Era
stata questione di un attimo.
Un
istante prima tutto era pieno di colori, luminoso, l'aria era
profumata e gli sfiorava il viso come ogni giorno. Poi tutto si era
congelato; anche i suoni che aveva udito tanto perfettamente fino a
una manciata di secondi prima erano svaniti come se non ci fossero
mai stati dal principio.
Si
rese conto che il blocco era durato un attimo, un solo,
insignificante, inutile battito di ciglia, lo spazio miserevole tra
un battito di cuore e l'altro. L'attesa dopo una domanda importante,
l'attesa troppo lunga, terribile, colma di paure e di ansie, di
interrogativi e accuse.
Avrei
fatto meglio a stare zitto, pensò.
Ho
scelto un momento sbagliato, non era questo, si disse.
Il
tempo era pronto a riprendere il suo naturale svolgimento dopo la
risposta che aspettava e per un altro incredibile secondo pensò
che forse ce l'aveva fatta, che lui avrebbe detto qualcosa di bello,
perché provava le stesse cose, era evidente, e tutto sarebbe
finito bene. Doveva finire bene.
Per
questo, quando le parole che infine sentì non furono quelle
che si era aspettato (una minima parte di lui credeva di averle anche
sognate, quelle parole, tanto nitidamente da poterle ripetere a
memoria), il mondo tornò a respirare riempiendosi di luci e
suoni, l'acqua a scorrere nella fontana alle loro spalle, ma i colori
non erano più gli stessi e tutto sembrava aver ripreso a
muoversi nel verso sbagliato, in una realtà parallela dove il
grigio predominava come un tiranno.
«Mi
dispiace», gli rispose con un piccolo sorriso, evitando il suo
sguardo. «Sono davvero felice di piacerti, ma... non credo che
dovremmo stare insieme.»
Si
sentì guardare di sottecchi poco prima di un sospiro.
«In
effetti non voglio che stiamo insieme, Rei-chan.»
Lì
per lì aveva fatto il possibile per mascherare la delusione,
la sorpresa (era innegabile che si fosse illuso, perché Nagisa
era così affettuoso e amabile che tutti i suoi gesti potevano
soltanto averlo portato a certe conclusioni) e il frastornante senso
di aver preso un colpo in testa.
Non
aveva reagito bene a quelle parole. Si era voltato, aveva stretto i
pugni sulla panchina e se n'era uscito con una risata secca,
frettolosa. Nagisa si era scusato un'altra volta, a voce più
bassa.
Rei
lo aveva zittito con un mugolio e se n'era andato.
Ogni
passo lontano da lui, ogni respiro preso dopo quel rifiuto, non lo
aveva fatto stare meglio. I polmoni erano gonfi di un dolore troppo
forte, troppo bruciante e atroce. Era consentito sentirsi così
male per un no? Oh, aveva immaginato quel momento così
tante volte! Avrebbe messo la mano in tasca e ne avrebbe estratto
quel bracciale di fili intrecciati e piccole conchiglie. Glielo
avrebbe messo al polso, come una promessa solenne, poi gli avrebbe
fatto vedere che ne aveva preso un altro identico e che avrebbe
dovuto metterglielo allo stesso modo.
Forse
si sarebbero baciati sorridendo, oppure avrebbero aspettato un po'
anche solo a sfiorarsi le dita.
Le
lacrime avevano tradito Rei in prossimità della stazione.
Volevano
uscire con così tanta forza che non era più stato
capace di trattenerle e le aveva quindi lasciate libere, sbattendo la
spalla contro una salda recinzione.
La
mano davanti al viso, aveva singhiozzato come un bambino. E non
importava se si sentiva bruttissimo, le lenti si erano appannate ed
era profondamente sbagliato reagire in quel modo infantile: Nagisa
non voleva stare insieme a lui e tutto quello che desiderava fare era
piangere.
*
* *
Odiava
l'alcol, il suo odore penetrante, il sapore che si attaccava alla
lingua e non se ne andava nemmeno con una bella spazzolata di denti e
una mentina senza zucchero. Pur detestando quel saporaccio infame,
c'erano occasioni in cui era stato costretto a bere, perché
tra amici si fa così, perché c'è sempre qualcosa
da festeggiare e, anche se non c'è, bere è un modo per
passare il tempo in compagnia attorno a un tavolo e rifiutarsi di
partecipare è scortese.
