of dreams forgotten and fables untold
Allora, premettiamo che non è la
prima volta che tratto di Hades e Persefone. Per la precisione, ho
incontrato il mito anni fa, quando ero un'innocente (?) pupetta delle
Elementari, e da allora ho sempre avuto un incredibile affetto per
questa coppia atipica eppur ben riuscita. Recentemente, ho riavuto a
che fare con questi due, in prima persona, quando mi fu passato questo
video Hades &
Persephone: Cosmic Love e non vi dico ♥
.
A quel punto, ho deciso di
riprendere in mano la storia e condividere la mia versione dell'amore
tra il dio degli Inferi e la dea della Vita. Spero vi piaccia :)
Ultima cosa: voglio dedicare questa
storia a due persone in particolare. Una è la Saliman, l'adorabile
creatura che mi ha passato il video, e l'altra è Titania76, come
regalo di buon compleanno, anche se un po' in ritardo ;)
Il sangue li ricopre ancora quando la
battaglia termina. Zeus, la camminata zoppicante di chi ha un
ginocchio malmesso, si guarda ancora attorno stranito,
meravigliandosi che il buco apertosi sotto ai loro piedi si sia
richiuso così in fretta.
E' la prima volta, dopotutto, che i
suoi fratelli usano i loro poteri, condannati per anni ad incanalare
le loro energie in quelle paterne, vincolati com'erano in quel ventre
flaccido, schiacciati tra la milza e l'intestino molle
Puzzano di carne putrida rispetto a
lui, e il loro sudore non fa che renderli più sgradevoli al suo
olfatto delicato. Zeus può riempirsi la testa di tutte le fole
sull'eroismo che vuole, ma sarebbe sempre rimasto un reuccio
schizzinoso ed egoista, con rari sprazi di coraggio ed abnegazione.
Lo sanno fin troppo bene, tutti loro,
tutti gli dèi dell'Ordine, che quel caro fratello minore s'è dato
tanto disturbo per un unico motivo: il potere. Potere che adesso si
agita già nelle sue viscere, rendendo Zeus un doppio – più
scaltro – del padre Chrono.
Tanto scaltro che quando si volta
verso i suoi fratelli maggiori, Hades e Poseidone si scambiano uno
sguardo consapevole e rassegnato. Il Fato e le Moire gli impongono di
ascoltarlo, se non gradiscono d'esser fulminati come qualche Titano.
Quanto alle belle sorelle, bé,
probabilmente sono già bagnate e pronte ad esser prese dal
vincitore. Poseidone serra i denti con forza ed evita di gettare
occhiate alle sue spalle, temendo di incrociare con i suoi occhi di
ghiaccio, quelli di terra della più dolce delle sue sorelle, la sua
carne morbida e calda. Che insomma, è inutile negarlo: chi davvero
ha vinto la battaglia contro i Titani, è Zeus, e loro hanno fatto
solo da spalla, supporto morale e tanta buona fortuna. I loro poteri
– Poseidone non è ingenuo, ma increspato come le onde del mare –
non sono ancora formati, a differenza di quelli del fratello minore.
Lo scagliasse chiunque, un fulmine. Poi
ne riparliamo.
Hades avverte quel maremoto di pensieri
nella testa del fratello minore e scuote il capo bruno. La guerra non
è ancora vinta, lo sa bene. Non ha il dono della Vista, lui, né
alcuno dei suoi fratelli, ma i Titani non sono ancora caduti, solo
spariti a leccarsi le ferite e Hades sa bene che Rea, madre
bellissima e giusta, non avrebbe parteggiato per i suoi figli, se il
potere è in gioco. Rea ha salvato Zeus solo per vendetta nei
confronti del marito, non perché s'aspettasse davvero la fine dei
Titani e la sorte prospettata da Gea e Urano.
Figuriamoci, a quel punto li avrebbe
mangiati lei stessa e dopo averli fatti a pezzi, giusto per stare più
sicura.
