B: Ci sono
stati degli
spari nei corridoi. Ho paura. Non posso dirti dove sono ma tu lo sai.
Non so se
riuscirò ad uscire di qui, ma devi sapere che ti amo. (15.45)
Quando lesse il messaggio il telefono
gli cadde di mano.
«Che succede?»
chiese Rachel alzando gli occhi dallo
spartito che stava studiando.
Scosse la testa, incapace di parlare.
«Allora? Hanno cancellato
lo spettacolo per cui avevamo
preso i biglietti?»
Scosse di nuovo la testa e senza
sapere bene come riuscì a
sporgerle il telefono, ma non appena lo sfiorò con la punta
della dita arrivò
un altro messaggio.
B: C’è
stato un altro
sparo. Ti prego, rispondimi. (15.46)
Fissò sconvolto lo
schermo, poi le sue dita si mossero di
propria iniziativa.
K: Sto
arrivando. Ti
amo. (15.47)
«Si può sapere
cosa è successo?» sbuffò Rachel, anche
se
vedeva dalla sua espressione che non si trattava dello spettacolo di
quella
sera.
«H-hanno sparato. A scuola.
Sono chiusi in aula canto.» si
alzò in piedi, tremante, andando a prendere la propria
giacca.
«Oddio! Stanno tutti
bene?» balzò in piedi anche lei.
«Non lo so.»
rispose atono, componendo velocemente un numero
sul palmare, raccattando il proprio portafoglio dal tavolo e una
sciarpa da una
sedia.
«Cosa stai
facendo?» domandò senza capire il suo
atteggiamento.
«Sto andando
là.» detto ciò uscì
semplicemente dalla porta,
mettendosi a correre per le scale, troppo spaventato da cosa stava
succedendo
per sopportare l’attesa dell’ascensore; persino
restare fermo in taxi sembrò
un’impresa titanica, proprio come quella di non insultare
l’autista che si
fermava a ogni semaforo e a ogni stop – nessun tassista a New
York aveva mai
rispettato un segnale stradale, questa nuova moda doveva iniziare
proprio quel
giorno? – e non osava nemmeno immaginare come sarebbe stato
attendere in aereo.
Gettò
un’occhiata al cellulare, ma non erano arrivati nuovi
messaggi.
Sentì il sangue defluirgli
dalle guance. Che chi aveva
sparato fosse entrato nell’aula di canto? Che avesse di nuovo
sp-…? No. No, non
poteva nemmeno pensarci.
Però aveva paura, paura
che fosse successo qualcosa a Blaine
mentre lui non era lì, che fosse successo
l’irreparabile. In un gesto privo di
qualunque pensiero avviò una chiamata, ma non appena si rese
conto di cosa
stava facendo quasi lanciò via il cellulare: se il pazzo con
la pistola fosse
stato vicino e lui avesse fatto suonare il telefono di Blaine lo
avrebbe
trovato subito, e non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo
dopo.
B: Non
chiamarmi, se
suona qualcosa non so cosa potrebbe succedere. (15.53)
K: Va bene,
andrà
tutto bene, sto arrivando. (15.53)
Sospirò di sollievo e
quasi saltò giù dal taxi non appena
arrivarono all’aeroporto.
Il viaggio in aereo gli
sembrò il più lungo della sua vita,
ma finalmente riuscì ad arrivare, ad affittare una macchina
e a lanciarsi in
una folle corsa verso la sua vecchia scuola; quando arrivò
davanti al McKinley
fu bloccato dalle auto della polizia schierate come una barriera
davanti alle
porte, come se quello servisse a qualcosa. Il pericolo era dentro, non
fuori,
perché non entravano a liberare chi era dentro? Che chi
aveva sparato avesse
preso degli ostaggi? E se tra quegli ipotetici ostaggi ci fosse
stato…
No, non poteva pensare nemmeno a
questo.
Uscì di corsa dalla
macchina sbattendo la porta, ma quando
provò ad avvicinarsi alla porta principale della scuola fu
fermato da un
agente.
«Non può
entrare.» disse semplicemente, come se credesse che
tre parole simili fossero sufficienti a farlo calmare e desistere dal
suo
intento di tirare fuori Blaine da lì.
«Io devo entrare,
lì dentro c’è… il mio
ragazzo.»
Perché sì,
anche dopo mesi in cui aveva provato a
dimenticarselo e a convincersi che tra loro era tutto finito non ci
riusciva,
prova ne era cosa era successo al fallito matrimonio qualche manciata
di
settimane prima. Adesso, messo di fronte a una situazione simile in cui
non
sapeva se sarebbe più riuscito a vederlo o se avrebbe avuto
un altro morto da
piangere, si rendeva conto di quanto il tempo e i fatti non erano
riusciti a
cambiare i suoi sentimenti nemmeno di una virgola.
«Può esserci chi
vuole lì dentro, ma non può entrare lo
stesso.»
«Senta, abbiamo litigato,
non posso permettere che…» non
riuscì a continuare, fermato da un nodo in gola che gli
affievolì la voce fino
a renderla inesistente.
