Introduzione
Nuova
ficcina, ma questa volta nel vero senso della parola. Molti di voi mi
saranno grati. Comunque ammeto che anche per me è un sollievo
pazzesco smettere per un po' di parlare dei trip mentali di elfi
complessi (e complessati) per parlare di qualcosa di un po'
precostruito.
La
storia narra di due personaggi esistit davvero, che saranno più
o menoconosciuti ai lettori del libro, meno ai coloro che hanno visto
il film.
Uno
è Arathorn, il padre di Aragorn, per intenderci; è un
gran bel ragazzo. La storia della cicatrice sul viso mi è
piaciuta molto. Sarebbe fico se gli orchi lo chiamassero, che so io,
scarface (lo sfegiato).
L'altro
è fengel. Non è un personaggio conosciuto. Il fatto è
che dovevo trovare un contempraneo di Arathorn, e questa della vita
più lunga è una bega bestiale.
Ho
dovuto calcolare tutte le date...
Uno
stress unico. E ancora non ho la certezza che i miei calcoli siano
esatti...
AIUTOOOOOOOOO!!
spero
da morire che vi piaccia e che la leggiate e recensite!!
Per
finirla sarò un po' lenta perchè con la scuola e tutto
il resto ci metterò un po'...
ne
sto preparando una a 4 mani (nel vero senso della parola) con una mia
amica. Sempre una cosa tranquilla, che forse vi piacerà. Su
Eowyn, la sua preferita. Poi abbiamo progettato di farne una su
Boromir e Faramir, i miei preferiti.
Leggete
la mia fic e recensitela!!
Grazie
moltissime
Leannel
PS:
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Arathorn
dall'alta postura elegante del suo cavallo giunse alle porte di
Imladris la mattina presto, quando il sole non era ancora sorto. Alle
sue spalle, Fengel, un bel ragazzo biondo, sulla ventina, dava ben
pochi segni di vita. In effetti, Arathorn pensò, doveva essere
stata molto dura per un ragazzino come luipertire dal Mark pochi
giorni prima, recarsi a Nord, tra le montagne e poi a Gran Burrone.
Faceva quasi tenerezza, sotto quell'oceano di capelli biondo grano.
Arathorn lo aveva osservato a lungo, la notte precedente, in quella
locanda scura. Aveva osservato i suoi occhi stanchi, di un verde
acceso. Non gli era comprensibile come degli occhi di un colore così
straordinario potessero brillare di una luce tanto stanca. Non
triste, ma stanca. Aveva i capelli arruffati ed era chiaro che
nessuno li aveva tagliati da tempo. Era davvero difficile pensarlo il
futuro sovreno del mark. Era un terzogenito. Arathorn non aveva mai
seguito la storia dinastica di nessuna famiglia, nemmeno delle sua, e
non aveva idea di cosa fosse accaduto ai due fratelli maggiori. Ma
doveva essere accaduto qualcosa di serio. D'altronde Arathorn non si
recava in Gondor da anni a quella parte. L'aria di quella città
lo rendeva triste. Gli ricordava quello che era successo in un tempo
non troppo remoto. Era una maledizione vivere tanto a lungo. Certe
ferite non si rimarginano che col tempo. Ai discendenti della sua
famiglia il tempo non era concesso. Sfiorò la cicatrice sulla
sua guancia destra. Rise pensando a quando quella ferita mise in
discussione l'utilizzo del suo occhio sinistro. Ma adesso dall'occhio
sinistro vedeva bene, bene come mai aveva visto. A volte gli faceva
un po' male, di notte. Ma Gandalf aveva detto di metterci
quell'unguento dall'odore pessimo. E Arathorn lo faceva,
regolarmente, tutte le notti. Era sempre stato tra i suoi difetti,
ascoltare troppo i consigli degli altri. Non era un uomo di
iniziativa. Cosa alquanto negativa per un condottiero, quale avrebbe
dovuto essere. In un certo senso se la figurava quasi la storia del
giovane Fengel. I suoi fratelli erano morti quando non era che un
ragazzino. Suo padre riponeva in lui tutte le poche speranze che gli
erano rimaste. E lui non era, o perlomeno, non si riteneva capace di
soddisfarle. Forse, Fengel era un ragazzo a cui piacevano le ragazze
bionde e i prati pieni di fiori bianchi. Forse non avrebbe mai
accettato il suo ruolo di sovrano. E avrebbe condotto male il suo
popolo. E sarebbe morto intornro ai quaranta, in una guerra inutile.
