Questa storia nasce come
partecipante al “Contest dei libri non letti” indetto da M4RT1 sul forum di
EFP, al quale si è classificata terza.
Pacchetto: Incarceron
· Citazione: “Gli uomini amano
raccontare storie, fratello. Amano sognare.”
· Avvertimento: Slice of life
· Immagine: https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSxfoN-trPFqByeSXS9U36--yQ16hZ3WszR0D20NpTOw3OpoIMm
Closer than brothers
Dove
andrai tu, andrò anch’io.
Dove
morirai tu, morirò anch’io, e vi sarò sepolto.
L’Angelo
faccia a me questo e anche di peggio
se
altra cosa che la morte mi separerà da te.
(Giuramento
dei parabatai)
Oro
“Parabatai. It means a pair of warriors who fight together, who are closer than
brothers. Alec is more than just my best friend.” (Jace)
Jace sentì pizzicare la
sua runa parabatai. Spinse più a fondo la sua spada angelica nel
petto del demone che aveva davanti per poi voltarsi a guardare Alec. Il suo
compagno stava tentando di difendersi dagli attacchi di un altro demone parandoli
meglio che poteva con la sua spada, ma aveva indietreggiato talmente tanto da
essere finito con le spalle al muro. Jace finì il suo avversario e poi corse
verso Alec, tentando di sorprendere il demone attaccandolo da dietro. Non ci
riuscì: la creatura si accorse di lui e lo spinse via con un colpo della sua
lunga coda. Jace finì disteso sul pavimento e impiegò qualche secondo a
rialzarsi. Il braccio gli pulsava, un fiotto di sangue caldo lo percorse fino a
imbrattargli le mani di rosso. Jace si sforzò di mettere a fuoco la scena
davanti a sé: Alec aveva perso la spada, il demone stava cercando di strozzarlo
con una sola delle sue mani artigliate. Era così preso da ciò che stava facendo
che non si accorse di Jace, che riuscì a fatica a rimettersi in piedi, si
trascinò fino a lui e afferrò la spada angelica di Alec da terra. Con un colpo
secco, Jace staccò la testa al demone, il quale perse immediatamente la presa
sul collo di Alec, che ricadde a terra tossendo.
«Stai
bene?», domandò Jace. Alec alzò lo sguardo e annuì. Poi tutto iniziò a tremare.
Le gambe di Jace cedettero e lui si ritrovò per la seconda volta in pochi
minuti disteso sul pavimento.
«Jace!
Alec!», gridò Isabelle correndo verso di loro. Doveva essersi appena liberata
del terzo demone.
Izzy s’inginocchiò
accanto a lui, sollevandogli il braccio ferito. Jace si sentiva confuso. Aveva
la vista offuscata e sentiva molto caldo, nonostante la temperatura bassa,
decisamente invernale.
«Sei un
idiota», lo rimproverò Alec, scrutandolo con i suoi occhi color zaffiro. «Me la
sarei cavata anche da solo.»
Jace avrebbe
voluto rispondergli prendendolo in giro, ma non riuscì a parlare. Tutto ciò che
venne fuori fu un rantolo seguito da un colpo di tosse.
«Dobbiamo
portarlo subito da Hodge», disse Izzy. Fu l’ultima cosa che Jace sentì prima di
perdere i sensi.
Al suo
risveglio, capì immediatamente di trovarsi all’Istituto. Cercò di mettersi a
sedere sul letto in cui era disteso, ma un forte capogiro lo dissuase dal
provarci.
«Sei un
idiota», ripeté Alec al suo fianco. Jace non si era accorto della sua presenza.
«Ti ho
salvato la vita», ribatté Jace.
«Mettendo a
rischio la tua», replicò Alec.
«Dovresti
ringraziarmi», disse Jace spavaldo.
Alec lo
ignorò. «È questo il tuo problema. Tu credi di doverlo fare, credi di essere
responsabile per me perché sei più bravo.»
Jace lo
guardò leggermente preoccupato. Non era da lui dire cose del genere. Tuttavia,
non riuscì a trattenersi dal rispondergli in modo provocatorio. «Non è così?»
«No»,
replicò Alec deciso. «So badare a me stesso.»
«Non mi
sembrava così mentre quel demone cercava di strangolarti.»
«Vaffanculo,
Jace.» Alec uscì a grandi passi dall’infermeria, lasciandosi dietro un Jace
ghignante.
Nonostante
la sua sfacciataggine, Jace era seriamente preoccupato. Si era pentito di aver
risposto in quel modo al suo amico, ma non aveva fatto altro che dire la verità.
Alec non era in grado di cavarsela da solo contro i demoni. Non era abbastanza
bravo. Ma Jace non trovava niente di sbagliato in tutto ciò; in fondo, i
parabatai servivano proprio a quello: compensare le mancanze dell’altro,
completarsi a vicenda. C’erano tante cose che Alec faceva meglio di Jace e a
lui sembrava una cosa più che naturale.
