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Nell’Italia
del diciannovesimo secolo, in un territorio confinante con il Regno
di Sardegna, il conte Giuseppe Miroglio attendeva con impazienza la
nascita del suo primo erede. Che fosse maschio o femmina poco gli
importava. Desiderava solo la sua salute.
-Conte!Conte!...-
urlò Caterina -Conte… il
momento è giunto, vostra
figlia è nata!-
Il
conte, al colmo della gioia, corse più veloce che poteva per
andare
dalla sua adorata moglie.
–Amore
mio- disse appena arrivato –Come stai? Va tutto bene?- la
contessa
sorrise affettuosamente al consorte e gli ripose
–Sì
mio caro…- e puntando lo sguardo verso una piccola culla con
un
gran fiocco rosa sopra disse – La nostra piccola …
prendila in
braccio per favore… vorrei vederla…-.
Il
conte, un po’ agitato, si avvicinò alla culletta e
ciò che vide
gli riempì il cuore di felicità…
c’era una piccola testa che
spuntava fuori da una copertina rosa… la contessina aveva la
testolina piena di capelli biondi e degli occhietti spalancati blu
oceano…
Il
conte, nel vederla, si commosse e, mentre la stava portando a sua
moglie, disse – Isabella…-
–Come
caro… cosa stavo dicendo?- chiese la contessa, mentre il
marito le
porgeva il fagottino
-Il
nome della piccola sarà Isabella.- Il conte non scelse a
caso quel
nome, volle chiamare cosi sua figlia perché essa aveva
portato luce
nella sua vita: dopo anni di tentativi falliti e dopo aver quasi
perso le speranze di avere un erede, il miracolo era accaduto e la
contessa rimase incinta della piccola creatura che ora stringeva fra
le braccia.
La
contessa posò lo sguardo prima sul marito e dopo sulla
principessa
–Isabella… Isabella è un bellissimo
nome per la nostra piccola…
tu che ne dici eh…- disse mantenendo sempre lo sguardo sulla
bimba
che sorrise nel sentire il nome.
-Così
sia! - esclamò il conte – tu ti chiamerai
Isabella.-
La
contessina, già al momento della nascita, mostrava sul viso
una
straordinaria bellezza, non quella tipica delle principesse, ma una
particolare, che fece restare ammaliati tutti i nobili che la videro.
La piccola Isabella aveva gli stessi occhi del padre: verdi, come i
prati delle loro terre, e i capelli della contessa, biondi, quasi
come il colore dell’oro… il viso era tondo e
roseo, con le guance
di un salutare rossore, pareva quasi avesse le tonalità che
hanno le
mele mature…
***
Intanto
nelle cucine del palazzo la servitù stava festeggiando la
nascita
della contessina… -Sono molto felice per il conte e la
contessa-
disse Anna, una delle loro più fide domestiche, - Dopo tanto
tempo
anche loro hanno un piccolo angelo.-
-
Non capisco cosa ci sia da agitarsi tanto- disse il piccolo Roberto,
il figlio di Anna, - È solo nata una bambina… non
è niente
d’eccezionale!-.
Roberto
era un bambino magrolino, malgrado, però, il suo aspetto
gracile
possedeva una forza inviabile per la sua età. I suoi occhi
erano
come quelli del padre, che purtroppo era morto a causa di una
polmonite poco dopo la sua nascita, avevano una tonalità
compresa
tra il blu mare e il verde delle foglie in primavera, i capelli,
invece, erano quelli della madre Anna, donna molto forte che si fece
coraggio dopo la morte del marito per il figlio e si mise al servizio
del conte per assicurargli una casa e un pasto ogni giorno, li aveva
neri come la pece. Roberto era un tipo molto solare, adorava
scherzare ed era simpatico a tutti quelli che incontrava, ma sapeva,
malgrado avesse solo quattro anni, anche quando era il momento di
smettere di scherzare ed essere seri.
