(SpinOff #1) A CHRISTMAS CAROL
‹‹Jingle
bells, jingle bells, Jingle all the way! O what fun it is to ride in a
one-horse open sleigh!!›› Bill
canticchiava allegramente quel
motivetto mentre si affannava a prendere gli scatoloni da sopra la
mansarda.
Era il 23 di dicembre e, a Los Angeles, si respirava già da
qualche settimana
il profumo natalizio.
Erano
passati quasi sei
anni da quando i due fratelli si trasferirono negli Stati Uniti e,
d’allora,
non avevano più avuto contatti con i genitori; e non avevano
alcuna intenzione
di farlo. Erano riusciti a trovare un piccolo appartamento in affitto
lontano dal
centro della città; Tom aveva trovato impiego in una
paninoteca a dieci
chilometri da casa e Bill, un lavoretto part-time in una sartoria. Non
conducevano
una vita da nababbi, ma era pur sempre una vita migliore di quella che
avevano
prima; o almeno, era così fino a qualche anno prima.
Già
dopo qualche mese di
convivenza, cominciarono a sorgere – ovviamente – i
primi problemi:
normalissimi, in una coppia di ‘fidanzati’; ma quei
problemi, poi, divennero sempre
più grandi: riuscivano a malapena ad arrivare a fine mese,
con le spese; per
non parlare poi degli acquisti extra che, spesso e volentieri, venivano
effettuati. Proprio per questo motivo, Tom stava cominciando a
comportarsi in
maniera del tutto diversa, rispetto ai primi tempi e, questo suo
atteggiamento,
faceva molto male a Bill. Non riusciva più a coinvolgerlo,
come una volta,
nelle piccole cose; non gli diceva più ‘Ti
amo’ come faceva all’inizio della loro
relazione. Tutto era diventato una
routine: monotona e priva di qualsiasi emozione. Sembravano una coppia
in fase
di separazione anzi, non sembravano più una coppia da un bel
pezzo.
‹‹Tom,
guarda qui!››
disse Bill mettendo l’ultimo scatolone sul pavimento.
‹‹Non ricordo quando
abbiamo comprato tutti questi addobbi di
Natale.›› esternò poi ridacchiando e
mettendosi in piedi di fronte le cinque scatole di cartone, poggiando
le mani
sui fianchi. Tom lo guardò con aria di disinteresse,
distogliendo con fatica lo
sguardo dal televisore; stavano trasmettendo un classico: A Christmas Carol.
‹‹Vorrai
dire quando tu hai comperato tutta
quella roba,
Bill. Sai che non spendo soldi per quelle
cazzate.›› sbuffò poi, riportando la
sua attenzione a quel film. Era disteso in maniera alquanto rozza e
goffa sul
divano e, di tanto in tanto, si grattava la testa. Bill
sbuffò a sua volta,
pensando a quanto fosse diventato difficile comunicare con lui.
‹‹Non
vuoi aiutarmi a
preparare l’albero di Natale?›› disse
poi, cercando di coinvolgere il suo
partner almeno nel periodo più bello dell’anno.
‹‹No.››
concluse Tom,
freddamente e distaccatamente.
‹‹Perché?››
‹‹Perché
no e basta!››
‹‹Ma
non è una
risposta!›› si impuntò poi Bill,
piazzandosi davanti la televisione impedendo a
Tom di continuare a guardarla. ‹‹Non ascolti
nemmeno quello che dico. Ma che
cazzo ti è preso?››
Tom
si mise a sedere e,
con una rapida mossa, spostò Bill su di un lato
dimodoché avesse nuovamente la
piena visuale della televisione.
‹‹Non
mi va
semplicemente di aiutarti con quel dannato albero di Natale. Sono
stanco!›› si
sdraiò per l’ennesima volta e cominciò
a fare zapping tra i canali; si era già
stufato di quel film. Ogni anno davano sempre la stessa cosa. Detestava
quel
film; gli bastò leggere il libro alle medie, per capire che
quella storia, non
sarebbe entrata nella top five
delle
sue storie preferite.
‹‹Ancora
non capisco il
motivo di questo tuo cambiamento
nei
miei confronti. Dimmi, ti manca qualcosa?›› Era
giunto il momento di affrontare
la situazione. Non poteva più far finta di niente. Lui
stesso no ne poteva più
di essere trattato come se fosse un estraneo.
‹‹Se c’è qualcosa che non
va,
dimmelo ora.››
Tom
continuava a non
ascoltarlo; il suo interesse era basato principalmente sul televisore e
sul non
fare niente. D’un tratto però, Bill perse la
pazienza: prese il telecomando e
lo lanciò dall’altra parte della stanza,
dopodiché spense il televisore.
‹‹Presta
attenzione a
quello che ti dico, cazzo!›› urlò poi,
in preda ad una crisi di nervi. Tom, dal
canto suo, continuava ad essere pacato e tranquillo. Non aveva alcuna
intenzione di alterarsi, a differenza di Bill.
‹‹Perché mi tratti così?
Hai un
altro uomo? O un’altra donna?›› non
sapeva più che altra soluzione trovare. I
suoi occhi si riempirono di lacrime e la voce cominciò a
tremargli.