Non
aveva deciso volontariamente che bere l'avrebbe aiutato. Era ancora
un salutista e uno sportivo, faceva stretching appena saltava giù
dal letto, correva come prima cosa varcata la soglia di casa all'alba
e camminava piuttosto che approfittare di tutte le fermate
dell'autobus.
Si
era soltanto ritrovato invischiato (un po' troppo spesso) in quel
circolo vizioso. Una sera a settimana erano diventate due e alla fine
un'emicrania era quasi meglio che stare a piangersi addosso per altri
affanni decisamente incurabili.
D'altra
parte non sarebbe diventato un alcolizzato e non si sarebbe fatto
venire una cirrosi per qualche birra e bottiglia di sake.
Non
era stato neppure lontanamente volontario farsi scovare da Nagisa,
proprio sotto casa sua, in quello stato deplorevole dopo una delle
tante serate di bagordi.
Erano
passati quasi tre anni da quel pomeriggio di settembre e non stava
certo pensando a lui. Erano rimasti amici, si sentivano e vedevano
ancora, ma dopotutto rompere i ponti con qualcuno come Nagisa era
impossibile. Aveva troppe cose da raccontare, troppi posti da far
vedere, troppe idee strampalate da provare.
Rei
si era comportato in maniera esemplare (ed era stato difficile, certo
che lo era stato) rinchiudendo nel petto tutti i sentimenti romantici
per l'amico: aveva evitato situazioni imbarazzanti, commenti acidi, e
aveva fatto sempre del suo meglio per non dire frasi strane, per non
riversare addosso a Nagisa un amore che non voleva e che l'avrebbe
solo messo a disagio. Tuttavia era abbastanza sicuro sapesse che non
gli era mai passata del tutto e si comportasse, di conseguenza, con
riguardo. A volte Nagisa lo osservava in modo troppo tenero, quasi
indulgente, e aveva smesso di saltargli addosso alla minima occasione
favorevole.
Ecco,
se Rei avesse saputo che tra loro sarebbe finita così, che
avrebbe perso quegli abbracci violenti e le sue mani protese per
rubargli gli occhiali, sarebbe rimasto zitto fino alla tomba. Poche
cose gli mancavano come il suo tocco improvviso e il profumo delle
caramelle alla fragola che mangiava in quantità industriali.
Prima,
quando gli stava attaccato al braccio, quel profumo dolce, mentre
parlava a macchinetta, gli annebbiava i sensi.
Aveva
perso anche quello.
«Rei-chan?»
Nagisa
lo aveva visto dalla finestra della sua camera.
Ultimamente
si era messo in testa che l'astronomia era una materia talmente
interessante che avrebbe voluto possederne ogni minima conoscenza
disponibile. Si era comprato un telescopio professionale e passava
le serate a casa a scrutare il cielo. (Quanto aveva lavorato per
mettere i soldi da parte! Ma Nagisa era fatto così, si
entusiasmava facilmente e partiva per la sua strada come un razzo
fuori controllo.)
Stava
osservando le stelle conosciute oppure era alla ricerca di qualche
nuovo astro, Rei non ne aveva idea; sapeva soltanto che Nagisa si era
scostato dalla lente e aveva guardato in basso, distratto dalla
sensazione di essere a sua volta fissato.
Rei
se ne stava appoggiato con le spalle al muretto fiocamente illuminato
dal lampione, il viso all'insù, la testa vuota, i pensieri
troppo ingarbugliati e leggeri per avere un senso. Gli piaceva
sentirsi così, privo di logica, incapace di connettere e
inseguire ragionamenti bui. Forse stava davvero diventando
alcolizzato. C'era voluto qualche anno, ma alla fine la tristezza
poteva aver vinto.
Se
fosse stato sobrio sarebbe scappato in quel preciso momento. Beh, se
fosse stato sobrio non si sarebbe nemmeno trascinato come un sacco
sotto casa Hazuki, a dirla tutta. Invece era rimasto lì, ad
aspettare che Nagisa scendesse, che lo raggiungesse, che gli toccasse
il braccio e gli chiedesse se andava tutto bene.
Era
cresciuto in altezza in quegli anni. La sua voce, soprattutto, era
maturata, ma era sempre lo stesso ragazzo che gli faceva battere il
cuore solo standosene lì in silenzio. Il solo, l'unico, il
primo amore, l'ultimo viso che avrebbe voluto vedere la sera prima di
chiudere gli occhi sul nulla.
