____Lullaby_____
…Guarda fuori
dalla finestra: piove anche oggi, proprio come allora, proprio come nel giorno
in cui ha sperimentato sulla sua pelle quanto possa essere labile la mente
umana, quanto sia più profondo il cuore.
Piove anche
oggi, proprio come allora, proprio come in ogni momento che nella sua esistenza
ha segnato un cambiamento, piove a dirotto, come nel giorno in cui tutto è
ricominciato, come nel giorno in cui le angosce si sono risvegliate; e come
allora una malinconica melodia risuona nella sua testa:, è una vecchia ninna nanna
«Dio, ma perché non
taci?» esclamò Kurogane, roteando gli occhi esasperato. Fay rimase un istante
interdetto prima di mettere il broncio, smettendo momentaneamente di
canticchiare. Il giapponese emise un sonoro sospiro di sollievo «è… è tutta la
notte che vai avanti con quella stramaledetta litania! Non mi hai fatto
chiudere occhio! Sei a dir poco snervante!» sbottò prima di andare a prendere
una maglietta. L’altro incrociò le braccia sul petto, assunse un’espressione
offesa e guardandolo intensamente disse: «Kuro-koi sei cattivo. Fai sempre
così, uffa, mi sono offeso.» trasse un
respiro profondo, segno che stava per iniziare una delle sue solite lagne, ed infatti
cominciò: «Kuro-bau, mi tratti sempre male! E poi, non è mica colpa mia se mi è
entrata in testa questa stana musichetta! Tu...»
Continuò a parlare, ma
Kurogane smise presto di ascoltare e ricominciò a prepararsi. Lui era già pronto, ma Fay ancora stava blaterando
qualcosa a proposito del suo caratteraccio. «datti una mossa, o al lavoro ci
vai a piedi» tagliò corto il moro, senza badare troppo all’espressione ancora
più imbronciata di Fay.
Quando, dopo circa
mezz’ora uscirono dall’appartamento, l’animo di Kurogane si alterò ancora,
perché pioveva, pioveva talmente tanto che a stento si vedeva la strada, ed il
cielo era così nero da far credere che fosse ancora notte. E Fay aveva perso
l’ultimo ombrello. Lo sgridò ancora, e lui gli voltò le spalle, proprio come un
ragazzino indispettito.
Nonostante fosse
abbastanza seccato il giapponese andò a prendere la macchina, facendo aspettare
l’altro a riparo, sotto il portico. Il biondo sorrise a quel gesto, forse la
cosa più dolce che in quel giorno si sarebbe potuto aspettare dal burbero
compagno, e in un istante tutto il “cattivo umore” sparì. Così,
quando la grossa macchina nera si avvicinò a lui vi saltò dentro con un sorriso
smagliante, ricominciando a cantare «con sommo dispiacere di un ormai
rassegnato Kurogane» quella specie di ninna nanna che aveva in mente dal
pomeriggio precedente. Sempre le stesse due malinconiche strofe senza parole,
mormorate a voce bassa e a labbra serrate, da canticchiare appena con gli occhi
socchiusi. «Ecco!» esclamò ad un certo punto battendo euforico le mani. Il cielo
nero dietro di lui si illuminò all’improvviso da un grosso lampo, ed il tuono a
lui legato fece sobbalzare il giovane, spaventandolo non poco. Kurogane, notando il suo scatto, non poté fare a
meno di constatare quanto fosse simile ad un bambino troppo cresciuto,
spaventato dai tuoni e dal buio, perseguitato da incubi spaventosi. Sentiva il
bisogno di proteggerlo, sempre, in ogni occasione, eppure non glielo avrebbe
mai dimostrato. «allora?! Che stavi dicendo?!» chiese bruscamente. Fay si
riprese e tornò a fissare l’altro, posando le sue mani sottili sulla pelle
scoperta del suo avambraccio «finalmente mi sono ricordato che cos’è quella
canzoncina che mi rimbomba in testa» proferì con fare solenne. Kurogane gli
rivolse una rapida, interrogativa occhiata. «è una ninna nanna. Me la cantava
mia madre quando stavo male, o quando non riuscivo a prendere sonno» spiegò.
