N//A: Scritta
per il All
things Marvel Summer Fest della community spandex_ita
con il prompt Hank & Charles,
confessioni.
Timeline: ambientata tra X-Men: First Class e X-Men: Days of future
past. Più
precisamente, nel 1973 (appena prima del viaggio di Logan nel passato).
È il mio primo esperimento nel fandom e posso solo dire che
i livelli di ossessione provocata dai film sugli X-Men che ho
raggiunto da due/tre mesi a questa parte sono davvero vergognosi (e la
colpa, almeno in parte, è anche di uno stupidissimo cast di
idioti patentati che va in giro a gayeggiare impunemente
e a mostrare culi --->
#MCAVOYVATTENE). Ringrazio la mia preziosa beta Marta,
che ha accetto di prendere sulle sue spalle il carico di angst che le
stavo lanciando addosso. ;)
Enjoy. <3
Confessioni.
A volte, quando la sua
auto supera il cancello della tenuta ma la sua mente è
distratta dal pensiero di qualche nuovo esperimento, non ricorda subito. Le
sue orecchie si tendono istintivamente, pronte a cogliere un brusio
provenire dalle finestre del primo piano, dove si trovano le camere
degli studenti; i suoi occhi vanno agli alberi che fiancheggiano il
viale d'accesso, attenti a scorgere il più lieve movimento
che possa rivelare la presenza di qualcuno – probabilmente
Alex, spalleggiato da Sean - intenzionato a tirargli qualche stupido
scherzo. Ma più di ogni altra cosa, si aspetta di sentire da
un momento all'altro il tono rassicurante ma fermo
del Professore mentre parla con uno dei suoi alunni.
È solo quando l'istituto si staglia davanti a lui, con le
sue scuri appena socchiuse nonostante la bella giornata, che si accorge
del silenzio assordante prodotto dalle voci che ormai non ci sono
più.
"Sono tornato!" annuncia nel varcare la soglia, senza attendersi
realmente una risposta che sa non sarebbe arrivata - come non lo aveva
fatto negli ultimi otto anni. E, infatti, anche questa volta, ad
accoglierlo è il silenzio di un atrio in penombra, a cui lui
fatica ad abituarsi; quando ci riesce, lo scorge
accasciato su uno dei gradini, ma ormai quasi non ricorda la sensazione
di panico, o quantomeno di sorpresa, che nei primi tempi una simile
vista gli procurava. Sa esattamente cosa fare: sono azioni che ha
ripetuto decine di volte, da quando lui e Charles sono rimasti soli in
quell'abitazione. È perciò con pieno
autocontrollo che si reca nel suo laboratorio, per riemergerne poco
dopo con una siringa. Improvvisamente, però,
l’assoluta razionalità che in quel momento governa
i suoi pensieri e la fredda meccanicità dei suoi movimenti
lo lasciano nauseato.
Charles è poggiato contro il corrimano, la testa affondata
tra le ampie maniche di una vestaglia consunta dall’uso
– e di non recente lavaggio, considerate le numerose chiazze
di cibo che la punteggiano. "Charles", lo scuote leggermente, ottenendo
in risposta un lamento soffocato. "Ti avevo avvertito che l'effetto del
siero sarebbe probabilmente svanito prima che io tornassi", lo
ammonisce debolmente, iniettandogli con gesti esperti una nuova dose
che, secondo i suoi calcoli, dovrebbe durare almeno un paio di giorni.
"E infatti ti avevo raccomandato di restare in camera tua", la sua
stessa voce gli giunge piatta e stanca. Non saprebbe dire quante altre
volte si era trovato a ripetergli quelle stesse parole, o altre molto
simili. Si chiede da quanti anni Charles abbia smesso di dargli retta,
e da quanti lui abbia semplicemente rinunciato a farsi ascoltare,
continuando a dargli consigli che sarebbero rimasti inascoltati solo
per abitudine.
Lo fissa in silenzio, in attesa che il siero faccia effetto quel tanto
che basta per consentire a Charles di raggiungere la sua stanza
reggendosi sulle proprie gambe – nonostante la
quantità non indifferente di alcool che indubbiamente ha in
corpo non faciliterà la cosa.