Tom
sorrise
nervosamente e scosse il capo.
‹‹Tu
non capisci
proprio un cazzo, Bill. Qui non sono io il
problema.›› disse mettendosi seduto
sul divano per poi far leva sulle ginocchia ed alzarsi, fronteggiando
suo
fratello. ‹‹Qui il
problema sei tu!››
disse quella frase con una punta di odio, rabbia e freddezza. Gli
puntò il dito
contro, senza toccarlo. Bill rimase spiazzato, senza parole. In che
senso era
lui il problema?
‹‹Io
mi faccio il culo
per portare il pane a casa; mi faccio il culo per mantenerti; mi faccio
il culo
per pagare le spese. Riusciamo a malapena ad arrivare a fine mese e tu
cosa
fai? Spendi i nostri risparmi in puttanate varie. Ora dimmi, Bill:
quanti soldi
hai speso questo mese per gli addobbi natalizi? E per le zagaglie del
cane? E
per tutti i tuoi vestiti? E poi dimmi, Bill: quanti soldi hai messo da
parte,
questo mese?›› Ogni parola che diceva, era un
pugnalata al suo povero cuore;
erano tanti schiaffi in pieno volto che facevano un male atroce.
‹‹Te lo dico
io quanti: niente; un bel niente! E sai cosa penso? Che sono stufo di
farmi il
culo inutilmente per te. Hai le mani bucate. Non ti dai un limite. Mi
stai
mandando alla rovina. Continua così, che sicuramente andremo
a vivere sotto i
ponti; anzi, ci andrai a vivere tu.››
Non
aggiunse
null’altro. Si alzò dal divano, prese il suo
giaccone, il guinzaglio del cane
ed uscì di casa: ‹‹Non aspettarmi in
piedi. Vai a dormire… vieni Pumba,
usciamo!›› aggiunse prima di chiudere la porta
con un forte SBAM; così
forte che a Bill parve
tremassero le mura.
Non
appena Tom uscì di
casa, Bill si portò le mani al viso, scoppiando in un pianto
liberatorio.
Possibile che fosse tutta colpa sua? Per la rabbia, calciò
violentemente gli
scatoloni, rovesciando per terra tutti gli addobbi natalizi.
‹‹Oh
no, accidenti.››
sussultò poi, piegandosi sulle ginocchia per poter
raccogliere le palline e
luci che si erano riversate in terra. ‹‹Non
rovinerà il mio Natale. Lo
festeggerò con o senza di lui.››
ripose tutto il contenuto all’interno dello
scatolone e si asciugò le lacrime dagli occhi.
‹‹Dove
diavolo è lo
scatolone con dentro l’albero?››
*
‹‹Buon
Natale, Tom!››
la sua vicina di casa, sempre allegra e sorridente, aveva avuto la
stessa sua
idea: quella di portare fuori il cane alle dieci di sera.
‹‹Salve
signora Forest.
Buon Natale anche a lei.›› disse distaccatamente,
senza credere realmente a
quello che aveva appena detto. La signora Anne Forest, settantenne
vedova da
quasi dieci anni, era un’anziana signora che, sin da quando
si erano trasferiti
lì, si era messa sempre a disposizione. Sia durante le
feste, che non, portava
spesso loro qualcosa da mangiare come crostate, biscotti, focacce, pane
fatto
in casa. Non avendo avuto figli, li trattava come tali.
‹‹Come
mai quel muso
lungo, figliuolo? Cosa succede?›› si
avvicinò a Tom con il suo piccolo volpino.
Pumba cominciò ad abbaiare.
‹‹Fa
silenzio, Pumba!››
strattonò il guinzaglio, dimodoché la smettesse
di far rumore. ‹‹…nulla signora
Forest.›› disse vagamente ma, ovviamente, Anne
non gli credette minimamente.
‹‹Sono
anziana, Tom, ma
non sono una stupida. È successo qualcosa con
Bill?›› Quando Anne nominò suo
fratello, una scarica elettrica gli colpì lo stomaco,
facendogli del male.
Scosse la testa, senza darlo a vedere.
‹‹No,
non è successo
nulla.›› mentì più a se
stesso, che all’anziana donna. Sebbene non ne fosse del
tutto convinta, decise di lasciar stare. Non avrebbe voluto
immischiarsi nelle
loro vite private. Aveva sempre pensato che, come coppia di fidanzati,
era
alquanto strana. No, nessuno sapeva la
verità su loro due. Nessuno, nel quartiere,
sapevano che loro due fossero
fratelli; difatti, Tom lasciò il cognome della madre e Bill
quello del padre.
‹‹D’accordo,
Thomas.
Come preferisci. Se domani non avete nulla da fare, potete passare la
vigilia
di Natale assieme a me. Buonanotte, figliuolo.. e ricordati una
cosa…››
l’anziana l’afferrò delicatamente per un
braccio, voltandolo verso sé. ‹‹Fatti
un esame di coscienza. Rifletti su ciò che hai. Solo dopo
averla persa, capisci
quant’era importante una cosa.››
dopodiché andò via.