Curata al
meglio la ferita, Jace lasciò l’infermeria e tornò nella sua stanza. Gli ci
sarebbe voluto un po’ di tempo per guarire, ma almeno il peggio era passato.
Quel
pomeriggio, Jace incontrò un paio di volte Alec nel corridoio, ma lui fece
finta di non vederlo. Gli si strinse lo stomaco nel leggere la rabbia negli
occhi del suo compagno di battaglia.
In serata,
provò a bussare alla sua camera, ma non ottenne nessuna risposta, nonostante
sentisse chiaramente la musica a basso volume che proveniva dall’interno, prova
della presenza di Alec nella stanza.
«Per quanto
ancora hai intenzione di ignorarmi?», chiese Jace alla porta chiusa, la fronte
appoggiata contro il muro e la mano sulla maniglia della porta.
Nessuna
risposta.
«Alec?»
Silenzio.
Jace colpì la porta con la fronte, bussando ancora una volta. Fu inutile,
quindi capì che non era più il caso di insistere e andò via.
Gli
dispiaceva che Alec se la fosse presa tanto, si sarebbe anche scusato se lui
glielo avesse permesso. Ma in fondo Jace sapeva che il problema di Alec era di
natura del tutto personale. Non c’era niente che lui potesse dire o fare per
aiutarlo a superare i suoi problemi di autostima. Alec aveva davvero una scarsa
fiducia in se stesso e questo lo portava a chiudersi e a respingere gli altri.
Era incredibile: nonostante fossero tanto diversi, nonostante Jace, al
contrario di Alec, fosse così spavaldo, entrambi finivano per ergere intorno a
sé una protezione, un muro che andava in frantumi, almeno in parte, solo quando
erano insieme. E Jace non riusciva a sopportare l’idea che Alec lo escludesse
come faceva con tutti gli altri.
Entrò nella
sua stanza con l’intenzione di andare a dormire, ma bastò un’occhiata al suo
letto perfettamente rifatto per comprendere che non sarebbe riuscito a chiudere
occhio. Uscì dalla camera sbattendosi la porta alle spalle e si diresse verso
il portone principale dell’istituto.
Zaffiro
“You
needed me. So I realized that there was one person who didn’t assume you were
better than me. You.” (Alec)
Alec sentì
pizzicare la sua runa parabatai. Spense la musica e si alzò dal letto su cui
era pigramente sdraiato. Si diresse a grandi passi verso la camera di Jace e
tese l’orecchio per cogliere il minimo rumore che rivelasse la sua presenza
all’interno della stanza. Non sentì nulla, quindi provò a bussare.
Quando non
ottenne nessuna risposta, si diresse immediatamente verso l’infermeria. Vi
trovò al suo interno Hodge.
«Dov’è
Jace?», disse lui anticipando Alec. «Devo cambiargli la medicazione al
braccio.»
«Stavo per
chiederti la stessa cosa», rispose Alec.
«Se lo trovi
portalo qui. Trascinalo, se è necessario.»
Alec annuì e
uscì dall’infermeria. Incontrò sua sorella nel corridoio e ne approfittò per
chiederle se avesse visto Jace.
«È uscito»,
rispose lei semplicemente.
«Come
sarebbe a dire?»
«È uscito.
Fuori. Che c’è da capire?», replicò lei acida.
«Dov’è
andato?»
«Che cosa
vuoi che ne sappia! Ho provato a domandarglielo e mi ha semplicemente ignorata.
Ho insistito e mi ha rivolto un’occhiataccia. È uscito, questo è tutto quello
che so.»
Isabelle
detestava essere ignorata e Jace aveva l’incredibile capacità di irritarla più
di chiunque altro. Alec le diede le spalle e si avviò verso l’uscita, ignorando
a sua volta le sue domande e le sue proteste.
La notte era
calata senza pietà sulla città di New York; l’aria fredda congelava il respiro
di Alec, il silenzio di quella zona lo rendeva inquieto. Camminò a passo svelto
verso Central Park, dove sperava che avrebbe trovato Jace. Fu fortunato.
Davanti al laghetto che celava l’ingresso della Corte Seelie, Jace se ne stava
seduto su una panchina, contemplando il riflesso della luna nel lago. Alec gli
si avvicinò senza far rumore, ma sapeva perfettamente che Jace, nonostante gli
desse le spalle, era ben conscio della sua presenza.
«Questo
posto mi mette i brividi», annunciò Jace.