<< Stai bene, Hades? >> La
domanda di Hestia lo raggiunge a scoppio ritardato e per la prima
volta, il quartogenito di Crono si sofferma a fissare il bel volto
della primogenita. Hestia, Demetra, Era, Hades, Poseidone e Zeus,
questo il campionario sfoggiato dalla coppia regnante, una sestina da
incubo a ben pensarci. Roba da aborto, se Rea avesse saputo.
Ma le Moire sono delle grandissime
puttane e dicono solo quello che vogliono, a chi vogliono e come lo
vogliono.
Quanto a Gea ed Urano, hanno imparato a
farsi i fatti loro, visto com'è andata l'ultima volta.
Hestia è la più piccina delle figlie
di Rea, sebbene sia la maggiore. Raggiunge a malapena il metro e
quaranta e ha il corpo esile di una bambina, con occhi grigi
spalancati come piattini e le labbra sottili atteggiate sempre ad
invocare pace e calma. E' colei che più ha sofferto l'indifferenza
dei genitori, è la bambina che ha dato il benvenuto ai suoi
fratellini e alle sue sorelline, donando loro la calma e nutrendoli
di sogni dolci, di case confortevoli e di genitori amorevoli, di pane
e ambrosia, fiori profumati e turiboli odorosi.
Hades la ama, profondamente, come
potrebbe amare un'icona o una stella del firmamento. Non c'è niente
di carnale in questo affetto, ma solo grandissimo e puro amore. E'
sua madre, l'unica persona che riconosce come tale. Come lei, Hades è
sottile e slanciato, un adolescente e non un uomo, come già sembrano
Poseidone e Zeus.
Si assomigliano poco, quei due. Sono
entrambi alti e forti, muscolosi, dorati, ma Ennosigeo ha i capelli
bianchi come spuma di mare mentre Zeus ha il rosso dell'oro che gli
brilla sul capo. Uno è acqua e l'altro è fuoco, e Hades, suo
malgrado, è terra, colui che deve bloccare ed arginare le
intemperanze di uno e dell'altro.
<< Sto bene. >> riesce a
dire, fissando ancora i fratelli che si fronteggiano. Hestia gli
sfiora uno zigomo, con gli occhi grigi chiusi e i capelli castani che
le ricadono sulle spalle, lisci e lucenti come il pelo di un
ermellino. La ferita si richiude magicamente ed Hestia gli sorride
timida.
<< Grazie. >> la omaggia il
fratello e lei arrossisce.
E' una piccola madre ma non una donna,
non come Era, fuoco primordiale, che si avvicina, come una leonessa,
ai due pretendenti. E' alta, Hera, maestosa, una donna sensuale e
sicura di sé e del suo fascino, con i capelli neri di Chrono e gli
occhi dorati di Rea. Zeus la guarda e deglutisce e Hades sa già come
andrà a finire. Hera è aria, e aria e fuoco, assieme sono incendio.
Tira un sospiro di sollievo e come Hestia, volge lo sguardo a
Demetra, i cui occhi di terra sono fissi su Poseidone e ricci biondi
cadono inanellati sul seno grande.
Non c'è molto da capire, nota Hades,
le coppie sono più che stabilite.
<< Istie, >> Hades richiama
la sorella con un dolce vezzeggiativo << sarà il caso di
intervenire. >>
<< E' mio dovere. >> gli
sorride ancora lei << Sono la maggiore. >> Seppur
delicata ed innocente, Hestia brucia e Hades sa, che se volesse,
Hestia li potrebbe assoggettare semplicemente schioccando le dita,
incatenandoli al suo volere. E' la primogenita, la più potente.
L'essenza stessa del fulmine.
Eppure, con parole sagge, Hestia
richiama i fratelli all'ordine e li blandisce, spiegando loro che è
meglio unire le forze e non scontrarsi. Con pacatezza, ammette che
Zeus godrà – e deve godere – del premio maggiore, perché è
colui che li ha salvati dalla follia paterna e da un destino di
cecità e viscere.
<< Sta bene. >> asserisce
Hades – e se il maschio maggiore abbassa il capo, anche Poseidone
dovrà cedere - << Solo una cosa chiedo. >>
E di nuovo, gli animi si infiammano.
