Sequel di "September in the rain"
"Sono
annoiato. Annoiato, annoiato, annoiato!”
riecheggiò una voce
petulante dall'alto del cielo oscuro di New York. Scese giù
dal
tetto di un immenso palazzo, perdendosi poi tra le stradine
sottostanti, inghiottito dal caos notturno.
“Te
lo giuro, Mikey... quant'è vero che adesso sono una
tartaruga
paziente, che se non la smetti ti uccido. Lentamente.
Dolorosamente!”
rispose un'altra voce, bassa e minacciosa, pronunciata così
di petto
da non riuscire nemmeno ad arrivare oltre il parapetto della
costruzione.
“Oh
sì, Raph. Proprio paziente. Quasi Buddha, direi”
soffiò ironica
la prima voce, allontanandosi di poco dall'altra.
“Già.
Per esempio ti picchio meno di quanto meriteresti. Molto meno. E
ricordiamoci che tu sei dannatamente fastidioso”
asserì
quest'ultima con sufficienza, come se le sue parole fossero ovvie.
“Ma
mi annoio! È una settimana che non succede nulla! Nessuna
scazzottata, nessuna emergenza, niente!”
“E
io ti sembro forse il tuo giullare?”
Michelangelo
lo guardò con un grosso sorriso stampato in volto e Raphael
si
chiese cosa nell'universo trattenesse il suo pugno dallo schiantarsi
sulla testaccia verde del fratello. Certo, era indubbiamente
diventato più controllato e meno impetuoso, grazie
all'età e agli
ultimi avvenimenti successi, ma il sarcasmo e le sue provocazioni
avevano sempre e ancora il potere di farlo uscire dai gangheri,
instillandogli il desiderio di colpirlo per farlo tacere.
In
quel momento stava ghignando della sua espressione seccata, con
quell'aria furba e svagata che da tutta la vita gli aveva visto su
quel viso spensierato.
Sospirò,
rassegnato.
Lo
ignorò e continuò invece a correre, saltando sul
tetto del palazzo
di fronte, assorto nel pattugliare le strade brulicanti di vita al di
sotto. Riusciva a sentire alla perfezione il brusio e gli schiamazzi
che arrivavano dalla strada, composti da gridi, chiacchiere urlate ad
un volume decisamente troppo alto, musica che fuoriusciva da locali
ogni qualvolta le porte venivano aperte e persino il cigolio di un
camion della nettezza urbana che scivolava per le strade per compiere
il proprio lavoro.
Di
problemi, guai o richieste di aiuto nemmeno l'ombra.
Rallentò
appena l'andatura per osservare con interesse una coppia che mangiava
un fresco gelato all'uscita dal cinema, sorbendolo con
avidità e
desiderio.
Quanto
avrebbe voluto un buon gelato, ghiacciato quel che bastava a
combattere l'afa che si era abbattuta sulla città in quella
primavera insolitamente rovente.
Era
il mese di Maggio più torrido che riuscisse a ricordare, da
che
aveva vita. Alte temperature da record, senza un alito di vento, con
un'umidità stantia che si incollava alla pelle e ai vestiti,
soffocando il respiro. Durante la notte la situazione migliorava
leggermente, perché il sole battente scompariva e la
frescura delle
stelle riusciva a dare loro un po' di tregua; ma il fatto di correre
rendeva comunque insopportabile tutta la situazione.
“Sto
morendo di caldo” si lagnò infatti Mikey, tirando
il colletto
della tuta per fare entrare un po' d'aria. “Vorrei un bel
gelato
gigante.”
“Non
possiamo. Leo e Don ci aspettano. Muoviti.”
Ripresero
la loro corsa, diretti verso l'appuntamento coi loro fratelli, anche
loro in pattuglia a coppia. Vide che erano arrivati ben prima di
loro, in attesa sul parapetto in pietra del grattacielo su cui si
erano dati appuntamento.
“Allora,
cosa vi ha trattenuti?” domandò Leonardo non
appena atterrarono,
dopo una scalata dal palazzo vicino.
Il
leader li stava occhieggiando con rimprovero, impettito e con le
braccia conserte.
