08 Ricordi
Quel giorno Spike aveva lavorato alla proiezione del pomeriggio e si
ritrovava con la sera completamente libera e Guy a casa di Danielle a
cena. Se proprio vogliamo chiamarla
"cena" ridacchiò sommessamente mentre si apriva una lattina di
Harp. Era certo che Guy non avrebbe nemmeno mangiato tonno in scatola a
casa di quella ragazza; in compenso, lui avrebbe potuto farsi
comodamente i fatti propri fino alla mattina successiva e guardare
tutto quello che voleva in TV, senza che nessuno gli dicesse che alle 10 c'era il suo sceneggiato preferito.
Afferrò l'ultimo pacchetto maxi di patatine alla salsa Worcester e si
lanciò sul divano, allungandosi appena verso la sponda per raggiungere
il telecomando, gioendo interiormente per non doversi subire Fawlty
Towers almeno quella sera. Stava mettendosi comodo, con il gomito
affondato in un cuscino ed il pacchetto aperto e coricato al suo
fianco, pronto ad immergersi nella visione di un bel poliziesco quando
bussarono alla porta. Mugolò, parecchio infastidito, e prendendo in
braccio le patatine si avviò verso l'ingresso; a pochi metri dalla
porta affondò la mano aperta nel pacchetto, si riempì la bocca e poi
abbassò la maniglia, già pronto ad insultare Guy perchè aveva
dimenticato le chiavi e ad imprecare perché Danielle era dovuta correre
in ospedale per qualche urgenza, compromettendo così la sua serata di
cazzeggio solitario. Invece rimase parecchio sorpreso nel trovarsi
davanti Ginger, con i capelli umidi ed il mozzicone di una sigaretta in
bocca: «Che ci fai qui?»
«Mi hai dato tu il tuo indirizzo, te n'eri dimenticato?» il ragazzo gli
sventolò sotto il naso il volantino arancione che teneva spiegazzato
nella tasca interna della giacca.
«No, solo non ti aspettavo proprio adesso» quindi niente film nemmeno
stasera. Spike si sentì leggermente dispiaciuto: È paradossale! Faccio il proiezionista ma
non guardo nemmeno una pellicola durante il turno; forse dovrei
iniziare a farlo... ma alla fine decise che la compagnia del
suo vecchio compagno di scuola era decisamente migliore di qualsiasi
film.
Ginger entrò nell'appartamento, scrutandone le pareti rivestite di una
vecchia carta da parati, a tratti un po' ingiallita, e decorata da
qualche poster di musicisti o di donne mezze nude messo in posizione
strategica per coprire dei buchi. Ridacchiò e si mise a guardare Spike,
con la bocca piena di patatine: «Beh, non è certo Buckingham Palace».
Il cantante inarcò le sopracciglia, stupito dal modo di fare superiore
di Ginger: «Non posso nemmeno permettermelo Buckingham Palace. Però
sono in zona strategica, vicino ad un sacco di locali» deglutì
rischiando di ingozzarsi «tu dove abiti ora?».
Il ragazzo scostò un po' d'aria con il dorso della mano: «Uhm... zona
British Library. Sì, King's Cross».
Camminò lungo il corridoio, verso il soggiorno; Spike lo studiò da
dietro, guardando la sua giacca grigia muoversi ad ogni passo.
L'aspetto fisico di Ginger non era cambiato granché negli ultimi anni:
sempre i soliti capelli color mogano, sempre gli occhietti color
nocciola e quello sguardo un po' da volpe e sempre quel fisico alto e
smilzo. Eppure c'era qualcosa di nuovo in lui; non l'ho mai visto fare quello
superiore... o quello spocchioso. Magari mi sbaglio, però...
«Non è che mi daresti una manciata delle tue patatine?» gli urlò dal
divano su cui si era lanciato.