Rei
aveva aperto la bocca per chiedergli perché. Una
domanda semplice, ma piena di complicazioni e nuove ferite con cui
fare i conti.
Forse
Nagisa era innamorato di una ragazza bellissima e dolce con cui non
avrebbe mai potuto competere. O peggio, Nagisa era innamorato di un
altro ragazzo, qualcuno che conosceva anche lui. Rei avrebbe puntato
su Haruka, per l'ammirazione che aveva sempre dimostrato nei suoi
confronti, ma non avrebbe escluso a priori gli altri due del gruppo.
Quello
che importava era che non amava Rei, il resto poteva anche andare a
farsi fottere.
E
dire che, prima di Nagisa, prima che quel rompiscatole entrasse nella
sua vita, scuotendo le fondamenta certe dei suoi programmi accurati,
tutto aveva avuto un senso. C'era la scuola, c'erano i suoi hobby,
c'era un futuro bellissimo e pieno di gratificazioni. Una famiglia,
probabilmente, ma molto più avanti negli anni.
Perché,
voleva chiedere al ragazzo che ora lo fissava con occhi preoccupati a
pochi centimetri di distanza.
Perché
non lo amava, prima di tutto, in che cosa era manchevole, in cosa
poteva rimediare.
Perché
la sua vita non sembrava avere importanza come prima.
Perché
non c'era modo di andare avanti e superare quel rifiuto legittimo,
pensando ad altro, magari trovando una persona che gli avrebbe voluto
bene. Aveva respinto così tante ragazze (e anche qualche
ragazzo), in quegli anni, che aveva perso il conto. Chissà se
tra loro c'era stato qualcuno che sarebbe valso la pena conoscere
davvero.
Non
l'avrebbe mai saputo. Non gli importava. Specialmente adesso, mentre
si lasciava cadere addosso a Nagisa e lo circondava goffamente con le
braccia, un sorriso sciocco in volto.
«Stai
con me», aveva biascicato. «Stai con me.»
Aveva
promesso di non arrecargli fastidio, ma aveva fallito. Aveva
resistito un po', ma non andava bene cedere in quel modo, alla fine.
Vanificava ogni sforzo precedente, giusto?
Ridicolo,
senza dubbio, e patetico.
Qualcun
altro lo avrebbe sospinto via, infastidito dall'odore, e gli avrebbe
gridato addosso di andarsene a casa a dormire. Un amico lo avrebbe
probabilmente accompagnato a casa, tra pietà e rassegnazione.
Nagisa
lo prese tra le braccia e, con una forza che non si aspettava, lo
trascinò dentro casa, su per le scale e infine in camera sua.
Rei
pensò che lo avrebbero fatto. Follemente, senza alcun senso
logico (Nagisa lo aveva chiaramente respinto, non aveva ragione di
pensare a sesso di conforto), si immaginò scagliare sul letto
e prendere da lui con i vestiti addosso. Qualcosa di sbrigativo, un
po' brusco, doloroso. Nagisa sembrava il tipo da poterlo fare.
Aveva
sempre posseduto una certa sensualità, celata sotto un visetto
angelico. Anche se aveva cercato di non pensarci, era finito talvolta
a domandarsi quanto intensi potessero essere i baci e quanto violente
le carezze di un Nagisa disinibito.
Nonostante
l'alcol in corpo, Rei provò una fitta di vergogna quando
Nagisa rifece la sua comparsa con una tazza di caffè forte e
una bottiglietta d'acqua naturale.
Certo,
era suo amico. Lo aveva trovato a pezzi e voleva aiutarlo, ma non
sarebbe stato disposto a dargli l'unica cosa che davvero voleva solo
perché era in quello stato. Non gli avrebbe dato il suo
calore, non gli avrebbe offerto il primo posto in quel cuore
grandissimo che possedeva.
«Dormi
qui, Rei-chan, sei sfinito.»
Annuì,
fermandosi dal rispondere in modo avventato bevendo un generoso sorso
di caffè, ma la risposta era nel suo cervello, tenace come
muffa, e non riusciva a mandarla via.
Per
questo, una volta posata la tazza sul comodino, lo aveva guardato con
occhi liquidi e aveva detto l'unica cosa che non avrebbe dovuto dire
mai.
