prologo
Una premessa prima di
lasciarvi alla lettura: tra gli avvisi non ho ritenuto necessario
inserire “OOC”. Considerando che ci troviamo in un
diverso
contesto (anche se non mancheranno dei riferimenti alla storia
originale), Sebastian, Kurt e gli altri personaggi hanno anche un
diverso passato. Si sono conosciuti in modi e tempi differenti e, di
conseguenza, spesso non interagiscono come è usuale in Glee.
Inoltre, avviso fin da adesso per gli amanti della Klaine, che Blaine
sarà spesso oggetto di critiche, epiteti e commenti ben poco
lusinghieri, ma il tutto, naturalmente, non avverrà
gratuitamente
(non ci sono intenti diffamatori :D).
Vi rimando ai
saluti
finale, buona lettura! :)
Drink it
if you can
(
fall in love with him).
Sono qui con te,
non potrei
essere più
vicino.
Fingendo di
star vivendo
quest’istante,
quando sono
solo un
fantasma.
Ascolto le
parole che stai
dicendo,
parole a cui
stento a
credere.
E’
come se vivessi molto
lontano,
quando tu sei
fuori
portata.
E mi sento
così lontano,
così lontano da tutto.
Al di fuori,
chiedendomi
quando mi sono perso.
Alzo le
braccia al cielo,
perché sono scomparso?
Non voglio
sprecare tempo,
vivendo una
mezza vita.
Mi stai
ascoltando?
Ricordo
com’era prima,
ridammi la mia
vita.
Sento
la tua voce,
ma dentro sono
perso.
So
far away - Red
Prologo.
Era
il momento della giornata che preferiva: quando la sera calava sul
profilo maestoso della città e le luci creavano un gioco di
colori
in perenne movimento. I raggi del sole morente si riflettevano sulla
superficie dello skyline di New York, tingendolo di una sfumatura
aranciata. Un panorama che lasciava col fiato sospeso, un paesaggio
che, per quanto urbano e artificioso, sembrava avere ancora una sua
anima e concedersi di estraniarsi da se stesso e confondersi nella
folla, quando ne sentiva il bisogno.
Il
suo passo era regolare quella sera, la mano era conficcata nella
tasca del soprabito, mentre dalle labbra sgorgavano sporadicamente
nuvole di fumo. Con un movimento pigro e naturale, di tanto in tanto,
abbassava la mano e abbandonava il braccio lungo il fianco.
Non
erano molti a passeggiare in quel vicolo del dedalo che il Dumbo
rappresentava e l'eco dei suoi passi era l'unico sottofondo ai suoi
pensieri.
Il
ragazzo aveva una figura allampanata, i capelli castani, i cui ciuffi
più lunghi erano spesso sollevati a lasciarne la fronte
libera, in
una pettinatura che ben si confaceva al volto ovale e al sorrisino
impertinente che spesso ne increspava le labbra e ne faceva
dardeggiare gli occhi.
Si
volse ad osservare il paesaggio, Sebastian Smythe, un monito a
ricordarsi che, a dispetto della sicurezza ostentata in ogni dialogo
o situazione affrontata fino a quel momento, lui non fosse altro che
un puntino nel caos delle infinite possibilità.
Spense
la sigaretta contro una delle mura più antiche del
quartiere, su cui
erano impressi dei graffiti, e s’insinuò in un
vicolo illuminato e
decisamente più affollato.
Lo
sguardo di smeraldo sfiorò l'insegna stucchevole
dell'uccello
acquatico che così poco sembrava affine agli abituali
avventori del
locale, tanto meno agli spettacolini più accattivanti delle
ore
notturne.
Spinse
la porta del Penguin
Pub,
ma già dalla soglia fu investito
dall'odore di birra e dall'alone dei profumi misti al sudore degli
avventori disseminati sulla pista da ballo.
Vi
si era imbattuto per puro caso, una delle prime sere in cui era
uscito in ricognizione, dopo essersi trasferito nel proprio loft.
Brooklyn
era stata una scelta immediata: si era assicurato che uno stretto
marino lo separasse da Manhattan (gloriosa da osservare a distanza di
sicurezza), dalla famiglia e dai lussi dell'Upper East Side.
In
quell'occasione, si era detto che un posto sarebbe valso l'altro pur
di bere qualcosa di abbastanza forte da procurarsi una sbornia che
potesse giustificare l'ennesima assenza al corso di legge alla
Columbia University. Non che dubitasse che, se si fosse applicato,
sarebbe stato un eccellente studente, ma era poco incline allo stare
chiuso in un'aula e sorbirsi una lezione accademica. Soprattutto dopo
essersi costretto ad attraversare la città in metro e
arginare a
piedi il traffico che, già dalle prime ore del mattino, era
il
flagello dei newyorchesi. In compenso la sua memoria fotografica lo
facilitava nell’apprendere nozioni e il fascino riusciva a
compensare le incertezze di fronte ad un’esaminatrice,
specialmente
se neolaureata.
Ma
aveva presto scoperto, e non certo per merito del suo inetto barista,
che al Penguin vi era un'atmosfera del tutto particolare: un ambiente
nel quale rifugiarsi per una piacevole distrazione, talvolta persino
utile a trovare qualche sporadico appuntamento (un “tromba e
getta”
rispettabile e non da matricole di coming out che affollavano i
locali notoriamente frequentati da gay). O per avere la sua
“ora
d’aria libera”, da che aveva avuto la
brillantissima idea di
affittare l'altra camera da letto disponibile.