L’altro inclinò leggermente la testa, senza distogliere lo sguardo dalla strada
deserta, e si concesse un leggero sorriso. Se ne pentì subito, perché Fay non
mancò di fare entusiastici commenti in proposito. «Ahah, che cos’è questo
Kuro-tan?» chiese portando un dito all’angolo delle labbra dell’altro, che
subito tornarono nella loro posizione normale, ovvero leggermente curvate
all’ingiù. «Waaahh!!! Anche Kuro-run può sorridere!! Lo sai, ormai pensavo che
non ne fossi capace! Guardati, già non sorridi più! Lo fai così poco che penso
seriamente ti si siano atrofizzati i muscoli. Si, ma non potremmo farla
diventare un’abitu-» Fay fu interrotto da un urlo di Kurogane «FAY STA’ GIÙ» i suoi occhi scarlatti erano colmi
di terrore mentre istintivamente si gettava sul corpo del compagno, un inutile
tentativo di proteggerlo dal feroce impatto. In un istante tutti i vetri
dell’auto si frantumarono, ed il muso del veicolo vene tranciato di netto dalla
vettura di un pazzo che era sbucata ad una velocità folle da una strada
secondaria. La loro macchina finì fuori strada e si ribaltò, scagliando i due
all’esterno. Fay aprì gli occhi quasi subito, sentendo la pioggia gelata
bagnargli il viso. Perdeva sangue da vari punti, ma non sentiva male. Si alzò
tanto velocemente quanto il suo corpo indebolito gli permise quando vide
Kurogane semi sommerso dai rottami dell’auto, praticamente immobile. Riuscì a
tirarlo fuori, constatando che respirava ancora, in modo debole e irregolare,
ma respirava ancora. Aveva perso i sensi, e si trovava inerte tra le stanche
braccia di Fay, cha ormai non capiva più nulla. Strinse forte quel corpo, e
mentre frammenti di vetro e metallo penetravano nella carne morbida delle sue
gambe, la solita ninna nanna riaffiorò sulle sue labbra.
Quando arrivarono i
soccorsi la pioggia non aveva mai smesso la sua incessante e impietosa discesa,
e attorno ai due corpi una chiazza di sangue si era allargata in modo quasi
allarmante. Fay quasi non si accorse di quando i paramedici tolsero dalle sue
mani gelate il corpo del suo amante, per portarlo di corsa nell’ospedale più
vicino, o tanto meno quando un paio di braccia forti lo sollevarono di peso
portandolo in un’altra vettura. Svenne.
«i medici hanno detto
che si potrebbe risvegliare a momenti, quindi restiamo un altro po’, non vorrei
che quando aprisse gli occhi fosse solo» con queste parole Fay finalmente riuscì a destarsi.
All’inizio vedeva tutto molto appannato, poi ombre sfocate, confuse, e poi,
finalmente riconobbe la figura snella di Sakura e del suo inseparabile
compagno, Shaoran. La ragazza si accorse subito del suo risveglio, e corse al
suo fianco, a tempestarlo di domande. Shaoran invece comprese lo stato in cui
si trovava l’amico, ed allontanò da lui la sua irruente ragazza. «Sakura, sta’
calma, così lo soffochi poverino! Si è appena svegliato!» esclamò.
Il biondo si guardò
intorno spaesato. «dove siamo? Cosa… che è successo?» poi dopo un rapido
sguardo alle facce dei due chiese ancora, un po’ spaventato: « dov’è Kurogane?»
a quella domanda Sakura scoppiò a piangere, e Shaoran, sebbene fosse un po’
restio, gli raccontò dell’incidente che avevano avuto tre giorni prima, del
pazzo che li aveva travolti e che era ormai morto, dei danni riportati
dall’auto in cui si trovavano, del coma leggero in cui lui era caduto… «ma
kurogane?» insistette Fay. Shaoran inspirò profondamente: «non sanno ancora se
riuscirà a sopravvivere, è in coma, non dà segno di miglioramenti.» aveva
preferito dirgli subito la verità, senza raccontargli bugie, senza cercare di
indorargli la pillola, ma già mentre lo vedeva impallidire come un cadavere e
sgranare gli occhi incredulo non era più sicuro di aver fatto la cosa giusta.