«Ti
amo, Nagisa. Dormi con me.»
Ti
amo, dove voleva dire che lo aveva sempre amato e lo
avrebbe amato per sempre.
Dormi,
dove voleva dire che avrebbe voluto fare l'amore con lui anche solo
una volta, per tentare di annullare il peso di quel vuoto interiore.
Patetico.
Se
avesse saputo che sarebbe finita così, che si sarebbe sentito
tanto solo, dopo il suo rifiuto, se avesse saputo prima che Nagisa
avrebbe preso le distanze di sicurezza (per non ferirlo, questo era
chiaro, non certo per disgusto), mai avrebbe rivelato i suoi
sentimenti scomodi.
«Rei-chan.»
Nagisa
aveva smesso di sorridere in quel modo dolce, comprensivo, e gli
aveva preso il viso tra le mani.
«Non
sarebbe giusto.»
«Chi
se ne frega?»
Che
non sarebbe stato giusto era vero. Non sarebbe stato tante cose,
soprattutto non sarebbe stato definitivo e non sarebbe servito a
guarirlo, ma sarebbe stato bello e speciale: come rinunciare al
calore, come rinunciare a essere scaldati poche ore, quando c'era
ogni giorno tanta amarezza e quel gelo che sembrava diffondersi
ovunque partendo dalle ossa?
Era
sempre stato così intenso il suo amore per Nagisa? Era sempre
stato così disperatamente necessario? Persino in quello stato
Rei sentiva che quando erano insieme, seduti vicini come in quel
momento, tutto sembrava girare nel verso giusto, come se Nagisa
andasse a completare un rompicapo lasciato a metà.
«Rei-chan.»
Le
labbra di Nagisa sul dorso della sua mano, caldissime come se avesse
la febbre.
«Non
voglio che stiamo insieme.»
Di
nuovo quelle parole, piene di una tristezza ancora più
profonda della sua.
Era
possibile essere più addolorati della persona respinta? Non
era più facile dire di no piuttosto che sentirselo
sbattere in faccia?
Rei
sfilò la mano dalla sua presa e strinse le braccia dietro la
sua schiena.
La
testa girava di meno, stare seduto lo aiutava. Il cuore era un
tamburo senza controllo, ma la colpa era tutta di Nagisa, l'alcol non
c'entrava.
«Non
cambierai mai idea?»
C'era
altro che avrebbe voluto chiedere.
Qual
era la persona ideale per Nagisa? Avrebbe fatto di tutto per
avvicinarcisi, avrebbe cambiato le sue abitudini, si sarebbe reso più
interessante, meno noioso, meno serio, meno puntiglioso e pignolo.
Avrebbe cambiato modo di vestire, di camminare, di parlare, di
pettinarsi. Voleva essere migliore, voleva essere perfetto, lo aveva
sempre voluto, fin da bambino, ma per Nagisa avrebbe fatto
l'impossibile e avrebbe reinventato completamente il se stesso che
non andava bene.
Chiedergli
di cambiare sarebbe stato crudele e ingiusto, perché alla fine
non avrebbe amato il vero Rei, ma una riproduzione adattata ai suoi
gusti, però... a quel punto, era importante?
Come
se Nagisa avesse seguito quel corso di pensieri, le sue mani gli si
strinsero tra i capelli e la bocca si accostò all'orecchio.
«Rei-chan,
sei bellissimo. Sei perfetto. Non devi bere più, però
il resto va bene.»
Era
riuscito a farsi scappare una risata per quella conclusione quasi
imbronciata, ma poi era tornato serio, perché Nagisa aveva
detto l'impensabile.
«Non...
è vero», si schermì, abbassando lo sguardo e
arrossendo.
Come
poteva esserlo? Come poteva vederlo così? Non era innamorato
di lui e l'ultima cosa di cui aveva bisogno erano complimenti vuoti,
complimenti da amico.
Nagisa
era scivolato via, gli aveva preso le gambe e le aveva accompagnate
sotto le coperte, finendo per avvolgere l'intero corpo di Rei come un
involtino. Senza una parola, solo con uno sguardo triste, talmente
triste che non gli si addiceva per nulla.
Rei
volse gli occhi da un'altra parte, un dolore insopportabile nel
petto. Era ingiusto far stare male anche lui, se ne rendeva
perfettamente conto.