“Mikey.
È dannatamente una palla al piede.”
“È
per quello che lo lasciamo a te” rispose Donatello,
ridendosela tra
sé.
“Ehy!
Non parlate di me come se fossi un pacco indesiderato!”
“Ma
lo sei, Mikey! Lo sei!”
“Ma
solo perché mi annoio! È tutto così
noioso. Non c'è nulla da
fare, nessun nemico da battere, nessun progetto malvagio in atto. E
se non abbiamo nessun avversario, che cosa siamo?”
“Tu
di sicuro un piantagrane” gli rispose scocciato il fratello.
“Ragazzi,
adesso basta. Rapporto” li interruppe Leo, con uno sguardo
tagliente.
“Come
Mr. Pacco indesiderato ha detto prima: non c'è nulla da
fare, nessun
nemico da battere. Non abbiamo trovato traccia di attività
sospette
e non c'era nessun segno di loro” rispose Raph conciso,
riportando
con infinita noia il rendiconto della sua nottata di ronda con Mikey
il piantagrane. Che si era voluto fermare per coccolare un gattino
abbandonato che Raph non gli aveva fatto adottare, che si era
allontanato per andare a occhieggiare con desiderio una vetrina di
dolci, che aveva insistito a tutti i costi per prendere una pizza dal
locale all'angolo grazie alle loro tecniche ninja, lasciandosi
ovviamente i soldi dietro, per correttezza.
A
volte si sentiva come se fosse suo padre e non suo fratello. Salvo il
fatto che lui, con un figlio come Mikey, sarebbe uscito completamente
di testa.
“Non
è possibile” esalò Leo, preoccupato.
“Un mese intero senza più
un segno o una traccia... non è da loro!”
“Sembra
quasi che tu sia dispiaciuto. Ti manca il vecchio Hun, Leo? Mh? Senti
nostalgia di quel vecchio, viscido scimmione?” lo
canzonò Mikey,
con un'alzata di sopracciglia derisoria.
“Se
non sai dov'è il tuo nemico è più
difficile sapere le sue mosse”
esclamò il leader, assorto.
“Bella
massima, Splinter junior. Ma non credo che Hun sia davvero sparito. È
di certo nascosto da qualche parte, il bastardo” disse
Raphael,
storcendo la bocca in un un ghigno arrabbiato.
“Sono
d'accordo con te. Il problema è: dove sono finiti lui e i
Purple
Dragons? E cosa stanno tramando, nell'ombra?”
domandò Leo,
scrutando la città, sovrappensiero.
New
York sembrava insolitamente minacciosa, più del solito,
velata da
quel mistero che non riuscivano a dipanare. Per quanto sembrasse
bello da credere, nessuno di loro riteneva vero che un'organizzazione
criminale, potente e temuta come loro, sparisse nel giro di una
notte, senza lasciare alcuna traccia, senza nessuna spiegazione
plausibile.
Erano
come evaporati. La loro base era vuota, un guscio completamente
svuotato se non per le carcasse di moto abbandonate, spranghe
arrugginite e vecchi fustoni di ferro dove avevano bruciato
documenti, a giudicare dall'enorme quantità di cenere
trovata al
loro interno. A rafforzare la convinzione che ci fosse qualcosa di
strano, tutti i graffiti della banda per la città erano
stati
cancellati, sepolti sotto pennellate di vernice, come se non fossero
mai esistiti.
Era
ovvio che c'era qualcosa sotto. Ma cosa? Si erano trasferiti per
perpetrare le loro malefatte in una nuova città? Era stata
una nuova
organizzazione a scacciarli via? Stavano tramando nell'ombra,
raccogliendo forze in vista di un grosso attacco? O semplicemente Hun
si era utopisticamente ritirato dalla malavita, trascinando con
sé
tutta la sua organizzazione?
Nessuno
di loro riusciva a venirne a capo e pattugliare le strade era l'unico
modo che conoscevano per avere informazioni. Eppure per un mese non
avevano fatto altro che girare in tondo come un cane che si mordeva
la coda.
“Ok,
per adesso cerchiamo solo di tenere occhi e orecchie bene aperti.