*
‹‹Odio
questo
fottutissimo periodo dell’anno!››
Faceva
freddo e,
ovviamente, nevicava forte. Forse non era stata una bella idea quella
di uscire
fuori a quell’ora. Tom guardò
l’orologio: era già mezzanotte, ergo, era appena
scattata la vigilia di Natale. Era seduto sulle scale del municipio e
guardava
distrattamente il fumo che usciva dalla bocca di Pumba.
‹‹Sarebbe
stato meglio
non ricordarmi proprio di un cazzo di niente.››
si portò la mano dietro la
testa. La cicatrice, nonostante fosse passato così tanto
tempo, era ancora
nettamente evidente al tatto, sebbene ci fossero i capelli.
‹‹Andiamo Pumba,
torniamo a casa.›› Gettò via il
mozzicone della sigaretta ed espirò fuori il
fumo e, facendo leva sulle propria ginocchia si levò in
piedi.
Si
incamminò verso
casa. Sicuramente Bill stava dormendo, vista l’ora. Per
strada, non c’era
assolutamente nessuno, a parte lui e Pumba. D’un tratto
però, Pumba cominciò ad
abbaiare al vuoto.
‹‹Fa
silenzio, idiota
di un cane! La gente dorme a
quest’ora.›› strattonò
leggermente il guinzaglio
per farlo tacere, ma Pumba era alquanto agitato. Ripeté
più volte di fare
silenzio, fino a quando non vide un’ombra minuta passargli
accanto.
‹‹Chi
cazzo è?›› Tom,
spaventato, si voltò di scatto là dove aveva
sentito una brezza più fredda accapponargli
la pelle. Non
c’era nessuno. Pumba continuava ad abbaiare ininterrottamente
ma, questa volta,
alle sue spalle e non di fronte. ‹‹Se questo
è uno scherzo, sappi che
è di cattivo gusto, Bill.›› Nessuno
rispose. Decise di proseguire diritto aumentando il passo.
‹‹Vieni
Pumba, torniamo
a casa. Sta zitto, andiamo!›› afferrò
il guinzaglio con entrambe le mani e
cominciò a tirarlo. Aveva la netta sensazione di essere
seguito ed osservato.
In poche parole: aveva una fifa tremenda.
Il
cane – finalmente –
smise di ribellare tutto il piccolo quartiere e, in un certo senso, Tom
si
tranquillizzò leggermente. Poche centinaia di metri lo
separavano dalla porta
di casa ma, proprio mentre stava per svoltare un angolo, si
sentì colpire alle
spalle da una palla di neve. Cacciò un urlo, girandosi di
scatto per vedere chi
fosse stato a lanciargli quella palla. La strada, dietro di
sé, era
completamente deserta.
‹‹Ti
avverto, stai
scherzando con il fuoco. Bada a quello che fai.››
minacciò il nulla; ma lo fece
solo per camuffare la paura che, in quel momento, stava provando.
Fortunatamente, riuscì a svoltare l’angolo,
ritrovandosi finalmente a casa.
*
Appena
aprì la porta,
venne abbagliato da una forte luce blu, poi gialla, poi rossa, poi
verde: Bill
aveva fatto l’albero da solo. Si era addormentato sul divano,
raggomitolato per
via del freddo. Tom si portò l’indice vicino la
bocca e invitò Pumba a fare
silenzio. Posò le chiavi e il guinzaglio sul comodino e
prese da dentro il
mobile una coperta di lana per coprire Bill che, apparentemente, stava
sentendo
freddo. La posò delicatamente su di lui, senza farlo
svegliare. Avrebbe voluto
dargli un bacio sulle labbra, ma non gli parve il caso, vista la
discussione
che avevano avuto pocanzi.
Si
fece largo tra gli
scatoloni e, per puro caso, il suo sguardo si soffermò sulla
scatola dei led: 100$
‹‹Dannazione,
Bill. Ci
manderai alla rovina in questo modo.››
gettò in terra la scatola e salì al
piano di sopra. Era ancora molto, forse troppo arrabbiato.
*
L’orologio
segnava le
03:14 e ancora non riusciva a prender sonno. Era tutto troppo strano
senza Bill
accanto. Provò a girarsi su di un lato, poi
cambiò verso, poi si mise supino,
poi prone, poi nuovamente supino.
‹‹Fanculo
al sonno!››
sbatté volutamente la testa sul cuscino. Il sonno non aveva
la minima
intenzione di prendere il sopravvento. Come se non fosse già
abbastanza
difficile addormentarsi, gli venne persino lo stimolo di fare
pipì.
‹‹Ci
mancava anche questa,
fanculo!›› imprecò notevolmente e, con
molta fatica e stizza, lanciò per aria
il piumone, per poi dirigersi verso il bagno. Camminava nel buio come
uno
zombie; si trascinava lungo il muro per evitare di cadere. Una volta
giunto nel
bagno, fece ciò che doveva fare e tornò a letto.
Il
letto, seppure si
fosse alzato appena trenta secondi prima, era freddo, gelido, quasi
come se
fosse stato fuori sotto all’agghiaccio. Si coprì
fino alla testa e si
raggomitolò su se stesso. D’un tratto,
sentì una mano sfiorargli la spalla.