Lasciò
fluire le lacrime direttamente nel cuscino, chiudendo le palpebre
quando le mani di Nagisa si fecero strada per sfilargli gli occhiali
e metterli sul comodino. Senza dire nulla, ancora, aveva preso posto
nel letto e l'aveva stretto da dietro premendogli la testa tra le
scapole.
Rei
continuava a sentire dolore, ma un po' meno pressante. Averlo vicino
lo confortava, anche se non era suo e non lo sarebbe mai stato. Anche
se non gli avrebbe mai regalato un anello e non avrebbero mai
ordinato una torta improponibile con grassi pinguini di pasta di
zucchero rosa per il loro fidanzamento.
Cercò
le sue mani, artigliate al maglione sul petto. Le strinse forte e le
portò fino alle labbra per baciarne le nocche, senza smettere
un solo secondo di piangere silenziosamente.
*
A
mattino inoltrato Rei si stiracchiò sul fianco con espressione
serena. La fronte era leggermente aggrottata, ma le labbra erano
incurvate in un mezzo sorriso.
Nagisa,
ancora addormentato, era rimasto premuto contro la sua schiena.
Aprendo
gli occhi ci mise qualche tempo a capire perché la stanza
sembrava diversa dal solito, ma soprattutto era curioso sentire
quelle fitte alla testa e allo stesso tempo stare divinamente.
Abbassò
lo sguardo e scostò le coperte, trovando le mani di Nagisa sul
suo maglione. Portava il solito anello d'acciaio al pollice, ma
avrebbe comunque riconosciuto quelle mani ovunque.
Rei
le sfiorò con timore, preoccupato di aver detto qualcosa di
sconveniente che non riusciva a ricordare, ma cosa poteva aver fatto
a parte rinnovargli i propri sentimenti, immutati dai tre anni
passati da quando glieli aveva rivelati? Il peggio che avrebbe potuto
chiedergli era di fuggire con lui da qualche parte e sposarsi, il
meno era di fare l'amore.
Perciò,
sicuramente, aveva detto entrambe.
Si
voltò piano, stringendo i denti per le onde di malessere al
cervello, finché non trovò quel viso e si mise a
fissarlo con immensa calma.
Dietro
quei lineamenti (belli, perché Nagisa era stato, fin dal primo
momento, ai suoi occhi, incredibilmente bello) c'era la persona che
amava. La persona per cui avrebbe fatto e dato tutto. E che non lo
voleva, se non come amico.
Rei
si rasserenò. Si arrese, in un certo modo, sapendo che non
sarebbe riuscito a scacciare il dolore.
Poter
restare al suo fianco era davvero molto, come aveva potuto non
vederlo? Come aveva fatto a non capire che era già tanto
fortunato a poter dormire al suo fianco in quel modo?
Cos'avrebbe
fatto da quel momento in poi? Gli sarebbe stato vicino, certo. Gli
sarebbe stato amico come prima, ridendo insieme, prendendolo in giro
e facendosi sfottere a sua volta. Ci sarebbe stato quando Nagisa
avrebbe amato o quando sarebbe diventato padre.
Continuava
a fare male, non riusciva a ingannarsi così bene. Lo uccideva
immaginarlo felice insieme a qualcun altro, eppure, da qualche parte,
c'era un Rei buono e ragionevole che gli stava cercando di dire che
l'importante era che Nagisa avesse quello che desiderava, sempre.
Gli
sarebbe stato accanto e lo avrebbe vegliato, guidandolo nei problemi
di tutti i giorni. Non era necessario che Nagisa vedesse ancora
quanto soffriva, gli avrebbe solo avvelenato la vita.
Rei
si avvicinò e gli baciò i capelli, annusandolo con
lentezza. Prese a coccolarlo piano, cercando un contatto che era
mancato, si era affievolito fin quasi a sparire.
Lo
tenne tra le braccia, contento della vicinanza, grato per la sua
semplice esistenza.
Un
bacio dopo l'altro arrivò alla fronte e finì per
disturbarlo, facendolo mugugnare. A quel punto si ritrasse, ma non
smise di accarezzargli il braccio, gli occhi fissi alle sue palpebre
chiuse.
«Rei-chan»,
bofonchiò con voce impastata, e lo fece sorridere perché
sembrava ancora un ragazzino.