Spike arricciò le labbra, poi si diresse perplesso e con passo lento in
cucina per prendere una ciotola in cui versare dentro il contenuto del
sacchetto. Mentre prendeva un'altra birra dal frigo si ritrovò a
pensare: bah... magari sono solo io
che sono un po' fuori fase stasera. Ma Ginger che scrocca così
bellamente è troppo strano. Per tutto il tempo che si erano
frequentati, quindi dalla prima
elementare fino a quando non ho fatto la valigia per venire nella
capitale, Ginger era stato un amico fedele, tranquillo,
divertente e soprattutto discreto. «Allora
Ginger? Tutto bene?» gli chiese dalla cucina mentre prendeva le
patatine e la birra per lui.
«Non c'è male, bello... sempre la solita vita».
Spike appoggiò gli snack sul tavolo del salotto; improvvisamente gli
ritornò alla mente la scena di Ginger che discuteva con il poliziotto
nel vicolo attiguo al Dark Crimson Velvet. Silenzioso, diede un sorso
alla sua birra mentre allungava una lattina ancora chiusa all'amico;
decise di iniziare il discorso facendo un giro molto largo: «L'altra
sera eri anche tu al concerto dei Dogs D'Amour?».
Ginger si riempì la bocca di patatine: «Sì, sono arrivato verso metà.
Non sono male»
«Sono bravi» lo corresse Spike un po' piccato «e sono anche miei amici».
Ginger sorrise con la bocca piena di birra: «Hai gli agganci giusti
tu!». Il cantante corrugò le sopracciglia, non capendo dove l'amico
volesse andare a parare. Ginger continuò: «Sai, ho appena perso il
lavoro qui a Londra»
«Oh cacchio, mi dispiace...»
L'amico lo interruppe: «Risparmiati le frasi di circostanza Spike. A me
non dispiace per nulla, invece, aver perso quell'impiego; mi faceva
abbastanza schifo lavorare come lavavetri per un'azienda di periferia,
rischiando di cadere dall'impalcatura ogni giorno e venendo pagato una
miseria» si accese una sigaretta «E sapere che hai degli amici
musicisti è una figata, perchè io voglio entrare in una band».
Spike rimase spiazzato da quell'affermazione: «Non sapevo ti sarebbe
piaciuto suonare»
«Infatti è circa un annetto che ho imparato a suonare la chitarra, ma
devo dire che me la cavo abbastanza bene».
In quel momento, il cantante ebbe un'idea; vediamo cosa sa fare. Fece il giro
del salotto e recuperò la sua chitarra: «Dai, fammi sentire qualcosa».
Ginger sorrise mentre Spike, sedendosi di fronte a lui, gli porgeva lo
strumento; controllò velocemente che fosse accordato, poi iniziò ad
improvvisare una linea blues.
Il cantante rimase ad ascoltarlo, quasi ammaliato, mentre l'amico
fischiettava un'ipotetica linea vocale che accompagnava il riff. Ad un
certo punto lo bloccò: «Niente male bello, non male davvero... di' un
po', ma come mai ti è venuta voglia di imparare a suonare?».
Ginger fece spallucce: «In realtà è una cosa che mi è sempre
interessata, anche se non mi ci sono mai applicato. Ho iniziato a
suonare più "seriamente" da quando te ne sei andato. Ho perfino avuto
una band per poco tempo».
Spike annuì e diede una sorsata abbondante di birra mentre lo ascoltava.
Ginger proseguì: «È stata un'esperienza fulminea, non abbiamo fatto
granché. Abbiamo suonato giusto in qualche pub; il nostro sogno più
grande era riuscire a suonare almeno al Mayfair di Newcastle; anche
come gruppo spalla».
A Spike si illuminarono gli occhi: «Il Mayfair?». Quasi gli si strinse
lo stomaco nel sentire quel nome e tutti i ricordi ad esso abbinati:
«Ti ricordi quanti concerti abbiamo visto lì dentro insieme?».
«Sì» il ragazzo fece un cenno affermativo mentre si accendeva una
sigaretta «ed anche tutti i venerdì sera passati lì dentro».