Spalancò gli occhi, ma poi sorrise:
‹‹Ehi Bill, non riesco a dormire senza di
te.›› ma proprio mentre stava per voltarsi,
udì una voce e, di certo, non era
Bill.
‹‹No,
Tom. Non sono
Bill.››
‹‹Aaaaaaaaaaaaaaaaah!!!!››
Tom cacciò un urlo, destandosi immediatamente dal letto,
afferrò la prima cosa
che gli capitò fra le mani: la sua ciabatta.
‹‹Chi
c’è?›› tastò
più e più volte
il muro per poter trovare l’interruttore ma, quando
andò per accendere la luce,
notò che questa non funzionava.
‹‹L’ho
tolta io la
luce. Non ti basta la mia?›› una strana figura
uscì da sotto le coperte.
Emanava una luce fluorescente di colore verde. Era poco più
alto di un bambino
di cinque anni. Indossava delle calzamaglie a righe verdi e rosse, una
giacca
verde, delle scarpe color nocciola a punta e un buffo cappello con un
campanello. Se Tom fosse stato un bambino, avrebbe senza dubbio detto
che, quel
tizio, sembrava proprio un elfo.
‹‹Chi
cazzo sei, come
sei entrato nel mio appartamento?›› disse Tom in
preda al panico, tenendo
sempre alta la ciabatta. Se fosse stato necessario, l’avrebbe
picchiato con
quella.
‹‹Modera
i toni,
giovanotto; stavo per presentarmi.›› si
schiarì la voce: ‹‹Io mi chiamo James
e
sono il fantasma del Natale Passato.›› fece la
riverenza. Tom lo guardò con
aria confusa. Continuava a tenere in alto la ciabatta e
giurò che, qualche
attimo dopo, la sentì cadere sulla propria testa, rimanendo
ancora qualche
secondo con le braccia in alto.
James,
notando lo
stupore del ragazzo, continuò a parlare:
‹‹So che sei stupefatto e scettico,
tutti lo sono ogni qual volta faccio questa presentazione. Molti
pensano che
sia solo frutto della loro immaginazione, altri invece che stanno
semplicemente
sognando.›› Tom continuava a non capire. Scosse
la testa.
‹‹Wow,
allora sono
riuscito ad addormentarmi anche senza Bill.
Fantastico!›› sorrise soddisfatto,
poggiando le mani sui propri fianchi, assumendo una postura altezzosa.
James,
vedendo quella patetica scena, si portò una mano al viso,
scuotendo
successivamente la testa, facendo suonare il campanellino che aveva sul
cappello.
‹‹Ma
perché il capo
deve sempre far fare a me il lavoro più
difficile…›› si alzò dal
letto e si
avvicinò a Tom. ‹‹Se fossi solo
un’allucinazione, potrei fare questo?››
senza
preavviso, mollò un ceffone in pieno viso a Tom.
‹‹Ahio!
Cazzo, mi hai fatto
male.›› si massaggiò la parte colpita.
‹‹Non penserai mica che io creda al
fatto che tu sia davvero il fantasma del mio Natale Passato? La storia
di
Charles Dickens è solo un racconto di Natale. Questa sera
stavano dando il film
in televisione, mi sarò lasciato suggestionare. Ma tu non
sei davvero qui.››
Prima
che Tom
aggiungesse altro, James gli mollò un altro ceffone; questa
volta sulla testa.
‹‹Ahio!
Ma cazz… senti
coso, prova di nuovo a mettermi le mani addosso ed
io…›› andò per afferrarlo
ma, la strana figura, si dissolse, materializzandosi
dall’altra parte della
stanza, vicino la finestra.
‹‹Allora
che fai, mi
segui di tua spontanea volontà oppure mi devi costringere a
prenderti con le
forze?››
‹‹Tu
non farai proprio
un bel niente.›› Tom stava quasi per rimettersi
nel letto, ancora convinto che,
tutto quello, fosse solo frutto della sua immaginazione. James sorrise.
‹‹Adoro
quando fate i
difficili.›› fece un sorriso che, a dirla tutta,
pareva più un ghigno. Schioccò
le dita e, in un batter d’occhio, Tom si trovò
fluttuante per la stanza.
Cominciò ad urlare come un bambino, supplicandolo di
metterlo giù.
‹‹Va
bene! Ho capito!
HO CAPITO! Verrò con te. Ma ti prego, mettimi
giù.. mettimi giù!››
urlò Tom
mentre continuava a sbracciarsi per paura di cadere a terra. Con un
altro
schiocco di dita, James lo mise per terra, facendogli prendere una
leggera
botta sul sedere.
‹‹Adesso
tappati la
bocca e seguimi.›› l’elfo si dissolse
all’interno del muro. ‹‹Lanciati dalla
finestra.›› udì solo la voce di quella
strana creatura.
‹‹Ahahah!››
rise
nervosamente Tom. Sbaglio o quello gnomo gli aveva appena detto di
lanciarsi
dalla finestra? ‹‹Io non sono
un’allucinazione. Se mi lancio dalla finestra
morirò.››
‹‹Quante
storie che
fai. Lanciati e sta zitto. Non ti accadrà niente. Fallo tu,
o sarò costretto a
farlo io!›› Non appena disse così, Tom
si spaventò. L’ultima volta che aveva detto
così, si era trovato a fluttuare e volteggiare in aria per
tutta la stanza.
