Non gli è mai piaciuto molto l’inverno.
No, cioè, in realtà non è che non gli piaccia: è bella la neve, il silenzio, a
volte sono belli anche il gelo e la pioggia. Quello che non gli piace è quando
escono da scuola, il pomeriggio, e fuori è già buio, i lampioni sono tutti
accesi di quell’alone di luce sempre un po’ gialla, opaca dietro la nebbia, e fa
un freddo, con la strada appiccicosa e bagnata, e…
E un sacco di altre cose che gli danno
fastidio, che gli fanno sveltire i passi verso casa.
Un sacco di altre cose che, stasera, non
mancano, ma non è per questo che cammina veloce per la strada, questa volta. E’
distratto da un sorriso, un piccolo sole che ride con i tratti di una ragazza
carina, e dolce, che parla parole calde, ringraziamenti e contentezza. E’ per
starle al passo che si affretta, e non può fare a meno di sorridere a sua volta:
è come un riflesso, la vede piena di gioia e non può fare a meno di essere
felice anche lui.
Ed è distratto, anche, a guardarsi ogni
tre passi sempre indietro, l’idiota non è nemmeno capace di camminare abbastanza
veloce, accidenti a lui. E, ovviamente, figuriamoci, neanche una parola per quel
regalo, neanche una parola! Si fosse sprecato mai a ringraziare, quello, non si
meritava neanche che… ma voltandosi alle spalle, vede il ragazzo flettere le
dita nei guanti nuovi, gli stanno proprio precisi, e se li è messi subito… Sul
fondo rassicurante delle chiacchiere dei due, Watanuki si lascia sfuggire un
piccolo sospiro. Qualche volta, è bello anche il freddo. Nel ricordo, ora, la
fatica per cucire quei regali è dimenticata: ogni punto di maglia era stato un
pensiero d’affetto, lo scegliere i colori rievocare di volta in volta un
sorriso, un silenzio, i drappi e i vestiti nelle stanze della maga.
“…non è così, Watanuki-kun?”
Ops, dev’essere stato per un attimo
soprappensiero. Alza gli occhi da terra. “Eh? No, Himawari-chan, è che…”
Alza gli occhi da terra, e non vede più
nulla.
E’ tutto buio.
Cos’è successo? Sarà andata via la
corrente dall’isolato? Ma così, di botto? Non è che la vista gli sta giocando
brutti scherzi di nuovo? Ehi, ma loro…
“Himawari-chan? Doumeki?”
Non rispondono…?
Che cosa sta succedendo? Come mai è tutto
buio?
E dove sono, loro?
Sente ancora le loro voci, sì, ma dove
sono loro?
Oh, ecco, meno male, li ha visti. Sono
più avanti, e lì non è buio, lì è tutto come prima. Chissà come ha fatto, a
rimanere indietro, molto strano, ma ora corre a raggiungerli…
No. Un momento. Ma… no, non è possibile…
Ci prova di nuovo. Niente. E’ bloccato, inchiodato lì, nel punto in cui si
trova.
E loro due vanno avanti, nella luce. Il
sottofondo basso della loro conversazione, la risata di lei, l’altro che la
guarda e le risponde qualcosa.
Una risposta che lui, troppo lontano, non
può sentire.
Una luce che lui, immobile ed
esterrefatto, non può raggiungere, perché comincia precisamente appena al di là
dei suoi piedi, come se nel mezzo ci fosse un fossato, e lui fosse rimasto sulla
riva sbagliata, una riva che il sole non tocca mai. I lampioni spandono luce
nera, e in alto, sopra di lui, sopra le case buie si squaderna un cielo tutto
bianco, tutto sbagliato.
E’ fermo immobile al centro di un mondo
in negativo.
E la netta divisione della luce si
allontana sempre di più, seguendo i due ragazzi.
“Hi-Himawari-chan? Doumeki!”
Li chiama, ma loro non sentono. Non si
accorgono di niente.
Forse sono troppo presi dai loro
discorsi, visto che lei continua a sorridere, e lui ad annuire. Si guardano
negli occhi. No, non hanno notato che lui è rimasto indietro, che quel mondo al
rovescio lo ha catturato, nessuno si è accorto di niente, non è possibile…
“Ehi! Doumeki!”
Quando mai, quando mai l’arciere non è
corso in suo aiuto, quando ne aveva bisogno? Quando mai non si è voltato se lui
lo chiamava?
Eppure, ora non lo ha fatto. Continua
semplicemente a camminare.
E all’improvviso, tutto d’un tratto si
accorge di una cosa.
Le mani, le mani di Doumeki. Non hanno
più i guanti.
E anche Himawari-chan non li indossa più.