Hades sogghigna, notando come lo sguardo di Ennosigeo corre a Demetra
e come quello di Hera a Zeus, impegnato, invece, a fissare e studiare
gli occhi d'agata del dio, del fratello maggiore che per la prima
volta vede e sente. << Parla. >> proferisce, imperioso.
<< Svelati. >>
<< Gli Inferi. >>
<< Come?! >> esclamano
tutti, perplessi. Hades è bianco come neve, gli occhi grandi e
spiritati, le mani affusolate e le dita sottili come zampe di ragno.
Ma gli Inferi sono una terra brulla abbandonata al caos e ai daimon,
una terra senza padrone, l'ennesima lotta per un regno.
<< Sono miei di diritto. >>
li informa. << Sono già stato lì. >>
<< E quando? >>
E Hades racconta:
Gli uomini già esistevano e
morivano quando da Chrono e Rea nacque colui che avrebbe sottratto al
padre il suo legittimo trono e Hades, uno dei primi ad essere
mangiati, ebbe la facoltà in sorte di poter vedere le anime dei
defunti, di poterle seguire nel loro viaggio. In quelle lunghe ore
passate nel ventre paterno come un feto, Hades utilizzò parte dei
suoi poteri e scese in quel regno che avrebbe reclamato come sua
terra e patria.
Era un'anima come tante in quel
viaggio eppure, il manto di cosmo che lo circondava era un ben chiaro
segnale di chi fosse quell'uomo. Per la prima volta, Hades vide il
suo regno e scoprì che i morti pascolavano come capre, gli occhi
vuoti, falciati via dai daimon che abitavano le terre più nascoste
di Gea. Eppure, quando i daimon lo videro, si inchinarono al suo
cospetto, chiamandolo Signore e Sovrano e chiedendogli di prendere il
suo posto nel palazzo della Giudecca. Hades scosse il capo, serio, e
disse loro che prima avrebbe dovuto risolvere una faccenda importante
con il proprio padre e riacquistare il suo vero corpo.
Pregò solo i suoi sudditi – che
da subito furono cari al suo cuore – di iniziare a costruire una
prigione nelle profondità del Tartaro, in cui rinchiudere coloro che
lo tenevano lontano dal suo regno. I daimon annuirono e il patto
eterno fu stipulato.
Ma una sorpresa più grande si svelò
dinnanzi agli occhi d'agata. Tre donne dall'aspetto macilento e
stanco seppur dallo sguardo acuto si pararono di fronte a lui,
odorose di incenso. Hades ne aveva sentito parlare nei discorsi tra
suo padre, il Cronide, e i suoi fratelli titani.
<< Le Moire. >> le
appellò.
Esse chinarono il capo ossequiose e
gli parlarono con voce roca, sibilline, raccontandogli la sorte che
lo attendeva tra i succhi e i rigurgiti delle interiora paterne.
E l'anima incorporea, finalmente,
trovò pace ed iniziò a pregare per la speranza chiamata Zeus.
Quando la speranza prese la forma
della folgore e il futuro padre degli dèi calò tra di loro,
liberando dal ventre marcio i figli reietti, Hades combatté con
foga, fregiandosi dei poteri oscuri della kuiné e brandendo la sua
spada, dono dei suoi daimon, arma forgiata con le pietre
dell'Oltretomba.
Sembra una bella
storia, pensano gli dèi dell'Ordine, eppure tutti loro possono
vedere la spada e la kuiné. Scioccamente, credevano che fosse solo
la materializzazione dei suoi poteri, come il fuoco nelle mani di
Hestia e il fulmine per Zeus. Hades sa materializzare una spada,
eccellente! L'importante è che sappia usarla, questo hanno
pensato. Nei lunghi anni nel ventre paterno, hanno creduto che Hades
dormisse e niente più. Non immaginavano che tanto potere celasse.
<< Le Moire
hanno rivelato altro? >> domanda Hera, prevenendo questioni
sciocche. Gli Inferi, se proprio Hades li vuole, sono un peso in
meno. Hanno affari più urgenti da sbrigare.