Sento una minaccia imminente, ma non so quando o dove
attaccherà.”
I
tre fratelli annuirono alle parole del leader, cariche di
preoccupazione. Lo seguirono per un giro a quattro, l'ultimo prima di
ritirarsi al rifugio.
L'alba
non era lontana; un leggero e tiepido lucore in lontananza ad Est
annunciava che non mancavano che poche ore al sorgere del sole,
perciò avrebbero fatto un giro davvero veloce, giusto per
essere
sicuri che non ci fosse niente di sospetto in giro.
Girarono
da tetti a terrazze, saltando su cisterne e fili tesi tra i palazzi,
dal grattacielo più alto all'appartamento più
infimo, concentrati e
silenti, invisibili e silenziosi come ombre nell'oscurità.
Michelangelo ogni tanto spezzava il silenzio con una battute delle
sue, Donatello ne rideva mentre Raphael lo sgridava, tutto sotto lo
sguardo a tratti esasperato a tratti serio di Leonardo.
Non
si poteva certo dire che i rapporti tra di loro fossero rimasti
esattamente quelli di un tempo, per certi versi era meglio per altri
peggio, ma nell'ultimo periodo tra loro si respirava un'aria di
coesione, di lavoro di squadra pulito ed efficiente. Forse
perché
finalmente Leo e Raph avevano smesso di litigare come cane e gatto e
collaboravano molto più volentieri. O meglio, litigavano
ancora, ma
meno spesso e meno violentemente di prima; Raph sembrava essere
maturato abbastanza da sottostare agli ordini di Leo con più
accondiscendenza.
Apprezzava
gli sforzi del fratello di guidare al meglio la squadra e riconosceva
il duro lavoro e la forza che effettivamente ci voleva per essere un
buon capo, per cui, il più delle volte, anche se non era
d'accordo
con ciò che il leader diceva, semplicemente inclinava il
capo e gli
dava fiducia, senza contestare.
Mai
avrebbero creduto che sarebbe arrivato quel giorno. Avevano sempre
tutti pensato che Raph sarebbe arrivato ad autodistruggersi prima o
poi, consumato dalla sua rabbia fino all'osso, probabilmente in
qualche rissa che avrebbe cercato da solo, pieno di alcol fino a
scoppiare.
E
forse sarebbe successo davvero se non fosse stato per lei.
I
ninja corsero verso la direzione della zona industriale, nel quale
non si aggiravano da tempo. E se le loro vecchie conoscenze si
fossero trasferite in uno dei grossi magazzini in disuso nel
'Meatpacking district'? Potevano avere fortuna e trovarli con le mani
affondate in qualcosa di losco. E allora avrebbero potuto prendere
Hun a calci nel suo sederone flaccido, che era sempre un buon
antistress per loro.
Si
fermarono in prossimità delle prime file di magazzini,
scrutando
l'area attorno. L'aria era permeata da un vago sentore dolciastro di
carne andata a male, ma non si preoccuparono più di tanto:
la zona
era stata in passato un grosso centro di lavorazione della carne e
benché si fosse trasformato col tempo in un quartiere famoso
e
rinomato anche per i locali, non era strano che dai vecchi depositi
provenisse ancora l'odore di carne stantia, soprattutto con
temperature calde come quelle a cui dovevano sottostare in quel
periodo.
Decisero
comunque di dare un'occhiata ai posti più sospetti.
“Attenti,
giù” esclamò secco Leo, riparandosi
dietro il parapetto del tetto
del basso palazzo su cui si trovavano.
Sentirono
il vociare sgraziato e vagamente alcolico di un gruppo di ragazzi che
usciva da un locale all'angolo, con un'insegna veramente brillante e
faretti che illuminavano le strade e il cielo notturno.
“Come
pretendono che possiamo essere invisibili se non fanno altro che
mettere insegne e lampioni ad ogni dove?” si lagnò
Mikey una volta
che le voci del gruppetto festivo si furono allontanate.
“Non
che non sia d'accordo, ma non credo che i gestori dei locali tengano
conto dei ninja quando pensano all'illuminazione stradale, sai? Solo
al benessere dei propri clienti” intervenne Don, rialzandosi
insieme agli altri.