Si
fece largo tra la folla, gettò uno sguardo al palco e allo
spettacolino serale dedicato presumibilmente a Lady Gaga, a giudicare
dai costumi vistosi, fino a quando non riuscì a raggiungere
il
bancone. Si sedette sullo sgabello e allentò i bottoni del
cappotto,
cercando di incrociare lo sguardo del barista che stava discutendo
con una moretta dallo sguardo quasi strabico. Probabilmente
ciò era
una conseguenza di quella stupida treccia laterale e la frangetta che
le arrivava fino agli occhi, spesso sgranati in un'espressione da
pazzoide mestruata.
Sì,
doveva riconoscersi una dote da minuzioso osservatore (anche di
futili dettagli), soprattutto quando si trattava di soggetti che
ostacolavano i suoi propositi ed intenzioni.
Osservò
il ragazzo con aria scettica, Sebastian: doveva concedergli una buona
“faccia da stronzo”, quando riusciva ad ostentarla.
Una discreta
capacità di simulare l'aria da bravo ragazzo, il ragazzo
della porta
accanto e asessuato che bussava soltanto quando aveva finito il sale;
ma in realtà nascondeva manie da arrapato e disperato
studente di
medicina. Non aveva nulla a che vedere con i barman che
improvvisavano piacevoli coreografie con lancio di bottiglie ed
affini, piuttosto quell'attività era una scelta quasi
obbligata (e
non apprezzata) per pagarsi gli studi.
Contò
mentalmente, Sebastian e, come prevedibile, allo scoccare del cinque,
la moretta si voltò con aria furiosa, facendo ondeggiare la
borsa e
sgomitando per guadagnarsi l'uscita.
Emise
un fischio di finta sorpresa e finalmente il barista si accorse della
sua presenza. Tutt'altro che incoraggiato, sembrò
afflosciarsi. Si
passò una mano tra i capelli in un gesto di reale
stanchezza, prima
di avvicinarsi con lo stesso incedere di un condannato al patibolo.
Improvvisò un finto sorriso di cordialità che ben
avrebbe dovuto
accompagnarsi al suo ruolo.
“Sempre
al posto giusto al momento giusto”, lo accolse, Hunter
Clarington,
con improbabile allegria.
“Frena
l'entusiasmo: la vista di Johanna, Jolanda-”, finse
un'espressione
concentrata nel tentativo di rammentare il vero nome della ragazza.
“Jenna”,
lo corresse l'altro in una sorta di ringhio.
“Di
solito ha effetto sgonfiante”, continuò come se
non fosse stato
interrotto. Si puntellò con il gomito sulla superficie del
bancone e
sorrise con aria affettata: “Dammi il solito”.
Non
lo stava neppure ascoltando, Hunter, che osservò l'uscita
con aria
afflitta: “Credo che stavolta sia finita sul serio”.
“Non
ti sto ascoltando”, specificò Sebastian,
sollevando gli occhi al
cielo, prima di lasciar vagare lo sguardo sugli altri clienti. Fino a
quando le note della canzone più ritmata non si dispersero e
osservò, con aria evidentemente disgustata, la coppietta
diabetica
che stava ostentando un repertorio fin troppo vasto di romanticherie
strazianti e gratuite. Soprattutto considerando che la ragazza si
stesse cimentando in un brano di Céline Dion, senza averne
assolutamente l’estensione vocale.
“Credeva
che le avrei chiesto di venire a vivere da me”, stava
continuando
letteralmente il suo soliloquio, Hunter, scuotendo la testa con aria
da cane bastonato.
“Il
suono delle tue lamentele mi offusca la vista: non
te lo sto chiedendo”,
precisò
Sebastian con voce sarcastica fino a quando non lo vide, con aria
rassegnata, riempirgli il bicchiere che afferrò di
malagrazia. Un
sorrisetto insolente sulle labbra: “Comunque ci avrei
scommesso che
non sareste arrivati alla quinta uscita, sesso incluso”,
ingollò
la bevanda avidamente prima di scrutarlo di nuovo.
“Un
altro”.
Nulla
sembrava poter consolare il barista, se non improvvisare quell'aria
da allegro chirurgo
e cominciare a farfugliare i nomi di qualche patologia che neppure si
sarebbe preso la briga di googlare
per verificarne l'attendibilità o meno.
“Preliminari modesti,”
sentenziò con un'inarcata di sopracciglia e le braccia
incrociate al
petto, “dovrei preoccuparmi”.
“Fossi
in te, scriverei la tesi su un laureando in medicina e il sostegno
dimostrato ai suoi pazienti desiderosi di abbandonarsi ai fiumi
dell'alcol e alla ricerca di piacere. Un bonus per ogni cirrosi e/o
gravidanza involontaria di cui ti sei sporcato il bisturi”.
Si
concesse un vago sorriso, Hunter, che scrollò le spalle.
“Dovrebbero
aggiungerlo al giuramento
di
Ippocrate”,
gli concesse con aria
vagamente divertita, prima di guardarlo intensamente: “Che
succede,
Sebastian?”.
Sbuffò,
facendo roteare il bicchiere con aria pensierosa. “Non vorrei
dirtelo, ma tu insisteresti e andremmo avanti allo sfinimento. O fino
a quando non sarei abbastanza sbronzo da spifferare tutto,
perché
nel frattempo tu mi avresti versato dieci bicchieri. Quindi, saltiamo
i preliminari e aspetta che sia sbronzo, ” gli porse di nuovo
il
bicchiere con un gesto secco, “ versa
e sta zitto”.
“Bene”,
obbedì l'altro con aria incurante.
Sebastian
si avvicinò il bicchiere alle labbra in un movimento fluido,
ignorando il bruciore in gola, lo tracannò come se gli fosse
vitale
per la sopravvivenza. Fissò nuovamente disgustato la coppia
che,
all’apice dell’intensità del ritornello,
aveva ben pensato di
tenersi per mano e guardarsi come due poveri allupati senza sesso da
sei settimane.