<< A Zeus il
cielo e a Poseidone il mare. Ad Hera le unioni e ad Hestia la casa. A
Demetra le messi. >> rivela Hades. Pare che chi abbia il colore
dell'agata nelle iridi, sia in grado di scrutare il futuro, pur senza
avere la Vista. << Dodici divinità maggiori domineranno il
cielo e la loro casa sarà - >>
<< L'Olimpo.
>> termina per lui Zeus.
<< Il monte
più alto di Grecia. >> considera Poseidone.
<< Dimora che
avremo solo se sconfiggeremo i Titani. >> ricorda loro Demetra
<< E sono ben più forti di noi. >>
<< Non siamo
gli unici nemici che hanno. >> sorride Hera, maligna, e gli dèi
tutti si voltano a guardarla.
<< Sorella,
se sai, aiutaci. I Titani sono pericolosi. >> le ricorda
Hestia.
<< Hades ha
dato un prezzo al suo aiuto e anch'io esigo lo stesso. >> si
volta altezzosa Hera.
<< Cosa vuoi?
>> chiede Zeus, e già sa che dovrà rimpiangere lo sguardo
d'apprezzamento che le ha lanciato.
<< Il Cielo.
>>
<< E sia,
moglie. >> uno sguardo di fuoco passa tra i due e il patto è
stipulato. Hera è tornado, è distruzione, e con gusto, esclama: <<
Gli Ecantonchiri! >>
*
Hades si svegliò
di soprassalto, nel suo letto morbido, nel palazzo della Giudecca da
lui presieduto da secoli.
Ogni volta che
sognava della sua liberazione, della nascita e dell'accordo tra gli
dèi dell'Ordine, un evento catastrofico si prospettava
all'orizzonte: Pandora, il diluvio universale, l'ennesima battaglia
con qualche divinità ostile, le vendette di Hera o gli amori folli
di Afrodite. L'Olimpo s'era accresciuto in ricchezza e bellezza con
gli anni, ma Hades non amava salire in Superficie. Il suo Regno era
la sua pace e si potevano contare le occasioni in cui calpestava il
marmo sonante del Palazzo del Cielo.
Eppure, un simile
sogno rivelava qualcosa e bisognava approfondire la questione. Si
rigirò tra le coperte, indeciso se chiamare o meno le Moire e
chieder loro la verità sul futuro. Se interrogare Hypnos sui sogni e
chiedergli il perché di tali manifestazioni notturne. Se inviare le
Furie a qualcuno che lo malediceva, convinto che fosse suo desiderio
strappar le vite ai mortali.
Hades si sollevò
sul letto e si guardò attorno. La sua stanza, dalle grandi
dimensioni, era spartana. Il letto piazzato al centro della stanza e
ricoperto di morbide pellicce, dei cassoni istoriati regalatigli da
Efesto, in cui conservava le sue vesti e la kuiné, un tavolo,
ricavato da un ontano, su cui v'era poggiata una brocca d'acqua e una
ciotola piena di melograni.
Il suo Regno era
stato una continua scoperta. Era immenso e diviso in varie regioni,
come le chiamava lui. L'Averno era attraversato da cinque fiumi e il
Muro del Lamento separava i Campi Elisi ed il Tartaro dal luogo in
cui lui prendeva dimora. Il Tartaro, scuro e multiforme, era un luogo
che di rado visitava, recandosi solo per controllare che coloro che
avevano sfidato gli dèi fossero ancora lì segregati e tenuti sotto
stretta sorveglianza dai loro carcerieri.
I Campi Elisi,
divisi in tre isole minori, erano l'unico luogo degli Inferi che gli
dèi della Superficie potevano visitare. Erano strane le leggi degli
Inferi: solo chi possedeva un cosmo ctonio, permeato di terra, poteva
attraversare tutte le regioni governate da Hades, ma se non si
possedeva neanche un barlume di tale potere, si poteva accedere solo
ai Campi Elisi. E badando comunque alle regole degli Inferi, che il
Regno di Hades perdonava assai poco gli stolti e gli sbadati che
osavano sfidarlo.