«Dio mio!» Spike buttò la testa all'indietro, passandosi una mano sulla
fronte: «Te la ricordi Lilianne? Che faceva sbarellare tutti e non la
mollava mai a nessuno?».
«Con tutti i sogni erotici che ci siamo fatti su quella morettona
davanti a una birra, potremmo veramente scriverci un libro» Ginger
scoppiò a ridere, appoggiandosi alla cassa della chitarra «Per non
parlare invece di quel cesso di Rebecca che si strusciava addosso a
tutti ma nessuno la voleva».
«Quella era un incubo! Ti ricordi la sera del concerto degli UFO? Noi
che continuavamo a scansare Becky per vedere le bocce di Lily che
andavano dolcemente su e giù mentre lei ballava?».
«È l'unica cosa che ricordo lucidamente di quel concerto» Ginger tirò
un'altra boccata dalla sigaretta «oltre a Rebecca attaccata alla
mia gamba con un alito che poteva far resuscitare un morto».
Scoppiarono entrambi a ridere, con la testa riversa all'indietro e la
pancia quasi dolorante. Le urla riempivano l'appartamento, rimbalzando
sulle pareti rivestite di carta cadente e rotolando fuori dalla
finestra semiaperta nella notte scura e umida.
Ad un tratto, Ginger si alzò in piedi e, impugnando la chitarra, si
arrampicò sul tavolino, assumendo una posizione da perfetto guitar
hero: «C'era Paul Chapman con la paletta puntata verso il pubblico, che
ti guardava con gli occhi di fuoco e poi faceva strillare la chitarra».
Cercò più che poté di far sentire il suono delle corde curve della
chitarra acustica sotto il suo medio.
Spike si unì al gioco, salendo in piedi sulla poltrona davanti
all'amico: «Sì, e Phil Mogg che indicava il pubblico e diceva: "Grazie,
grazie a tutti! Siete grandi!"».
Ginger alzò le mani al soffitto, mimando la massa della gente
sottostante il palco ed aprendo la bocca facendo uscire un sordo soffio
d'aria; poi, sempre continuando ad impersonare Paul Chapman: «E ora DJ
tocca a te! Facci saltare per tutta la NOTTEEEEEE!». Mise le mani sul
manico della chitarra e cominciò ad improvvisare un riff, allargando le
gambe e facendo scivolare sul pavimento la ciotola delle patatine.
Spike lo maledisse infinite volte mentre balzava giù dal divano per
raccogliere il suo snack preferito, malamente sparso a terra ed ormai
irrecuperabile; aveva una dannata voglia di mangiare quelle patatine,
ma prima Ginger gliele aveva rubate malamente dal sacchetto e poi
gliele aveva rovesciate tutte a terra. Però, più ascoltava quel giro e
più quella linea lo prendeva e lo caricava. Al diavolo le patatine. Alzò gli
occhi verso l'amico che era nascosto dietro una massa movimentata di
capelli mogano e gli chiese: «Che canzone è?»
«Boh» Ginger fece spallucce «improvvisata adesso. Immaginavo me e te
appesi a due bicchieri di birra che scuotevamo la testa e saltavamo».
Il cantante strabuzzò gli occhi sbalordito: «Cioè… ti è uscita così,
senza pensarci troppo?».
Ginger fece una smorfia: «Non ti piace?»
«Al contrario!» Spike balzò in piedi «Suonala ancora… però andiamo di
là». Gli fece strada fino alla camera, dove la chitarra elettrica di
Guy ed il suo amplificatore lo aspettavano appoggiati al muro. Spike
fece cenno con la mano all’amico di prendere lo strumento; Ginger non
se lo fece ripetere due volte. Si mise orgoglioso la Fender a tracolla
e, intanto che il Marshall scaldava le valvole, sistemò l’accordatura;
poi suonò di nuovo il riff di pochi minuti prima. Se sulla chitarra
acustica gli sembrava quasi dolce, su quella Stratocaster, invece,
prendeva una sfumatura graffiante ed accattivante.