Sulla sua spalla non c’è l’uccellino giallo che lui le ha regalato, per cui
hanno speso un pomeriggio a trovare un nome.
Ma i due continuano a camminare, a
parlare di chissà che cosa.
E sono contenti lo stesso, scherzano e
chiacchierano come pochi minuti prima, quando lui era ancora lì, in mezzo a loro
–nello stesso identico modo.
E ora capisce perché può urlare quanto
vuole, ma loro non lo sentiranno mai. Capisce perché non si accorgono di lui, il
motivo per cui lui non può raggiungere quella luce.
Perché quello laggiù è un mondo nel quale
lui, semplicemente, non esiste.
Un altro mondo, anzi, è il solito mondo,
nelle sue strade e nei suoi palazzi, quello di sempre, banale –ma come sembra
adesso straordinario, acceso di qualcosa di più, in quella luce, ora che non lo
può raggiungere! Eppure, è il solito mondo. Esattamente lo stesso.
Anche senza di lui.
Gli precipita addosso il pensiero che il
mondo sarebbe lo stesso, senza di lui.
Lui potrebbe non esistere, essere
soltanto un sogno, non essere mai nato, e tutto avrebbe funzionato allo stesso
modo. Anche senza i suoi regali, anche senza averlo intorno, i suoi amici
chiacchierano lo stesso. Stanno bene lo stesso, anche da soli.
Un mondo dove lui non esiste è così
semplicemente… possibile. Così terribilmente uguale a se stesso.
Si dice a volte che il mondo sono le
persone a cui vogliamo bene, ma eccole lì, due delle persone a cui lui tiene,
due pietre d’angolo del suo piccolo mondo, che non riescono nemmeno a vederlo.
Che continuano ad esistere, come se nulla fosse, anche se la sua presenza è
stata cancellata da un momento all’altro.
Se adesso, in quel preciso istante,
l’universo al contrario lo avesse inghiottito per sempre…
Loro si sarebbero voltati?
Perché non hanno fatto una parola, non si
sono nemmeno accorti che lui è scomparso?
“Perché...?”
O forse… non è scomparso…
…possibile che non sia…
…che non sia mai… esistito?
La vista gli si annebbia, lui china la
testa, sfinito. Si sente svuotato, poco presente, la realtà e le sensazioni
ondeggiano incostanti intorno a lui. Le lacrime scompongono le case nere e il
cielo bianco davanti ai suoi occhi in un’infinità di frammenti, come schegge di
specchi che conservano ognuna un pezzetto diverso di riflesso. Qua resta in
piedi un muro, là una porta, laggiù un brandello della strada s’interrompe
brusco in un ritaglio abbacinante di cielo. Cammina in un labirinto fatto di
frantumi della realtà, senza sapere nemmeno se lui c’è veramente oppure no.
Ecco, forse l’improvviso capovolgersi del mondo, poco prima, era per rivelargli
questo. Stop, basta, la corsa è finita. Sei pregato di scendere. Scendere da
questo mondo.
Se è così, vuol dire che lui non
appartiene a quel mondo, a quello vero. Ma, spirito tra gli spiriti, irreale in
quel labirinto dell’impossibile, non ha mai fatto altro che percorrere quelle
strade di specchi, e aprire ogni tanto qualche porta, scoprendo le vite di una
maga, di un tipo taciturno che abita in un tempio, di una ragazza sorridente
sempre circondata da un alone di buio. E gli sono piaciute quelle vite, sì, gli
si è scaldato il cuore a posare gli occhi su quella bambina dagli occhi grandi,
su quella vecchia chiromante, su una signora sola su una panchina del parco, e
una fantasmagoria di spiriti, creature, sulle meraviglie di ogni sorta che
passano in processione davanti alle porte di quel mondo, alle finestre da cui
gli è concesso di affacciarsi. E allora lui, un sogno confinato nell’universo
dell’irreale, ha cominciato a sognare: a immaginare di insinuarsi in mezzo a
quelle vite, di entrare nel negozio della maga, di essere un ragazzo e
frequentare anche lui la scuola dell’arciere e della studentessa carina, di
parlare con loro. E camminando infinitamente dentro quel dedalo che è il suo
spazio e la sua prigione, si è inventato la sua storia, ha raccontato e continua
a raccontare a se stesso la vita che si è costruito, al punto di crederci lui
stesso, di cadere nella sua stessa finzione, per la sua troppa bellezza…
… può un sogno sognare a sua volta?
“No.” dice una voce ferma da un punto
imprecisato del labirinto.
E le case, gli specchi, la luce nera non
esistono più. C’è solo una mano che gli accarezza la guancia.
“Yuuko-san…?”
