Aron
urlò. Si lanciò per cercare di afferrarlo, ma
riuscì solamente a sfiorarlo. Il movimento lo fece
sbilanciare, e precipitò anche lui. Sbatté testa
schiena varie volte contro le rocce, ma per fortuna il dirupo non era
ripido come sembrava. Il guardiano riuscì nella caduta ad
afferrare il principe, che sembrava aver perso i sensi dallo shock. I
due rotolarono per decine di metri. Aron fece di tutto per rallentare
la caduta, appigliandosi a tutto quello che incontrava, ma gli arbusti
e i cespugli bagnati di pioggia non erano di grande aiuto.
Dopo lunghissimi secondi la discesa terminò. Aron
recuperò le forze, e si sollevò da terra, molto
lentamente. Provava un dolore indescrivibile su tutto il corpo. Ma era
vivo e riusciva più o meno ad alzarsi. Caleb invece non
aveva ripreso conoscenza, il suo cuore batteva lentamente e doveva
avere qualche osso rotto. Il guardiano se lo caricò in
spalla con tutta la delicatezza possibile. Poi iniziò a
camminare, alla ricerca di un luogo riparato. Erano entrambi coperti di
sangue e fango, il freddo e la pioggia non davano loro tregua. Aron
finalmente trovò una grotta, che aveva notato anche durante
il loro cammino, prima di salire per i sentieri di montagna.
Per fortuna, era caduto con lo zaino addosso, anche se gran parte delle
provviste e del vestiario era si era rovinato dopo tutti gli urti e la
pioggia. Il guardiano sistemò il principe nel modo
più comodo e consono che riuscì a offrire, e
accese un fuoco. Poi attese. Le condizioni di Caleb non erano misere,
ma aveva la febbre e non si svegliava mai del tutto. Per le due notti e
i tre giorni successivi Aron lo tenne al caldo, gli diede da mangiare
la parte migliore delle provviste, e cambiò i suoi vestiti
lordi dal fango. Questi, si rese conto il terzo giorno, erano atti che
avrebbe compiuto comunque, e non solo per fedeltà nei suoi
confronti. Soffriva nel vederlo in tale stato. Anche se,
fortunatamente, il terzo giorno Caleb migliorò parecchio.
Sembrava più lucido e mangiava con maggiore appetito, faceva
anche qualche discorso sensato. Due giorni dopo, la febbre
passò. La notte seguente, mentre cercava di dormire almeno
un pochino, il guardiano vide che il ragazzo si era svegliato e si
guardava intorno, con lo sguardo confuso ma decisamente vivo.
“Dove... sono?” chiese con voce piuttosto normale.
Aron gli si avvicinò, felice. “E’ in
salvo, altezza”
Il nobile rimase immobile per qualche istante, come a voler soppesare
tali parole. “In salvo” ripeté.
“Già”
“Dunque, non ci sono riuscito…”
mormorò il ragazzo, con amarezza nella voce.
“In che senso?”
“Così come non sono riuscito a consegnare la
Pietra, non sono riuscito nemmeno a togliermi la vita”
spiegò il principe.
“Altezza, ma cosa di...” iniziò il
guardiano ma Caleb lo interruppe con un gesto della mano.
“Sai, in realtà non è che tenessi
tanto, a superare la Prova. Avrebbe significato divenire adulto, e
accettare le mie responsabilità. Nel mio caso, vivere per
sempre in un tempio, come Sacerdote. Una vita piuttosto insignificante,
a mio parere. Ma dopotutto, è questo il mio destino, in
qualche modo me ne ero fatto una ragione.”
Aron lo guardò senza riuscire bene a credergli.
Caleb si stropicciò gli occhi, ma poi riprese a parlare.
“Però, lasciare distruggere la Pietra fallendo
così la Prova è stata una esperienza peggiore.
Vuol dire che non sono stato capace nemmeno di superarla, persino
aiutato. Sapevo in cuor mio di non essere all’altezza dei
miei fratelli e dei miei avi che l’hanno affrontata senza
problemi, ma ora ne ho avuto la certezza. Per questo, la cosa migliore
che avresti dovuto fare era lasciarmi morire lì”
Aron scosse la testa, scosso. “Non può dire sul
serio.”
“Hai fatto un errore, guardiano. Dovevi lasciarmi andare.
Dovevi...”
Ma non finì la frase, perché il guardiano in
questione si avventò su di lui. Lo afferrò per le
spalle e lo trascinò a terra.
“Così, non avrei dovuto salvarla?”
esclamò rabbioso, guardandolo dritto negli occhi e
trovandovi paura e stupore. “Dunque questo lungo viaggio, non
è servito a nulla? Ho rischiato la vita per nulla?
Senza contare la fatica di tenerla vivo in tutti questi giorni! E se
invece lei fosse morto, per sua scelta, con che coraggio sarei potuto
tornare a corte? Che razza di pena mi avrebbero inflitto? Mi risponda,
Altezza!”
Il principe deglutì e lo guardò, fingendo calma.
