CHAPTER ONE -
A
PARTY?
Da circa dieci minuti mia madre non
faceva altro che entrare
e uscire dalla mia camera, ogni volta indossando un vestito diverso.
Quando si
trattava di cene di lavoro per lei era sempre un’ impresa
decidere cosa mettere.
“Pensate che questo
vada bene?”
chiese sistemandosi l’orlo del vestito scarlatto
che indossava in quel momento. Emily, sdraiata a pancia in
sotto di fianco a me, sbuffò per
l’ennesima volta.
“Mamma è il
sesto che ci fai
vedere, decidi tu!” disse infine poggiando la
sua piccola mano sotto al mento.
Si capiva che era scocciata, non vedeva l’ora di poter
tornare a disegnare
lasciando spazio alla sua fervida immaginazione. Io e lei esteticamente
eravamo
abbastanza simili, entrambe avevamo i capelli mossi però, a
differenza sua, i
miei erano scuri mentre i suoi andavano più sul castano
chiaro. Tutte e due
avevamo gli occhi chiari, di un colore indefinito, neanche io avrei
saputo come
descriverlo a volte.
“Tesoro questa cena
è molto
importante per me e vostro padre, ditemi che ne pensate, per
favore” chiese una
seconda volta incitandoci a dirle la nostra opinione. I miei genitori
erano
giornalisti, tutti e due lavoravano al London Times, spesso avevano
delle
riunioni o cene che iniziavano a tardo pomeriggio e si prolungavano per
tutta
la serata. Come per esempio quella di quel giorno, nonostante fosse
venerdì e
di solito avvenivano di domenica.
“Mamma tutti i vestiti
che hai
provato fino ad ora ti stavano bene, metti questo e basta”
conclusi
rassicurandola. Mia sorella annuì con veemenza. Pensai che
fosse più d’accordo
sul fatto che se ne andasse, anziché sul vestito.
“Va bene, mi fido -fece
vagare lo
sguardo sulla parete e poi sgranò gli occhi- Sono già le sei e
quarantacinque,
mi devo sbrigare!” in un battibaleno era
già in bagno a finire di prepararsi.
“Menomale!
Non ne potevo più” esclamò
Emily stiracchiandosi
sul letto e abbandonandosi ad uno sbadiglio.
In quel momento entrò in
camera nostro padre, era
straordinariamente elegante e, al contrario di nostra madre, non
lasciava
trapelare un minimo di nervosismo, sembrava completamente a proprio
agio.
“Ragazze
sapete se la mamma è pronta?” chiese
aggiustandosi la
cravatta blu notte che contrastava con la camicia color azzurro tenue.
“Tra
un po’ avrà finito, penso”
affermai scrollando le
spalle.
“Mike
ci dobbiamo affrettare,è tardi” si
sentì una voce
dall’altra parte del corridoio e dei passi echeggiarono sempre più
vicini. In certi momenti mia madre
diventava l’incarnazione vera e propria dell’ansia
e dell’agitazione. Dopo poco
comparì la sua figura sulla soglia della mia camera.
“Sono
pronto, possiamo andare” affermò
l’uomo accanto a lei
annuendo come per confermare ciò che aveva appena detto.
Entrambi si diressero verso
l’ingresso, io e mia sorella li seguimmo.
“Torniamo al solito orario, se
avete fame vi ho lasciato un
po’ di carne e verdure nel frigo. Megan tieni
d’occhio tua sorella, mi
raccomando. Ciao, a più tardi.” Terminò
mia madre sistemandosi una ciocca dei
capelli color biondo cenere che le era sfuggita davanti al viso.
“Ragazze,
fate le brave” ci raccomandò nostro
padre. Io alzai
gli occhi al cielo. Ogni volta che ci lasciavano da sole a casa ci
facevano le
stesse raccomandazioni stupide.
“Si
si lo sappiamo, buona serata” dissi in modo
sbrigativo.
