Introduzione:
quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità,
quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di
bontà, quando è il cacciatore a divenire preda,
chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un
giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi
potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza
e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la
soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in
solitudine.
Note: Questa
fic era nel mio cassetto elettronico da troppo tempo. Ci ho messo un
bel po' d'anima, di fatica e di divertimento per partorirla e poi ho
deciso di rinchiuderla. Credo sia arrivato il momento di rischiare, di
condividerla e di liberarla. Le storie non sono fatte per ammuffire in
un angolo!
Questa long non è molto long: appena 11 capitoli. Spero che
piaccia e magari emozioni, ma, come sempre, senza pretese.
Buona lettura!
Ax.
The strange
case of dr. Reid and mr. Outside
1
Sangue
Non c'è uomo
più sperduto di chi ha smarrito la via
nell'intrico della
propria mente,
dove nessuno
può raggiungerlo e nessuno può aiutarlo.
Non c'è uomo
più disperato di chi non riesce a ricordare.
Isaac Asimov
Sangue.
Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni
prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua
pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun
altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma?
Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la
sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
I minuti scorrono in modo irregolare: a volte in sessanta
secondi, altre sembrano impiegarci meno di un istante. Ma il tempo non
può piegarsi su se stesso, saltellendo impazzito come una
rana; almeno non in questo universo e non in una mente sana. Questo il
dottor Spencer Reid lo sa bene e potrebbe snocciolare in meno di tre
minuti, ora reale si intende, nozioni ben precise sul tempo. Eppure le
certezze accumulate nel cervello sembrano sgretolarsi davanti allo
specchio, che gli rimanda l'immagine di un sé sporco,
stanco, irreale. Da quando ha aperto occhio nulla gli è
sembrato vero.
Si stringe nelle spalle, mentre un brivido percorre ogni
centimetro del corpo, fissandosi nelle ossa. Sente freddo, nudo nel suo
bagno, di fronte a quello specchio. Trema, ma non riesce a muoversi.
Nel lavandino giace una maglia color panna, intrisa di un
rosso che diventa sempre più marrone. Non sa da dove venga,
ma è con quella maglia indosso che si è svegliato
nel suo appartamento meno di un'ora fa. Tutta la parte centrale del
tessuto è occupata da un lungo getto di sangue, che si
è espanso nel tempo- ha calcolato che ci siano volute almeno
otto ore. Ha voluto credere non fosse vero, ma usando la sua scorta di
luminol su quel maglione, non ha avuto più dubbi: nel giro
di tre minuti, nel buio ermetico del bagno, è apparsa la
luminescenza rivelatrice.
Si guarda le mani: tra le falangi si è depositato
del liquido, che ora è diventato una pasta marrone. Sembra
essergli penetrato nella carne. Preso da un'impeto di disgusto, afferra
il flacone di candegina e sta per versarla sul maglione, ma ci ripensa.
Dall'armadietto prende un paio di forbici e ricava una striscia di
tessuto, che infila in un sacchetto ben chiuso. Questo semplice gesto
ha il potere di tranquillizzarlo: porterà il campione in un
laboratorio e lo farà analizzare. Ma la prospettiva di
quello che potrebbe accadere lo getta nello sconforto. Si abbandona al
muro, si lascia scivolare a terra e resta immobile a fissare il
soffitto.
Possibile che io abbia ucciso?
Vorrebbe dire di aver passato una serena notte nel suo letto,
di aver letto fino ad addormentarsi con un volume aperto sul torace che
si sollevava ed abbassava, mentre le fasi del sonno scivolavano via
fino al prodigioso mattino pieno di luce e normalità. La
verità è che se qualcuno gli facesse la
famosa e tormentosa domanda: «Dov'era ieri notte dalle nove
a...bhe, al mattino?» Spencer Reid potrebbe solo rispondere,
tra affannose ricerche: «Non ne ho idea.»