“Non
so se sia un bene o un male. Sembra che le strade siano più
sicure,
dato che si vede meglio ciò che succede, ma allo stesso
tempo tutta
questa luce distoglie l'attenzione dalle stradine buie appena
più in
là, dove può succedere di tutto.”
Donnie
annuì, concordando con le parole del leader. Poi quando
quello si
gettò in una corsa verso un magazzino poco distante si
accodò alla
sua scia, insieme agli altri.
Un
flebile rumore metallico arrivò alle loro orecchie, spezzato
di
tanto in tanto da qualche parola. Si bloccarono, prestando attenzione
a ciò che stava accadendo sotto i loro piedi: un grosso via
vai di
muletti carichi di casse che uscivano da un magazzino immerso
nell'oscurità e finivano nel retro di un enorme camion.
C'erano
almeno una ventina di persone. Due di loro coordinavano i lavori,
dieci guidavano altrettanti carrelli elevatori e gli altri facevano
una gran fatica a caricare e scaricare casse, con poche parole e
molte parolacce gridate per imprecare per lo sforzo.
“Pensate
che siano Purple Dragons?” bisbigliò Mikey.
“Io
non vedo nessun tatuaggio, né una toppa a forma di dragone.
Piuttosto, cosa ci sarà dentro le casse?”
esclamò Don,
pensieroso.
“Non
so cosa ne pensiate voi, ma per me basta andare giù,
prenderli a
calci e aprire per scoprire” intervenne Raph con un sorriso
predatore.
“No.
Non sappiamo ancora se sia una cosa illegale. Non possiamo picchiare
chiunque ci sembri sospetto o avremmo già fatto fuori mezza
New
York!”
Raph
abbassò le spalle alle parole del leader, ma con le mani
ancora
strette a pugno, mentre sembrava combattere contro sé
stesso. Lasciò
perdere con un sospiro.
“Va
bene. Per adesso li teniamo solo d'occhio”
acconsentì, con un tono
di voce che sembrava più un ringhio.
Rimasero
in attesa, seguendo il via vai di quei volgari e piccoli uomini che
come formiche si affaccendavano dal magazzino al camion e viceversa,
ininterrottamente.
Mortalmente
noioso.
Mikey
sbadigliò. Don si passò una mano sul collo
intirizzito, mentre
l'altra teneva il binocolo con il quale continuava a tenere d'occhio
di sotto; Raph si dondolava da un piede all'altro, spostando il peso
a volte a destra, a volte a sinistra.
Solo
Leo si manteneva perfettamente immobile, con le braccia conserte sul
petto, senza muovere un muscolo.
Poi,
un guidatore di un muletto fece una brusca sterzata, troppo
avventata, e le casse che trasportava si ribaltarono, rovinando a
terra con un secco rimbombo: le assi della prima si spaccarono con
uno schiocco e il contenuto rovesciò a terra, tra le
imprecazioni
generali.
Don
rise.
Mentre
continuava a guardare la scena con il suo binocolo. Una risatina
leggera, ma davvero sentita.
“Cosa?
Cosa c'è?” domandò curioso Mikey,
provando a strappargli lo
strumento di mano. Don glielo passò di sua spontanea
volontà.
Michelangelo
osservò attraverso le lenti con scrupolo, girò le
rotelle per
regolare lo zoom, una, due, tre volte, sempre più
velocemente... poi
scoppiò in una fragorosa risata. Così forte che
rimbombò dal
tetto fino a sotto, allarmando gli uomini affaccendati a riparare al
danno.
“Mikey!”
lo sgridarono contemporaneamente i tre fratelli, ma senza tuttavia
riuscire a spegnere le sue risate.
Al
di sotto, intanto, gli uomini si erano resi conto della fonte del
rumore e, fermati i lavori, stavano tutti con le facce
all'insù,
guardinghi e furiosi.
“Mikey!
Ci hai fatto scoprire!” gridò Leo, mentre il
fratello continuava a
ridere, semi accasciato contro il parapetto.