Si
voltò nuovamente verso il bancone, lo sguardo perso in un
punto
indefinito.
“Kurt
si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il
respiro.
Non
era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole
perché
fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E
definitive.
Quella
parte di sé che sembrava galleggiare, tornò a
pulsare
dolorosamente, da qualche parte al centro del suo petto.
Rilasciò il
respiro.
La
bottiglia quasi sfuggì dalle mani di Hunter. “Che
cosa?”,
domandò con tono incredulo e l'espressione da cane randagio
lasciò
spazio al meravigliato stupore: “Con
CHI?”.
Avrebbe
quasi potuto ridere del modo in cui quella seconda domanda, proferita
con tono esterrefatto e la voce stridula, fosse indice dell'evidente
ed assoluta incoerenza che si celava dietro la decisione. Ne
incrociò
lo sguardo, Sebastian, un sorriso appena accennato, prima di
stringersi nelle spalle: “Mezza SegAnderson”.
Ci
vollero evidentemente pochi secondi perché Hunter decifrasse
il
reale nome, camuffato dall'epiteto, ma lo vide aggrottare le
sopracciglia, con aria ancora più perplessa.
Sembrò ricordare
qualcosa, perché la sua fronte
s’increspò: “Non mi è nuovo
questo nome”.
Allungò
la mano a prendere la bottiglia, Sebastian, per versarsi un altro
bicchiere con uno scrollo di spalle. Lo sollevò e
fissò il liquido
al suo interno: “Neppure a me”.
Non
fu certo di esser riuscito a simulare indifferenza.
Un anno prima.
Un sorriso
soddisfatto
ne increspava le labbra, come ogni volta che tornava da una serata
interessante, con annesso un bonus da ottima prestazione. Avrebbe
dovuto incassare la scommessa con lo sfigato barista per l'ennesima
conferma che il suo istinto era infallibile. Non che si sarebbe
tirato indietro, in caso opposto, ma confidava che il suo arsenale
potesse “confondere” un etero abbastanza da
concedergli una buona
soddisfazione.
Insinuò
le chiavi
nella toppa: avrebbe dovuto premunirsi di non fare troppo rumore o
Kurt avrebbe avuto un'altra spropositata reazione isterica, alludendo
al suo bisogno categorico d’otto ore di sonno, degli impegni
tra
tirocinio, scuola e lavoro, nonché della sua pelle e tutta
una serie
di ciance che sarebbero state reputate inutili da
una
persona normale.
C'era da sperare,
inoltre, che non fosse proprio lui costretto ad
assistere a
qualche parodia di bassa lega della riconciliazione tra i due
innamorati, nello stile di “Le pagine
della nostra vita”.
Schiuse l'uscio e
cercò a tentoni l'interruttore (scampato pericolo!), ma la
lampada
sul comodino del soggiorno fu azionata da Kurt stesso.
Il suo volto era
pallido e i capelli sembravano aver ceduto alla forza di
gravità: si
era persino tolto quei pantaloni rossi che così
deliziosamente ne
sottolineavano il fondoschiena. Indossava una tenuta sportiva e
piuttosto trasandata rispetto al pigiama che solitamente era
coordinato al cambio di lenzuola e di piumone. Stava seduto sulla
poltrona e, prima che entrasse, completamente al buio.
“Mi stavi
aspettando?”, chiese con le sopracciglia inarcate e l'aria
divertita.
“Non riuscivo a
dormire”, sussurrò Kurt in risposta.
“Insonnia post
attacco glicemico?”, gli chiese distrattamente, riponendo il
cappotto all'attaccapanni e avanzando in sua direzione, le mani
conficcate nelle tasche dei pantaloni e il sorrisetto beffardo e
compiaciuto. Cercò di spiare nella camera del ragazzo, alla
ricerca
delle tracce del suo storico fidanzato.
Scosse il capo,
Kurt:
“Gli ho chiesto di andarsene”.
Inarcò
le
sopracciglia a celare la reale sorpresa, ma fu lesto a sorridere.
“E'
andato così male? Fammi
indovinare: il suo usignolo si
è incastrato nella zip e-”.
“Sebastian”.
Sembrava esserci una nota d’ammonimento e solo allora si
soffermò
con più attenzione sul viso emaciato e gli occhi gonfi,
leggermente
arrossati che gli erano sfuggiti di primo acchito, probabilmente
perché ancora un po’ brillo e ingannato dalla sua
pacatezza.
“E' finita”,
dichiarò e un grave silenzio riempì la stanza.
Aggrottò
la fronte,
Sebastian, memore del suo canticchiare
irritante e il depennare i giorni dal calendario di Vogue.com,
nonché
la cura con cui si era preparato a quell'appuntamento tanto atteso
con aria così beata e felice da apparire insulso.
Sentì la mascella serrarsi, mentre si fermava di fronte a
lui, le
braccia incrociate al petto e il viso inclinato di un lato:
“Quindi lo stronzo
è venuto fin qua per mollarti?”, il tono di voce
ne tradiva
l'indignazione e la stizza, nell’attesa di una conferma.
“Potremmo far
scendere gli altri passeggeri e dirottare il suo volo”. Un
sorrisetto diabolico ne aveva increspato le labbra, come sempre
pragmatico nel cercare una soluzione immediata.
“Io l'ho
lasciato”,
la sua voce era stanca ed era evidente che non fosse entusiasta di
affrontare l'argomento. Si mosse verso la zona cucina e Sebastian lo
seguì.
“La prima cosa
intelligente che tu abbia fatto, dopo aver accettato la mia proposta
di vivere qui, ovviamente”, si compiacque, neppure cercando
di
celare il sorriso.