Io e Emily andammo in cucina, lei si
accomodò su una sedia
continuando a disegnare con i suoi fedeli pastelli mentre io bevvi un
po’
d’acqua. Dopo qualche
minuto suonò il
campanello e andai ad aprire. Erano probabilmente i miei genitori che
avevano dimenticato
un documento o qualcos’altro. Rimasi
spiazzata quando di fronte a me si presentò un ragazzo dai
capelli color biondo
cenere tirati in un ciuffo, Nathan.
“Sbaglio
o avevi detto che i tuoi genitori avevano una cena
stasera?” chiese con i suo solito sorriso in
grado di mettere allegria al più
terribile dei depressi. Lui era il mio migliore amico, non avevamo
un’amicizia
secolare, di quelle che nascevano dall’infanzia e
né tantomeno eravamo come
fratelli, più che altro sapevamo come prenderci. Ci eravamo
conosciuti in terzo
liceo, quando avevo cambiato scuola .Io non ero mai
stata propensa ad avere amiche femmine,
restavo dell’opinione che tra ragazze si poteva litigare
anche con il più piccolo
equivoco, pensavo che delle femmine
difficilmente
ci si poteva fidare e, personalmente, ero dell’ idea che
l’amicizia tra maschi
si basasse su più fiducia. Nathan invece, aveva
tutt’un atro rapporto con i
ragazzi, in quanto omosessuale. Spesso veniva anche insultato, dato che
non si era
mai fatto problemi a far sapere a tutti di essere gay, la sua risposta
alle
critiche era sempre posta su un piano ironico. Per questo lo ammiravo
molto,
prendeva tutto alla leggera, come se fosse un gioco.
“Sbaglio
o non mi avevi detto che saresti venuto?”chiesi
usando il suo stesso tono e accennando ad una risata.
“E’
stata una decisione dell’ultimo momento!”
si giustificò
scrollando le spalle. Io gli sorrisi di rimando e gli feci cenno
d’entrare.
“Megan,
chi è?” chiese
Emily con la sua flebile voce raggiungendoci in salotto con in mano
‘Miele’, il
suo peluche.
“
Pulce!” Nathan si abbassò alla sua
altezza e la accolse
tra le sue braccia.
“Nate!Che
bello che sei qui!” quasi urlò
euforica
saltandogli al collo.
Loro due sarebbero sembrati quasi
fratelli a vederli così.
Emily ogni volta che stava con lui sorrideva sempre ed era felicissima.
Dal
canto suo Nathan la chiamava “pulce” per la sua
statura, chiaramente giusta per
una bimba di sei anni. In poco tempo prendemmo posto sul divano e,
inutile
dirlo, la piccola si sedette in braccio al biondo e continuò
a cullare tra le
braccia l’orsacchiotto .
“Come
si chiama questo orsetto, tesoro?” chiese a mia
sorella.
“Sulla
scatola c’era scritto Teddy Bear, ma a me piace
chiamarlo Miele!” disse a gran voce. Nome
più buffo non poteva proprio
sceglierlo.
“E’
un nome bellissimo, pulce!” esclamò
accarezzando il pelo
scuro dell’orsacchiotto.
“Mangi
con noi Nate?” gli domandai mentre mi alzavo dal
divano per andare in cucina a preparare qualcosa.
“Se
non do fastidio”
“Ma
ti pare? Ti avverto che faccio solo dei panini”lui
annuì
incurante.
Nei minuti
seguenti,mentre ero in cucina, sentivo le risate ininterrotte di Emily.
Probabilmente le stava facendo il solletico, il suo punto debole.
Quando tornai
con alle mani dei panini vidi la bimba che cercava di dimenarsi da
quella sorta
di tortura. Mancava poco che le lacrimassero anche gli occhi. La sua
risata era
contagiosa e fece ridere anche me. Sembrava davvero una piccola pulce
che cercava
di scappare.