Sorrise. Si chiedeva cos'avesse pensato il ragazzo vedendo il suo
viso, corrotto, disordinato, eppure bellissimo. Non doveva proprio
sembrare uno degli antichi re. In realtà, quando gli avevano
detto 'Sei della stirpe dei re' lui aveva risposto ridendo. Era un
inetto, ecco tutto. Amava le belle ragazze e la battaglia. Portava i
capelli lunghi e disordinati. Forse tutto ciò che gli restava
di loro erano i suoi occhi. Aveva dei begli occhi, così almeno
avevano sempre detto tutti. Il ragazzino dalla folta chioma bionda
cadde da cavallo. Sembrava essersi addormentato. Il forte contatto
col terreno lo svegliò, però. Arathorn si fermò
e legò le briglie del suo animale ad un albero. Tranquillizzò
il cavallo del ragazzo. Non che ce ne fosse bisogno. I cavalli
rohirrim erano delle bestie incredibili. Il suo padrone era caduto e
lui lo stava solamente carezzando col muso. Ma Fengel era così
stanco da non accorgersene neppure.
“Siamo
arrivati” Arathorn sorrise.
“Davvero?
Io ho un gran mal di testa”
“Vi
avevo detto di non bere ieri notte”
“Non
darmi del voi.”
“D'accordo
Fengel. Ma siamo arrivati.”
Arathorn
prese le briglie di entrambi li animali e le trasse a se.
“In
ogni caso è meglio se per oggi non salite più su un
cavallo”
Fengel
lo guardò storto. Arathorn fece finte di niente.
Con
un braccio aiutò il ragazzo a sollevarsi. Con l'altro portava
le briglie degli animali.
“Quanto
manca?”
“Solo
pochi passi, non temete” Fengel cominciò a pensare che
Arathorn lo facesse apposta.
Probabilmente
aveva ragione.
Due
elfi, armati, con armature lucenti, gli vennero in contro. Arathorn
pensò che forse li avevano scambiati per qualche stanco
viandante in cerca di dimora.
“Voi
siete i due mortali?” disse il più alto dei due elfi
“Direi
che non ci sono dubbi sul fatto che lo siamo.”
Fengel
mormorò qualche parola incomprensibile.
“Dice
che state cercando noi” disse Arathorn.
Fengel
cercò in tute le sue tasche e ne trasse una lettera piuttosto
malridotta, ma di una fine carta bianco panna. La porse ai due elfi,
che cambiarono immediatamente espressione.
Si
eressero per poi piegarsi in un inchino solenne. Arathorn si sentì
preso in giro.
“Portate
dentro i cavalli” disse con tono duro.
“E
la giovane maestà?” disse l'altro Elfo.
“A
lui penso io”
“Voi
non pensate a nulla” disse una voce dalla soglia scura “Questo
non voleva essere un insulto, maestà”
Arathorn
osservò attentamente l'uomo che gli veniva incontro.
Innanzitutto, senza nessun dubbio era un'elfo. Aveva occhi di
cristallo nero e lunghissimi capelli color della pece. La sua pelle
era bianca, come solo un elfo poteva avere. I suoi biti erano
anch'essi di pelle nera, per lo più molto fine, o molto nuova.
Doveva essere un'elfo di alto rango.