«Sono
qui», si ritrovò a dire stupidamente.
Nagisa
lo spiò, quindi richiuse gli occhi e abbozzò un
sorriso.
«Stai
meglio.»
Rei
annuì, anche se non era stata una domanda. Se stava meglio era
solo grazie a lui, alla dolcezza con la quale l'aveva raccolto dalla
strada come un cane randagio e lo aveva portato al sicuro, al caldo.
Adesso
si rendeva conto che se fosse accaduto qualcosa tra loro, qualcosa di
improvviso e disperato, il suo cuore sarebbe stato in pezzi. Non
avrebbe retto un'emozione così immensa per poi doverla
abbandonare.
«Ho
deciso», sussurrò, salendo con la mano a sfiorargli i
capelli e spostando le ciocche bionde, scombinate, dalla tempia.
«Che
cosa, Rei-chan?» Nagisa si stiracchiò con le gambe,
lasciando un braccio di traverso sul suo fianco.
Era
bello che non lo allontanasse, che non gli togliesse la mano dal viso
per fargli capire che quel contatto era fastidioso. Al contrario,
sembrava apprezzarlo, e Rei era felice. Non da morire, ma quasi.
«Ti
starò sempre accanto. Così. Non voglio niente di più.»
Non
erano parole sincere, perché Rei voleva qualcosa di più
e non sarebbe mai riuscito a negarlo con abbastanza bravura. Poteva
censurare le mille dichiarazioni sdolcinate che gli salivano alle
labbra, poteva contenere l'istinto di strizzarlo come un tubetto di
dentifricio, ma non poteva proprio smettere di guardarlo con occhi
pieni di adorazione.
«Voglio
dire che non sarò un peso», si spiegò meglio.
«Non ti farò preoccupare, Nagisa. Non mi passerà
mai, ma andrò avanti.»
A
quella frase Nagisa aprì gli occhi di scatto. La sua
espressione era strana, indefinibile, a metà strada tra
sconvolgimento e paura.
«Non
ce la faccio più, Rei», piagnucolò.
Si
spinse in avanti per ficcare la faccia nel suo maglione, così
forte che gli tolse il respiro. Lo strinse tra le braccia e aumentò
il senso di oppressione al petto, privandolo della possibilità
di cercare ossigeno in maniera naturale.
Solo
in quel momento Rei si accorse che Nagisa stava piangendo e nel giro
di pochi istanti stava addirittura singhiozzando. Immediatamente lo
avvolse e prese a sfregargli la nuca con il palmo, agitato, chiamando
il suo nome così tante volte da sembrare un disco rotto.
Non
sapendo bene cosa fare per calmarlo, rimase a tenerlo abbracciato,
dondolando appena, mormorando il suo nome con meno frequenza fino a
zittirsi, in attesa che la crisi passasse da sola. Per sfinimento o
per altro, prima o poi avrebbe smesso di piangere e gli avrebbe detto
qualcosa, gli avrebbe spiegato come mai era scoppiato in lacrime.
Provò
a calmarlo con tutte le sue forze, poi adocchiò la
bottiglietta d'acqua sul comodino e il bicchiere. Si allungò,
ne versò un poco e cercò di offriglielo, impacciato.
Nagisa
singhiozzò ancora un paio di volte, prese il bicchiere e si
mise seduto, mostrandogli solo le spalle tremanti. Guardandolo da lì
sembrava così piccolo, così fragile, le ossa delle
scapole in vista sotto il tessuto leggero della maglietta gialla. Non
lo ricordava tanto magro.
Toccò
una di quelle ossa e si mise seduto a sua volta, ignorando il senso
di fastidio della camicia stropicciata dietro la schiena. Prese a
scivolare con la mano su e giù, in ampie e calde carezze,
finché Nagisa non appoggiò il bicchiere vuoto sul
comodino e non lo fissò con un occhio solo, parzialmente
voltato, curvo sulle ginocchia portate al petto.
«Rei-chan»,
mormorò, la voce debole, roca, incredibilmente seria e
sofferente. «Lo sai come mi sono sentito quando hai detto che
mi amavi?»
Infastidito,
avrebbe voluto rispondere, ma sapeva che non era così.
I
suoi occhi color ciliegia avevano brillato di una luce vividissima,
tanto che era stato convinto gli sarebbe saltato al collo, arrabbiato
per avergli rubato la confessione e non avergli permesso di essere il
primo a dire le cose come stavano, chiarificando il loro rapporto.