Strizza gli occhi dietro le sue lenti spesse, tentando di far
combaciare l'immagine di quel Charles con quella del Charles che aveva
incontrato ormai quasi undici anni prima nel suo laboratorio alla CIA.
Ma per quanto si sforzi, non può fare a meno di chiedersi se
il ricordo che ha di lui non sia piuttosto il prodotto distorto della
sua memoria. Ci sono delle volte, mentre lo osserva versarsi un
bicchiere di bourbon dopo l’altro, in cui la mancanza dei
loro vecchi amici si fa più forte: è in quei
momenti che desidererebbe avere al suo fianco qualcuno che gli confermi
che il Charles di una volta è davvero esistito, qualcuno che
gli assicuri che quel Charles potrà in futuro tornare.
Sospira, e allontana quei pensieri infantili con un gesto della mano:
non è tanto ingenuo da credere che Charles sarebbe potuto
rimanere il se stesso del ’62. Per quanto sia difficile, Hank
deve accettare il fatto che quell’uomo appena trentenne, i
cui scritti tanto carichi di entusiasmo e passione lui aveva letto e
studiato, fosse semplicemente cresciuto, e non sarebbe tornato. Forse,
Charles avrebbe ritrovato se stesso, un giorno, e riscoperto le ragioni
per cui l’Istituto era stato in primo luogo fondato, ma non
sarebbe mai guarito davvero – non solo fisicamente.
Nei pochi anni in cui la scuola era stata attiva, Hank aveva
già notato dei profondi cambiamenti in lui. Tuttavia,
Charles si era sempre sforzato di non dar a vedere quanto profonde
fossero le ferite infertegli da coloro di cui più si era
fidato. Aveva voluto mostrarsi forte per chi, come lui, era rimasto al
suo fianco, continuando a credere in lui e nel suo progetto, per i
professori che si erano uniti a loro durante il percorso e soprattutto
per i ragazzi, che aveva sempre accolto come fossero suoi fratelli,
prima che suoi allievi. (Chissà se, nel guidarli e
nell’insegnare loro tutto ciò che aveva da
offrire, si era mai soffermato a chiedersi se qualcuno di loro
l’avrebbe abbandonato come aveva fatto Raven.)
“Hank?”.
Si costringe a non incrociare il suo sguardo.
“Mmh?”
“Mi aiuteresti a tornare in camera, per favore?”,
gli chiede con voce roca, mentre si artiglia alle sue spalle per
rimettersi in piedi. Una volta riacquistato un per quanto instabile
equilibrio, si lascia trascinare fino al letto, sebbene più
di una volta abbia rischiato di rovinare a terra, trascinando con
sé l’amico.
Proprio quando Hank si sta per congedare, però, Charles lo
richiama.
“Hank?”, lo trattiene per un braccio.
“Cosa?”
“Guardami”, gli ordina, e quando Hank si volta
verso di lui, rimane colpito da quanto poco il suo tono perentorio si
accordi con la vulnerabilità della sua espressione.
“Ho notato che non l’hai ancora fatto”.
Hank si sistema nervosamente la montatura degli occhiali sul naso.
“Non capisco cosa tu intenda dire”.
“Non mi hai ancora guardato negli occhi. Non lo fai da
giorni”.
“Ascolta, Charles…”
Lui lo interrompe con un gesto della mano. “Non devi
giustificarti. Lo capisco: nemmeno io ho il coraggio di guardarmi. Ti
starai probabilmente chiedendo come abbia fatto a ridurmi in queste
condizioni”.
Questa volta, è il turno di Hank di intervenire prima che
Charles abbia la possibilità di proseguire.
“Credimi, non…”, sospira e si passa
stancamente una mano tra i capelli. “È che
tu-”
“Ti ho deluso”.
Hank rimane senza respiro. “Cosa?”
Il sorriso di Charles lo fa rabbrividire. Ricorda bene
l’ultima volta in cui ne ha visto un altro identico sul suo
volto: è stato in un’epoca che sembra
lontanissima; una spiaggia a fare da sfondo.