Il cantante dei Quireboys chiuse gli occhi, con quel fraseggio che lo
trasportava violentemente indietro di qualche anno, quando ancora
abitava a Newcastle e tutti i weekend faceva almeno una serata al
Mayfair, il locale dietro casa sua.
Mayfair… dove ho bevuto la mia prima
birra. Dove ho fumato la mia prima sigaretta. Dove ho preso la mia
prima sbronza di whisky e i miei amici hanno dovuto riportarmi a casa
sorreggendomi, perché strisciavo i piedi; e la mattina dopo il culo che
mi sono preso da mia madre perché “Jonathan, ti credevo più
responsabile!”. Eppure ero ritornato subito la sera successiva. Avevo
bevuto ancora ed ero riuscito ad accompagnare a casa Candice, che mi
piaceva tanto. L’avevo baciata sotto casa sua, con tutta la mia lingua
infilata nella sua bocca. Lo sberlone che mi ero preso ed il “Non
voglio vederti mai più!”.
Mayfair… quanti concerti lì dentro. È
stato proprio lì, fra quelle quattro mura grondanti d’alcol e sudore
che ho capito che avrei voluto fare il musicista. Guardare meravigliato
ed ammaliato tutti quei gruppi favolosi, che ti investivano con la loro
grinta, sentire il proprio petto martellare al ritmo della grancassa ed
i capelli drizzarsi sulla nuca per un assolo di chitarra mozzafiato e
dirsi: "Anche io voglio farlo".
Mayfair... con tutte le tue belle
ragazze ed i loro splendidi vestitini pazzescamente trasparenti, i
capelli acconciati ed il trucco da serata, accompagnati da scarpe alte
ed unghie perfettamente sistemate. Il cuore che martellava nel petto ed
il pisello scalpitante nelle mutande quando una di queste ti passava
rasente inebriandoti con il suo profumo, così dolce, così intriso di
femminilità. E tu già ti immaginavi con la faccia in mezzo alle quelle
tette, più o meno grandi, e il tuo amico immerso in quel paradiso che
immaginavi di fisso sempre caldo e curato.
Spike corse a prendere carta e penna e iniziò a scarabocchiare idee in
modo quasi frenetico.
Ginger smise di suonare e lo guardò stranito: «Ma che fai?».
Spike, continuando a tenere le iridi blu sul foglio, gli rispose:
«Scrivo il testo».
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo e felice, quando
improvvisamente la serratura di casa scattò e la porta si aprì con un
leggero scricchiolio. Dopo pochi secondi Guy, fradicio e nervoso, fece
il suo ingresso nella stanza e, nel vedere Ginger con la sua "adorata
Bimba" a tracolla, diede libero sfogo a tutta quell'elettricità che già
gli stava scorrendo nelle vene. «Chiunque tu sia, metti giù quella
roba» pronunciò perentorio, sbuffando come un toro durante una corrida.
Spike balzò in piedi e gli corse incontro, prima che gli mettesse le
mani addosso: «Tranquillo, è mio amico...»
«Senti, patti chiari e amicizia lunga» Guy lo guardò arcigno da sotto
il cilindro «lo sai che la Bimba non la può toccare nessuno e non me ne
frega nulla se quello è tuo amico».
«Calma bello, non ho la lebbra e non mi stavo nemmeno facendo una sega
sui tuoi pick up» Ginger si intromise nella discussione con tono
piuttosto scocciato «stavamo solo scrivendo una canzone».
Guy fissò Spike con gli occhi fuori dalle orbite.
Il cantante annuì: «Te la facciamo sentire».
Guy stava per rispondere che no,
grazie, non me ne frega un cazzo. Vorrei solo che quello stronzo
mettesse giù la mia Fender, ma Ginger non gli diede tempo di
ribattere che attaccò subito il riff travolgente della canzone, facendo
ingoiare a Guy le sue parole piene d'astio. Ascoltò quelle note
energiche fino all'ultima, mentre Spike con la sua voce graffiante
descriveva immagini fatte di birra, ragazze e musica. Alla fine fu
costretto ad ammettere che il pezzo aveva davvero del mordente: «Anche
se sistemerei due o tre cose sul ponte».