Lui è quasi certo di aver lasciato gli uffici del
BAU verso le otto di sera. Ha discusso con Rossi, circa la
responsabilità morale e intellettuale di condannare una
persona che non abbia memoria dei suoi crimini.
L'ironia
della vita.
Ha preso la metro per tornare a casa, ma non è
sicuro di aver varcato la soglia. La sua vita nello spazio temporale
compreso tra le nove della sera prima e il momento attuale è
un pericoloso buco nero, che risucchia nell'oblio anche i ricordi
più fermi. Forse si è fermato in un bar, dove ha
bevuto frettolosamente un cognac, oppure questo è accaduto
la sera prima: le immagini nella mente sono deboli e offuscate. Quando
dubiti della tua memoria, nulla è più certo.
Non ricordare, per Spencer, è come non vivere.
La testa gli esplode. Fino al quel momento, non avrebbe
potuto credere che una frase così imprecisa e comune potesse
essere la descrizione più fedele di un dolore fisico. Se
fisico si può chiamare quel pesante macigno che gli comprime
il cervello. Gli sembra che il liquor cerebrospinale si stia
condensando, premendo sulle pareti fragili della sua mente. Riconosce
come la paranoia lo stia inquinando, ma non riesce a liberarsene.
Il telefono prende a squillare sul lavvabo, diffondendo il
suono suono acuto attraverso la porcellana. Si alza così in
fretta che per un attimo tutto diventa nero. Si preme i pugni sugli
occhi e pian piano la vista torna nitida.
Morgan.
«Sì?»
«Hei, ragazzino. Quanto ti ci vuole per
prepararti?»
Spencer aggrotta le sopracciglia. Forse ha dimenticato di
avere un appuntamento, forse non sa neanche che ora sia.
«Scusa?»
«Sto passando a prenderti» dice, ma poi
si accorge dal silenzio che l'altro è disorientato.
«Hotch mi ha chiamato, abbiamo un caso.»
Spencer vorrebbe controllare l'orologio da polso, ma non
sembra essere nei paraggi. In realtà, non ricorda di averlo
tolto mentre si spogliava. «Ok, bene.» risponde
frettoloso e riaggancia bruscamente.
Rimane inebetito con il telefono nel palmo della mano
sporca. Poi si riscuote e apre il rubinetto della doccia. Sentire la
voce di Morgan, così reale e familiare, lo ha riportato nel
mondo in cui lui non ha mai commesso alcun crimine, dov'è il
piccolo genio di una squadra formidabile che da' la caccia a persone
realmente colpevoli. Più tardi darà uno sguardo
ai notiziari: forse c'è stato un incidente e lui non lo
ricorda, per via dello shock.
E se...
Un dubbio gli fulmina la mente. L'altroce sensazione di aver
commesso un errore, così vecchio e così sporco,
lo sconvolge. Sotto l'acqua calda controlla l'incavo del gomito. Le
vene gonfiate dall'agitazione e dalla temperatura sono l'unico segno
che vi trova. Controlla anche le caviglie: niente punture. Sospira,
mentre un pensiero macabro e ironico lo colpisce: avrò anche ucciso, ma
almeno non sono ricaduto nel vizio della droga.
Venti minuti dopo è in piedi sul marciapiede,
stretto nel cappotto, la tracolla sulla spalla che gli pesa
più del solito, quando vede il SUV frenare e Morgan
sorridergli dalla cornice del finestrino. Sembra quasi tutto normale,
ma sul dorso delle mani sente ancora la sensazione del sangue, come uno
strato appiccicoso di miele che non va via.
«Tutto bene?»
Spencer si risistema sul sedile, a disagio.
«Sì, certo.»
«Hai una brutta cera. Sicuro di aver fatto
riposare quel super-cervello?»
Gli angoli della bocca vengono tirati in un sorriso stanco e
forzato, poi il ragazzino scuote la testa. «Più o
meno.»