Gli Inferi
producono ciò che a loro si adatta: gli asfodeli, i fiori di loto,
la grande Magnolia, simbolo della casa di Hades. Non ha bisogno di
produrre vivande. E per chi poi? Le anime che qui indugiano non si
cibano che di aria. I daimon, invece, creature semidivine, possono
gustare i frutti del giardino di Ascafalo, l'Eden, territorio sacro e
perfetto.
Il sole brillava
nei Campi Elisi mentre nell'Averno vi era quel tenue chiarore
dell'alba e la notte si annidava dolce nel Tartaro, riflettendo le
costellazioni che amavano i mortali.
Hades sospirò,
soddisfatto. Lontano dagli dèi aveva trovato il suo ambiente ideale
e le care anime che gli giungevano erano un dono più prezioso di
qualsiasi fiore che Demetra avrebbe potuto creare. E allora,
l'avvertì. Una piccola stilla luminosa e viva. Viva. Nel suo
Regno. Il sogno consueto si rivelava ancora una volta presagio.
*
Demetra aveva tre
grandi amori: la terra coltivata, Poseidone e sua figlia Persefone.
Adorava il palazzo che Zeus le aveva donato sull'Olimpo, ma lo
abitava bene poco, preferendo godersi il terreno roccioso e le pietre
risvoltate e ricche di vermi che sollevava scavando. Mangiava frutti
e sputava i noccioli per rendere la terra feconda, i contadini che
l'imitavano ed insieme innalzavano inni ai miracoli del suolo, al
grano che si ergeva tra le zolle e agli alberi carichi di frutti.
Cantava, Demetra,
anche quando Poseidone abbandonava le acque salmastre per salire al
Regno del Cielo, lasciandosi alle spalle Anfitrite e le sue squame,
per entrare in lei e spargere il suo seme nel ventre fertile della
dea delle messi. Demetra amava quel dio possente dai capelli bianchi
e gli occhi di ghiaccio sin dalla prima volta che l'aveva visto, nel
ventre paterno. E' mio, aveva proclamato, gioiosa – che lei
non era come Hera, ma sorrideva sempre, di cuore -, e aveva seguito
sempre, con i suoi occhi di terra, Ennosigeo. L'aveva visto crescere
e mutare e anche allora era stato suo. Sarebbe sempre stato suo anche
se consumavano amori con altri.
Demetra non era
gelosa, come Hera.
In realtà, Demetra
si considerava superiore ad Hera. Non era ambiziosa, maligna, gelosa,
perfida, crudele e irosa come sua sorella e questo le bastava per
ritenersi migliore e al sicuro da qualsiasi male potesse capitarle. A
differenza degli altri fratelli, poi, possedeva un piccolo germoglio
di cosmo ctonio, e questo era bastato per renderla sempre prudente.
Zeus non l'avrebbe
mai mandata negli Inferi se fosse stata buona, si ripeteva, e così,
Demetra si aggirava tranquilla tra i corridoi dell'Olimpo e sulle vie
della terra.
Perché se c'era
una cosa di cui aveva paura Demetra, era proprio quella: gli Inferi.
Per quanto amasse la terra scura, ella temeva la terra infeconda,
quella che brillava violacea nel Sottomondo dominato da Hades.
Amava suo fratello,
sebbene egli fosse diverso da tutti loro, ma temeva il suo potere di
morte. E temeva, Demetra, che il suo barlume ctonio la indicasse come
compagna perfetta del dio degli Inferi e disperava già una vita
lontana dal sole accecante che le bruniva la pelle. Zeus aveva
stabilito, una volta sconfitti i Titani, che sia Hades che Poseidone
avrebbero avuto una consorte. Ennosigeo aveva scelto, su suo
consiglio, Anfitrite, una nereide, Hades, per il momento, aveva
rimandato la questione, portando a sua difesa argomenti come le Moire
ed il Fato.