-
Hai ragione amico mio- lo appoggiò Diego, della
stessa età
dell'altro bambino, e da sempre suo migliore amico. Fin da quando la
madre del altro venne a lavorare al castello. Diego e Roberto avevano
passato ogni singolo giorno insieme fino a diventare come fratelli.
Diego
era il nipote della signora Caterina, la governante della casa, alla
quale era stato assegnato il compito di fare da balia alla
principessa appena nata. Era anch’egli magrolino, aveva i
capelli
neri con dei riflessi blu alla luce e gli occhi color smeraldo,
entrambe qualità avute dalla madre, mentre somigliava al
padre
nell’aspetto fisico e nel carattere, molto solare e
scherzoso,
aveva sempre una battuta divertente e adatta all’occasione.
Purtroppo era a conoscenza di ciò solo tramite sua nonna: i
genitori
morirono quando lui era ancora in fasce e non aveva avuto occasione
di conoscerli.
-
Chiudete il becco entrambi!- li rimproverò il cuoco Maffeo,
un uomo
sulla quarantina burbero e molto severo; non perdeva occasione per
rimproverare i due ragazzini o per criticare i suoi sottoposti
– Se
vi sentisse il conte… sareste in guai serissimi!-
-
Scusaci Maffeo.- dissero all’unisono i due bambini, non in
tono
molto pentito, – Non lo diremo più.-
-Sarà
meglio…- e con questa frase Maffeo mise la
parola fine al
discorso.
-Comunque
continuo a trovare tutto questo esagerato...- sussurrò
Roberto, non
appena l'uomo voltò l'angolo.
La
piccola contessina cresceva e si stava lentamente trasformandosi in
una piccola lady, ma i sovrani, temendo per la sua
incolumità,
decisero di non farla uscire di casa per nessun motivo, a meno che
non fosse in loro compagnia o, comunque, con qualcuno di cui si
fidassero ciecamente.
All’età
di tre anni la piccola si avventurò per la prima volta al di
fuori
del castello, ritrovandosi nell’immenso giardino reale,
composto da
un considerevole numero di querce centenarie, piantate in quel luogo
dagli antenati del conte, da molti cespugli di rose e di altri fiori.
Anche se non molto esteso, il giardino sembrava una giungla in
miniatura, proprio a causa di questo la contessina prese la strada e
non riuscì a tornare indietro.
Presa
dallo sconforto e dalla paura, dopo aver corso per un po’
cercando
di tornare a casa, s’inginocchiò e si mise a
piangere –Mamma...
Papà... dove siete...- disse, tra le lacrime.
Agli
occhi della piccola la foresta sembrava piena di mostri….
All’improvviso udì uno sfruscio di foglie da
lontano…. Poi uno
strano rumore provenire dall’altro…. Le parve di
sentire
l’ululato di un lupo e il rumore dei suoi passi…
ad un tratto non
sentì più niente, dal troppo spavento svenne.
Non
si riprese che dopo alcune ore, a svegliarla fu la voce di un
bambino, la quale non le fu del tutto estranea, perché,
anche se non
era mai uscita dalle stanze reali, aveva già avuto modo di
udire la
sua voce all’interno del castello.
Aprì
lentamente gli occhi… da prima vide tutto
sfocato… poco a poco la
vista divenne nitida e vide un ragazzino dai capelli neri, che la
guardava preoccupato.
-Contessina...
contessina… dite qualcosa… State bene?- disse il
ragazzino,mentre
la stava delicatamente scuotendo per le spalle, nel tentativo di
ottenere una risposta.
La
piccola, che si stava lentamente riprendendo, riuscì
solamente a
fare cenno di sì con la testa e a dire- Mmhh...-.
Il
ragazzino, sentendosi sollevato, la prese in braccio e la
riportò al
castello, dove i sovrani erano preoccupatissimi e stavano quasi per
ordinare alle guardie di andare e cercare la contessina, quando
sentirono bussare alla porta…
Toc…...toc….
