Un momento per Severus
Disclaimer: I diritti di
Harry Potter and co. non mi appartengono, ma sono detenuti da J.K.Rowling, dalla
Warner Bros e da tantissima altra gente. Io non scrivo assolutamente a scopo
lucro il mio è soltanto un modo creativo di utilizzare la mia fantasia.
Titolo: Un momento per
Severus
Autore:
Thilwen.
Beta
Reader:
mise_keith.
Avvertenze: Spoiler Harry Potter and the Deathly
Hallows
Note:
Ho scritto
questa breve storia nell’autunno scorso e soltanto adesso l’ho riletta e rivista
sul serio per poterla pubblicare. Non tanto perché non mi piacesse, ma perché
non riuscivo a trovare il famoso momento giusto.
La verità è che
i momenti giusti non bisogna aspettarli, ma saperseli creare all’interno della
propria quotidianità.
Ecco che la
correggo e la mando. Non è una fan fiction a sfondo romantico e non vuole
proporsi di difendere nessun paring. Si limita soltanto ad essere una
riflessione sull’amicizia e l’affetto che si prova nei confronti di una persona,
a prescindere dal rapporto che si intrattiene con questa.
Spero possiate
gradirla.
Ringraziamenti e
dediche:
A un amico
perduto.
A un amico da
vivere.
E alla migliore
amiche che si possa immaginare.
.
Un momento per
Severus
.
James Potter
sapeva che l’avrebbe trovata in quella posizione ancor prima di materializzarsi
nel soggiorno della loro abitazione in Godric Hallows.
Lo sapeva perché
la ritrovava quasi sempre così quando tornava dalle missioni indette dall’Ordine
della Fenice: seduta sulla poltrona vicino alla finestra, la tenda leggermente
scostata, uno spiraglio di visuale per spiare la via, lo sguardo perso oltre il
giardino e il viale polveroso, a non vedere nulla, ma ad attendere, nel silenzio
di una tensione incontrastabile, il suo ritorno.
Le mani, bianche
e lisce, incrociate sul ventre gravido, in un gesto forse più di consolazione
che di protezione. Restava probabilmente in quella posizione per tutta la durata
della sua assenza, costringendosi a non pensare e provando disperatamente a
tenere sottocontrollo la paura, l’ansia, la soggezione.
Erano ore
interminabili e si allargavano oltre le maglie del tempo. Attendeva lì, alla
finestra, come se sperasse di vederlo attraversare la strada per tornare a casa,
nonostante sapesse che si sarebbe materializzato dentro.
James riuscì a
immaginarla ancor prima di arrivare e quando la vide, accucciata su se stessa
con il volto impietrito, gli angoli delle labbra gli si piegarono in un sorriso
di vittoria. “Proprio come avevo detto”, pensò, e attese con gioia quella
frazione di secondo che lei impiegava per voltarsi velocemente, guardarlo con
tutto il sollievo del quale era capace e alzarsi accarezzando il ventre teso,
con un’espressione di dolce abbandono in volto.
-James- sussurrò
altrettanto dolcemente, mentre lui si toglieva il mantello impolverato e
sgualcito in un angolo, scrollandosi di dosso alla meglio tutta la stanchezza,
la paura e la commiserazione che gli avevano divorato corpo e spirito nelle
ultime ore.
Quando fu al suo
fianco, si limitò ad accarezzarle i capelli e darle un lieve bacio, felice,
finalmente, di essere a casa.
-Come stai?- le
chiese, guardando quel colorito pallido di chi ha i nervi abbastanza provati,
-Sei stata molto in pensiero?-
Lily non gli
rispose. Si morse il labbro inferiore subito sfuggito in un sorriso che, in
realtà, era una smorfia di dolore.
-Sei qui, no?-
la sua voce era quasi rauca mentre lo accompagnava al divano e gli prendeva una
mano fra le sue, disegnando con l’indice percorsi immaginari di
sensazioni.