Seppur non avesse
(ancora) incontrato di persona il ragazzo (limitandosi a disprezzarlo
in foto), il solo modo in cui Kurt ne aveva prolissamente descritto
il loro incontro, il loro primo bacio (e lì Sebastian era
collassato
per il sonno e Kurt non gli aveva rivolto la parola per i tre giorni
successivi), glielo aveva fatto detestare poco cordialmente dal
giorno in cui ne aveva scoperto l'esistenza. Ossia da quando aveva
appurato che un fidanzato esisteva davvero e Kurt non lo aveva
inventato, in risposta al suo malcelato tentativo di abbordaggio.
“E io che credevo
che fossi felice di rivederlo: evidentemente in te si nasconde un
bastardo incallito, perverso e-”.
Si era voltato
bruscamente, Kurt, l'aria stremata e sconvolta: “Ho dovuto
farlo”, pareva supplicarlo di non costringerlo ad affrontare
quella
conversazione.
Lo
scrutò stranito.
Si era evidente che la decisione non fosse stata pianificata (e fosse
stato sinceramente impaziente di rivederlo), non riusciva a capire
che
cosa fosse
cambiato nell'arco di poche ore.
Parve un silenzio
lungo quello in cui Kurt si richiuse, prima di abbassare le braccia
lungo i fianchi, in una posa d’evidente arresa. “Mi
ha tradito”,
sussurrò e la sua voce strozzata era colma di pure e
semplice
vergogna.
Sgranò
gli occhi,
Sebastian, parvero lunghi istanti quelli in cui cercò di
assimilare
quelle parole. Non conosceva molto delle attitudini del suo
fidanzato, tanto meno se fossero ben assortiti per carattere, ma dal
modo in cui Kurt, anche a distanza, coltivava quel sentimento,
persino
lui aveva
creduto che fosse qualcosa di reale. E destinato ad essere eterno
soprattutto.
Lo
stupore lasciò spazio ad una tiepida rabbia e al disgusto.
Non tanto
l’atto di per sé (non si era mai tirato indietro,
quando un suo
amante occasionale aveva dichiarato di essere fidanzato), quanto
l’idea che ciò fosse avvenuto alle spalle di Kurt.
Che lui
osservava giorno dopo giorno, che era divenuto una presenza costante
e spesso scomoda e fastidiosa. Ma pur sempre desiderata.
“Che figlio di
puttana”, commentò in tono squillante che
sembrò spezzare
violentemente il silenzio.
Trasalì,
Kurt, ma
scosse il capo, l’aria contrita e sofferente. “H-Ha
detto che credeva che tra noi fosse finita: i nostri contatti erano
diminuiti, da quando ho iniziato il tirocinio a Vogue. L’ho
trascurato e la distanza non era più solo fisica
e-”, esordì con
voce tremante.
Sebastian
detestò come, persino in quel momento, stesse cercando di
giustificarlo, di delineare un quadro che non mettesse il suo (ex)
ragazzo troppo in cattiva luce. Se anche ciò fosse stato un
modo di
lenire il suo amor proprio, Sebastian non avrebbe tollerato ulteriore
buonismo, soprattutto a beneficio di chi non meritava alcuna
clemenza.
“E il dolore lo ha
spinto a eiaculare?”, chiese
in tono pungente, prima di
scuotere il capo. “Oh, povero Blaine”, soggiunse
con tono
evidentemente sarcastico.
“Potresti dimostrare
un minimo di-”, abbassò le mani lungo i fianchi e
scosse il capo.
“Lascia perdere: non so neppure perché te l'ho
detto”. Si voltò
e sembrò soltanto voler scappare verso la propria camera e
trincerarsi nel dolore e nella solitudine.
“Perché la
tua
visione idilliaca dell'amore è appena stata infranta e forse
cominci
a pensare che la mia
filosofia di vita non sia la cosa più disgustosa al
mondo”, fu la
sua rapida analisi, avvicinandosi perché non potesse
sfuggire
all'intensità del suo sguardo.
“Perché di
fatto lo
sai che per quante giustificazioni lui possa trovare e tu
concedergliele, non potranno cancellare quello che è
successo. E se
vuoi che
io
te lo ricordi-”.
Si
voltò bruscamente,
Kurt, il viso contratto in una smorfia rabbiosa: “Vorrei solo
un
po' di pace e di comprensione, ma è evidente che mi sia
rivolto alla
persona sbagliata”.
“Non farlo”,
sollevò le mani ad interromperlo, Sebastian, la cui voce,
per
contrasto, era un sussurro tranquillo.
“Cosa?
Piangermi
addosso?”,
chiese a mo’ di
sfida, le mani adagiate ai fianchi, quasi si stesse proteggendo da
Sebastian stesso. “ Non ho più intenzione
di-”.
“Smettila
di pensare che tu non sia stato sufficiente”.
Lo
vide sbattere le palpebre, evidentemente spiazzato e ridotto al
silenzio per un lungo istante. Sorrise amaramente, Kurt, ma parve
sorpreso per come ne aveva brillantemente compreso lo stato d'animo.
“Ma i fatti sembrano dirlo chiaramente, se è
bastato un
estraneo
mai conosciuto che-”,
si era interrotto, la mano premuta alle labbra a trattenere il
singhiozzo di cui si era già intrisa la sua voce. Stava
tremando e
sembrò vacillare, evitandone lo sguardo.
Era stato un
movimento
quasi involontario quello con cui Sebastian si era avvicinato
ulteriormente, inclinando il viso di un lato e appoggiandogli la mano
sulla spalla.
