bla
Like a cool
and cleansing grace
Le strinsi la cravatta al collo e
mi compiacqui in silenzio del nodo perfetto.
In silenzio, ma non senza un
sorriso.
Lei amava i miei sorrisi.
Non l'aveva mai detto, ma immagino sia quel tipo di cose di cui si è
consapevoli a prescindere. Tante cose non mi ha mai detto, lei. Ad
altrettanti silenzi sapevo dare dei significati, io.
Non che, dal canto mio,
fossi mai stata in grado di esternare chissà cosa con le parole. Ma
presumo andasse bene così, presumo che tra di noi non avrebbe potuto
funzionare in modo migliore, fosse solo perché un altro, di modo, non
sapevamo nemmeno esistesse.
La guardai a lungo prima di
darle la mia benedizione con un lieve bacio sulle labbra. Ne fu
orgogliosa, la scintilla nei suoi occhi l'aveva tradita. Aveva sempre
gli occhi di una tonalità più scura quando si sentiva stuzzicata da
qualcosa. Un'idea, un'avventura, una pazzia, me. E l'idea di essere in
quella lista mi scuoteva ogni volta, risvegliandomi da una trance in
cui quegli indefinibili colori mi spedivano.
La prima volta che vidi
quello sprazzo di tangibile adrenalina avevo appena ricevuto una mancia
da mezzo dollaro e una pacca sul sedere. Lavoravo in quel locale da
quasi tre anni... Da circa due avevo rinunciato a far notare alla
clientela che la mia non era carne in vendita. Una donna in un posto
del genere era una calamita per idioti, ma di questo, all'epoca, non
ero stata informata.
Quando la vidi entrare tirai
un sospiro di sollievo: gli occhi di chiunque si erano piantati su di
lei, le acque sembravano essersi divise al suo passaggio. In quel
momento avrei potuto svignarmela e nessuno se ne sarebbe accorto.
Tuttavia rimasi impalata
dietro al bancone, io stessa incapace di muovere anche solo un muscolo
a quella vista. Quando il mio sguardo si posò sulla pistola e quello
stesso bancone si tramutò nella mia unica fonte di riparo, desiderai
esser scappata via sul serio ed aver messo in salvo persino quel
dannato mezzo dollaro di mancia.
Non so cosa, quel giorno, le
impedì di trattarmi come tutti gli altri. Lei non me l'ha mai spiegato.
Io non gliel'ho mai chiesto.
A dispetto delle
circostanze, non le ho mai fatto molte domande. Non gliene feci neanche
quando, dopo aver riempito la sua borsa con l'incasso del locale, mi
tese una mano e, continuando a puntare la pistola verso il
proprietario, attese che io l'afferrassi. Tardai a farlo e lei si voltò
appena. Non per sollecitarmi, no. Per farmi capire che avevo scelto di
seguirla ancor prima che lei si avvicinasse, chissà, magari proprio per
quella pacca sul sedere.
Alla fine lo feci: lasciai
che la sua mano stringesse la mia, lasciai che mi trascinasse. Ancora
ed ancora ed ancora. Ogni volta correndo un po' di più, ogni volta
ridendo un po' di più.
Ridevamo.
Seppur con una pistola in
mano e l'auto sempre in moto, ridevamo.
Ricordo che rise persino
quella volta, prima ancora che le mie mani ebbero lasciato il nodo
della cravatta, e mi lasciò un bacio sulla guancia. Uno di quelli con
lo schiocco. Uno di quelli che mi lasciavano sempre il segno delle sue
labbra.
Ho sempre pensato che quel
rossetto non fosse rosso a caso. Credevo si trattasse di un gioco di
seduzione ed intimidazione, unito alla capacità di alzare un
sopracciglio fin dove neanche immaginavo fosse possibile. E lo era,
perché il contrasto con la pelle divinamente pallida e i capelli chiari
era ipnotizzante e terrificante al tempo stesso. Ma, in cuor suo, quel
rossetto... Oh, quel rossetto, di quel colore, era solo per me.
Quella realtà mi colpì in
una notte d'estate. Fu un lampo improvviso... Esattamente quanto può
essere improvviso un lampo durante un'acquazzone. Lo si aspetta,
nell'attesa di rimanere accecati da un momento all'altro. Si resta
sospesi in quel tempo, magari sotto quella pioggia, con il naso
all'insù, verso un cielo che neanche è possibile distinguere tra le
fitte gocce. Eppure non di meno si rimane a bocca aperta quando
finalmente scoppia, delineandosi in uno spazio che in quell'istante è
tutto e niente.