Sospirò, sconfitto. Si avvicinò a passi molto
lenti accanto alla finestra e
l’aprì tutta in un colpo.
‹‹Tanto
è solo un
sogno.. non mi accadrà nulla!››
guardò in basso. Sebbene non fossero in un
palazzo, ma in una villetta, il piano superiore era ugualmente alto.
Dalla
finestra, al suolo, erano poco più di dieci metri.
‹‹Fallo,
Tom!››
Alzò
gli occhi al cielo
e fece il segno della croce, dopodiché, con un urlo, si
lasciò cadere giù.
*
Quando
riaprì gli
occhi, si trovò per terra, su di un pavimento in legno.
Accanto a lui, riuscì
ad intravedere le buffe scarpe di James.
‹‹Puoi
alzarti, adesso.
Siamo arrivati.›› obbedì senza
indugiare. Si spolverò il pigiama e diede una
rapida e fugace occhiata alla stanza circostante.
‹‹Ma
questa.. questa è
la mia vecchia casa? Perché mi hai portato
qui?››
‹‹Non
ti ricordi, Tom?
Questo è il tuo Natale Passato. Avevi appena quindici
anni.››
‹‹Non
so se ne sei a
conoscenza, ma quasi dieci anni fa, ho perso la memoria in un incidente
stradale. L’ho riacquistata col tempo, ma non ricordo quasi
nulla della mia
infanzia o adolescenza.›› proseguì
Tom, convinto di aver finalmente ragione.
‹‹Ne
sei proprio
sicuro?›› James indicò un punto fuori
la finestra. Tom ebbe quasi un tuffo al
cuore non appena vide se stesso nove anni più piccolo.
‹‹Cristo!
Ma ci possono
vedere?›› si nascose dietro il tavolo della
cucina, timoroso di essere visto da
se stesso.
‹‹No,
idiota. È solo un
tuo ricordo. Non sei realmente qui; solo inconsciamente. Quello
è tuo fratello
Bill, giusto?›› proseguì poi
l’elfo, indicando l’altro ragazzo dai capelli nero
corvino. Tom sorrise inconsciamente.
‹‹Sì.
È lui. Qui, ci
siamo baciati per la prima volta.›› sorrise di
nuovo e si mise in piedi a
fissare fuori dalla finestra quella scena magnifica.
‹‹Cosa
è cambiato, Tom?
Cosa è successo?››
D’un
tratto però, sentì
la rabbia ribollirgli nelle vene. Strinse forte i pugni; talmente forte
da far
diventare le nocche bianche.
‹‹Portami
via da qui.
Fammene andare via.››
‹‹Tu
non vuoi
affrontare la situazione, Tom. Cos’è che non va?
Io voglio aiutarti.›› James
continuava a parlare, cercando di far ragionare Tom, ma lui non voleva
sentire
ragioni.
‹‹Cazzo,
elfo, ti ho
detto di portarmi via da qui. Ora!›› James non lo
contraddisse. Con uno
schiocco di dita, lo trasportò in un’altra scena
passata della sua vita. Un
altro Natale.
‹‹Questa
scena la
ricordi?››
Ebbe
un colpo al cuore.
Come poteva dimenticarsi di quel ricordo? Come dimenticare i genitori?
‹‹Qui,
era il Natale
del 1998››
Tom,
si trovò a
fronteggiarsi con i genitori, molto più giovani
dell’ultima volta che li aveva
visti, con se stesso e con il fratello, ancora più piccoli.
Vide tutta la
famiglia al completo che scartava i regali. Una scena che gli
procurò uno
sfarfallio allo stomaco. Possibile che aveva perso davvero tutti i
valori di
una volta?
‹‹Qui..
qui ebbi
regalata la mia prima chitarra.››
sussultò Tom, poi.
‹‹E
ricordi cosa
successe a Bill?›› Tom annuì
lentamente. Come poteva dimenticarsene?
‹‹Qui
Bill si arrabbiò
molto perché non ebbe il regalo che
desiderava.››
‹‹E
tu come lo consolasti.
Ricordi?›› sorrise ed annuì ancora.
‹‹Gli
dissi che non era
la chitarra il regalo che desideravo…ma
lui.›› si sentì un’altra
morsa allo
stomaco e giurò di aver sentito una lacrima scendere lungo
la guancia, ma non
lo ammise. Cominciò letteralmente a scocciarsi di quella
situazione. ‹‹Adesso
vuoi portarmi a casa, per favore? Vorrei andare a
dormire.››
‹‹Non
sarà l’unica
visita, la mia. Ti manderò altri due spiritelli, questa
notte.››
‹‹Sì,
sì, certo. Ed io
sono Babbo Natale. Portami a casa adesso, elfo!››
diede le spalle alla famiglia
e si rivolse nuovamente alla piccola sagoma davanti a sé.