“Ci sono due motivi
per fare sesso con un estraneo: non volere alcun coinvolgimento
emotivo, ” e sorrise con aria ironica ad indicare se stesso,
prima
di sospirare e rimirarlo con più
intensità,“o non essere più in
grado di averne uno. Non è stata colpa tua, Kurt”.
Aggiunse,
cercando di conferire alla propria voce un'intonazione più
dolce.
Gli
occhi di zaffiro traboccavano delle lacrime che quella notte
sarebbero ancora scivolate sul suo cuscino, all'insaputa del mondo.
Le labbra si schiusero per quel verso strozzato che ne
sgorgò, ma fu
con slancio quasi infantile che si rifugiò contro il suo
petto. Ne
strinse la t-shirt impregnata dall'odore di fumo e d’alcol,
ma
cercò di trattenere i singhiozzi che ne facevano tremare il
corpo
esile.
Sussultò,
Sebastian, sorpreso che fosse lui quel punto saldo a cui aggrapparsi
in un momento simile. Qualcosa che sembrava andare oltre lo
stringersi alla prima persona che poteva fornire un po’ di
calore
umano: il solo fatto che non si fosse ritratto al suo ritorno, che
avesse raccontato ciò che era realmente accaduto e che fosse
stato
Kurt stesso a ricercare quel contatto, sembrava suggerire che stesse
cercando proprio la sua
presenza.
Ne
inspirò il profumo
di vaniglia, e quella penetrante fragranza sembrò stordirlo,
ma lo
pressò contro di sé, senza commentare. A quel
punto la cosa
migliore che avrebbe potuto fare, si era
detto, era tacere e permettergli soltanto di restargli vicino. Senza
altre elucubrazioni ciniche e spassionate, senza giudicarlo o farlo
sentire ulteriormente fragile e insignificante.
Era curioso, lo
realizzò molto tempo dopo, nessun abbraccio intimo con un
partner
occasionale, aveva mai mantenuto una traccia. O un minimo ricordo
significativo. O dato la parvenza di serbare ancora quell'alone,
anche a distanza di tempo, sorprendendolo quando tutto era buio e il
sonno faticava ad avvolgerlo.
Quasi fosse
divenuto
un tutt’uno con l'idea di Kurt: la consapevolezza che facesse
parte
della
sua
realtà quotidiana, fino a divenire un complemento
di sé. In modo naturale, indesiderato e silenzioso. E per
questo più
insidioso.
“Non è colpa
tua,
ricordalo sempre”, sussurrò contro il suo
orecchio, lasciando che
le dita ne sfiorassero i capelli ancora impasticciati della lacca con
cui doveva averli fissati poche ore prima.
Non aveva
risposto,
Kurt, ma si era rifugiato maggiormente contro il suo petto,
rinsaldando la pressione con cui le dita ne stavano stringendo la
maglia. Lo interpretò come un silenzioso ringraziamento e,
al
contempo, la richiesta di non lasciarlo ancora andare. Non lo
avrebbe fatto comunque, si era sorpreso a pensare.
Solo dopo molto
tempo
si addormentò sul divano in un sonno apparentemente
tranquillo.
Sebastian lo aveva osservato a lungo, allungando la mano a scostarne
quel ciuffo più sbarazzino che sovente scivolava sulla sua
fronte,
ma aveva scosso il capo.
Quella notte
sembrò
confermare la sua filosofia di vita: se Kurt non era stato amato
quanto avrebbe meritato o quanto era in grado d’amare, non
sarebbe
stato proprio lui, Sebastian, a credere nell'amore. O esigerlo per
sé.
Appoggiò
il bicchiere
sul bancone: l'aria cominciava a diventare soffocante e il cicaleccio
fastidioso e assordante tra i brindisi improvvisati, le comitive che
festeggiavano e gli schiamazzi d’apprezzamento alle ballerine
sul
palco.
Si
sfiorò la tempia nel
tentativo di recuperare una parvenza di lucidità. Neppure
sembrava
avvedersi dello sguardo prolungato del barista che pulì la
superficie per l'ennesima volta e la liberò dei bicchieri
vuoti.
Si
fermò, infine,
Hunter, appoggiandosi con i gomiti al bancone per osservarlo.
“Sei
turbato”.
Aggrottò
le
sopracciglia, Sebastian, rifilandogli un'occhiata di sbieco:
“Non
me ne frega niente, se vuole rovinarsi la vita”, nonostante
lo
sguardo rabbuiato e
la dichiarazione
inflessibile, la voce tradiva una nota d’ilarità
per l'effetto
distensivo dell'alcol.
“Sei
qui da mezzora e ancora non ho sentito commenti su come la canottiera
nera mi dia un'aria da gay”, fu la replica
dell’altro, le
sopracciglia inarcate a testimoniarne un’osservazione arguta.
Un vago
sorrisetto ne
increspò le labbra e lo sguardo baluginò del
consueto divertimento
nell'umiliare il prossimo: “E' una verità risaputa
Mr
Non-Sono-Bicurioso”.
Ma
l’effetto benefico
sembrò non durare a lungo e nuovamente distolse lo sguardo.
Sospirò,
Hunter, e si
sollevò. Incrociò le braccia al petto,
osservandolo con il viso
inclinato di un lato: “Dovresti dirlo a Kurt”.
“Che
ha un complesso
d'inferiorità per una mezza sega che usa il gel come
lubrificante?”,
rispose quasi di riflesso.
“Che
lo ami”, ribatté
l'altro, le sopracciglia inarcate, quasi a sfidarlo a sostenere il
contrario.
Questo fece
tacere
Sebastian. Schiuse le labbra e le richiuse l'attimo dopo,
sembrò
vacillare come se fosse stato colpito inaspettatamente.