Non aveva sposato
Poseidone, perché, come non poteva sentirsi costretta dalle maglie
dell'oscurità della terra, allo stesso modo non v'era vita per lei
sotto il mare. Amava Poseidone, ma amava ancora di più la sua
libertà, l'aria, e i frutti che gli uomini potevano ancora darle.
Altro motivo per
cui si sentiva superiore ad Hera: non aveva vincolato il suo uomo a
se stessa, ma gli aveva donato amore e libertà. Non nutriva
sentimenti folli di vendetta e gelosia nei confronti delle donne che
Poseidone usava per disperdere i suoi umori, anzi, gioiva con lui del
miracolo della nascita. E a tanta libertà, si aggiungeva libertà
per essa stessa: se Demetra si riempiva gli occhi con un mortale di
suo gradimento, non v'era dubbio che l'arte della semina e del solco
avrebbe acquisito un ulteriore senso.
Infine, Demetra
amava sua figlia Persefone, che considerava una piccola se stessa, la
sua Kore, l'eterna fanciulla. Persefone era identica a sua madre:
lunghi capelli color del grano e morbidamente ondulati, penetranti
occhi cangianti, in grado di passare dal colore del tramonto a quello
del mare, e pelle baciata dal sole, il ritratto perfetto della dea
della vita. Purtroppo, per beffardo destino, la giovine ereditò
anche, in misura inferiore al suo cosmo luminoso, il cosmo ctonio di
Demetra. Sebbene questo non fosse un segreto per nessuno – chiunque
nell'Olimpo era in grado di avvertire l'odore dolciastro della morte
provenire da Persefone -, Demetra ne fu tremendamente spaventata e
pregò con tutto il cuore che suo fratello Hades, bellissimo e
terribile, non puntasse mai i suoi occhi d'agata sulla figlia.
Pensieri sciocchi i
suoi, d'altra parte. Hera, Signora delle Nozze, non avrebbe
acconsentito ad un matrimonio di facciata. Un pizzico d'amore doveva
esserci tra i regnanti. Persefone era salva ed al sicuro sull'Olimpo.
O lì, con lei, come in quel momento, sotto il suo occhio vigile e
quello delle sue ninfe. Il bosco attorno al Lago Pergusa era carico
di frutti e le sue compagne danzavano felici, attorniando la sua
bambina. E in quel momento, Demetra si riscosse. << Perché
avete fermato il canto? >> domandò, un'angoscia improvvisa che
le risaliva dallo stomaco per arrivare alla gola.
<< Mia dea,
>> la richiamò ansiosa una delle ninfe che l'accompagnava <<
vostra figlia è scomparsa. >>
*
Hades era confuso,
più di ciò che sarebbe stato ammissibile. Comprendeva
perfettamente che quella creaturina dall'espressione confusa non era
una mortale sperduta, ma una dea. A giudicare dal suo aspetto, dai
suoi colori, Hades avrebbe giurato di trovarsi di fronte a sua
nipote, la figlia di Demetra e Poseidone. Le Moire gli avevano
accennato della nascita di una piccola dea dal cosmo in parte ctonio
e lui l'aveva persino vista quando i suoi fratelli l'avevano
presentata al Concilio degli dèi, ma erano anni – secoli? - che
non saliva in Superficie.
Possibile che
quella bambina che ricordava a malapena fosse cresciuta così tanto?
E tralasciando ciò, com'era possibile che fosse qui? Gli dèi non
potevano calpestare il suolo degli Inferi.
<< Chi c'è?
>> domandò allarmata la ragazzina.
<< Chi siete?
>> chiese di rimando lui, uscendo dal cono d'ombra. La
fanciullina fece un balzo indietro, spaventata, nel vederlo. Non che
Hades fosse un mostro da fiaba, solo che i suoi occhi, quei pozzi
d'agata verde, erano pietosi e terribili da far male, che quasi
diveniva impossibile reggere lo sguardo del Signore degli Inferi.