“Scu...
scusa. Ma... ma... Pucci!” continuò a ridere,
balbettando le parole
per il troppo ridere.
“Eh?”
esclamarono Leo e Raph, confusi, mentre Don ridacchiava.
“Sono
borse contraffatte di Gucci. Ma contraffatte male... c'è
scritto
Pucci” rivelò il genio, suscitando nuove risatine
nel fratellino.
Dalla
strada arrivarono urla e strepiti, con toni minacciosi.
“Bene,
adesso grazie a Mikey e alle Pucci dobbiamo per forza combattere...
per delle borsette!” si lagnò Raph, incredulo.
“Beh,
il contrabbando e la contraffazione sono comunque reati”
constatò
Don.
Leo
sospirò rumorosamente, quasi un po' affranto.
“Va
bene. Senza armi, ragazzi. Non voglio certo che malmeniate troppo un
gruppo di idioti” esalò, mettendo un piede sul
parapetto, seguito
a ruota dagli altri.
Si
gettarono tutti e quattro nel vuoto, gioendo delle facce sconvolte
degli uomini via via che si avvicinavano al terreno. Mikey
atterrò
alla destra di Don e alla sinistra di Leo, più in
là c'era Raph: i
loro avversari li guardarono con tanto d'occhi, sorpresi e
pietrificati.
“Mostri!”
strillò uno di loro, a cui mancava un dente, in preda
all'isteria.
“Io...
ho sentito parlare di loro. Sono quattro mutanti verdi che escono di
notte a battere i malviventi. Sono veloci, sono forti, sono
spietati”
balbettò un altro, un ragazzetto minuscolo, probabilmente di
nemmeno
quindici anni.
“Hai
dimenticato bellissimi” intervenne Raph, compiaciuto.
“Quindi
siamo una leggenda metropolitana. Forte” chiosò
Mikey,
elettrizzato.
“Sanno
parlare!” gridò lo stesso uomo col dente mancante,
ormai
completamente fuori di sé.
Gli
altri compari erano rimasti in silenzio a valutare la situazione,
occhieggiando preoccupati il loro aspetto e le armi che spuntavano
dalle loro schiene o che pendevano dalle loro cinture.
“Allora,
avete due opzioni: o vi consegnate alla polizia spontaneamente, e ci
evitate un po' di rogne, o ci vediamo costretti a ripassarvi per bene
e poi a mandarvici con la forza” spiegò loro Leo,
con tono
bonario.
“Io
personalmente preferisco la seconda. Scegliete la via dura,
vigliacchi, fatemi divertire” sibilò Raph,
provocandoli.
“Io
non ci torno in galera” esclamò uno del gruppo,
facendosi avanti
con una spranga di ferro nelle mani.
“E
via che si comincia!” esultò Mikey, gettandosi
nella mischia.
“Sono
venti... se la matematica non è un'opinione, e so che non lo
è,
abbiamo cinque avversari a testa” constatò Don,
preparandosi a
combattere.
Un'orda
di uomini si riversò dal magazzino nello spiazzo dove si
trovavano,
tutti armati con mazze e spranghe, alcuni addirittura con coltelli.
“Dicevi,
genio?” soffiò Raph, con i pugni già
alzati.
Leo
stava già combattendo, colpendo i primi due al viso con un
doppio
calcio al volo. Mikey stava scorrazzando di qua e di là,
evitando
colpi alla testa e al viso, centrando nel contempo le loro gambe,
atterrandone quanti più possibile.
Don
lottava da sempre con il Bō,
perciò era abituato ad un tipo di lotta a distanza, ma per
una volta
si gettò a testa bassa, colpendo duro, sentendo le nocche
delle mani
scontrare contro la loro carne, con un primitivo e di certo non
razionale piacere.
La
tattica di Raph era un po' più brutale. Niente schivate.
Nessuna
corsa. Solo pugni chiusi e attacchi forti e decisi, come un incontro
di boxe. Dava persino loro modo di difendersi, sempre che ne fossero
capaci. Di sicuro c'era solo che li buttava giù uno dopo
l'altro,
con sua somma soddisfazione.
Rimase
in piedi solo il ragazzo di quindici anni, tremante, ma ancora ritto
e vigile.