Arathorn
aveva un ulteriore certezza. Si trattava di n guerriero. In primo
luogo portava una spada forgiata con non sapeva quale materiale e
finemente decorata, seppur in maniera sobria. Doveva essere molto
abile. In secondo luogo aveva occhi che potevano appartenere
unicamente ad un guerriero.
Arathorn
sorrise. Quell'elfo non gli piaceva affatto. Non che avesse qualcosa
contro gli elfi. Ma quello sembrava uno di quei maledetti
esibizionisti. Inoltre aveva l'impressione di averlo già visto
da qualche parte.
“Lasciate
che porti il ragazzo in una stanza. Pensavo che non fosse
raccomandabile bere in viaggio” disse l'elfo
“Pensavate
bene” rispose Arathorn “Ma il ragazzino non aveva nessuna
voglia di dirigersi in un posto tanto lontano e soprattutto... non è
importante”
Fengel
lanciò un'occhiata interrogativa Arathorn. L'uomo rise.
Probabilmente Fengel non aveva idea di chi lo stesse portando, né
di dove lo avrebbe portato. O più semplicemente con
quell'occhiata voleva affermare di non aver mai dette quelle parole.
Ad ogni modo Arathorn rise.
“Seguitemi”
disse l'elfo scuro, dagli occhi penetranti.
Arathorn,
nonostante non nutrisse nessuna simpatia nei suoi confronti, fece
cenno di si col capo e lo seguì.
Arathorn
mise così per la prima volta piede nelle case di Elrond. Era
una sensazione strana. Un profumo fresco di fiori lo pervase. C'era
un'aura di tranquillità ad avvolgerlo. E per un sitante, forse
per la prima volta nella sua vita, si sentì tranquillo. Per la
prima volta non si sentì completamente fuori posto. Ma fu un
istante. L'istante successivo, Arathorn, tornò alla sua
costante apatia.
“Non
eravate mai stato in una casa di elfi?” chiese L'elfo scuro
“Non
come ospite” rispose. L'elfo lo guardò in maniera molto
strana. Arathorn rise. “Stavo scherzando” disse. “Perchè,
voi siete mai stato nella dimora di una grande dinastia di mortali
decaduti?” disse ancora, ironico.
“Decisamnte
più a lungo di voi” Arathorn ebbe l'istinto di ridere.
Ma gli occhi dell'elfo non ridevano affatto.
“Che
farete al mio amico?”
“Quel
ragazzino non è amico di voi più di quanto lo sia di
me”
“Non
c'era nessun bisogno di questa vostra ironia” rispose Arathorn.
Parlando con quell'elfo aveva sempre l'impressione di sbagliare. Si
guardò attorno. L'elfo tardava a rispondere. Pensò che
non lo avesse sentito. Poi che non gli volesse rispondere. Si guardò
attorno, comunque. Era davvero molto bello. Era tutto molto elegante
e fine e tuto il resto. Se i suoi antenati vivevano nello stesso
lusso, Arathorn ringraziò di essere nato quando la stirpe era
già decaduta. Il pavimento semrava di un bel marmo bianco,
costuito con del marmo verde. Alle pareti era ogni genere di arazzi.
Arathorn si disse che se suo padre avesse disposto di tutta quella
mercanzia forse avrebbe riacquistato parte del suo potere. Era quasi
ironico. Ovunque andasse, gli uomini più importanti della
Terra di Mezzo lo Riconoscevano e talvolta si inchinavano dinnanzia
lui. Eppure, la sua importanza non aveva nessun valore. Da sempre le
Terre del Nord erano le più attaccate, e mai nessuno era
venuto in loro soccorso.
Forse
tutti li stavano prendendo in giro da centinaia di anni e non se ne
erano mai accorti.
“Si,
avete ragione” disse la voce dura dell'elfo.
Arathorn,
si voltò e lo fissò nei suoi impenetrabili occhi neri.
