La fuga

di Ciuffettina
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Per secoli l’arcangelo Gabriel era stato considerato il messaggero di Dio, anche se poi era sempre stato Metatron a spedirlo di qua e di là con messaggi ostici e sistemi per portare a termine le missioni assurdi, ma ora?
Il loro Padre se n’era andato improvvisamente, senza nemmeno lasciar detto dov’era andato, quando e, soprattutto, se sarebbe tornato.
Da quel momento i rapporti con i suoi fratelli erano peggiorati: Lucifer era stato rinchiuso nella Gabbia da Michael che ora girava con armatura e spada, sbraitando ordini a destra e a manca; Raphael era diventato talmente isterico che faceva, letteralmente, a pezzi tutti quelli che avevano la malaugurata idea di andare a trovare il profeta che stava proteggendo; Uriel era felice solo se succedeva qualche disastro ambientale o guerra che sterminasse un buon numero di quelli che lui chiamava “scimmie senza peli”.
La tensione in Paradiso aveva toccato vertici inimmaginabili, Gabriel se lo sentiva nelle ali: presto sarebbe scoppiata un’altra guerra angelica a cui, stavolta, non aveva alcuna intenzione di partecipare.

Che cos’altro poteva fare? Cadere?
No, gli piaceva troppo essere un arcangelo e usare le sue bellissime sei ali (mica due, eh!) per volare.
L’unica era trasferirsi e nascondersi sotto un’altra identità, per un attimo pensò di aggregarsi agli abitanti dell’Olimpo ma poi lasciò perdere: tutti gli dei erano fratelli o figli o amanti di Zeus e lui, sinceramente, non poteva essere alcuna delle tre cose, in più la cucina greca era proprio pessima, inoltre era ancora troppo vicino alla Palestina per i suoi gusti. E perché non gli dei nordici? “Speriamo solo che su al nord abbiano dolci buoni” pensò prima di sparire.




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