Forse Alec
avrebbe dovuto essere sorpreso, visto che Jace aveva volontariamente scelto di
andare lì da solo, senza un apparente motivo. Ma non era così. Non c’era niente
di sorprendente, perché Alec ormai aveva capito come Jace ragionava, aveva
capito che certe sensazioni di inquietudine e angoscia lo facevano sentire
compreso, meno solo. Così come le situazioni di pericolo gli facevano credere
che esistesse un vero significato che spiegasse il perché di tutto quello che
gli Shadowhunters erano costretti ad affrontare. Alec, al contrario, quel
significato non l’aveva mai trovato. Lui non cercava inquietudine, come Jace,
lui voleva che svanisse ogni tipo di turbamento. E Jace gli faceva questo
effetto.
«È per
questo che continui a venirci», replicò placidamente Alec.
Jace annuì e
Alec si sedette sulla panchina al suo fianco.
«Mi dispiace
per stamattina», gli disse Jace.
Alec scosse
la testa. «Non avrei dovuto prendermela così. Avevi ragione, da solo non me la
sarei cavata.»
«Alec, io non
volevo ferirti. Non è un male avere bisogno degli altri», disse Jace
rabbrividendo alle sue stesse parole. Lui stesso odiava dipendere dagli altri,
ma con Alec era diverso. «Almeno i parabatai servono a questo.»
«Lo so»,
disse Alec.
«Non sei
l’unico a non farcela da solo. Anch’io ho bisogno di te.»
«Lo so»,
ripeté Alec.
Jace tacque.
Un silenzio che pareva interminabile calò su di loro, avvolgendoli d’imbarazzo.
«È uno
schifo», disse improvvisamente Alec, lanciando un sassolino nel lago. «Io
vorrei solo essere bravo quanto te, Jace. Siamo cacciatori, il nostro destino è
già segnato. Se non posso essere altro, voglio essere un bravo cacciatore.»
«Lo sei»,
replicò Jace. «Ma in ogni caso prima di essere cacciatori noi siamo persone,
Alec. E tu sei una brava persona.»
Alec arrossì
e abbassò lo sguardo. Ricevere quel tipo di complimento da Jace era esattamente
ciò che placava le sue inquietudini. Essere un cacciatore era una grande
responsabilità e per di più Alec non si sentiva per niente portato. Al
contrario di Jace, che era un talento naturale, lui aveva grandi difficoltà nel
combattere i demoni, tant’è vero che spesso rischiava la vita e Jace era
costretto a fare il doppio del lavoro per salvarlo. Eppure, nonostante le
battute e le prese in giro, Jace non si era mai lamentato sul serio. Lui lo
aveva scelto, ben conscio dei suoi limiti come cacciatore.
Guardò il
lago, immaginando l’insidioso mondo che celava. Le fate erano esseri pericolosi
e più di una volta Alec ne aveva avuto la prova.
«Mi domando
da dove vengano certe favole che i mondani raccontano. Come fanno a parlare di
fate generose e folletti altruisti? Se conoscessero la verità, imparerebbero a
tacere», osservò Alec.
«Gli uomini
amano raccontare storie, fratello. Amano sognare. Amano immaginare mondi in cui
tutto è perfetto e c’è sempre un lieto fine. È questa la differenza tra noi e
loro. Loro sognano, mentre noi combattiamo i demoni che la loro natura gli
impedisce di riconoscere.»
«È piuttosto
ingiusto», gli fece notare Alec.
Jace fece
spallucce e sorrise. A lui non dispiaceva il suo stile di vita. E
riflettendoci, neanche ad Alec dispiaceva la sua natura di cacciatore. Senza,
non avrebbe avuto la possibilità di avere un parabatai, non avrebbe potuto
avere Jace.
«Credo che
dovremmo rientrare», annunciò Alec alzandosi. «Hodge ti cercava, devi cambiare
la medicazione al braccio. E Isabelle starà dando di matto perché non sa dove
siamo.»
«Restiamo
ancora un po’», supplicò Jace voltandosi a guardarlo. I suoi occhi del colore
dell’oro pietrificarono Alec. «Solo qualche minuto», concluse Jace.
Alec si
sedette nuovamente accanto all’amico, acconsentendo silenziosamente.
Dove andrai tu, andrò anch’io.
N.d.A.:
Le citazioni
all’inizio dei due capitoli sono rispettivamente le parole di Jace e Alec
riguardo al legame con il proprio parabatai. Ho preferito lasciarle in inglese
così che mantenessero la propria poeticità. Il titolo di ciascun capitolo fa
riferimento al colore degli occhi dai quali si “guarda”, ossia gli occhi del
personaggio di cui viene assunto il punto di vista. Anche le iniziali in
grassetto dei paragrafi di ciascun capitolo compongono il nome del personaggio
attraverso il quale si vive la storia.
Spero che abbiate
apprezzato la storia ♥
Ringrazio la giudiciA per il suo positivissimo
giudizio e consiglio vivamente di dare uno sguardo alle storie degli altri
partecipanti, che sono davvero bellissime! u.u
Alla prossima!
Futeki