-Chi
è?- chiese il conte, con tono preoccupato.
-Sono
Roberto Vostra maestà… vi prego di farmi
entrare…- rispose il
ragazzino, con tono rispettoso.
-Spero
che sia una cosa importante ragazzino… oggi non ho tempo da
perdere
e…… Santo Cielo!- esclamò il conte
vedendo il ragazzino entrare
con in spalla qualcosa, anzi per meglio dire qualcuno…
Alla
contessa vennero le lacrime agli occhi –La mia
bambina…. –
disse- dove l’hai trovata Roberto?- chiese mentre
si
precipitava a prendere la sua piccola,
-Era
in giardino… quando l’ho trovata era
svenuta… non so cosa sia
successo…- rispose il piccolo intanto mentre consegnava la
contessina tra le braccia della contessa.
–Roberto
sei il salvatore di mia figlia…- disse il conte per
ringraziarlo –
Ti sarò infinitamente grato per questo tuo gesto…
chiedi ciò che
vuoi e ti sarà dato!- aggiunse, infine, il conte.
Il
ragazzino, lusingato dalle parole dette dal conte, disse
–Vostra
maestà... sono lusingato dall’onore che mi
concedete, ma non
desidero nulla che non abbia già. Non ho salvato la
contessina per
ottenere una ricompensa, ma solo perché era mio dovere per
la bontà
con cui avete trattato mia madre prendendola a servizio da voi,
quando n’aveva bisogno… sono io a dover
ringraziare voi
piuttosto.- alla fine del suo discorso il bambino fece un inchino ai
padroni.
–Che
ragazzino ben educato…- disse la contessa al piccolo
– tua madre
deve essere molto fiera di te… sei un vero gentiluomo-
concluse la
donna accarezzando affettuosamente i capelli del bambino, che divenne
rosso dall’imbarazzo.
–V-Vi
ringrazio contessa…. C-così mi fate
arrossire- disse
Roberto, sempre più rosso e imbarazzato al punto da non
riuscire a
guardare la regine in faccia. Lei sorrise affettuosamente e
portò la
piccola contessina nella sua stanza, lasciando il conte in compagnia
di Roberto.
Quando
furono soli il sovrano disse al ragazzino – Roberto le tue
parole
mi hanno colpito… mi sarei aspettato una richiesta tipica da
bambino e, invece, mi hai dimostrato di essere quasi un
adulto…
anzi nemmeno gli adulti avrebbero resistito alla tentazione di
soddisfare un capriccio… ricordati ciò che ti sto
per dire: se in
futuro ci sarà qualcosa che desideri domanda a me e ti
verrà
concesso!- il conte rivolse lo sguardo al ragazzino, che fece ceno di
sì con la testa.
–Vi
ringrazio per la vostra bontà conte… - il
ragazzino sapeva che la
parola del conte valeva più di qualsiasi garanzia, essendo
il conte
un uomo che non si rimangiava mai la parola data e con un eccezionale
memoria per le promesse fatte al suo personale.
Il
conte si avvicinò a Roberto e gli stinse la mano, proprio
come
avrebbe fatto con un uomo adulto. Il piccolo ricambiò la
stretta –
Scusate Maestà… ma ora devo proprio
andare… la mamma mi starà
aspettando - disse inchinandosi al sovrano per congedarsi.
-Bene..
puoi andare.. e grazie ancora piccolo…- disse il
sovrano con
un dolce sorriso sulle labbra, trasmettendo al piccolo uno stano
calore, ma anche uno strano senso di tristezza, forse perché
quel
sorriso sarebbe stato uguale a quello che gli avrebbe fatto suo padre
se fosse stato ancora vivo e avesse saputo quello che aveva fatto. Il
piccolo, quando uscì dalla stanza per avviarsi dalla madre,
aveva le
lacrime agli occhi.