“Va tutto bene, amico mio. Non posso rimproverarti nulla;
dopotutto, sei l’unico ad essermi rimasto vicino per tutto
questo tempo. Pensavo di potervi aiutare”, ride con amarezza.
“E invece ho scoperto di non essere nemmeno in grado di
aiutare me stesso”.
Hank scuote la testa con convinzione. “No. Quello che tu hai
fatto per i mutanti non è qualcosa che dovresti mettere in
discussione. Prima che tu li trovassi, nessuno di loro sapeva spiegarsi
a cosa fossero dovute le loro abilità e per lo
più si ritenevano degli abomini. L’unico loro
desiderio era quello di mimetizzarsi con gli umani e
nascondersi: io ne so qualcosa. Tu, però, hai mostrato loro
che soli non erano affatto e che c’era tanto sui loro poteri
che avevano da imparare per poterli sfruttare al meglio. Purtroppo, la
guerra ha allontanato molti di loro, ma non per questo quello che noi
abbiamo cercato di fare fondando l’Istituto è
stato meno importante”.
Charles impiega qualche secondo per assimilare le sue parole, ma il suo
sguardo rimane scettico. “Forse, ma è comunque
stato inutile, perché quando è giunto il momento
di proteggerli davvero e tenerli al sicuro, ho fallito”.
“C’è una guerra in corso. Ed
è qualcosa che nemmeno tu puoi controllare, per quanto forti
siano i tuoi poteri”, ribatte prontamente.
Charles si lascia ricadere all’indietro, atterrando sui
cuscini. “Non ho più i miei poteri, Hank, ma so
ancora riconoscere uno sguardo deluso, quando ne incontro
uno”.
Hank sospira. Aveva creduto – e in fondo un po’
sperato – di non dover mai affrontare quella conversazione
con Charles. È stato forse codardo da parte sua rimandare
quel momento, ma il punto è che sarebbe tutto più
semplice se il Professore potesse entrare nella sua mente e vedere da
sé ciò di cui ha bisogno, così che lui
non sia costretto a cercare le parole giuste.
Hank è stato l’unico ad aver assistito
all’intera parabola discendente di Charles. In quegli ultimi
otto anni, l’ha visto toccare il fondo, solo per scoprire
che, scavando appena un po’, un abisso ancora più
profondo si apriva sotto di lui. L’ha visto cambiare fino al
punto in cui la sua vista gli è risultata insostenibile, e
non perché si senta da lui tradito, ma perché sa
di essere stato in buona parte complice di quel declino inesorabile e
di poter scorgere in lui i segni delle sue stesse
responsabilità.
Sebbene non ne sia stato in prima persona la causa, infatti,
è stato pur sempre lui a fornirgli i mezzi per proseguire in
quell’opera di autodistruzione: dapprima, accettando di
sviluppare per lui il siero e allontanandolo così da quei
poteri che erano l’ultima cosa a tenerlo ancora legato al
mondo dei mutanti, e poi osservandolo impotente mentre la dipendenza
dall’alcool e dalle droghe lo sopraffacevano. Non
è tanto presuntuoso da ritenere di essere tra coloro che
sarebbero in grado di farlo risalire dal baratro – solo due
persone potrebbero farlo -, ma sa anche di non aver sempre fatto tutto
quello che era in suo potere per contraccambiare quell’uomo
che tanto tempo aveva dedicato a lui e ad altri come lui.
“Quel giorno, a Cuba, Raven ha chiesto a Moira e a tutti noi
di prendersi cura di te, e io ho cercato di mantenere quella
promessa” (Non avrebbe sopportato, dopotutto,
l’idea che il suo nome si aggiungesse alla lista di coloro
che avevano abbandonato Charles.) “Ma so di non aver
sempre fatto le scelte più giuste. Sono stati anche i miei
sbagli a condurci fino a qui, perciò, ecco, non sei tu la
causa della mia delusione”, il suo sguardo è
adesso fisso in quello di Charles.
“Ma non c’è nulla di cui tu debba
rimproverarti, amico mio”, lo contraddice il Professore.
