She
Hate Me
Odio
quando mi sveglio all'improvviso, di solito rimango di cattivo umore per tutto
il giorno. Una striscia di luce si è posata sopra parte del mio volto
illuminandomi gli occhi, poi un colpo di vento ha fatto oscillare di nuovo le
tende e lo spazio dov'è entrata la luce si è richiuso. Ma ormai sono sveglio e
pensare di riaddormentarmi è fuori questione.
Mi alzo scostando velocemente le coperte e spalanco le tende delle finestre.
Rimango lì per qualche secondo, con la luce del sole ormai alto nel cielo che
mi acceca. Riapro gli occhi poco dopo ma non riesco ad orientarmi perchè vedo
tutto bianco e appannato. A passi incerti mi dirigo verso il bagno e lì mi
spoglio velocemente infialandomi sotto la doccia fredda.
"Draco!" la sua voce sottile proviene dalle panchine in giardino,
pensavo che se ne fosse già andata presa da tutti i suoi traffici mattutini, ma
evidentemente oggi fa troppo caldo anche per lei.
"Draco!" la sento richiamarmi, la raggiungo nello spiazzo del
giardino sotto il piccolo gazebo bianco. Lei se ne sta seduta su una
poltroncina di ferro battuto coperta da cuscini bianchi, ha il volto
completamente coperto da un ampio cappello di paglia gialla e da un paio di
occhiali da sole. Vestita così mi sembra quelle dive anni cinquanta.
"Avresti potuto asciugarti i capelli invece di girare come un selvaggio
per casa", sorrido alle sue parole pensando che per lei nemmeno un
cataclisma naturale può essere una scusa per avere un aspetto non perfetto come
il solito. Mi fa cenno di sederle vicino sul divanetto bianco "Stasera c'è
la festa dai Lloyd, verrai con me, vero?" mi chiede nascondendosi dietro il
cappello e gli occhiali "Sai bene che non potrei sopportare un'intera
serata da loro...non è nelle mie forze". Ama questa frase 'non è nelle mie
forze ' ; lo dice spesso quando è contrariata o non a voglia di fare qualcosa.
"mamma..." sbuffo io senza osare a guardarla, ma quando finalmente
alzo gli occhi vedo la sua bocca arricciata. "Fai un piacere alla tua
mamma" mi dice, e il suo tono è carezzevole, bellissimo, mi ricorda quello
di una vera mamma, e lo sembra davvero per un attimo.
Assecondo
questa fantasia e le sorrido, lei allora mi passa la mano tra i capelli umidi
della doccia che mi arrivano sino alle spalle, passa la sua unghia rossa sulla
mia guancia. In questo momento mi prende un po' di malinconia e mi viene voglia
di dirle tante cose, di farle capire altre, ma all'improvviso tutte le mie
parole mi sembrano prive di senso: banali. La guardo allora sorridendo,
pensando che ci sono proprio molte cose da dire, ma che forse non ne vale la
pena.
"Ti metti il vestito bianco, vero?" mi chiede con aria da bambina,
"e anche le scarpe che ti ho fatto arrivare dalla Francia, vero?" i
suoi occhi brillano di emozione, e mi sento come un bambolotto che viene
vestito e curato. Per un attimo l'idea non mi dispiace poi molto, e mi stupisco
di come nemmeno pochi giorni prima quasi mi mettevo ad urlare dalla rabbia
quando mia madre mi trattava in quel modo, per poi ripormi su una mensola, come
faceva sempre quando si era stufata di me. Faccio di sì con la testa e penso
che è proprio un bel momento, e che sarei veramente un pazzo se provassi a
rovinarlo con i miei schiocchi pensieri.
"Ti piace questo, vero Draco?". Scandisce il mio nome lentamente, lo
storpia, lo fa divenire un motivo di umiliazione. Alzo lo sguardo spaesato, m
rannicchio su me stesso, cerco di farmi più piccolo che posso, per passare
inosservato, ma non ci riesco, sono dannatamente al centro dell'attenzione.
"Ti piace questo Draco?" pronuncia ancora il mio nome in quel modo, e
vorrei morire perchè odio sentirlo. Vorrei non avere nome, né un corpo, vorrei
essere solo aria.
"Allora rispondimi ragazzo!" urla ancora. Ma io rimango fermo,
immobilizzato dalla paura. Sento la sua mano afferrarmi il braccio con forza e
per poco mi metto ad urlare, ma mi trattengo e penso che l'aria certamente non
urla. Forse il vento quando corre forte. Ma l'aria se ne sta tranquilla e
calma, nessuno si accorge di lei, eppure c'è.
La sua mano mi artiglia il mento e mi obbliga ad alzarlo verso i suoi occhi. Il
suo volto è vicinissimo al mio e posso vedere tutte le piccole rughe che gli
circondano gli occhi e che rendono i suoi lineamenti più aspri.
"Allora, la prossima volta che ti parlo mi rispondi hai capito
ragazzino?" mentre parla scuote la testa e io sono rapito da tutti quei
luccichini d'oro che i suoi capelli fanno sotto la luce della finestra. Mi dà
un manrovescio che mi butta a terra, io non mi alzo, ho paura, e poi penso
ancora che l'aria non si muove di sua spontanea volontà: c'è sempre qualcosa
d'altro che la fa muovere. Aspetto allora che lei mi dia una scossa o un altro
schiaffo, ma invece se ne esce dalla stanza senza più guardarmi. Io rimango
sdraiato per terra, e provo a trattenere il fiato più che posso perchè certamente
l'aria non respira.
"Ti piace questo, vero?" vomito queste parole sulla persona che ora
mi guarda terrorizzato.
"Ti piace proprio provocarmi, se no non saremmo sempre in questa
situazione". Chissà, penso, se anche lui fa finta di essere aria, perchè
se ne sta immobile per terra senza nemmeno respirare e si copre la testa con le
mai, anch'esse incredibilmente immobili.
"E alzati dannazione!" gli prendo un braccio con la mano e lo obbligo
ad alzarsi, lui non riesce a guardarmi, e io penso che forse anch'io avevo lo
stesso sguardo anni addietro con mia madre.
Lo spoglio della sua dignità pronunciando il suo nome storpiato, come lei aveva
pronunciato il mio. Lo umilio con il suo stesso nome, e penso ancora all'aria
di quando ero bambino, di quanto sicura e protetta mi sembrava. Sorrido e lo
guardo negli occhi "Guardami" gli ordino, lui mi guarda con aria di
supplica, trattiene le lacrime, ma fa quello che gli ho detto, vedo delle
lacrime che gli scorrono sul volto e avrei voglia di assaggiarle per sapere se
sono salate come lo erano le mie, così potrei misurare il suo terrore, saggiare
la sua consapevolezza della fine imminente.
Mi allontano da lui di due passi sempre guardandolo negli occhi e gli punto la
bacchetta in mezzo agli occhi; lui si dimena in maniera buffa, cercando di
andare più indietro possibile con il capo e la schiena per evitare il colpo, ma
il corpo rimane immobile. In quel momento so che potrei posare la bacchetta,
girarmi e andarmene dalla stanza come fece mia madre, e per un istante lo sto
per fare davvero, ma poi penso che mia madre in quel momento aveva altre cose
da fare più importanti, mentre io non ho niente di particolare in programmazioni
questo pomeriggio.
Due
paroline…
Allora
il titolo l’ho preso dal film di Spike Lee, che c’entra un cavolo a merenda, ma
il nome mi ha subito colpito…
Questo
è un esperimento, piccolo piccolo…per cui chiedo venia! J
Any