Creando me stessa..

di Lara Rye
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Rebecca era nuda davanti allo specchio.
Era li da almeno un ora. Si guardava attentamente, osservava ogni particolare.
La sua mente percorreva strade senza senso.
Sognava, sperava, giocava con essa scaturendo ciò che era veramente.
Un animale. Non una persona perchè una sedicenne è una persona solo se non ha una pancia che fa scaturire alle persone a lei vicine, domande.
Domande che penetrano attraverso alla pelle e arrivano fino a quella cosa chiamata cuore.
Domande come: Per caso sei incinta?
Domande che la mente non cancellerà mai. Domande perfide e con un unico grande scopo.
Ferire per non lenire mai più.
Con una mano si toccò piuttosto violentemente il seno.
Era l'unica cosa del suo corpo che la rendeva umana fisicamente.
Era bello, sodo e della giusta dimensione per la sua età.
Bello come poche l'avevano eppure questo non l'aveva aiutata, non l'aveva ripagata del suo grande sbaglio: il cibo.
Il cibo per lei era qualcosa da inghiottire per cercare di non essere innondata da ciò che le faceva più paura.
Era una cosa che l'atterriva, la terrorizzava, l' immobilizzava. Era il dolore. Mangiando si manteneva schifosa agli altri.
Fare schifo agli altri era un modo per non morire schiacciata da quell'onda anomala che cercava di investirla ogni giorno.
Così aveva imparato a ingoiarlo.
Lo buttava giù. Semplicemente.
Lei la chiamava soppravvivenza, le persone accanto a lei la chiamavano morte interiore.
Si girò e vide quelle lunghe e rosse striature lungo le sue due grandi cosce.
Erano parte del suo corpo dall'età di sette anni.
L'età in cui aveva incominciato ad entrare in quella che che alcuni chiamano dipendenza dal pensiero altrui.
Se ne era liberata a dodici anni quando cambiò totalmente e da Becks divento Rebecca.
Rebecca era una ragazza che non voleva niente dalla vita.
Una che credeva nella presenza costante del dolore e del lento abbondono di tutte quelle cose che rendeno una persona, viva.
Gioia, spensieratezza, ironia, speranza, timore, paura, felicità e amicizia.
Restò ancora lì, davanti a quello specchio a guardare il proprio corpo.
Capì che in esso cercava qualcosa che ancora non aveva trovato, non era entrato in lei e non era stata gettato via da lei.
Quella cosa aveva un nome. Si chiamava stima.
E probabilmente la cercò nell'unica cosa in cui era certa di non poterla trovare.
Eppure la trovò proprio li, in quell'insieme di pelle e lardo.
La trovò nelle gambe floccide e grasse, nella cellulite presente, nel culo piatto, nel seno bello e nella pancia da premaman.
Ma soprattutto la trovò vicino al suo seno, in una cosa che non poteva vedere ma che poteva sentire.
Pronunciò quella parola ad alta voce.
"Cuore" .. Il suono di quella parola era dolcissimo.
Una lacrima solcò velocemente il viso di Rebecca.
In quel giorno, nel giorno dei suoi diciasette anni Rebecca si era resa conto di essere viva e di non farsi schifo.
Si piaceva. E questa fu la cosa più bella che le potesse capitare: iniziare a vivere.
Veramente, con intensità e gioia.
Era viva. Lo ripetè piu volte, lo gridò.




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