Per
questo era stato incredibile sentirsi respingere. Era stato così
certo di essere ricambiato, fino all'ultimo secondo di silenzio.
«Eri
felice», sussurrò, suonando come un vecchio brontolone.
Nagisa
annuì e tornò a sprofondare tra le ginocchia.
«Ero
davvero, davvero felice. Allo stesso tempo, sapere che tu eri
innamorato di me mi ha riempito di angoscia. Lo sai perché?»
Era
una domanda retorica, perché mai Rei avrebbe potuto
immaginarselo, per quanto credeva di conoscerlo bene. Rimase in
silenzio, le sopracciglia aggrottate, teso verso di lui e in attesa
del seguito.
Non
aveva smesso di accarezzarlo, anche se Nagisa non singhiozzava più.
Di tanto in tanto vedeva il suo polso muoversi e capiva che si stava
sfregando la mano sugli occhi per portare via le lacrime più
recenti.
«Sei
l'unica persona che non posso lasciare andar via, Rei. Sei l'unico
che non posso permettermi di perdere. Sono fatto così: sono un
ragazzo noioso, appiccicoso e le persone si stufano di me. Solo voi
mi siete sempre stati sinceramente amici, ma non sai quanti mi hanno
lasciato indietro. Se... se dico a Rei-chan di amarlo, se accetto
di stare insieme a lui, quanto tempo passerà prima che mi
getti via? Quanto ci vorrà prima che i suoi sentimenti si
spengano e mi veda come un peso? Quanti giorni splendidi potrò
passare vicino a lui prima che mi allontani?»
Rei
ascoltava, gli occhi grandi per lo sconcerto.
Di
tutto quello che Nagisa, il sorridente ed esuberante Nagisa, quello
pieno di vita e sempre pronto a sparare cazzate, poteva pensare,
questo era impensabile. Improponibile. Nagisa non poteva
assolutamente produrre certi pensieri...
«Se
io e Rei non stiamo insieme, io e Rei non potremo mai lasciarci»,
sussurrò, sparando un riflettore nel cervello di Rei,
chiarendo con un concetto assurdo il perché di un rifiuto
crudele.
Nagisa
lo amava, probabilmente più di quanto lui non amasse Nagisa.
Quanto
aveva sofferto? Quanto era stato più difficile, per lui che
sapeva di essere amato, opporre un rifiuto netto? Quanta forza gli ci
era voluta per negarsi la felicità?
«Sei...
sei... sei un grandissimo idiota!»
Rei
sentiva di nuovo gli occhi lucidi, le lacrime sulle guance,
impossibili da fermare. Era così furioso, così
meravigliato e stanco. Avrebbe voluto picchiarlo e ridurlo a un
ammasso semovente di gelatina bionda, ma avrebbe anche voluto baciare
il suo viso fino a consumarsi le labbra.
Erano
emozioni così potenti da lasciarlo senza fiato.
Si
riscoprì a tremare con le mani in grembo, due maracas di carne
che vibravano, gelide, senza emettere suono.
«Se
non sto con Rei non posso perderlo», ripeteva Nagisa,
dondolandosi in avanti a testa china. «Non mi lascerà
mai e lo avrò sempre vicino...»
«Smettila!»,
sbraitò di nuovo.
Scattò
e lo chiuse tra le braccia, tirandolo indietro per farlo stendere,
anche se era una pallina di arti rigidi e intrecciati. Lo costrinse a
sciogliere quel nodo, a sdraiarsi interamente su di lui per farsi
bloccare con braccia e gambe.
«Sapevo
che eri stupido, ma non addirittura idiota!»
Nagisa
era inerme, il viso nascosto nella sua spalla, le braccia lungo i
fianchi. Anche se avesse voluto stringerlo di rimando non ci sarebbe
riuscito, perché Rei lo stava praticamente soffocando.
«Na-Nagisa»,
ansimò, la bocca tra i suoi capelli, gli occhi chiusi,
brucianti per le troppe lacrime.
Rei
ricordava di aver patito molti tipi di affanno. Batticuori furiosi,
strazi senza fine, sfarfallii teneri e ridicoli, presse che finivano
per fargli scricchiolare anche le costole. Ma quel tipo di dolore era
così struggente e profondo che non aveva precedenti, non alla
sua memoria. C'era tutto, in quella tempesta di colpi e ruggiti
insostenibili.
