Assomigli tanto alla felicità.

di sopravvivodiricordi
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L’odore di quella palestra era abbastanza terribile: sapeva di sudore, acqua, parquet, tutto insieme. Eppure era ciò che sentiva da anni, era ciò con il quale conviveva.
Beatrice la prese per mano, saltellando giù per i gradoni, sempre attaccata alla ringhiera.
Alessia guardò quel campo come se fosse la prima volta: era un’emozione sempre nuova vedere i giocatori a tirare a canestro prima dell’inizio della partita.
Si sentì strattonare in mezzo alla folla di gente che scendeva sul campo di gioco con i pass e si guardò intorno.
“Bea!” urlò, sperando di fermare almeno un po’ la sua camminata decisa.
Ma l’amica non le diede retta, anzi, la tirò con più forza.
Quando, finalmente, arrivarono al bordo del parquet, ripresero fiato.
“Alessandro, Riccardo!” gridò leggermente Beatrice.
Alessia girò gli occhi al cielo: chissà quante ne avrebbe combinate, quella sera.
La finale dei playoff era un evento sempre atteso, forse un po’ troppo, soprattutto dai fissati per il basket.
Da quando aveva quattordici anni era stata inserita in quello sport, seppur in modo indiretto, da Beatrice.
Andavano alle partite insieme, si divertivano e conoscevano l’ambiente.
O sarebbe meglio dire: Beatrice conosceva gli allenatori, i giocatori, gli arbitri, ed Alessia si lasciava trascinare da lei in quel mondo che riusciva ad affascinarla ogni volta.
La sua amica salutò i due ragazzi con un bacio sulla guancia.
Bea si alzò sulla punta dei piedi e i due cestisti si abbassarono un po’.
Succedeva sempre ed Alessia era abituata a fare lo stesso.
Alzò gli occhi per presentarsi ai ragazzi, ma prima li avrebbe osservati per cercare di capire che persone erano.
Alessia aveva una specie di dono, se così si poteva dire: riusciva a capire, in base alle mani e ai loro movimenti, le sensazioni degli altri.
Squadrò prima un ragazzo, dalle scarpe all’ultima punta dei capelli.
Alto più o meno un metro e novanta, mani rilassatissime, sorriso innocuo e occhi blu.
“Ti presento Riccardo. Riccardo, lei è Alessia.” disse Bea, molto tranquillamente.
Guardò anche le mani della sua amica: piatte, calme, senza alcuna preoccupazione.
Si sentì felice per lei.
Riccardo sorrise ad Alessia e si piegò quanto bastava per arrivare alle sue guance e scoccarle due baci ai due lati del viso.
Poi il suo sguardo si spostò sull’altro ragazzo.
Aveva delle lunghe gambe, pensò Alessia.
Quando arrivò alle mani, si fermò. Si fermò a guardargli le mani.
Erano soffici, ne era sicura. Erano bellissime.
Il cuore iniziò a batterle più forte: quelle mani le davano un senso di pace, di casa.
Di cose che non provava da diverso tempo a quella parte.
Trovò la forza di continuare a squadrarlo, come diceva Beatrice, anche se su quelle mani si sarebbe fermata per l’eternità.
La sua visuale scorse un busto perfetto e poi un sorriso.
Non era come quello di Riccardo, non era un sorriso innocuo.
Il suo era un sorriso maledetto, di quelli che ti entrano in testa e che non te la lasciano per giorni, per settimane.
Poi vide i suoi occhi. E gli occhi di quel ragazzo videro lei.
Alessia riusciva a riflettersi dentro a quegli occhi.
Anche quelli erano due occhi maledetti, che lanciano certi sguardi che ti ricorderai per sempre, qualunque cosa significhi “per sempre”.
Alessia dentro a quegli occhi ci stava guardando come non era mai riuscita a fare con nessuno.
Dentro a quegli occhi ci vedeva le cose più belle: la spiaggia, i giochi, le risate, l’estate, il mare.
Due risatine innocue, quelle di Riccardo e Beatrice, li distrassero da qualsiasi cosa loro stessero facendo.
Si stavano già parlando prima di parlarsi davvero.
Alessia distolse lo sguardo, in qualche modo: chissà quanto tempo era rimasta a soffermarsi su ogni piccolo dettaglio di quel ragazzo, forse di due anni più grande di lei, sicuramente più alto di almeno quindici centimetri se non di più.
Alessia aveva diciotto anni e un sorriso coordinato a due occhi così, non lo aveva mai visto.
“Piacere, Alessandro.” disse quel ragazzo maledetto, di quelli maledetti che ti entrano nell’anima e che non te la lasciano più.
Lei sorrise, perché era l’unica arma che le era rimasta e in qualche modo rispose: “Alessia.”, stringendo la mano a quel ragazzo di cui era riuscita a capire tanto semplicemente guardandolo negli occhi.
Dopo che Beatrice disse a Riccardo che si sarebbero trovati insieme tutti e quattro dopo la partita per mangiare una pizza, se ne andarono .
Alessia era felice, perché sapeva che avrebbe rivisto Alessandro.
Beatrice guardò il sorriso che aveva stampato in faccia senza che nemmeno se ne accorgesse.
“Che cosa hai visto nei suoi occhi?” chiese Bea.
“Il mare, l’estate, la spiaggia, le risate.”
“Brutto segno.”
“Cosa?”
“Eh, sì. E’ facile vedere il mare in due splendidi occhi azzurri. Ma se il mare lo vedi in due occhi scuri, vuol dire che o sei daltonica, o sei innamorata.”
Beatrice ci credeva nel colpo di fulmine, al contrario di Alessia.
Eppure, Alessia pensò che se due persone riuscivano a comunicare con le parole degli occhi, significava che qualcosa di magico esisteva.




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