Raph
gli si fece incontro, a grandi e lenti passi. Poi si
inchinò, perché
lo sovrastava di almeno trenta centimetri e il ragazzino doveva
torcere il collo per poterlo guardare in viso.
“Cosa
ci fai qua, moccioso?” domandò, stringendo gli
occhi a fessura.
L'altro
tremò appena, ma non rispose affatto.
“Ti
ho chiesto che cosa ci fa un moccioso come te, di notte, in mezzo ad
un traffico illegale con degli uomini indubbiamente equivoci!”
“Raph,
lo stai terrorizzando!” intervenne Leo, facendo dei passi
verso di
loro.
“Silenzio!
E tu, rispondi!”
“Io...
mio padre si è ammalato e lo hanno licenziato. Io sono il
più
grande dei miei fratelli e devo guadagnare soldi o ci butteranno
fuori di casa” replicò alla fine il ragazzino,
sconfitto.
I
quattro ninja sollevarono le sopracciglia, sorpresi. Raph
sospirò,
stancamente, rialzando la schiena.
“Questi
uomini andranno in galera. Tu invece fili dritto a casa. Domani
mattina andrai alla pizzeria all'angolo tra Kenmare e Mott e ti farai
assumere come lavapiatti. E voglio che continui ad andare a scuola.
Non voglio più vederti in giro di notte, non voglio
più trovarti a
compiere azioni illegali. E stai certo che se sgarri anche solo una
di queste cose io lo verrò a sapere e ti farò
passare le pene
dell'inferno. Sono stato chiaro?”
Il
ragazzino tremolò mentre annuiva, poi sparì come
un
fulmine,
senza nemmeno voltarsi.
“Ci
sai davvero fare coi ragazzini. Chissà perché non
fai l'educatore”
lo canzonò Mikey.
“Come
sai che lo prenderanno al lavoro?” domandò Don,
mentre si dava
un'occhiata distratta attorno, controllando le casse e il contenuto
per essere certo che non contenesse altro, oltre le borsette
contraffatte.
“Uno
dei soci del locale è amico di Casey e so che cercava
qualcuno. Lo
chiamerò e gli chiederò un favore. Almeno quel
moccioso non dovrà
fare cose del genere.”
I
tre fratelli lo guardarono con un sorrisino compiaciuto.
“Che
c'è?”
“Ma
che tenerone il nostro Raphie. Posso chiamarti papà Raphie?
Mh?”
Mikey
si beccò un pugno alla spalla, di rimprovero.
“Ragazzi,
ho finito con la telefonata anonima alla polizia. Possiamo
andare”
si intromise Leo, riportando la calma.
Don
li rassicurò sul fatto che non ci fosse nient'altro nelle
casse al di
fuori delle borsette contraffatte, perciò attesero di
sentire le
sirene delle auto e poi si dileguarono nelle ombre, sparendo nel
primo tombino disponibile.
Percorsero
stancamente le fogne, con sonori sbadigli. Mikey pensava ad infilarsi
nel letto alla velocità della luce. Raph avrebbe di certo
fatto lo
stesso. Leo l'integerrimo sarebbe corso al dojo a meditare.
Don
fu il primo ad entrare al rifugio e si fiondò alla
postazione del
computer, iniziando a digitare alla tastiera come un matto. Gli altri
tre, benché avessero decisamente altri piani, andarono a
controllare.
“Che
fai?” chiese curioso Mikey.
“Sto
annotando tutti gli spostamenti sospetti che abbiamo scoperto
nell'ultimo mese e sovrappongo i dati con quelli raccolti dei Purple
Dragons. Non so se ci sia connessione tra la loro sparizione e i
nuovi gruppi che sembrano spuntare agli angoli delle strade, ma
intendo scoprirlo.”
“Ancora
con Hun. Perché non lo lasciamo stare dove sta?”
si lagnò il
fratellino, di colpo meno attento e svogliato.
“Perché
ovunque sia, lui di certo non ci lascerà perdere”
replicò Leo,
che invece seguiva gli schemi al computer con interesse.