“Su
lasciala, tra un po’ piange anche!”
dissi tra qualche
risata staccandoli.
“Finalmente!”
gli scappò ancora qualche risata.
“Facciamo
i conti dopo, quando tua sorella non sarà
qui” le disse
Nathan imitando una finta minaccia e
facendola ridere ancora di più.
“Meg
tu resti qui e non te ne vai più, vero?”
mi supplicò
poi la piccola. Io scossi la testa sorridendo.
Quando ritornammo ad una situazione
normale Nate prese la
parola.
“Ah,
ero venuto anche per dirti un’altra cosa”
“Dimmi
tutto” dissi dando un morso al panino.
“Beh… ti ricordi Luke?”
mi chiese un po’ titubante.
Certo che me lo ricordavo, era il
ragazzo con cui si stava sentendo
in quegli ultimi tempi. Non passava un giorno che non mi parlava di
lui. Io era
contenta di vederlo così felice, era molto presto da questa
“reazione”. Annuì
incitandolo a continuare.
“A
breve è il suo compleanno e sabato fa la festa, ha detto
che potevo portare qualcuno” mi
informò con il suo solito amabile sorriso.
“E…?”
chiesi non capendo dove volesse andare a parare.
“E
tu verrai con me! Che domande” affermò
con sicurezza
scuotendo una mano in aria.
“Ma
io non lo conosco nemmeno!” ribattei cercando di
fargli
cambiare idea.
Sollevò un dito in aria e
fece segno di no “Fa lo stesso,
verrai e ti divertirai. Non sarà poi così
male” disse con convinzione.
“Non
mi piacciono le feste, lo sai” dissi scuotendo
la testa
e inchiodando il mio sguardo nel suo.
“E
mi lascerai da solo in un putiferio di gente della quale
conosco solo una persona? Non si fa.” disse
addolcendo lo sguardo e piegando la
testa verso destra.
”Ti
prego” aggiunse poi. Io sospirai. Sapevo
già che mi sarei
pentita di quella scelta, ma se non andavo me lo avrebbe rinfacciato a
vita.
“E
che festa sia” annunciai con ben poco
entusiasmo. Subito
dopo vidi lui che si alzò dal divano, con ancora mia sorella
in braccio,e
insieme si buttarono sopra di me. Doveva essere una sorta di abbraccio,
strano,
ma comunque era un abbraccio.
HEILA’
Ciao a tutte c:
Come state? Spero bene!
Eccomi qui con una nuova storia. Si
lo so, devo ancora
finirne due ma … non ho resistito a postarlo, scusate lol
In questo primo capitolo non succede
molto, anzi non succede
niente. Più che altro si capisce che la nostra Megan
è una ragazza piuttosto
calma e ha dei
genitori impegnati,
un’adorabile sorellina dolciosa(?) e un migliore amico (gay)
di nome Nathan che
io adoro huywgej
Lo so che questo prologo è
piuttosto noioso, ma serviva per
introdurre la situazione. Nel prossimo capitolo ci sarà la
festa, penso si sia
capito.
Cosa succederà? Eheh ci
sarà un’ incontro che darà vita alla
vera e propria storia(ma dai?) e… niente tutto qui! Ah
volevo pure dirvi che
nella storia ci sono Nathan e Luke che sono gay ( vabbe’ lo
sapete) e che non
ci saranno scene tra loro due penso... mi dispiace se vi potrebbe dare
fastidio
:)
Spero vi interessi come storia.
Ringrazio chi è arrivato/a
(non si sa mai lol) a leggere
fino a qui e anche chi ha chiuso subito la pagina.
Mi lasciate una recensione per dirmi
cosa ne pensate per
favore? Mi farebbe molto piacere, che sia negativa o positiva non
importa, anche
meglio se è negativa, almeno so dove non va bene.
Il protagonista maschile ancora non ve lo dico uu
A
presto bellezze :*
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