‹‹Ho detto.. portami
a casa!››
James
annuì
tristemente, con il capo chino e gli occhi socchiusi. Tom era davvero
molto
difficile da convincere. Come ordinato, con un rapido schiocco di dita,
riportò
tutto alla normalità.
*
Tom
si ritrovò nella
sua attuale stanza, col il viso riverso sul pavimento in parquet, ai
piedi del
letto. Si destò e si spolverò nuovamente. Si
dette una rapida occhiata in giro:
tutto era perfettamente al suo posto; lui era sano e salvo e tutto
d’un pezzo.
Sorrise, pensando a quanto fosse stato imbecille.
‹‹Sapevo
che stessi
sognando. Sono caduto dal letto.››
cercò di autoconvincersi, sebbene fosse
ancora un po’ scettico. Quel sogno però, era
così dannatamente reale.
‹‹Meglio
che mi rimetta
a letto.›› guardò
l’orologio: 03:14 chiuse gli occhi e provò a
riaddormentarsi.
*
Un
forte tonfo lo fece
sobbalzare dallo spavento. Credette fosse successo qualcosa a Bill.
Difatti,
lanciò le coperte per aria e tentò di alzarsi dal
letto, ma non appena lo fece,
si sentì tirare un lembo del pigiama e fu costretto a
risedersi. Si voltò di
scatto per vedere chi fosse stato ma, ovviamente, non c’era
nessuno. Cominciò
seriamente a preoccuparsi di quella strana e bizzarra situazione.
Guardò
nuovamente
l’orologio: segnava sempre le 03:14
‹‹Io
sto diventando
pazzo!›› si passò una mano sul viso.
Aveva la gola secca. Si avviò verso la
porta per poter dirigersi al piano di sotto ma, non appena
l’aprì, caccio un
urlo: una strana figura tozza e paffuta, si presentò davanti
ai suoi occhi.
Somigliava tanto alla strana creatura del sogno precedente ma, questa
volta,
non brillava di luce propria, non aveva né le orecchie e
né le scarpe a punta;
non indossava un berretto e le calzamaglie. L’unica cosa che
indossata quello
gnomo, era una tunica blu. Non portava cappello ma, sulle spalle, gli
ricadevano dei riccioli rossi che si confondevano con la barba
foltissima che
arrivava fino ai piedi nudi. Pareva quasi la brutta copia del cugino
Hit della
famiglia Addams. In una mano, portava un calice di vino e,
nell’altra, un
grappolo d’uva verde.
‹‹Chi-chi
sei?›› balbettò
Tom, in preda ad un’altra crisi di panico. Stava avendo
un’altra allucinazione.
‹‹Io
sono Paul, il
fantasma del Natale Presente. Mio cugino James ti avrà detto
del mio arrivo.››
Cugino
James? Cazzo. L’elfo di prima.
‹‹Ehm…
sì, mi ha detto
del tuo arrivo.›› Tom si ritrovò a
parlare nuovamente con un sogno: perché un
sogno doveva essere per forza.
‹‹Mi
ha anche detto che
pensi che tutto questo sia un sogno e che il tuo inconscio sia stato
influenzato dal film che stavi guardano ieri in televisione; beh, caro
il mio
Thomas, ti sbagli. Sono reale tanto quando
James.››
Tom
deglutì.
‹‹Mi
farai gettare
anche tu fuori da una finestra?›› disse quella
frase con un accenno di timore.
Lo gnomo blu scoppiò in una risata fragorosa, ma Tom non ci
trovava
assolutamente nulla di divertente.
‹‹No,
Tom. Sono il
fantasma del Natale Presente. Siamo già a casa tua. Dovrai
soltanto scendere di
sotto. Dammi la mano.›› magicamente, sia il
calice che l’uva, sparirono dalle
mani della piccola e tozza figura. Inizialmente Tom, fu scettico a dar
lui la
mano. La guardò stranito.
‹‹Guarda
che sono
pulite.›› grugnì Paul, porgendo ancora
di più la mano verso Tom, per
invogliarlo ad afferrarla. Con un po’ di timore, Tom
sospirò ed afferrò
delicatamente la mano del fantasma; ma non appena lo fece, si dissolse
nel
nulla.
‹‹Ehm..
fantasma?››
bisbigliò Tom. ‹‹Fantasma del Natale
Presente?›› Non ci fu risposta. D’un
tratto, sentì un lamento; come se qualcuno, al piano di
sotto, stesse
piangendo.
‹‹Chi
c’è?›› aggiunse
Tom mentre si accingeva a scendere le scale e, non appena scese
l’ultimo
gradino, vide un Bill seduto sul divano che piangeva disperato.
D’istinto,
corse da lui.
‹‹Ehi,
piccolo! Cosa è
successo? Non…›› ma non appena gli si
avvicinò per abbracciarlo, le proprie
braccia gli passarono attraverso. Fu allora che riapparve Paul.
‹‹Non
può né vederti,
né sentirti. Sei solo con la mente, qui. Con il corpo, sei
fuori con il cane.››
gli fece notare Paul.
‹‹Perché
sta
piangendo?›› domandò poi Tom, cercando
di accarezzargli la testa.