O forse era
l’effetto di qualche bicchiere di troppo che gli dava
l’erronea
impressione di trovarsi di fronte
a tre facce da idiota,
con la
conseguente difficoltà di individuare quale fosse quella
giusta a
cui rivolgersi.
Aggrottò
e sopracciglia,
un verso prolungato d’incredula ilarità:
“Clarington, non sono
abbastanza sbronzo da prendere consigli da un segaiolo seriale,
ma se proprio insisti”, aveva inclinato il viso di un lato
con fare
sardonico, “sarò lieto di suggerirti dei posti originali
nei quali ficcarteli”.
Si era stretto
nelle
spalle, l'altro, evidentemente abituato a quel tipo di turpiloquio.
Aveva persino sollevato l'ennesima bottiglia per versarne il
contenuto in due bicchieri: uno scivolò verso Sebastian e
tenne
stretto l’altro per sé. “Questo lo offro
io, ” sollevò il
drink, “alla mezza SegAnderson e ad un felice divorzio,
salute!”.
Aveva emesso
un verso di
divertimento, Sebastian, facendo cozzare il bicchiere contro il suo
(dopo che Hunter parve avere
pietà e allungare
il proprio, visto che non riusciva ancora a capire
chi fosse
il vero barista tra quelli
che vedeva). Bevve di un fiato, ma gli rivolse un’occhiata
scettica. Non soltanto il barista sfigato non aveva avvicinato il
calice alle labbra, ma lo aveva scrutato quasi a sincerarsi che
bevesse interamente dal suo. “Se credi di potermi indurre ad
una
sbornia triste che mi faccia tornare da Kurt e supplicarlo di non
sposarlo-”.
Si
strinse nelle spalle, l'altro. “Chiamami pure romantico: solo
perché la mia vita privata va a pezzi, non significa che lo
auguri
anche a te”.
Sembrò
soppesare quelle parole: “Sei davvero
sicuro di non essere gay?”.
Non
sentì la risposta alla domanda, ma crollò con il
capo contro la
superficie del bancone.
~
La brezza
fredda era un
conforto: scansò i tentativi di Clarington di accompagnarlo,
lo
insultò pesantemente alla proposta di telefonare a Kurt per
avvisarlo del suo imminente ritorno.
L'andatura era
decisamente più goffa di quella che lo aveva visto giungere
al bar
poche ore prima, ma camminava lentamente. I suoi piedi sembravano
ormai conoscere il percorso, anche se la sua mente era un colabrodo
d’immagini, suoni e di una strana euforia, mista alla
sensazione
sempre più netta di una nausea crescente.
Avrebbe dovuto
capirlo
fin da quando era rientrato e lo aveva sorpreso a canticchiare. Aveva
intuito che qualcosa doveva esser successo, qualcosa più
emozionante
della semplice visita al padre per il weekend nella squallida
cittadina dell'Ohio. Era stato un momento folle e incredibile quello
nel quale Kurt si era voltato e, con un sorriso che mai aveva visto
impresso sul viso, aveva indicato con orgoglio l'anello di
fidanzamento al dito.
“Io
e Blaine ci
sposiamo”, erano state le sue parole e c'era voluto qualche
istante
perché Sebastian le assimilasse. Soprattutto
perché riuscisse a
convincersi che stesse parlando dello stesso Blaine che, solo pochi
mesi prima, gli aveva spezzato il cuore. Colui che, così
aveva
ripetuto a lungo, non avrebbe più voluto avere nella propria
vita.
Poche
ore prima.
“Il tuo senso
dell'umorismo non è affatto migliorato, ma
apprezzerò il tentativo:
devo esserti mancato”, fu il suo bentornato.
“Non è uno
scherzo”, aveva ribattuto prontamente, Kurt, e quel sorriso
più
stucchevole ne aveva fatto scintillare lo sguardo, mentre gli si
avvicinava a mostrare il brillante al dito.
Aveva sollevato
la
mano, Sebastian, per tenerlo a distanza, la mascella serrata:
“Che
cosa cazzo significa? Fino a due
giorni fa non meditavi
neppure di incontrarlo di nuovo”, c’era una nota
accusatoria nel
suo tono. Ricordava perfettamente quanto
era sembrato allarmato all’idea che suo padre si fosse
lasciato
sfuggire la notizia del suo ritorno con gli ex compagni del liceo e
che qualcuno prontamente avesse avvisato l’ex fidanzato.
Aveva continuato
a
sorridere, Kurt, in maniera irritante: sembrava provare divertimento
al suo evidente sdegno e al legittimo sconcerto. “Lo so che
è
inaspettato-”, aveva esordito con lo stesso tono pacato con
cui gli
avrebbe spiegato la differenza tra una crema idratante e una
rassodante per il viso.
“Inaspettato?”,
ripeté con voce grondante di sarcasmo, “vorrai
dire totalmente
insano, inspiegabile ed incoerente, a meno che tu non abbia subito
una lobotomia durante il volo”.
“Lascia che ti
spieghi”, lo aveva trattenuto per il braccio con aria
più dolce.
Lo sguardo sembrò nuovamente perdersi nei ricordi, data
l'espressione sognante: “Avresti dovuto assistere alla sua
dichiarazione alla Dalton davanti ai nostri amici, mio padre, gli
avversari storici del Glee Club-”.
“Dimmi, Kurt,
esattamente che
cosa
mi sono perso?”, lo incalzò con espressione
provocante.
“ Il modo
narcisistico in cui persino una personale proposta di matrimonio
è
diventata lo spettacolo di un nano da giardino, o il modo in cui il
tuo senso di inferiorità questa volta potrebbe fotterti per
tutta la
vita?”.