Non aveva idea di cosa stesse pensando. Sorrise.
“Che
ci fa uno come voi con uno come me” disse
“Voi
siete ospite di Elrond”
“Lo
chiamate per nome?”
“Non
è mio signore”
“Da
dove venite?”
“Io
sono originario di queste parti. Poi, qualche tempo fa sono stato a
Minas Tirith. Poi sono stato al Nord, per qualche tempo. Adesso abito
poco più a est di qui. Quattro o cinque giorni, con uno di
quei cavalli”
“Al
Nord? Io sono del Nord? Non vi ho mai incontrato”
“Sono
stato al Nord, ma è stato qualche tempo fa.”
“Suppongo
che questo significhi:'Squallido mortale, io conoscevo tuo nonno e
anche il suo predecessore'”
“Cosa
intendete?”
“Voi
elfi tentate sempre di tenervi tutto per voi, con la scusa che ne
farete un buon uso. Non vi interessa a chi o come lo prendete”
L'elfo
fissò Arathorn stupefatto.
“Tel'ha
detto tuo padre?”
“No,
mio padre è uno stupido. Lui non capisce”
“Suppongo
allora che ti dia fastidio, trovarti qui”
“In
un certo senso no. Questo è quello che mi da più
fastidio”
L'elfo
rise. Rimase in silenzio qualche istante ancora
“Vostro
padre non dava mai del voi” disse
“Allora
lo conoscete davvero?”
“Gli
elfi non dicono menzogne. Supponevo che questo lo sapeste”
Arathorn
trovò il discorso dell'elfo quasi paradossale.
“Pensavo
che quelli fossero gli uomini di Gondor”
L'elfo
lo fissò un istante
“E'
da molto tempo che non andate a Sud”
“Si,
è vero.” ora fu Arathorn a prendere tempo “Cosa
c'entra il ragazzino?” “Ragazzino.
Quel ragazzino avrà si e no trent'anni meno di voi. Non mi
sembra carino trattarlo con tanta superiorità”
“E'
normale che voi non percepiate la differenza di età come me.
In ogni caso che ci fa lui qui?”
“Lo
avete visto, no?”
Arathorn
fece cenno di si col capo. A dire il vero non aveva idea di dove
l'elfo volesse arrivare. Ma l'elfo non rispose. Si voltò verso
di lui, lo guardò negli occhi, poi per un istante sembrò
stupirsi, infine sorrise. Sembrava non spiegarsi la risposta di
Arathorn. Scusate ma penso sia meglio accompagnarvi alle vostre
stanze.
Arathorn
rispose di si.
Attraverso
un discreto numero di larghi corridoi, ornati di tutto ciò che
di bellissimo Arathorn potesse immaginare, l'elfo lo condusse alla
sua stanza. Con un inchino lieve lo lasciò. Così.
Sembrava che non avessero nemmeno parlato. Gli elfi erano bravissimi
a farlo sentire una nullità. In combattimento avrebbe davvero
voluto sapere chi avrebbe vinto tra l'elfo, lui ed il ragazzino
biondo. Il ragazzino. Avrebbe dovuto trovarlo, in qualche modo.
La
stanza era bella almeno quanto il resto del palazzo. Certo, non era
adorna come nei corridoi e nelle sale grandi, ma era molto bella lo
stesso. C'era un bel giardino. Arathorn annusò l'aria
profumata della primavera in quei luoghi bellissimi. Si disse che se
avesse avuto tempo sarebbe uscito col ragazzino biondo e avrebbero
passeggiato a lungo. Si sofermò davanti allo specchio. Le
cicatrice bruciava leggermente. Non gli andava di mettere
l'unguento. Non lo fece. Bevve un bicchiere di quella bevanda dolce
e densa che avevano lasciato sulla scrivania in legno bianco. Si
sdraiò e ai addormentò. Era maledettamente teso.
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