Bolle

di Drosophila Melanogaster
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Bolle d'aria, finti respiri, salgono in superficie lentamente.
Apro gli occhi, l'azzurro è quasi trasparente, il sale brucia le iridi di cristalli verdognoli.
Torno al buio. Non avrei mai immaginato la discesa così dolce. Così maledettamente morbida.
Atterro su un cuscino di rose e cardi spinosi. Atterro, attorniata da rovi di more. Taccio, dormo.
Le spine conficcate nella pelle non fanno male, non le sento, quasi. Non sono nemmeno certa che siano spine. Forse solo aghi, sono atterrata su un materasso di puntine. Ci faccio l'amore sopra, sanguino e urlo, ma fuori non mi sentono.
"Pazza", non è la parola giusta.
"Speciale", sembra una presa per il culo. So cosa sono, so che non sarei dovuta arrivare così avanti. Sono il rigetto dell'utero di mia madre, deforme, ma con il cervello intero. Nata morta, resuscitata prima del tramonto. Sembrava impossibile che quei piccoli polmoni potessero trasformarsi in potenti mantici. Che il mio piccolo cuore potesse muovere litri di sangue senza scoppiare. E invece eccomi qua, divisa da loro da un vetro spesso, su quello che mi sembra un letto di puntine da disegno.
Vedo ciascuno di loro gridare al miracolo. "Oggi muove le gambe, domani le braccia, ieri ha detto una parola." Vi insultavo, non sapete che quel rantolo era un vaffanculo. È ora di risalire. Sento che l'ossigeno sta finendo. La mia bombola è vuota, respiro vapore di cianuro.
Allungo le braccia verso il sole. Quel grande sole bianco e limpido. Lo voglio prendere. È talmente bello, vorrei che fosse mio.
Vado su, spingo forte con le piante dei piedi contro il tappeto di rose. E l'aria mi acceca.
Immobile, una statua di sale. Il miracolo è finito.
Mi prendono, mi mettono su una carrozzella. Ho gli occhi aperti e assenti.
Fisso dritto avanti a me senza vedere nulla. Davanti al mio sguardo ci sono ancora le bolle, aria benigna.




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