Boccheggiò,
Kurt, per
l'intensità con cui quelle parole furono pronunciate, ma
l’effetto
fu breve. Sembrava che quella nuova serenità gli permettesse
di
sopportare qualsiasi opinione contraria alla propria. O qualsiasi
reazione negativa. “Apprezzo che tu ti preoccupi, ma Blaine
è
stato... Blaine è l'amore della mia
vita”, si corresse.
“Anche le coppie più felici hanno momenti di
fragilità ma-”.
“Ma cosa?”,
lo sfidò Sebastian, alzando ulteriormente la voce.
“E' così,
Kurt? Basta una performance pubblica per far vacillare tutte le tue
convinzioni e prendere una decisione del genere?”.
“E' una decisione
seria”, ribatté a denti stretti, per la prima
volta ostentando un
reale fastidio. Ma che ciò fosse riconducibile al dover
proteggere
Blaine e il loro rapporto (e non un’accusa di
superficialità) fu
persino più insopportabile agli occhi di Sebastian.
“A me sembra solo
l'ennesimo capitolo del Blaine Show a cui ti sei chinato
per
l'ennesima volta”.
“Non è
così!”,
ribatté, Kurt, la voce più stridula e l'aria
esasperata nel
tentativo di farsi comprendere.
Se non altro era
riuscito a lanciare una brezza in quello stato
d’ilarità
impenetrabile.
“Certo, ci
sarà
molto di cui discutere, prendere altre decisioni per la nostra vita
insieme e-”.
Sollevò
ulteriormente
la mano, Sebastian, interrompendolo. “Non resterò
qui ad
ascoltarti farneticare sul vostro matrimonio perfetto, mentre cerchi
di giustificare la più grande cazzata della tua
vita”.
Lo aveva scrutato
ancora a lungo, le labbra strette in una smorfia e lo sguardo
più
fosco: sembrò stentare a riconoscere il giovane che aveva di
fronte.
Quasi rassegnato, scosse il capo e si voltò bruscamente.
“Sebastian!”.
Non aveva
risposto,
aveva infilato il cappotto ed era uscito, sbattendo l'uscio alle sue
spalle.
Non
occorreva controllare
l'orologio per immaginare che fosse molto tardi: non lo sorprese
vedere che ogni luce era ormai spenta. Si tolse il cappotto e
camminò
a tentoni.
Era tentato di
lasciarsi
cadere sul divano e abbandonarsi al sonno (se mai le tempie avessero
smesso di ballare il tip tap), ma puntò lo sguardo alla
camera di
Kurt. Sembrò essere ancora abbastanza lucido da riuscire a
raggiungerla.
Barcollò
sulla soglia,
ne osservò il volto illuminato dai raggi di luna, la mano
con
l'anello che scintillava e che gli fece storcere le labbra. Si
accomodò sul letto, attento a non sbilanciarsi e ruzzolare
sul
pavimento (quello
sì che sarebbe stato divertente!) e ne
ascoltò a lungo il respiro.
Era come se,
in quel
momento, potesse congelare il tempo: tutte le parole che erano state
pronunciate poche ore prima, erano sospese. Così tutto
ciò che
avrebbero dovuto affrontare dal giorno dopo. Tutto in una dimensione
distante e lontana.
Probabilmente
per effetto
del tasso d’alcol nel sangue, la rabbia e la reazione
esacerbata
che aveva ostentato, sembravano spropositate. Uno strano ottimismo
sembrava dirgli che non tutto fosse finito. Era ancora in tempo per
cambiare le cose.
Sospirò
e ne rimirò il
viso pallido.
“Coglione”,
borbottò
in sua direzione.
Si
chinò fino a quando
non poté contare le efelidi sotto l'occhio,
allungò le dita a
sfiorare la pelle morbida e fresca.
Sentì
qualcosa contrarsi
dolorosamente dentro di sé. “Non farlo”,
si sentì dire e si
sorprese della flessione più rauca della sua voce, della
difficoltà
di respirare alla sola idea che quella camera fosse nuovamente vuota
e fosse privato della sua presenza.
Non avrebbe
saputo dire
da quanto tempo fosse rimasto in quella posizione: fino a quando
avesse continuato a sfiorarlo. Fino a quando avesse potuto sottrarre
persino a Kurt quegli istanti soltanto per sé, tutto il
resto
avrebbe potuto attendere.
Almeno fino a
quando la
stanchezza non lo fece letteralmente crollare sul suo stesso
materasso, abbarbicandosi di un fianco, cercando di lottare contro il
sonno, per continuare ad osservarne il viso. Si era sentito serrare
le palpebre, ma aveva stretto istintivamente il corpo dell'altro.
Lo
sentì muoversi,
come se anche dormendo, ne avesse percepito la presenza. Ne
sussurrò
il nome con intonazione confusa, prima di emettere un verso
disgustato: “Puzzi
di alcol”, disse con voce alterata,
evidentemente quando si era coricato, era ancora arrabbiato per il
loro litigio.
Sorrise per
risposta, non
offeso da quelle parole: “Mhm, tu sai di vaniglia e di creme
da
gay”, constatò, anche
se ormai quella
fragranza gli era familiare e non occorreva verificarlo.
Affondò il
volto contro la sua spalla, gli occhi chiusi e il suo respiro pesante
a riversarsi sul collo di Kurt.
“Sei
ubriaco”, era ancora rigido tra le sue braccia, seppur non lo
avesse scostato a forza o spinto giù dal letto, come si
sarebbe
aspettato, ma la voce era ancora fredda.
“Non
tanto”, ribatté
e rafforzò la pressione con cui ne cingeva la vita,
affondando
maggiormente contro il suo corpo, incurante della sua apparente
indifferenza a quella vicinanza.
