agli occhi: colpa dei troppi limiti che lei e la realtà che la circondava le ponevano. Odiava le sue troppe paranoie. Odiava quando cercava di comunicare una qualsiasi cosa ad una qualsiasi persona, percependo poco dopo il suono intrappolarsi tra le corde vocali e non riuscire ad evaderne. Un suono sordo, oltre che claustrofobico. Ne aveva abbastanza. Di tutto. Era stanca di quella vita. Voleva abbandonare la sua superflua sopravvivenza e cominciare a vivere. Veramente. Odiava la sua personalità quasi inesistente. Il volersi isolare in ogni situazione. Questo è quello che era diventata. Odiava il fatto di essere stata capace di amarla. Odiava le cicatrici sul suo braccio sinistro. La prima incisione, effettuata quasi due anni fa, ora era poco visibile. La prova del suo malessere. Adesso etichettatela pure come sadica, tanto ormai niente la può più scalfire. Nessuno ci aveva fatto caso, come sempre d’altronde. La solita, classica ragazza incompresa. Be’, non era una novità la noncuranza per il suo essere. Non era una di quelle persone che indossano maschere. Non fingeva sorrisi. Non le piaceva fingere. La sua era un’anima troppo pura. Un angelo dalle ali spezzate, ormai incapace di volare, destinato a vivere nell’Inferno. L’intero mondo è superficiale: pochi ti apprezzeranno per quello che sei veramente, pochi ti diranno quello che davvero pensano; millenni di storia fondati sulle menzogne, e ancora che mi dite di guardare il lato positivo? Lo farei se ci fosse. Vita di tutti i giorni. “Tutti i giorni la stessa domanda: che viva o che muoia a ‘sta gente che gli cambia?” Perché la musica era cosi dannatamente potente? “Per immenso adesso intendo il vuoto del tuo sguardo, soprattutto quando è proprio me che stai guardando adesso vedila con gli occhi miei, cercati se non ci sei, conta i brividi che hai quando ti stai accanto. il primo pensiero ad ogni sorgere del sole e l’ultimo mio errore quando il sole sta calando” [C.]




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