Storia
scritta per la challenge "Otto fandom e una valanga di prompt" indetto
da Kuma_cla
Il Libro
Percy Weasley aveva molte convinzioni.
Negli anni alcune erano cambiate, altre erano rimaste.
Non era un tipo facile e il primo a rendersene conto era proprio lui. La sua
ambizione, spesso malcelata, lo rendevano un personaggio privo di
simpatia per questo si era sempre sentito diverso in famiglia.
Lui, il meno chiacchierone e solare, che ci faceva in una famiglia di
primedonne? Così ligio al dovere che rifiutava persino cose
che nell'intimo desiderava poter fare.
Una certezza, però, lo accompagnava da una vita; per Percy i
libri erano la chiave della conoscenza. Ne aveva letti tantissimi
durante gli anni ad Hogwarts, ancora di più durante i primi
anni il Ministero. Quella tradizione venne sospesa quando la
guerra piombò nella sua vita e lo gettò nella
disperazione più totale.
Si sorprese, quando quel pomeriggio piovoso, sentì
l'urgenza di entrare in quella piccola libreria Babbana vicino a casa.
Assaporò l'odore della carta e con lentezza si mise a
camminare fra gli alti scaffali, i Babbani erano piuttosto bravi nel
colorare le copertine e Percy dovette ammettere con sé
stesso che avevano anche gli scrittori migliori.
Trovò un libro colorato e con un carattere simpatico, lo
sfogliò e decise di prenderlo. Lo avrebbe letto qualche ora
dopo, seduto sul divano con accanto Audrey che sfogliava il giornale o
suonava qualcosa al piano. Si diresse alla cassa dopo aver
controllato di possedere una quantità di denaro Babbano
sufficiente, notò un piccolo libro azzurro.
“Le sfide del
Papà”
Sorrise.
Due settimane prima, Audrey gli aveva confessato di avere un ritardo
“troppo ritardo”
e con il cuore in gola, da dietro una porta avevano scoperto che era
incinta.
Era stato a lungo perplesso e non riusciva, nonostante amasse l'idea di Audrey madre, a vedersi padre in un futuro prossimo. Cosa
avrebbe detto a quel bambino? Cosa gli avrebbe insegnato?
Lui che era riuscito a voltare le spalle alla sua di famiglia e a
tornare troppo tardi?
Quei pensieri lo tenevano sveglio fino a tardi, non si capacitava della
sicurezza di Audrey nell'affermare che se la sarebbero cavata.
Come se l'erano cavata in guerra, se la sarebbero cavata anche con un
neonato, diceva lei con tono sicuro.
Prese quel libro azzurro e lo appoggiò insieme all'altro
alla cassa.
La donna in servizio gli fece le congratulazioni e gli
sistemò il sacchetto personalmente.
Uscì dal locale e non si accorse di aver lasciato
l'ombrello dentro, doveva correre a casa, aveva qualcosa da leggere.
“Le sfide del
Papà” gli occupò gran
parte del suo tempo libero.
Non appena Audrey scompariva in città la domenica mattina, lo tirava fuori dall'armadio e leggeva.
Aveva imparato che i neonati non riescono a vedere bene, che sono
attratti dai colori sgargianti e dai giocattoli rumorosi, che si
calmano se riconoscono la voce dei genitori, che vanno accuditi in
orari precisi che si dilungano man mano che crescono.
Sottolineava con cura i passaggi più importanti, scoprendo
l'importanza dell'ambiente di crescita del neonato e dei complessi di
Edipo ed Elettra che all'inizio lo avevano scandalizzato. Con il
passare delle settimane, riuscì a vedersi padre, una
visione sbiadita ma era qualcosa in più rispetto a prima.
Una volta finito il libro, decise che un po' di pratica con la piccola
Victoire non gli avrebbe fatto male, quella bimba dai capelli biondi e
gli occhi vispi dei Weasley era tranquilla e adorava infilarsi
qualunque cosa luccicasse in bocca.
Quando la famiglia seppe la lieta notizia, venne sovraccaricato di
informazioni da chiunque, persino da Ron che scapolo e senza figli
aveva teorie strampalate.
Percy assorbiva tutto e poi andava a verificare, cercando di dividere
le cose più importanti dalle cretinate dei fratelli.