‹‹Dimmelo
tu, il
motivo. L’hai abbandonato. Ti aveva semplicemente chiesto di
aiutarlo con gli
addobbi di Natale.››
‹‹Io…
mi dispiace.››
provò ad accarezzarlo nuovamente ma, non appena
andò per farlo, Bill alzò la
testa. Tom pensò che potesse vederlo. Si tirò
subito indietro e si levò in
piedi.
Se
non mi vuole
aiutare con l’albero
di Natale, vorrà dire che me lo farò da solo.
Disse
Bill, alzandosi
dal divano per dirigersi verso la pila di scatoloni posti accanto alla
porta.
Ne aprì uno, poi, due e poi tre, tirando fuori tutti i
decori e gli addobbi
natalizi, compreso i pezzi dell’albero.
Vediamo,
questi led costano: 100$; queste palline: 50$; questo splendido
puntale di vetro: 150$ Mi hai sentito, Tom? Sono 300$ soltanto per tre
minchiate. E sai cosa ti dico? Se non ti sta bene quello che faccio,
puoi anche
andartene via di casa.
Ovviamente
Bill, sapeva
che Tom non fosse lì con lui ma, per sfogo, si mise ad
urlare come se fosse
stato lì.
Guardare
quella scena,
fu uno strazio, per Tom. Suo fratello, la persona per cui aveva
combattuto
tanti anni, la stava perdendo nuovamente per colpa dello stupido
denaro. Ogni
pallina che appendeva sull’albero, era una lacrima. Ogni
luce, un singhiozzo.
Ogni fiocchetto, un sospiro.
Mi
hai rovinato il Natale.
Sfiatò
poi, una volta
aver finito l’albero. Non lo guardò nemmeno. Si
andò a sdraiare nuovamente sul
divano, piangendo, fino ad addormentarsi.
‹‹È
così che vuoi
continuare la tua vita?›› disse poi Paul. Tom era
in lacrime. Non sapeva cosa
fare. Non voleva ammettere che la sua situazione, stava degenerando. Se
non
avesse fatto nulla, di sicuro, quella storia, non sarebbe finita bene.
‹‹Mi
stai soltanto
dicendo una marea di cazzate. Bill non mi direbbe mai una cosa del
genere.
Mai.›› provò ad autoconvincersi, ma
sapeva benissimo che non era così. Sapeva
di essere in torto. Dava così tanto importanza al denaro,
che si era letteralmente
dimenticato di quale fosse la vera felicità.
‹‹Sono certo che non lo pensava
davvero.››
Paul
sorrise.
‹‹Questo
è quello che
credi tu. Ti manderò l’ultimo fantasma, questa
notte; e ti posso assicurare,
che non sarà un bello spettacolo. Starà a te
decidere poi.››
Paul
stava per
dissolversi nel nulla. ‹‹Aspetta! Cosa
vedrò? Dimmelo.. cosa
vedrò?›› era ormai
troppo tardi. Il fantasma del Natale Presente, scomparve.
*
Tom
si ritrovò
nuovamente con il viso sul pavimento. Questa volta però,
sapeva benissimo a
cosa stava per andare incontro. Si alzò di scatto e
guardò l’orologio: 03:14.
‹‹Avanti..
dimmi dove
sei.. ti sto aspettando. Fatti vedere!›› Tom era
spaventato. Quella frase detta
da Paul – nonché fantasma del Natale Presente
– lo aveva letteralmente
sconvolto. Che cosa intendeva con: ‘non sarà un
bello spettacolo’?
D’un
tratto, la
finestra della camera da letto, si spalancò, facendo entrare
all’interno di
essa un vento gelido, accompagnato dalla bufera di neve che si stava
scatenando
al di fuori. La tenda in tessuto leggero, cominciò a
svolazzare violentemente.
A Tom parve che
volesse catturarlo.
Guardò
attorno alla
stanza, per cercare di capire dove fosse l’ultimo degli
spiriti. Conoscendo già
la storia, sapeva benissimo che quello, era il fantasma più
temuto di tutti.
Volse per caso il suo sguardo all’orologio: non erano
più segnate le 03:14, ma le
ore, i minuti, passavano come se fossero secondi, con una
rapidità del tutto
impossibile e surreale.
‹‹Sono
pronto! Sono
pronto a vedere che cosa mi aspetta.›› disse Tom,
quasi in lacrime. Quella
situazione lo stava davvero terrorizzando. All’improvviso,
tutto si acquietò.
Sul pavimento però, si era creata una grande voragine nera.
Il ragazzo
sussultò. Aveva timore a scorgersi per vedere cosa ci fosse
al suo interno; ma
prima che facesse questo,
una figura
nera uscì da quella voragine, per poi richiudersi ai suoi
piedi. A quella
visione, Tom si lasciò cadere sulle ginocchia e
cominciò a piangere.
Era
completamente
diversa rispetto ai due precedenti. Questo spirito, si presentava come
una
misteriosa figura, uno scheletro, alta e maestosa, avvolta in un lungo
mantello
nero che gli copriva interamente il corpo, lasciando trasparire
soltanto un
braccio teso con l'indice puntato. Il fantasma terrorizzò
molto Tom che,
intimorito, gli pose molte domande. Lo spettro, però non
rispose mai a nessuna
di esse: stava in silenzio e, a volte, si limitava a fare soltanto dei
cenni. A
differenza dei primi due spiriti, infatti, lo spirito del Natale Futuro
non
avrebbe mai parlato.