“Non
ti ho perdonato”,
precisò Kurt con tono da moglie permalosa, premunendosi
tuttavia di
non parlare con voce troppo alta o quell'incrinatura stridula che gli
avrebbe trapanato i timpani nella quiete della notte. “Sei
stato
villano e precipitoso”.
“E
tu resti un idiota”,
borbottò per risposta, quasi risentito, ma senza la
benché minima
intenzione di sciogliere quell'abbraccio a cui lo stava costringendo.
“Ti
convincerò del
contrario”, sospirò Kurt e Sebastian sorrise
perché cominciò a
scorgere un segnale d’apertura e di riavvicinamento.
“Ma, anche
se nel tuo
più che discutibile modo, è
dolce che ti
preoccupi per me”.
Rafforzò
la pressione
del contatto, con aria compiaciuta, strusciando appena le labbra
contro la sua mascella, nell'imitazione di un bacio. Rise del verso
di disgusto causato da un alito tutt'altro che fresco e piacevole su
quella pelle soffice e levigata. “Sono tenero dentro e duro
all'esterno”,
precisò con voce più suadente al suo orecchio.
“Da
ubriaco sei anche
più volgare”, sbuffò l'altro, cercando
di divincolarsi. “Potresti
almeno girarti dall'altra parte: ricordi che hai una tua
camera?”.
Ridacchiò
vagamente
divertito ma, malgrado Kurt fosse riuscito a dargli le spalle, si
pressò contro la sua schiena. Affondò il volto
contro l'incavo del
suo collo: “Sì”, rispose con una traccia
di divertimento nel
baciarne la nuca.
Lo
sentì trasalire.
Sospirò l’attimo dopo: “Dormi,
Sebastian: non ti attende un bel
risveglio”, cercò di scioglierne la pressione con
cui lo aveva
cinto all'altezza dello stomaco. Per qualche motivo, quella
previsione non sembrava riguardare soltanto il post sbronza.
Mugugnò,
Sebastian, ma
lo cinse con entrambe le braccia ad incastrarlo contro il proprio
petto, con intensità quasi angosciante per il modo in cui si
chinò
al suo orecchio, con voce più rauca: “Non farlo,
Kurt”.
Lo
sentì emettere un
verso di sorpresa: probabilmente domandandosi se si stesse riferendo
al matrimonio o a quel tentativo di allontanarsi da lui.
“Non
farlo”, ripeté
con tono impregnato di reale timore.
Kurt aveva
cercato di
voltarsi nella stretta morsa del suo abbraccio, ma non aveva forza di
schiudere gli occhi, Sebastian. Era consapevole che guardarlo in quel
momento avrebbe potuto significare perdere tutto o lasciare che Kurt
scorgesse qualcosa d’insopportabile.
Sospirò
di beatitudine,
invece, al tocco delicato della sua mano fresca ed esile lungo la
guancia, lo sentì scostargli i capelli dal volto e lo
trattenne, il
volto affondato nel cuscino e il sorriso ad incresparne le labbra.
“Kurt”,
ne sussurrò
il nome, quasi ciò potesse contenere tutti i pensieri
inespressi.
Gli
sfiorò nuovamente la
gota, l’altro: “Sebastian”,
sussurrò per risposta, la voce
così delicata che sembrò cullarlo con amorevole
dedizione.
O poteva
fingere che
fosse così: fino a quando fossero rimasti soli, fino a
quando le
luci del nuovo giorno non avrebbero di nuovo gettato lo scompiglio
nella sua vita.
“Adesso
dormi:
affronteremo tutto quanto”, aveva sussurrato, Kurt,
carezzandone i
capelli in un moto regolare che lo aveva indotto ulteriormente a
sospirare e rilassarsi. La fragranza di vaniglia sembrò
inondare
tutto il resto, persino la nausea sembrò sciogliersi.
Lo strinse
ulteriormente
a sé, affondando il volto contro la sua spalla: soltanto
quando Kurt
si rilassò e si abbandonò al suo abbraccio,
riuscì finalmente a
cadere nel sonno.
Sebastian
dubitava che le
parole sarebbero servite, ma Blaine Anderson avrebbe dovuto stare
attento: non avrebbe lasciato andare Kurt tanto facilmente.
To
be continued…
Ed
eccoci alla
conclusione :)
Spero che
l’alternanza
tra narrazione presente e passata non vi risulti confusionaria: dal
primo capitolo i flashback saranno riferiti ad un solo episodio, ma
qui era importante focalizzarsi sulla fine della storia tra i Klaine
(ho rispettato la versione originale) e il momento in cui Sebastian
apprende del fidanzamento.
Prima di
salutarvi, una
sbirciata al prossimo capitolo (quanto mi era mancato scriverlo *-*):
“Non
puoi provare ad essere felice per me?” “Me lo
chiederesti, anche
se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti
getti dal ponte di Brooklyn?”.
“Grazie,
Kurt” “Ti porto altro?” “Se
vuoi saltare i preliminari, puoi
sempre portarmi il tuo numero”.
“Scusa
dolcezza, temo che il tuo amico sia già impegnato in
un’altra
squadra” “Porco!” “Bene, ora
che ti sei liberato, passiamo
alle cose serie”.
Fin
da adesso, ringrazio
di cuore chiunque si appresterà a leggere questo racconto,
spero di
sapervi intrattenere. Un particolare pensiero alla mia Sebastian
che ha atteso tra spoiler provocanti e previsioni
catastrofiche sul
mio modus operandi narrativo :P
Come sempre,
sarò più
che disponibile ad uno scambio di opinioni o qualora si necessitino
chiarimenti, non esitate a contattarmi :)
Non mi resta
che
augurarvi buon weekend e darvi appuntamento al prossimo capitolo :)
Kiki87
|