-Come è andata?-
gli domandò con tono basso, come se fosse indecisa se fare quella domanda - ti
va di parlarne subito?-
Era solita
chiedere al marito un resoconto degli avvenimenti di guerra non appena
rientrava, nonostante egli non fosse sempre disposto a raccontare tutto subito;
talvolta la sua prima necessità era quella di segnare un netto margine di
distacco fra tutto ciò che era accaduto prima e l’inverosimile pace del suo
salotto. E allora taceva, e con il suo tono irriverente da eterno bambino
iniziava a parlare di tutte le stupidaggini alle quali, ormai, si limitava solo
a fingere di credere.
Alla domanda di
Lily, James annuì con poca convinzione, ma poi, evidentemente per temporeggiare,
disse: –Ti spiace se prima preparo il tè?-
Si alzò
lasciandola sola in soggiorno non attendendo una risposta, trascinandosi in
cucina e procurandosi l’occorrente per preparare il tè senza sfiorare la
bacchetta posta nella tasca interna della tunica: l’aveva impugnata per troppo
tempo e troppi incantesimi aveva pronunciato quel
pomeriggio.
Prese il
bollitore, lo mise sul fuoco e attese.
Quando
Dumbledore, parecchie ore prima, aveva chiamato a raccolta l’Ordine della
Fenice, nessuno era ancora al corrente della portata dell’attacco dei Death
Eaters. Il Patronus di Moody era
apparso nel suo salotto, davanti a una Lily agitata, per pronunciare poche
parole che annunciavano un attacco degli uomini di Voldemort nel pieno centro di
Londra. James aveva dato velocemente un abbraccio alla moglie, quasi temendo di
incontrare lo smarrimento nei suoi occhi. Poi, preso il mantello, era andato
via, impreparato di fronte alla carneficina che lo
aspettava.
Venne distolto
dai suoi pensieri vedendo il bollitore fumare. Spense il fornello e finì di
preparare il tè distrattamente.
Quando, pochi
minuti dopo, rientrò in salotto con un vassoio in mano, trovò Lily ad
accarezzare il suo pancione di sette mesi, molto più rilassata rispetto a come
l’aveva ritrovata poco prima.
Posò il vassoio
sul tavolino basso davanti al divano.
-Ho portato
anche dei biscotti- disse.
-Grazie.-
Spinse una mano
verso il ventre della moglie, accarezzando lievemente la pancia gonfia sotto la
veste. –Come sta?-
-Turbolento,
come il padre.-
Risero entrambi
per qualche secondo. Poi presero le tazze di tè. Lily, prima di berlo, vi soffiò
sopra un paio di volte, osservando il marito intensamente.
-È stato così
terribile oggi?- chiese infine, non riuscendo a
trattenersi.
James si umettò
le labbra, poi, prima di parlare, ingurgitò una lunga sorsata di tè
caldo.
-Siamo arrivati
tardi… avevano già colpito…-
-Cosa?-
Fece un gesto
approssimativo con la mano. –Un grande negozio di abbigliamento babbano, in
centro, a Londra, dove
probabilmente si serve… serviva una
parte facoltosa di popolazione.-
Restarono in
silenzio un minuto, lo sguardo immerso dentro le tazze del
tè.
-Quanti?- chiese
infine Lily senza esplicitare il soggetto,
alzando la testa e stringendo le labbra.
James alzò impercettibilmente le spalle
–Una quindicina di morti circa, il numero preciso non è ancora stato divulgato.
Ci sono molti feriti, anche gravi.-
Lily chiuse gli
occhi mormorando qualche parola incomprensibile.
James le prese
la mano, provando a sorriderle, non riuscendoci, tuttavia, in maniera
credibile.
-Il
resto?-
Egli si rigirò
la tazza fra le mani. –Nessuna vittima fra di noi, per fortuna, solo qualche
ferito, niente che sembri grave.- si passò, per abitudine o per imbarazzo, una
mano fra i capelli –Anche Sirius, ma… nulla di preoccupante- si affrettò ad
aggiungere vedendo gli occhi della moglie incupirsi -Fra qualche giorno sarà
come nuovo. Anzi, faceva già lo sbruffone …-
Lily annuì e,
finalmente, pose le labbra sull’orlo della sua tazza che, ormai da diversi
minuti, teneva in mano senza bere. Ma l’abbassò quasi subito, rivolgendo uno
sguardo diretto al marito.