<< Mi chiamo
Persefone. >> la fanciullina prese coraggio << E credo
d'essermi perduta. >>
<< Negli
Inferi. >>
<< Come? >>
<< Questi
sono gli Inferi, Persefone. >> il Re si inchinò << E io
sono Hades, il loro sovrano. Vostro zio. >>
Persefone spalancò
gli occhi che, a causa dell'oscurità dell'Averno, avevano acquisito
un'intensa sfumatura violacea, tale da ricordare ad Hades
un'ametista. << Gli Inferi? Com'è possibile? Ero con mia madre
e le sue ninfe, nei pressi del Lago Pergusa, e d'un tratto il
paesaggio è cambiato. >>
Hades sospirò <<
Avete attraversato un passaggio tra i mondi. Di solito è
impossibile, ma chi, come voi, ha un cosmo ctonio, è più sensibile.
>>
Se fosse stato
possibile, Persefone avrebbe spalancato ancora di più gli occhi. <<
Cosa volete dire? >>
<< Non
l'avvertite voi stessa? La parte oscura di voi, ciò che permette la
nascita... >> Hades si fermò notando come la fanciullina lo
guardasse stranita. Possibile che quella stolta di sua sorella avesse
preferito tacere e che quei folli dell'Olimpo avessero accettato tale
decisione? Persefone era dea della Primavera e della Vita ma come
poteva comprendere il suo potere se non ne conosceva la vera natura?
Calò il silenzio
fino a che un lieve guaire non li riscosse. Vicino a loro, intento a
strusciarsi sulla veste di Persefone, c'era un cucciolotto di pochi
mesi, fornito – bontà divina sapeva perché – di tre teste.
<< Oh, è il
cane che mi ha guidata. >> sorrise la fanciullina e Hades
rimase abbagliato sia dalla luminosità della creatura che dalla
facilità di adattarsi alle stranezze del luogo in cui regnava.
<< Non avete
paura? >> si trovò a domandare, ricordando perfettamente come
le sue sorelle e gli altri dèi si ritraessero schifati dalle
creature generate dagli Inferi, mostruose e grottesche, come le
Graie, ma non per questo meno belle delle farfalle che percorrevano
il cielo.
<< Paura? E'
così grazioso. >> gli rispose Persefone, già impegnata a
coccolare il cucciolo che, oltre alle teste, iniziava a presentare
quei segnali che l'avrebbero reso una creatura piuttosto pericolosa
in futuro. << Tanto grazioso con tutte queste macchioline. Ti
chiamerò Kerberos. >> e il cane a tre teste scodinzolò felice
come se il nome scelto gli piacesse. << Ho visto altre cose
così insolite e meravigliose mentre camminavo. Tutti, sull'Olimpo,
descrivono il vostro Regno oscuro e desolato, ma non è così. >>
asserì Persefone, rialzando gli occhi di viola su di lui.
Hades perse un
battito e le porse la mano << Vi piacerebbe visitare il mio
Regno, dolce Persefone? >>
***
NdA
Sì, versione
molto rielaborata del mito, I know. Infatti, ho preferito seguire la tradizione mitologica dove Persefone è presentata come figlia di Poseidone più che di Zeus, perché tornava meglio ai fini della trama.
Tralasciando il video, nella mia
mente, Hades è molto simile a Ville Valo degli HIM e Persefone
ad Amanda Seyfried. L'etimologia di Cerbero/Kerberos è ancora
sconosciuta, nel senso che non si capisce esattamente da dove provenga
la radice del nome. L'ipotesi più comune è che voglia
dire "macchiato". Qui ve lo mostro come cucciolotto adorabile. Le tre
teste, comunque, indicano il passato, il presente ed il futuro e
secondo la tradizione classica, i cani (a differenza dei gatti in
Egitto) erano i veri messaggeri dell'Oltretomba.
ps: approfitto, least but not last, per fare gli auguri di buon compleanno anche alla mia amica Cele :*
disclaimer: i pg
presentati mi appartengono solo in questa personale disposizione, non
scrivo a scopo di lucro e blablabla. Il titolo dato a questa storia
è tratto dall'album dei The Moon and the Nightspirit.
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