Così, quando mi baciò per la
prima volta, fu come se mi fossi risvegliata, nuda, nel vibrante centro
della tempesta. E le sue mani sulla mia pelle furono coperta, riparo,
casa.
Prese la mia mano e mi
trascinò.
Ancora un volta.
Stavolta senza darmi le
spalle. Stavolta guardandomi negli occhi.
E rise.
E ridemmo.
E i sorrisi divennero uno
solo.
E il suo rossetto rosso
divenne il mio.
La punta del suo naso
accarezzava quella del mio, le sue dita sfioravano appena il mio collo
e le mie guance, mentre la sua bocca mi toglieva il fiato ad ogni
movimento.
Si fermò solo per riaprire
appena gli occhi e guardarmi, ubriaca di lei, per poi lasciarsi andare
ad un risolino che non mi sorprese affatto. Ogni occasione era ottima
per prendersi gioco di me, ogni occasione era altrettanto ottima, poi,
per far valere il mio orgoglio.
Il suo corpo sembrava tanto
piccolo nel centro esatto di quel letto, tra lenzuola bianche, coperte
calde e banconote verdi. La sua pelle ancor più candida perché
accostata alla mia, fusa
nella mia in una miscela di colori, gemiti e
brividi.
E dai suoi sospiri dipesero
i miei. Per quella notte e per infinite altre.
Le sue mani avevano senso
solo se sul mio corpo. Ed allo stesso modo la sua bocca.
Il ritmo del suo respiro
divenne mio, il battito del suo cuore lo avvertivo anche solo
sfiorandola, il sorriso che aveva quando, ad occhi chiusi, mormorava
«Smettila di fissarmi» lo conoscevo a memoria.
Mai come tra le sue braccia
mi sentii amata. Mai lo sarei stata di più.
Non dopo quel giorno, non
dopo quell'ultimo nodo di cravatta, non dopo quell'ultimo segno di
rossetto sulla mia guancia.
Me la portarono via con la
pistola ancora salda nella sua mano destra e con quella scintilla negli
occhi che, ancora una volta, l'aveva smascherata. Me la portarono via
che ancora mi guardava, in quel misto di adrenalina e passione, mentre
apriva la borsa nella quale riposava l'ordigno che ci avrebbe fatto
strada verso un letto di banconote immensamente più grande.
La vidi cadere ai miei
piedi.
Rotta, come una bambola di
porcellana.
Rotta, come il mio cuore.
La tenni stretta, mentre il
suo viso diventava davvero troppo pallido. Il suo sguardo si
annebbiava, lo scintillante colore dei suoi occhi si spegneva, ma la
sua sfacciata timidezza rimaneva. E allora «Smettila di fissarmi».
Una risata mi scoppiò in
gola.
Una risata, o un pianto
disperato. Con Quinn non era mai facile distinguere i confini.
Come si potrebbe,
d'altronde, distinguere l'amore dalla pazzia?
Abbracciai la sua borsa. La
abbracciai come se fosse lei
e superai le porte, lasciandomi alle
spalle quella tomba. Davanti a me contai undici ufficiali. Mi chiesi
chi fosse stato a sparare il colpo che aveva smorzato quel sorriso che
speravo avrebbe continuato a deridermi ancora a lungo. Ma ogni punto
interrogativo rimase sospeso in quegli attimi, in quei metri che
macinai correndo, mentre una lacrima accarezzava la macchia rossa sulla
mia guancia.
Tutto venne spazzato via da
un boato assordante.
Un boato assordante, o lieve
sospiro di sollievo.
D'altronde non era mai stato
facile distinguere i confini.
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Note:
Hey there!
Di ritorno per una brave
shot Quinntana, ispirata, come già detto, al video della canzone di
Avicii: Addicted to you. Se non l’avete visto, meglio per me… I guess…
Ad ogni modo, è la prima
volta che scrivo in prima persona, dunque, nel caso questo esperimento
sia stato un flop, vi prego, vi scongiuro: ditemelo!
Vi lascio il mio indirizzo Ask e Facebook
e beh, alla prossima.
- BB
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