Irish true
Irish True
Ai peli nel piatto
ai pancake di patate
e a voi e agli abbracci in aeroporto
Cappuccetto rosso si è persa stasera. E’ che fa un freddo
boia e le mani non riescono a infilarsi bene nelle tasche del cappotto. E poi
si cammina male su quelle strade, con un paio di jeans neri e due carrarmati ai
piedi. C’è che non ci si capisce più niente, continuiamo a ridere senza motivo,
ci guardiamo ad uno specchio con le lampadine fulminate e ci scopriamo stanche,
esasperate, disidratate ma anche euforiche e mosse da qualcosa che è un mix di
alcool e disinibizione; ci urliamo da un capo all’altro del locale frasi
sconnesse, la musica frammenta le parole, i respiri, entra nei polmoni e in
poco meno di un secondo prende il posto della stanchezza e della rabbia e
c’insegna la lingua universale del delirio. Una settimana di accenni, gesti e
di un inglese scadente e l’ultimo giorno, solo l’ultimo giorno, capiamo qual è
la lingua con cui ci saremmo dovute esprimere da sempre.
Cappuccetto rosso beve malibù e cola in un pub
semi-underground di non so che strada al centro della capitale lituana, dove gli
uomini non sanno cosa sia una barba e dove le donne hanno il dono del lunedì mattina con una botta di mascara e
via. E’ persa nel bosco di occhi azzurri e vegetazione bionda, vomita tazze
d’acquerello color caffè e consuma suole camminando tutta la notte in cerca di
taxi.
Ci sono lupi ovunque, nei piatti di una catena di
ristoranti, lungo il lago, sotto casa stesi insieme ai panni del vicino, nel
market davanti al reparto alcolici persi tra vodka e pesce essiccato, nello
scarico rotto, nella puzza di piscio alle sei del mattino e nella chiusa a
2048; ci sono lupi nell’hard disk nascosto nel marsupio di un altro, nei centri
di scambio che con le litas si assicurano per una settimana il tuo sonno, la
tua fame e la tua igiene. Ci sono lupi negli sguardi che ti trapassano.
E poi ci sono i cacciatori, rari come il bidet, la pasta e le
patatine classiche.
Loro hanno la barba, occhi scuri e si siedono di fianco a
lei sotto un cielo che comincia a schiarirsi, nel silenzio da orecchie ovattate
che scompaiono sotto una nuvola di fumo. Lo ha notato il pomeriggio prima,
seduto allo stesso tavolino, piegato sul telefono con le dita sul 1024 e il 32.
Il vetro vibra sotto il cappuccio e le stelle scompaiono nel chiarore
dell’alba, lei stretta nel cappotto, lui fiero nella sua Irish true.
Il cacciatore chiede se ti
va una sigaretta e se ti dispiace se
metto un po’ di musica, è stanco e tira lunghe boccate dalla sigaretta.
Ci sono momenti in cui ci si chiede quale sia la normalità e
se in un posto come quello si possa ritrovarla e mettere in valigia come
souvenir. E’ difficile trovarla nelle sostanziali differenze che ci si ritrova
di fronte, in quella lingua impastata, nel freddo a Maggio, nelle cene che
sembrano colazioni e nei pranzi che sembrano cene, nella difficoltà di farsi
una doccia calda e nei pomeriggi su una panchina a parlare di quello di cui non
ti sei mai chiesta o che non hai mai voluto ammettere.
E poi c’è un momento, probabilmente più di uno, in cui ci
si rende conto che non ci sono poi così tante differenze tra quell’emisfero e
il nostro di emisfero. E’ una serata tranquilla per lei, è una serata come le
altre per lui, è una sigaretta, una canzone indie rock, un malibù e cola
piuttosto buono e un gruppo di amici che si divertono dentro il locale.
In momenti come
questo si sviluppa la consapevolezza che
partendo, infilandosi in un bosco nuovo, disimparando la propria
lingua,
mischiandosi con una fauna diversa, si cercherà sempre e
costantemente quella tranquilla familiarità che ci farà
sentire a casa e in pace con noi
stessi come in qualsiasi altro posto e in qualsiasi altro corpo.
E’ come se ci
rigirassimo nel letto a distanza di chilometri; a pancia in giù
nella mansarda
di casa con Charlie e le foto sul muro e a pancia in su’ a
Vilnius con un colpo
di fulmine di fianco e un gruppo di amici colti dalle convulsioni
all’interno
di un locale senza insegna.
Sono momenti importanti.
Di quei momenti in cui Cappuccetto si perde e…poi si
ritrova.
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