Convinse la compagna ad andare ai corsi pre-parto per Babbani e nella
borsa infilava il libro azzurro, che sfogliava non appena l'infermiera
aveva finito, rifiutando persino il caffè e qualche
pasticcino del piccolo buffet per i neo-genitori. La sera massaggiava
la schiena di Audrey e parlava al pancione con una confidenza che
spesso metteva in imbarazzo la donna, discorrendo di decreti
legislativi magici e riforme statuarie.
Lentamente si riappropriò della lettura, come tempio della
conoscenza, incominciando a riempire il modesto appartamento di libri.
Mai avrebbe pensato di ricevere un altro schiaffo morale da una sua
convinzione.
Pranzò a casa con Audrey che gli aveva preparato un zuppa
leggera e un gustoso secondo di carne.
L'aveva baciata a lungo e accarezzando il ventre prominente
più del solito. Stava diventando difficile separarsi da loro.
Si era recato in ufficio sereno e si era buttato in alcune pratiche per
il Ministro degli Affari Esteri.
Verso le cinque, ricevette un pezzo di pergamena dal vecchio gufo della
tana.
Sua madre lo invitava a correre verso l'ospedale babbano. Audrey non stava bene.
Un angolo del foglio era macchiato di sangue e non poté fare
a meno di boccheggiare spaventato.
L'aveva vista poche ore prima, stava bene.
Anzi benissimo e sembrava tranquilla. Quel giorno non aveva le prove
con l'orchestra e si sarebbe limitata a starsene a casa e a suonare un
po' nel pomeriggio. Dovevano cenare fuori e passeggiare un po'.
Non era possibile, non era previsto, non c'era nemmeno un capitolo del
genere in quel libro azzurro.
Sangue.
C'era tanto sangue.
Sangue sulle mani di Audrey.
Sangue su quelle di sua madre.
Sangue nella sala operatoria da cui era stato sbattuto fuori.
Sangue sulle sue scarpe.
Sua madre era rimasta seduta per tutto il tempo accanto a lui, il volto
fisso per terra, le labbra tremanti. Fu a lui a stringerla a
sé, spazzando con un gesto anni d'incertezza e di prudenza.
Non poteva essere grave, vero?
Insomma, Audrey era una roccia, durante la guerra i guaritori non
riponevano molte speranze, ma lei era tornata più forte dal
coma. Era indistruttibile. Era una dura, lei.
Albeggiava quando la rivide, pallida e tremante, sdraiata in un letto
troppo bianco.
Le toccò una guancia e le baciò la fronte.
Lei si passò una mano sul ventre e rabbrividì
notandolo sgonfio.
Ora che parole doveva usare Percy? In quello stupido libro non vi erano
state riportate e lui non sapeva come dirglielo.
Era piccola.
Se ne stava sdraiata in una scatola di vetro, accerchiata da medici e
infermieri.
Starà bene,
dicevano.
Qualche settimana in
incubatrice e tornerà a casa, gli sussurravano.
Non si preoccupi signor
Weasley, lo consolavano.
Quando tornò a casa solo, perché la barba aveva
incominciato a crescere, i vestiti puzzavano e gli occhi erano
cerchiati di blu, pressato dalla famiglia e dalla voce flebile di
Audrey, trovò il libro sul comodino con un segno in mezzo.
Accese il camino con la bacchetta e lo guardò bruciare
pagina per pagina.
Si addormentò così sul divano, con gli occhi
chiusi ma ancora fissi sul camino.
Audrey gliela avvicinò e la posò fra le sue
braccia.
Il primo abbraccio.
Guardò quelle mani perfette, i ciuffi rossi e gli occhi che
si aprivano al mondo.
Una bimba curiosa, si ritrovò a pensare.
Con un dito percorse il taglio delle sue gambe vispe che scalciavano
l'invisibile.
Audrey si sporse e gli baciò la guancia.
Per un attimo il suo pensiero volò al libro bruciato,
nessuno scrittore poteva descrivere la sensazione di avere fra le
braccia la tua creatura. Il tuo sangue.
Sorrise alla bambina e passò il dito sul piccolissimo naso.
Nessun libro poteva preparare il cuore a una sensazione del genere.
La piccola Molly sembrò approvare la sua riflessione e con
uno scatto afferrò il suo dito, facendo ridacchiare il padre
che sentì la tensione di quei mesi scivolare via.
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