Una
sirena spezzò di colpo il silenzio, un lamento lungo e
prolungato,
mentre una luce rossa lampeggiava proprio sopra la loro testa.
Don la
osservò sconvolto poi le sue mani volarono sui tasti,
componendo
codici ad una velocità prodigiosa: una cartina di rette e
linee che
si intersecavano, si svolgevano, si dipanavano in ogni dove apparve
al posto della cartina di New York che c'era prima.
“Don,
che succede?” esclamò Leo, preoccupato. Il sensei
apparve dal dojo
e gli porse la stessa domanda, alzando la voce per sovrastare il
rumore.
“Un
intruso nel perimetro di sicurezza” esalò il
genio, seguendo con
apprensione un piccolo puntino luminoso sullo schermo, che percorreva
le linee, le fogne della città, con velocità.
“Figliolo,
disattiva almeno la sirena, per favore” pregò il
maestro, le cui
orecchie erano di certo ancora molto sensibili nonostante
l'età.
Don
pigiò un paio di pulsanti e il terribile suono
cessò, ma non la
pulsante luce rossa, che li metteva in guardia.
“Non
sarà Casey? O April o Angel?” provò
Mikey, titubante.
“No.
Loro sanno che devono inserire il codice all'inizio del perimetro di
sicurezza.”
“Potrebbe
anche essere solo un addetto alla manutenzione che è sceso a
riparare una tubatura rotta” continuò il
più piccolo, per cercare
di spezzare la loro tensione.
Riusciva
a sentirla. Riusciva a capire che erano tutti tesi, preoccupati che
qualcuno avesse scoperto ancora una volta il loro rifugio. Le
immagini dell'ultima volta in cui era stato distrutto gli passarono
davanti agli occhi. Non voleva che succedesse ancora.
Il
piccolo puntino continuò a scivolare tra le fogne con
precisa
sicurezza, avvicinandosi sempre di più.
“A
me sembra proprio che stia venendo qui” sibilò
Raph, serrando la
mascella. Sperò che non fosse uno di quegli uomini battuti
prima,
che magari li aveva seguiti senza che loro se ne accorgessero.
“Sensei,
piano di fuga o piano di lotta?” domandò Leo, con
urgenza. Lo
sguardo scivolò verso il loro padre, provando a leggere sul
suo viso
la risposta, ma il saggio ratto sembrava impassibile come sempre.
“Non
voglio abbandonare la nostra casa, per una minaccia fantasma. Vediamo
prima di cosa si tratta.”
Rimasero
in silenzio ad osservare il puntino avvicinarsi sempre di
più, con
una sottile ansia.
Quando
non mancavano che pochi metri, si staccarono dalla piattaforma e si
avvicinarono cautamente alla porta.
“Dovremmo
almeno aprire, no? Non voglio che ce la facciano saltare in
aria”
sussurrò Mikey, come se temesse di poter essere udito.
Leo
annuì, d'accordo con lui, ma prima che potesse dare il via a
Don per
aprire, l'enorme porta del rifugio si sollevò da sola,
lentamente.
Le
mani corsero alle armi, inconsciamente, e i muscoli si tesero allo
spasmo in una silenziosa difesa.
“Avevo
pensato di mandarvi una lettera, ma non credo che il postino vi
avrebbe trovati” esclamò la voce dell'inatteso
ospite.
I
suoi occhi scuri scivolarono sui loro volti, poi ridacchiò,
una
risata improvvisa e delicata, che solleticò le loro menti.
Raphael
conosceva quella risata. L'aveva sognata. Aveva bramato di sentirla
in tutto quel tempo, una volta ancora, una sola.
Ma
non poteva essere vera.
“Isabel?”
soffiò sconvolto davanti al suo sorriso.
Note:
Salve!
Sono
felice di essere tornata.
La
fine della prima storia mi ha fatto sentire piena di soddisfazione,
ma anche triste. Non so spiegarvelo. E l'inizio di una nuova mi
emoziona.
Qui
ci sono complotti, un cattivone, sentimenti, azione e molto altro
ancora. Pronti?
Ringrazio
già fin da ora tutti coloro che la leggeranno.
A
presto!
Abbraccione!
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