‹‹Ti
prego, mostramelo.
Mostrami che cosa mi aspetta.››
sussultò Tom, in prenda al terrore. Lo spirito
voltò l’indice verso la porta della loro camera;
Tom capì subito di dover
scendere al piano di sotto. Si levò immediatamente in piedi
e corse giù in
salotto.
‹‹Bill?
Bill, dove sei?
Bill?›› urlò con tutta la forza che
aveva in corpo ma, in casa, non c’era
nessuno. Si guardò attorno: le uniche cose che vide, erano
bottiglie di Vodka
completamente vuotate e pacchetti di sigarette –
anch’essi vuoti – sparsi per
tutto il pavimento. Gli salì un groppo alla gola.
‹‹Io
non capisco…dov’è
Bill?››
Il
fantasma non
rispose. Indicò un altro punto
all’estremità della stanza. Tom si
avviò verso
la cucina e, quello che vide subito dopo, gli fece tremare le
ginocchia: vide
un ragazzo curvo su se stesso, con la testa fra le mani, seduto in
terra e
circondato da mozziconi di sigaretta e bottiglie vuote di Vodka.
Giurò di aver
sentito penetrare la puzza di fumo ed Alcool le proprie narici. Gli
salì un
conato di vomito. Stava per voltarsi, andando via, cercando di scappare
da
quella visione; ma prima che lo facesse, lo spirito del Natale Futuro
gli
bloccò le spalle e lo costrinse a vedere, avvicinandolo
ancora di più.
Tom
obbedì, non aveva
altra scelta. Infatti, non appena si avvicinò ancora di
più a quella figura,
notò che in mano, aveva un foglietto di carta.
Ciò che c’era scritto, era
chiaro e nitido:
Addio,
Tom.
Quelle
due parole gli
fecero un male atroce. Scoppiò in lacrime, inginocchiandosi
ai piedi dello
spirito.
‹‹Ti
supplico, cambia
tutto questo. Non voglio che accada nulla di tutto ciò. Io
amo Bill più di ogni
altra cosa al mondo. Non voglio perderlo. Ti prometto che
assumerò un
atteggiamento diverso, non penserò più al denaro
come se fosse la mia felicità.
Non sarei mai felice senza di Bill. Ti prometto che
cambierò. Dammi un’altra
possibilità.››
Strinse
fra le mani la
tunica nera del fantasma. Quest’ultimo, posò una
mano sulla sua spalla e, in un
batter d’occhio, venne catapultato di nuovo alla
realtà.
*
Si
ritrovò per
l’ennesima volta con il viso per terra ma, questa volta, non
era in casa: lo
dedusse dalla ruvidità del pavimento; difatti, era per
strada. Spalancò gli
occhi e vide che, dinnanzi a sé, c’era Pumba che
lo fissava con aria
interrogativa. Si alzò di scatto.
‹‹Ma..
ma..›› non
riusciva a dare una spiegazione logica a tutto ciò che era
successo. Aveva
sognato, forse? Si guardò attorno, dopodiché il
suo sguardo cadde
sull’orologio: segnava le 21:58
‹‹Buon
Natale, Tom!››
la sua vicina di casa, la signora Forest, lo salutò
sventolando allegramente la
mano. A quella visione, il voltò di Tom si
illuminò in uno splendido sorriso.
Ricambiò con allegria il saluto e l’augurio che
Anne gli aveva fatto.
‹‹Buon
Natale a lei,
signora Forest!›› la sua vicina sorrise.
‹‹Sono ancora in tempo, Pumba. Posso ancora
cambiare tutto.›› disse al suo cane che,
ovviamente, non gli diede retta.
‹‹Devo correre da Bill e dirgli che lo
amo.››
Così
fece. Cominciò a
correre con tutto il fiato che aveva in gola e Pumba, assieme a lui.
Non appena
giunse alla sua porta, gli venne un leggero tremore allo stomaco; ma
sapeva di
aver ottenuto un’altra possibilità
così, una volta infilata la chiave nella
serratura, l’aprì con un colpo secco: vide Bill in
lacrime, intento a montare
l’albero.
‹‹Vai
via Tom, non
voglio vederti.›› Tom lasciò il
guinzaglio del cane e si precipitò ad
abbracciare Bill.
‹‹Ti
amo, Bill. Ti amo
da morire. Perdonami se mi sono comportato in questa maniera con te. Ti
chiedo
scusa.›› lo baciò come se non
l’avesse mai fatto in tutta la vita.
‹‹Ma..
cosa ti prende?
Cosa è successo?›› Tom sorrise, ma non
disse nulla. L’abbracciò fortissimo e,
mentre lo faceva, giurò di aver visto alle spalle del
fratello, James e Paul
che gli sorridevano felici, ponendo in alto entrambi i pollici, in
segno di
vittoria. Sì, Tom ce l’aveva fatta: era riuscito a
cambiare il futuro; gli
avevano dato un’altra possibilità.
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