“Sei preoccupato, ma solo perché è tuo
dovere. Non sono altro che un lavoro che ti è stato
assegnato. Ma, del resto, non devi temere. Se anche io fossi riuscito
nel mio intento, a Corte non sarebbe importato molto. Perché
nessuno ha mai avuto davvero bisogno di me.”
Aron scosse la testa. Parlò sinceramente e impulsivamente.
“Si sbaglia, perché io ho bisogno di lei, Caleb.
Desidero solo che viva, e stia bene.”
Il principe rimase immobile a fissarlo, cercando tracce di menzogne nel
suo viso. Non ne trovò. Allora, semplicemente, non riuscendo
a reprimere tutto quel che provava, iniziò a piangere.
Pianse sommessamente, ma in modo continuo e irrefrenabile. Aron parve
stupito dalla sua reazione, ma poi, senza chiedere alcun permesso, lo
prese tra le braccia e lo strinse al petto. Caleb non provò
a respingerlo; forse era ancora troppo debole dalla convalescenza, o
semplicemente non voleva farlo. Si addormentò con le lacrime
agli occhi, e il guardiano non si mosse. Dormirono così,
sdraiati in quella posizione, scaldandosi a vicenda.
La mattina successiva Caleb si svegliò di buon ora, in
salute e riposato.
Aron non era più con lui. Non era nemmeno nella grotta.
Stava già iniziando a preoccuparsi, quando lo vide
rientrare, con qualcosa in mano.
“Buongiorno, signore. Sono uscito a cercare qualcosa di
fresco da mangiare” disse, e gli mostrò una
manciata di bacche e due uova. “Non è molto,
ma...”
Caleb prese il cibo. Le bacche erano ancora un po’ acerbe e
l’uovo, crudo, non era granché, ma il ragazzo si
accorse che non gliene importava più di tanto, e inoltre
aveva davvero fame, per cui non protestò come suo solito.
“Tu hai già mangiato?” chiese
invece.
“Io... ecco… Sì, Altezza”
incespicò Aron, stupito dal suo comportamento gentile.
“Bene. Allora possiamo ripartire, anche adesso.”
Disse il ragazzo.
“Si sente in grado? “ chiese sempre più
stupito il guardiano, vedendolo fare i bagagli. “Ma dove
vuole andare? Probabilmente dal castello avranno inviato delle truppe
per cercarci, dato che manchiamo da tempo, e poi...”
“Che ci cerchino pure. Quello che fanno non è
più affar mio.” affermò il ragazzo.
“Come sarebbe?”
“Raggiungeremo il santuario, perché non voglio
lasciare le cose incompiute, e qualcuno deve sapere quello che
è successo. Ma non tornerò al
castello.” Finì di sistemare le sue cose e
guardò Aron dritto negli occhi. “Non voglio
più vivere secondo i disegni di altri, da ora in poi
deciderò da solo il mio destino. E dato che sotto il regno
di mio padre non potrei mai essere quello che voglio, andrò
dove credo di poter essere utile.”
Aron deglutì cercando di seguire il suo discorso.
“In realtà è da un po’ che ci
stavo pensando, ma lo consideravo fuori discussione.”
Proseguì il nobile “ Sai, credevo di non poterci
riuscire… Intendo… raggiungere il fronte dei
nostri alleati, in guerra col Nord. Ho avuto modo di accedere a testi
di medicina e biologia molto approfonditi, e potrei creare veleni, o
anche dare una mano a curare i feriti. Darei un aiuto a chi serve, e
inoltre imparerei davvero la medicina”
Il guardiano valutò seriamente la proposta. “La fa
facile. Ma credo sottovaluti la pericolosità dei campi di
battaglia. Non è un gioco.”
“Lo so bene.”
“Non posso lasciarla partire da solo” disse Aron,
avvicinandosi al ragazzo.
Il principe aveva pensato anche a tale eventualità. Ma non
avrebbe cambiato idea.
“Per questo, verrò con lei”
proseguì il guardiano.
Stavolta fu Caleb a stupirsi. Non sapeva cosa dire, e si
limitò a poggiargli una mano sulla spalla.
Poi si accostò a lui e gli sussurrò qualcosa.
“Ehi...”
“Cosa?”
“Se vuoi venire davvero con me…”
“Sì...?”
“Sarà meglio che ti dia una mossa,
allora!” gridò.
Poi il principe scattò in avanti e recuperò i
bagagli di Aron. Glieli lanciò addosso senza preavviso.
“Forza! Raggiungiamo questo benedetto santuario! E muoviti,
Aron! Tanto lo sai che sono più veloce di te! Non riuscirai
a raggiungermi!” gridò, e afferrando i suoi
bagagli schizzò via dalla grotta.
“Non penso proprio, altezza!” esclamò
lui, e senza indugi si mise a inseguirlo.
Di certo la meta era ancora lontana. La vita sarebbe stata dura e
pericolosa da quel giorno. Ma i due ragazzi non ci pensarono, non
reputandole cose poi così terribili. Perché a
loro bastava il fatto di essere insieme, uniti, per non avere bisogno
di altro.
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