L'altro si fa più serio. «Ancora mal di
testa?»
Spencer vede un'occasione di fuga da quell'indagine scomoda.
«Sì, non ho dormito bene. Ma ora va
meglio.»
«Sicuro? Guarda che puoi tornare a casa e
riposare, parlerò io con Hotch. Sono sicuro che
lui-»
«No» quasi urla Spencer. Si schiarisce
la voce. «Non è necessario. Sto meglio, davvero.
Preferisco lavorare.»
Morgan è perplesso, ma capisce che è
meglio non insistere. «Come vuoi.»
Involontariamente, il suo istinto si attiva e,
mentre il dottore fissa oltre il finestrino, lui ne approfitta per
scrutarlo. Non gli sfugge il rossore degli occhi e il torturarsi
incessante delle mani, che sembrano volersi nascondere a vicenda.
C'è un certo alone che circonda il ragazzo e a
Morgan ricorda un periodo ben più nero, quando Spencer si
sentiva in colpa per il suo segreto, per quell'ago che gli perforava la
vena, sicuramente all'altezza della caviglia dove nessuno avrebbe
cercato. Nessuno a parte Morgan.
Si da uno schiaffo mentale. Non essere stupido, quella
è storia vecchia. Perché Spencer non potrebbe mai
essere così stupido, non due volte. Questo farebbe di lui un
idiota. Mentre si ripete queste rassicuranti teorie, Derek
sa che l'intelligenza non ha nulla a che vedere con la
capacità di sconfiggere i propri demoni.
Decide quasi automaticamente di tenere d'occhio Spencer, a
costo di stargli col fiato sul collo.
Da qualche parte nel
cielo tra Washington e Georgia.
Ad Atlanta una donna è stata strangolata con una
cinghia di cuoio, il corpo scaricato in un vicolo. Non c'è
sangue in quelle foto, nemmeno una goccia, ma le mani di Spencer non
riescono a non avere un lieve tremito. In un angolo del jet, seduto
lontano dai finestrini, dovrebbe meditare sul caso presentatogli poco
più di un'ora prima, ma la sua mente scivola ostinata verso
altri pianeti. Si massaggia le tempie, abbandonando il fascicolo sulle
ginocchia, e cerca di pensare lucidamente.
Forse
è solo suggestione, si dice. Essere un profiler e vedere, a
volte subire, tanta violenza rende paranoici.
Vorrebbe davvero crederci, ma qualcosa sembra spingere
dentro di lui per buttarlo in un'altra direzione, faccia a terra. Cerca
di rassicurarsi: prima di partire ha lasciato il campione di sangue ad
un laboratorio fidato e discreto. Ma questo non diminuisce la sua
ansia, perché la mente comincia automaticamente a
congetturare: a
quest'ora avranno già un riscontro positivo per il sangue
umano e al ritorno sarà pronto il profilo del DNA, e
allora...
«Reid? Ci sei?»
Alza di scatto lo sguardo e incontra gli occhi di JJ, che
attende la risposta a una domanda che il dottore non ha neance
percepito. Tutti lo stanno fissando e tutti tornano ai loro fascicoli,
quando Spencer riesce a tirare fuori qualche parola convincente e
ipotesi improvvisate. Tutti attribuiscono quella temporanea assenza
alle bizzarrie del dottore, tutti tranne Morgan, che ascolta e osserva
in silenzio, mentre i pezzi di un puzzle comportamentale vagano nella
sua mente, senza riuscire a incastrarsi.
Forse è solo suggestione, pensa. Essere un profiler e vedere
tanta violenza rende sensibili, ti fa sviluppare un sesto senso per il
pericolo. Eppure...
Morgan sospira, mentre una rabbia stanca gli monta in
petto. Potrà anche trattarsi di paranoia, ma la paura che
sente è reale e gli dice che Spencer si è
cacciato di nuovo nei guai.
|