Nagisa
era un idiota, lui era stato ancora più ottuso a non capire,
ad arrendersi senza farlo parlare, senza rassicurarlo e convincerlo
prima dell'assurdità di quelle preoccupazioni. Non erano paure
infondate e ridicole, ma erano follia pura se riferite a lui,
perché mai e poi mai si sarebbe sognato, un giorno, di gettare
via Nagisa. Quel ragazzo era tutto ciò che voleva, avrebbe
lottato contro il mondo intero per stare insieme e farlo sorridere. E
se da adolescente quel sentimento poteva sembrare un timido fiore,
pronto a chiudersi alla prima incomprensione, ora, dopo tutto quel
dolore e quello scrutarsi dentro fino allo stremo delle forze, era
pronto a mettere la mano sul fuoco sull'eternità e sincerità
di quell'unione.
Il
suo amore era nato piano, in sordina, un piccolo seme trasportato da
un soffio di vento caldo. Adesso lo sentiva forte, stabile, un albero
dalle radici profonde, i rami protesi al cielo alla ricerca della
luce che solo Nagisa poteva offrirgli.
Sicuramente
ci sarebbero stati autunni e inverni, l'albero si sarebbe stancato di
essere sempre carico di foglie verdi e brillanti, ma la primavera
sarebbe tornata regolarmente, perché le radici erano così
saldamente affondate nella terra da opporsi a ogni tentativo di
abbatterlo.
Rei
raccolse tutto il suo coraggio e allentò la presa,
improvvisamente conscio di essere sul punto di spaccarlo in due.
«Sposami entro la fine dell'anno.»
Lo
sentì fare un balzo, cercare di spostarsi per guardarlo in
faccia, ma Rei era al colmo dell'imbarazzo, come se fossero ancora
sulla panchina, in un tiepido pomeriggio autunnale, e fosse pronto a
confessarsi per la prima volta.
Lo
tenne contro il petto, affogando lo sguardo tra il cuscino e le
piccole onde dei suoi capelli.
«Solo
così non mi perderai mai.»
Incredibilmente
la voce uscì tenera, dolce come avrebbe dovuto essere, ferma.
Sarebbe
bastato vivere nella stessa casa, non era necessario sposarsi per
rimanere insieme, ma Rei era stanco di incertezze e cose a metà,
era arrabbiato e aveva bisogno di fargli capire quanto fosse serio.
Sarebbe
stata questione di tempo, comunque, prima di proporglielo. Tanto
valeva togliersi il pensiero e legare a sé quello stupido
insicuro travestito da spensierato.
Nagisa
l'aveva ingannato bene. Solo saltuariamente gli era venuto il dubbio
che nascondesse qualcosa, in fondo al cuore, che i suoi sorrisi non
fossero sempre sinceri e che deviasse lo sguardo quando c'era qualche
ombra che voleva non fosse vista. Era bravo a fingere, anche a negare
l'evidenza, ma Rei non glielo avrebbe permesso mai più. Lo
avrebbe amato, sarebbe stato la sua forza, sarebbe stato quell'albero
e avrebbe dato a Nagisa il motivo per brillare.
«Se
rifiuti, io-», cominciò, senza sapere bene come
minacciarlo.
Nagisa
spostò la testa dalla sua spalla e lo interruppe con un bacio.
Un contatto improvviso, incredibilmente morbido, una pressione
leggera che gli mandò scariche violente in tutto il corpo.
Sentì
distintamente la punta delle dita formicolare, mentre un calore
meraviglioso cominciava a invaderlo partendo dalla bocca.
Nagisa
lasciò libere le sue labbra e si asciugò ancora una
lacrima con una nocca, gli occhi bassi.
«Se
sposo Rei... stiamo insieme per sempre?»
Poteva
davvero essere così carino? Così carino e stupido? Una
combinazione mortale.
«Di
più.»
Gli
prese il viso tra le mani e lo avvicinò di nuovo per baciarlo
su ogni centimetro di pelle, mentre il peso doloroso che lo aveva
annientato per anni sembrava sollevarsi come per magia.
«Allora
si può fare», ridacchiò Nagisa sotto la tempesta
di baci, un suono debole e tremante.
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