-Hai detto che
non ci sono state vittime fra di voi, ma… fra i Death
Eaters?-
James sapeva che
quella domanda sarebbe giunta. Bevette un altro sorso di tè cercando il suo tono
di indifferenza più puro.
-Uno- disse
infine, fissando avanti a sé. Al suo fianco percepì il tintinnio lieve della
porcellana, come quando una tazza cozza impercettibilmente contro il piattino
per un debole ed incontrollato movimento della mano. Si voltò verso di lei per
fissarla e finalmente, con tono neutro e distaccato, concluse –Non era lui.-
E anche in
questo caso sapeva, ancor prima di voltarsi e di parlare, cosa ci sarebbe stato,
per una frazione di secondo, sul volto della sua donna.
E quando lo vide, non ci fu
stupore.
Lo sapeva,
glielo leggeva fra gli occhi e la bocca, nella pelle tesa lungo gli zigomi, nel
pallore inusuale delle gote.
Tratteneva il
respiro e le labbra tremavano appena.
Poi in petto le
si scioglieva un sollievo che non sapeva nascondere e un sospiro le sfuggiva
dalla bocca.
Era un momento.
Il suo momento per
Severus.
Severus. Non si
trattava di Snape, Snivellus, un Death Eater.
In quel momento,
fra la paura e la consolazione, era Severus, il suo confidente, amico
d’infanzia, che le scivolava in gola e le bloccava il fiato, e quel momento, fra gli innumerevoli delle
sua giornata che divideva fra il suo amore per James e per il figlio, era solo
ed esclusivamente dedicato a lui.
Integralmente
intatto come l’affetto incorruttibile di due bambini.
James sapeva che
non poteva fare nulla per impedirlo. L’intensità di quel momento lo stordiva e
accecava di rabbia e gelosia. Lo ingoiava, chinava il capo e
l’accettava.
Era per questo
che Lily l’aveva amato; per questa sua forma di pacato rispetto e riservata
accoglienza di lei in ogni suo anfratto.
Perché anche quel momento era
Lily.
Perché anche quel Severus era
Lily.
Faceva male, in
profondità, un dolore sordo che si mutava in lieve calore umano, polvere
d’amore. Un sacrificio, un pegno di eroica sopportazione.
Fu per questo
che non disse nulla. Si limitò a scostarle una ciocca di capelli rossi dietro
l’orecchio con la mano libera.
Lily,
finalmente, prese a bere il suo tè.
-Chi era il
Death Eater ucciso?-
-Non lo so,-
ammise James posando la sua tazza ormai vuota sul vassoio. –Non era sicuramente
Snape, era un uomo robusto, con i capelli chiari e corti… ma non abbiamo avuto
modo di accertarci della sua identità nella foga della battaglia e il corpo lo
hanno portato via loro.-
Per tutto
il resto del tempo che impiegò Lily a finire il suo tè restarono in
silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri.
-Mi
dispiacerebbe se morisse,- gli disse improvvisamente, come chi esprime un
pensiero prima di pensare, con voce impastata, senza guardalo, posando anche lei
la tazza vuota. –So che potreste essere costretti a…- bloccò James con un gesto
della mano e un sorriso mesto.
-So che non mi
credi, James- continuò inseguendo il filo di un ricordo nostalgico. –Ma Severus
Snape era una brava persona, io lo conoscevo. Di lui mi
fidavo.-
Il modo in cui
smise di parlare fu doloroso per entrambi.
James avrebbe
voluto dirle che le persone cambiano, che Snape non valeva nulla, che capita a
tutti di sbagliarsi; le parole gli morirono in bocca.
-Non so perché
gli sia successo tutto questo; non era così un tempo.-
Anche questa
volta non le disse nulla. Mise un braccio intorno alle spalle della moglie e
lasciò il che suo capo prendesse posto sulla sua spalla.
-Mi dispiace,
Lily.- riuscì a sussurrare solamente, vincendo se stesso di fronte alla carezza
morbida dei capelli di lei alla sua guancia ruvida.
Ella non
rispose. Dopo un po’ si limitò semplicemente a dire, con voce leggermente
soffocata:
-Che sciocchi,
non abbiamo mangiato i biscotti.-
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