The Show Must Go On

di se solose
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Corro velocemente per la strada. L’adrenalina a mille. Il tacco scivola ma non posso fermarmi, non ci riesco. La testa fa male nel punto esatto in cui ho sbattuto contro il muro, ma non ho il tempo di piangere per il dolore. Devo arrivare alla macchina; dove l’ho messa? Dio, questi vicoli mi sembrano tutti uguali! Eccola lì, dall’altro lato della strada. Metto le mani in tasca e cerco la chiave. Ansimo. Non ce la faccio più, mi manca il fiato, mi fa male la testa ed ecco il luccichio della macchina sotto il bagliore della luna; esito prima di aprire lo sportello per guardare nella direzione del mio inseguitore. Corre verso di me e io monto in macchina.
-Entra chiave maledetta! –
Il rombo del motore acceso si fa strada nelle mie orecchie. Qualcosa sbatte contro il mio finestrino, mi volto urlante. È lui. Schiaccio l’acceleratore e schizzo via velocemente.
Scendo velocemente le scale, quasi fossi un automa, perché voglio solo chiudermi qua dentro e sentirmi al sicuro.
“Felicity!” la voce di Dig ferma la mia discesa.
“Grazie al cielo c’è qualcuno.” Il sollievo è evidente nella mia voce. Vedo Oliver spostarsi e venire alla fine della rampa che mi tende una mano; la afferro, grata che sia lì. Ora sono sicura che non mi accadrà niente di male.
Mi attira a sé il più possibile per vedere la ferita, ancora grondante di liquido rosso, sulla testa.
“E questa?”, mi chiede portandomi a sedere.
“Un muro” dico, ma evidentemente dovrò essere più specifica per farmi capire da entrambi.
“Un tipo, mi ha aggredito fuori dalla Queen C.” Oliver armeggia con il kit di primo soccorso mentre Diggle inizia il suo interrogatorio.
“Ti hanno aggredita? Chi? Sei riuscito a vederlo?”
“Ahi!” urlo al contatto del disinfettante con la ferita aperta. “Scusa.”
“Non lo so comunque. Appena sono uscita dall’edificio qualcuno mi ha attaccato”
“Perché non hai chiamato?” mi chiede Oliver come fosse stata la soluzione più logica, in quel momento.
“Sai, ero leggermente impegnata a salvarmi la pelle.” Devo averlo detto con un tono sarcastico perché lo sento aumentare, apposta, la pressione sell’ovatta imbevuta sulla mia ferita.  
“Ecco, l’ho disinfettata e il sangue si è fermato ma, adesso, ce ne andiamo in ospedale.”
“Cosa? Ospedale? Non mi serve sto bene”
“Felicity!” Mi rimprovera, ma purtroppo non posso cedere. Con gli ospedali cerco di avere meno rapporti possibili, non sono proprio il mio posto preferito.
“Giuro che se domani o stanotte dovessi avere qualche cosa che non va, qualsiasi cosa allora andrò in ospedale, ma adesso voglio solo andare a casa, per favore.” La supplica di solito funziona; occhi da cerbiatta e voce supplichevole e straziante il gioco è fatto!
“Ma resto con te. Voglio tenerti d’occhio.” Lo dice con quel fare autoritario, quello che di solito usa sotto il cappuccio verde, quello a cui non ci si può opporre perciò annuisco e mentre mi tiro su vedo Oliver sussurrare qualcosa a John il quale a sua volta annuisce serioso.
“Andiamo”
Lo seguo aggrappandomi al suo braccio.




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