Le parole giuste

di ThePirateSDaughter
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Le parole giuste.
 
Ackerman, i…
Mikasa, io penso che…
Mikasa, penso tu sia una ragazza…
Mikasa, ti piacerebbe cenare con…
Mikasa
Mikasa, vorresti
Mikasa, oggi Jaeger non c’è e quindi pensavo
Mikasa, tu per me sei
Jean Kirschtein si malediva ogni volta che scartava un possibile accenno di confessione a Mikasa Ackerman. Voleva che fosse semplice, delicato ed effettivo, dritto al punto. E sentiva, sapeva che le parole giuste – così come l’occasione - sarebbero arrivate, prima o poi.
 
 
“AAAAAAAAAAH, ACKERMAN”.
Protetta dalle mura, la notte dell’umanità custodiva sogni e riposi ancora parzialmente tranquilli; la sua oscurità era punteggiata dalle poche luci gialle delle taverne e la sua quiete interrotta dalle urla di un giovane soldato che ridacchiava, accasciato sulla spalla di una compagna d’armi visibilmente truce.
“Smettila, Jean”.
“AAAAAAAAAH, Ackerman, no, MIKAAASA! Ti chiami Mikasa” il flusso sconclusionato di parole venne interrotto da un'altra serie di risatine; Jean agitò con foga il braccio che reggeva la bottiglia e Mikasa fu lì lì per barcollare, presa alla sprovvista. Si impose di non reagire. “Mikasa è proprio un bel nome” blaterava Jean, mentre faceva il meglio che poteva per trascinarlo ai dormitori – come faceva ad essere così pesante? Non avrebbe mai pensato che la sua serata sarebbe finita in quel modo; era capitata in quella taverna per caso, stava cercando Eren e aveva trovato, invece, Jean accasciato sul bancone, ad occhi chiusi, sorvegliato da un oste in attesa di pagamento.
“Non è l’unica cosa che mi piace di te, però, lo sai? Mi piacciono i capelli. Mi sono piacevano subito i capelli” risatine “erano così luuunghi ed erano così beeelli ed erano così capeeelli” Jean sghignazzò, portando di nuovo la bottiglia alle labbra.
“Piantala, Jean”
Belli e capelli fanno rima”
“Ti ho detto di smetterla”
“Perché li hai tagliati, eh, Ackerman? Non piacevano a Jaeger, scommetto. Quella testa di cazzo di Jaeger non capisce niente, a me piacevano anche lunghi, Mikasa, a me piaceresti anche senza capelli, Mikasa, lo sai, Mikasa?”
Suo malgrado, la ragazza si sentì avvampare e ringraziò il cielo di trovarsi – come c’erano arrivati? – improvvisamente davanti alle porte della caserma. Scrollò malamente, quasi per imbarazzata fretta, il braccio del compagno dalle sue spalle e Jean barcollò per un attimo, sempre reggendo la bottiglia; posò la mano libera sul muro, riacquistò l’equilibrio e poi sollevò piano la testa, portando lo sguardo su Mikasa e fissandola da sotto in su. La ragazza tacque, serrando i pugni.
“… sai…” bofonchiò il ragazzo, facendosi appena più vicino. Mikasa avrebbe voluto muoversi e mettere il più possibile di distanza tra loro, mossa da un terrore nuovo ma, chissà perché, non riusciva a muovere un muscolo.
“… a me piaceresti anche senza vestiti, Mikasa”.
Protetta dalle mura, la notte dell’umanità custodiva sogni e riposi ancora parzialmente tranquilli; la sua oscurità era punteggiata dalle poche luci gialle delle taverne e la sua quiete, precedentemente interrotta dalle urla di un giovane soldato che ridacchiava, accasciato sulla spalla di una compagna d’armi visibilmente truce, venne ora turbata dal chiaro e secco suono di uno schiaffo.
 
Il giorno seguente, solo e soltanto l’ultima frase che aveva pronunciato sarebbe rimasta impressa nel cervello di Jean, facendogli maledire la sua persona mille e mille volte di più.




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