Ginger sorrise rimettendo, con grande sollievo di Guy, la chitarra sul
suo supporto: «Allora domani possiamo trovarci per sistemare il pezzo,
che ne dici Spike?».
«Non vedo l'ora!» il cantante gli andò incontro e i due si scambiarono
un cinque, dandosi appuntamento per il pomeriggio successivo sotto lo
sguardo tagliente di Guy. Pochi minuti dopo, Ginger usciva dalla porta
per immergersi nella pioggia londinese, lasciando i due coinquilini a
scrutarsi negli occhi.
Guy fissò quelle due pozze blu che lo guardavano sprizzando euforia,
per la serie abbiamo trovato un
secondo chitarrista e ha già buttato giù un pezzo che spacca;
vide gioia ed euforia. Scosse la testa amareggiato: a lui quel tipo non
piaceva neanche un po', c'era qualcosa di marcio nel suo modo di fare.
L'aveva notato dalla risposta che gli aveva dato quando ancora aveva a
tracolla la sua Stratocaster; se non
ci fosse stato Spike davanti, gli avrei spaccato la faccia molto
volentieri. Si rituffò per un istante negli occhi blu dell'amico
e constatò che c'era anche tanta ingenuità, forse dettata da quella
bontà così tanto radicata in lui.
«Allora, che ne dici di Ginger?».
Guy cercò di mantenersi neutrale: «Sì, non male... basta che tiene giù
quelle manacce dalla mia Bimba».
Spike sorrise e gli mise una mano sulla spalla: «Adesso siamo veramente
al completo. Ginger è molto più bravo di me a suonare; adesso hai una
spalla degna di te. A proposito, come mai già a casa?».
Guy alzò gli occhi al soffitto: «Incidente grave e lei è dovuta correre
in pronto soccorso. Certo che avere l'amica di letto che fa la
dottoressa in ospedale non è facile». Si tolse il cilindro: «Ma questo
Ginger da che parte spunta?».
Spike sentì la voce dell'amico pungere; abbassò gli occhi, triste:
«Eravamo compagni di scuola a Newcastle. Non ti piace?».
«A suonare non è niente male» poggiò anche il cappotto
sull'attaccapanni «ma a pelle... ha qualcosa che non va».
Ed in quel momento, Spike si ricordò che non aveva chiesto all'amico
come mai aveva avuto da discutere con il poliziotto; era la seconda
volta che perdeva quell'occasione. Probabilmente
è così roba di poco conto che è per questo motivo che continuo a
dimenticarmene. Fece spallucce e guardò Guy: «Non è che magari
sei partito un po' prevenuto nei suoi confronti perché hai la luna
storta per colpa di Danielle?».
Il chitarrista fece spallucce, poi si diresse verso il frigo della
cucina: può darsi che abbia la luna
storta per colpa di Danielle... ma si dà anche il caso che la mia prima
opinione sulle persone non è mai sbagliata. Si voltò e, di
sottecchi, vide Spike scaraventarsi sul divano afferrando la sua
lattina di birra mentre fischiettava il ritornello di "Mayfair": è ancora così ingenuo... è buono come il
pane quel ragazzo. Infilò la mano nel frigo e il nervoso gli
triplicò nel constatare che era finita la birra; di sicuro, Spike ha offerto. Fanculo,
quello prima mi tocca la chitarra e poi mi finisce la birra.
Serrò l'anta con veemenza e si prese un bicchiere di Coca Cola.
Irritato chiuse gli occhi e diede un lungo sorso, sentendo le bollicine
solleticargli il naso: dovrei dargli
una possibilità, non è giusto partire prevenuti nei confronti di
nessuno... ma a me quel Ginger non mi convince neanche un po'.
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