Passarono altri due
giorni di accertamenti prima che a Fay fosse permesso di alzarsi. Nel frattempo
Kurogane era entrato nel reparto di terapia sub intensiva, e dopo mille
pressanti richieste, a Fay fu accordato il permesso di andarlo a trovare.
Passava tutto il tempo
al suo capezzale, stringendo forte una delle grandi mani del giapponese. Non si
muoveva mai di lì, se non quando ne era costretto.
Non parlava, non
piangeva, non si lamentava, solo canticchiava a bassa voce la canzoncina che
sua madre usava come “rimedio” per gli incubi. Spesso si addormentava sulla
sedia che gli avevano portato, proprio lì, accanto al letto della persona che
amava, ma non si trattava mai di sonni tranquilli: gli occhi di Kurogane un
attimo prima di quello spaventoso schianto, così pieni di paura, e quel suo
cercare di proteggerlo… per quale motivo solo uno dei due ora si trovava
sdraiato in stato di incoscienza in un letto di ospedale? I giorni passavano, e
Fay non riusciva a darsi le risposte che chiedeva. I medici non sapevano più
che fare, e gli amici dei due erano sempre più preoccupati perché sapevano fin
troppo bene che se lo stato di Kurogane non fosse cambiato, Fay non sarebbe
stato capace di reagire.
Era un giorno come
tanti altri quando Fay, la testa poggiata sul materasso del giapponese, i
capelli morbidamente sparpagliati sul suo braccio, la mano che delicatamente
stringeva quella dell’altro, fu svegliato da quella che sembrava proprio la
nenia che ormai non faceva altro che ripetere. Non fece in tempo a sollevare lo
sguardo che improvvisamente si sentì stringere la mano.
Quando incontrò il
viso della persona che per tanto tempo aveva solo sperato veder riaprire gli
occhi, sentì un tremendo bisogno di piangere. «c…ciao» mormorò tra le lacrime.
L’altro gli rivolse uno sguardo confuso, e smise di canticchiare.
Fay riuscì a
trattenere i singhiozzi, e si asciugò col dorso della mano libera ciò che
restava delle grosse gocce di pianto che aveva già versato «ciao Kuro-chan» disse sorridendo. L’altro provò a sua
volta ad accennare un sorriso «perdonami… mi dispiace, ma… ma non… chi sei?» il
sangue si congelò nelle vene di Fay: in effetti i medici avevano parlato della
possibilità di amnesia in seguito al violento trauma cranico che Kurogane aveva
riportato, ma aveva preferito non pensarci, era stato davvero troppo impegnato a sperare che riaprisse gli occhi.
Lasciò improvvisamente
andare quella mano che aveva tanto diligentemente tenuto per tutto quel tempo.
Ebbe paura, temette
che dire la verità non sarebbe stata la cosa migliore, sospettò che non lo
avrebbe accettato. «sono… sono un amico.»
Per due giorni il
biondino non si fece vedere. Non sapeva per quale motivo, non si ricordava di
lui, eppure a Kurogane mancava. Strinse forte la mano sinistra, quella che al
suo risveglio aveva trovato calda, quella che credeva quel bizzarro biondino
avesse stretto. Un’altra cosa di cui sentiva la mancanza era quella voce
modulata con grazia per formare quei suoni mesti e un po’ nostalgici che
componevano quella dolce melodia, quella ninna nanna così familiare e
rassicurante. Voltò la testa dalla parte opposta della porta e chiuse gli
occhi. Forse si addormentò, ma si svegliò col suono scrosciante dell’acqua che
batteva contro la finestra che faceva da sottofondo a quella che ormai aveva
deciso di chiamare “la sua ninnananna”. Strinse la propria mano con dolcezza,
felice di trovarvi quella più piccola e sottile che il suo corpo riconosceva
bene. Non aprì gli occhi, aveva paura che tutto sparisse, e voleva godere di
quell’attimo fino in fondo, senza aggiungervi parole o gesti inutili. C’era
solo quell’istante, perfetto, incredibile, bloccato a quel modo per sempre.
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