***
Giunto
in cucina trovò sua madre intenta a sbucciare le patate per
la cena…
- Roberto, ma dove sei stato?… sei sparito per delle
ore… cos’è
tu e Diego avete fatto di nuovo arrabbiare Maffeo e siete scappati
per nascondervi?- disse la donna, usando un tono non preoccupato, in
quanto abituata alle sparizioni del figlio, ma dolce, quello che solo
una madre sa fare, non appena lo vide entrare nella stanza.
Anna
era una donna non molto alta e di corporatura normale, gli occhi
erano castani, mentre i capelli erano neri come la pece, una delle
poche qualità che aveva trasmesso al figlio, in quanto
somigliante
al padre sia nell’aspetto fisico sia nel carattere.
Il
piccolo corse ad abbracciare la madre... – No questa volta
Maffeo
non c’entra… avevo voglia di fare un giretto nel
giardino… e
per fortuna che l’ho fatto perché se no era ancora
là per terra…-
rispose il piccolo alla madre, che fu confusa quelle parole e smise
il lavoro.
-Chi
era ancora lì?... C’era qualcuno?- chiese, con un
poco di
preoccupazione mista a molta curiosità, Anna al figlio.
–Mamma…….
Non mi hai sempre detto di non essere troppo curioso? Che non era
educato?- disse il piccolo con un sorrisino sul visetto simpatico,
che si tramutò ben presto in una smorfia di
dolore… La madre gli
aveva tirato un pugnetto sulla testa
–Come
ti permetti di rivolgerti a tua madre in questo modo ragazzino!?-
disse la donna, con ancora il pugno alzato accanto al viso, mentre il
piccolo si era piegato sulle ginocchia e si teneva la testa con le
mani..
–Ahi..Ahi…
Mamma….Mi hai fatto male…. Ahi ahi
ahi…- si lamentò il
piccolo, sempre nella stessa posizione – Va bene!-
esclamò,
terminando la sua piccole scena e tornando serio - Era la
contessina.. si era persa nel giardino, io l’ho trovata e
l'ho
portata dai conti… pensa un po’ il conte voleva
offrirmi una
ricompensa….Ma io...-
-Una
ricompensa!- lo interruppe Maffeo, che era appena entrato,
perciò
aveva sentito solamente l’ultima parte del discorso, - Spero
che tu
abbia chiesto al conte di potertene andare… così
da non fare più
disperare il povero Maffeo- Malgrado queste parole, Maffeo amava sia
Diego che Roberto come se fossero suoi figli. Mai avrebbe creduto di
poter provare simili sentimenti per dei mocciosi.
-No…
ho chiesto al conte di mettere sia me che Diego alle tue dipendenze,
così dovremmo stare insieme a te ogni singolo minuto di ogni
singolo
giorno, per il resto della tua vita…- disse sorridendo
Roberto a
Maffeo, mentre si stava prendendo un biscotto da mangiare, il quale
gli fu sottratto a due centimetri dalla bocca proprio
dall’uomo.
-Questo
lo potrai avere dopo che avrai finito il tuo lavoro … invece
di
bighellonare tutto il giorno tu e il tuo amico dovreste pensare a
lavorare… - disse il capo al piccolo – La vita
è dura e si deve
iniziare a darsi da fare fin da piccolo. Quando sarai grande non
potremmo sempre esserci noi a darti da mangiare, dovrai guadagnartelo
con il sudore della fronte. Mi ricordo che ai miei tempi il cuoco mi
avrebbe frustato o inseguito con la scopa se non avessi obbedito ai
suoi ordini. Al giorno d’oggi, invece, i ragazzini non hanno
più
rispetto per nulla: giocano senza ritegno tutto il giorno trascurando
il lavoro e non capendo il privilegio di poter, in un mondo di ladri
come il nostro, trovare ancora una persona gentile pronta ad
offrirtelo...- Maffeo aveva iniziato a fare la paternale a Roberto,
il quale, appena se ne accorse, sgattaiolò fuori dalla
cucina e andò
in cerca di Diego per raccontargli ciò che gli era accaduto.
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