“La verità è che, dopo Cuba, decisi di
non lasciarmi in alcun modo distrarre dai miei obiettivi, ma era
inevitabile che, prima o poi, ciò che era successo su quella
spiaggia sarebbe tornato a perseguitarmi. Ho semplicemente rimandato il
momento, e queste”, dice indicando con un gesto stanco della
mano la stanza polverosa e buia intorno a sé, i fogli sulla
scrivania ormai intoccati da anni - se stesso. “Ne sono le
conseguenze. Ma non c’è assolutamente nulla che tu
possa fare per me in più di quel che già fai
quotidianamente”.
I due rimangono in silenzio per un po’, ciascuno assorto nei
propri pensieri; quelli di Hank sono rivolti a Raven. La rivede mentre
gli punta addosso i suoi occhi ambrati. E ricorda, Bestia, mutante e
fiero.
“Ci sono dei giorni, come oggi, in cui Raven mi manca
più del solito”, esordisce d’un tratto
Charles, e Hank si chiede per un attimo se l’altro abbia
sbirciato nella sua mente, nonostante sappia che l’effetto
del siero glielo impedisce. “Purtroppo, ho commesso
l’errore di dare per scontato che, in quanto mia sorella,
sarebbe rimasta al mio fianco. La sua decisione di seguire Erik mi ha
ferito, è vero, ma non posso realmente rimproverarle
qualcosa. Lei aveva più di una volta cercato di attirare la
mia attenzione sulla sua difficoltà nel trovare
un’identità che sentisse appartenerle del tutto,
ma io sono stato troppo stupido e cieco per accorgermi di quanto avesse
bisogno del mio aiuto. Pensavo che fosse in grado di cavarsela da sola,
mentre Erik ha subito capito quali fossero le sue debolezze e le ha
sapute sfruttare a proprio vantaggio, offrendole quelle risposte che io
non ho saputo darle. Perciò, potrebbe sembrare paradossale,
considerato il fatto che Raven è a tutti gli effetti mia
sorella e che siamo cresciuti contando unicamente l’uno
sull’altra, tuttavia non è da lei che mi sono
sentito più tradito, ma da Erik. Ho sperato che accedere ad
alcuni ricordi della sua infanzia e trascorrere alcune settimane fianco
a fianco fosse stato sufficiente ad avvicinarci e a consentirmi di
capirlo. Sono stato abbastanza ingenuo – o arrogante
– da credere di essere riuscito a fargli cambiare idea sui
suoi piani di vendetta e, addirittura, a convincerlo della
necessità di vivere nell’anonimato e insegnare ai
mutanti come tenere sotto controllo i loro poteri. Mi sono illuso di
aver trovato in Erik un animo affine, ma evidentemente le differenze
tra di noi erano troppe perché potessimo imparare ad
accettare le idee dell’altro e trovare un punto
d’incontro”.
Hank intuisce dalla loro impeccabile coerenza che, su quei pensieri,
Charles si è soffermato decine e decine di volte nel corso
degli anni. Probabilmente, all’inizio, erano stati appena un
abbozzo confuso, un accozzaglia di sentimenti indistinti che, col
tempo, aveva analizzato e studiato, fino a dar loro un nome e una
giustificazione precisa. E ora che il Professore ha espresso ad alta
voce tutto quanto era rimasto taciuto per anni, confidandosi proprio
con lui, Hank rimane spiazzato. La sicurezza che poco prima, nel
soccorrerlo, ha dimostrato, è svanita per lasciar posto a un
senso di disagio e imbarazzo. Non sa cosa dire e, d’altro
canto, non è nemmeno sicuro che Charles si aspetti davvero
che lui dica qualcosa.
Ma ancora una volta Charles sembra indovinare ciò che gli
passa per la testa. “Immagino che avessi solo bisogno di
parlarne con te, e spero che tu sappia di poter fare altrettanto,
qualunque sia l’argomento”.
Hank esita un attimo. “Allora, posso dirti una cosa prima che
io me ne vada?”.
“Certo”, annuisce l’altro.
“Cosa ne dici se cambiassi quella vestaglia?”
Charles annusa il colletto dell’indumento. “Dico
che probabilmente sarebbe anche ora”.
I due si sorridono, e per un attimo, solo per un attimo, a Hank sembra
di scorgere lo stesso Charles dei suoi ricordi.
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