“Sei svenuto per la strada, al ritorno da
scuola. Doumeki-kun e Himawari-chan ti hanno portato qui al negozio.”
Nel panico per l’assurdità di quella
visione, l’aveva perso di vista. Quello che ha imparato con fatica ma con
immensa gioia. Che ci sono persone che avrebbero sofferto se lui fosse
scomparso. E’ una verità semplice, ma lui ci ha messo un po’ a capirla, da
quanto è stato sempre abituato a considerarsi solo. Ora non deve dimenticarla
mai più.
Sono altre lacrime, è un'altra sera,
adesso, un ennesimo sogno o forse un’altra realtà incomprensibile. Ma è la
stessa la mano della maga sul suo volto.
“Forse io… non sono un essere umano?”
Perché ha perso tutti quei ricordi?
Perché sembra che ci siano persone che non riescono a vederlo? Perché tante cose
che non hanno senso, tutte a lui?
Allora magari è vero che lui è soltanto
un abitante di quel labirinto, che sta per essere bandito da un mondo in cui ha
provato a intromettersi, ma che non gli appartiene?
Un sogno può sognare a sua volta? No, gli
aveva risposto la voce della maga dal buio.
“No, niente affatto.” gli dice anche
questa volta. Ma ora ha davanti il suo viso, il suo sorriso più dolce. “Sei un
essere umano.”
“Ma se tutto… se tutta la mia vita fosse
solo un sogno…” insiste lui, piangendo.
“Questo ti farebbe soffrire?”
“Sì.”
“Perché?”
Una verità semplice.
“Perché ci sono persone che sarebbero
tristi se io non ci fossi più. E se penso alla loro tristezza…”
“Sei triste anche tu?”
“Sì.”
“E per il semplice fatto che riesci a
pensare in questo modo… il futuro sta già cambiando.” La voce non ha una goccia
d’esitazione.
Cambiare se stessi significa cambiare il
futuro, così gli ha detto, un’altra volta, Yuuko.
E lui, solo al mondo, senza genitori,
perseguitato dagli spiriti, considerato strano da tutti… lui che ha sempre
pensato che avrebbe percorso la sua esistenza in solitudine, e si era anche
abituato a questa idea… ha imparato ad accettare la meraviglia di essere
importante per qualcun altro. Di non appartenere più soltanto a se stesso.
E ora le parole misteriose della maga sul
futuro, sui sogni e sulla forza dei desideri sembrano dirgli questo. Che può
anche darsi che un giorno, o in un’altra vita, in una dimensione parallela
forse, lui fosse stato una creatura di quel labirinto dell’inesistente. Un
qualcosa in potenza, che non era detto sarebbe mai venuto alla luce. Ma
schiudere quelle porte, sporgersi da quelle finestre non è stato inutile. Perché
il semplice rimanere incantato davanti a quel vetro, il desiderare con tutte le
sue forze di appartenere al mondo di cui si era innamorato… con tutte le sue
forze…
“La realtà di cui hai fatto esperienza ti
ha reso più forte. E se userai quella forza per continuare a desiderarlo, il
sogno si trasformerà in realtà.”
Se anche fosse tutta una costruzione
della sua immaginazione…
…affacciato alla finestra
dell’impossibile, lui la sta guardando, desiderando con tanta fermezza che la
finestra già non esiste più, si scioglie nel mondo del reale…
Non capisce come questo possa essere
possibile, si sente confuso e un po’ come ubriaco di tutte quelle ipotesi,
ragionamenti e discorsi davvero contorti. Già, non ci ha capito molto,
probabilmente. Ma qualcosa di sicuro sì. E anche se non riesce a rendersi bene
conto di che cosa si tratti, ha smesso di piangere. E con decisione, con serietà
afferra il polso della maga.
Lei che esaudisce i desideri di tutti…
non ne ha per sé?
“Yuuko-san… se c’è una cosa, qualsiasi
cosa che tu vorresti… se è in mio potere di farla, io… io farò del mio meglio
per renderla realtà. Quindi, per favore, dimmelo.”
Ed è un abbraccio, sorprendente perché è
il primo che lei gli regala, dolce perché ha il sapore di cose lontane che ha
quasi dimenticato. E in quell’abbraccio, sente battere il cuore della maga, il
ritmo del respiro di Yuuko. E il suo, ora tranquillo, in pace.
-…niente affatto, sei un essere umano…-
Sotto tutti i rivolgimenti e le stranezze
dell’invisibile, i discorsi e i sogni, gli spiriti, le visioni che non riesce a
capire, i poteri sconfinati di colei che tiene in equilibrio le dimensioni…
…c’è la cosa più naturale di tutte, ci
sono i loro respiri.
Si tengono abbracciati, e respirano,
piano.
Una verità semplice.