«Mi ascolti: non
può entrare nessuno nell’edificio
finché
non sarà controllato e gli studenti non saranno fatti
uscire, quindi mi faccia
il favore di restare qui, di restare calmo, e di non intralciare il
nostro
lavoro, altrimenti le cose per chi si trova all’interno si
potrebbero mettere
male.»
Annuì a fatica e dopo
avergli dato una pacca su una spalla
l’agente si allontanò per andare a ispezionare il
perimetro e assicurarsi che
tutto fosse a posto.
Rimase ad attendere per quelle che
gli sembrarono ore, il
cuore che batteva nel petto come impazzito, il respiro che lottava per
uscire
dalla sua gola, le dita tremanti strette attorno al telefono che non
suonava
più da tempo, da troppo
tempo; però
non c’erano stati altri spari, quindi il fatto che Blaine non
gli stesse
scrivendo non voleva dire niente.
“Non solo le pistole
uccidono…” sussurrò una voce maligna
nella sua mente, facendolo rabbrividire al solo pensiero.
Si prese la testa tra le mani,
stringendosi le tempie nel
tentativo di zittire quella voce, cercando quanto meno di non mettersi
a
piangere per la disperazione e per la paura.
K: Andrà
tutto bene,
coraggio. (17.22)
Attese con il cuore in gola, pregando
il proprio telefono di
portargli una risposta, ma quello rimaneva silenzioso, lo schermo
spento.
Si passò una mano tra i
capelli, le mani intrecciate tra
loro per contenere la paura e il dolore finché le nocche non
gli divennero
bianche.
B: Grazie.
(17.29)
Sospirò di sollievo e si
concesse di sedersi sul bordo di un
marciapiede, aspettando insieme a tutta la folla di gente che si era
riunita lì
intorno che succedesse qualcosa, che finalmente qualcuno dicesse loro
che era
finita e che le persone che amavano stavano bene.
K: Sto
morendo di
paura, non posso nemmeno immaginare cosa stai passando tu. (17.31)
B: Non so
nemmeno cosa
fare, ho paura da così tante ore che non riesco
più nemmeno a rendermi conto di
cosa sta succedendo. Se non dovessi uscire di qui sappi ancora che ti
amo.
(17.33)
K: Smettila.
Non
pensare nemmeno di non riuscire a uscire di lì, la polizia
vi tirerà fuori.
(17.33)
K: Ti amo
anch’io.
(17.35)
Aveva dovuto aggiungerlo, ma era
stato difficile. Sì, certo,
glielo aveva già scritto prima, ma ripeterlo era diverso dal
dirlo una sola
volta.
Attese una risposta, ma con molta
probabilità il telefono di
Blaine si era scaricato quindi ora non avrebbe più potuto
avere la certezza o
quantomeno la vaga impressione che stesse andando tutto bene
– per quanto le
cose potessero andare bene in una simile situazione.
Sospirò la propria paura e
ansia nell’aria che si stava facendo
via via più scura, ma proprio in quel momento
sentì delle grida alzarsi dalla
massa di persone raccolta intorno a lui. Inizialmente sentì
lo stomaco
stringersi ancora più di quanto non avesse già
fatto in quelle ore, il cuore
sprofondare in basso nel petto, ma poi le porte della scuola si
aprirono e non
ne uscì nessuna barella coperta da un telo, ma una piccola
valanga di ragazzi
terrorizzati, che tremanti si stringevano l’uno
all’altro nella speranza di
dimenticare.
Rimase fermo, incapace di sperare
finché non lo avesse visto
davanti a sé, ma poi i suoi occhi si soffermarono sul suo
viso familiare
contorto dalla paura, e non poté trattenersi dal corrergli
incontro proprio
come stava facendo il resto della gente che come lui si trovava al di
qua del
cordone di polizia; gli corse incontro e prima che potesse anche solo
accorgersene lo stava stringendo tra le braccia.
«Stai bene.»
singhiozzò contro il suo collo continuando ad
abbracciarlo, ad accarezzargli la schiena, e inspirare il suo profumo
che gli
era mancato così tanto.
«C-Che ci fai
qui?» domandò stupito prima di ricambiare la
stretta e di lasciarsi del tutto andare tra le sue braccia.
«Mi hai detto che
c’erano stati degli spari e che eri chiuso
qui, come potevo non fare di tutto per essere qui?» gli
passò una mano tra i
capelli che la paura aveva già sciolto dalla loro solita
forma e poi lo baciò,
a lungo, intensamente, la mano che non si trovava tra i suoi capelli
premuta
contro la sua schiena per tenerlo il più vicino possibile e
non lasciarlo più andare
per nulla al mondo.
Il moro dopo un attimo di stupore
ricambiò il bacio con
slancio e passione riuscendo finalmente a rilassarsi contro di lui e a
dimenticare almeno per qualche momento ciò che aveva appena
passato in
quell’aula che per loro due aveva significato tanto.
«Ti amo, Kurt.»
ansimò quando riuscì di nuovo ad avere il
controllo delle propria bocca.
«Lo so.»
appoggiò la fronte alla sua, e sapeva che l’altro
aveva capito anche ciò che non aveva detto.
«Vedo che l’ha
trovato.» una voce li fece sobbalzare, e
quando Kurt riuscì a distogliere lo sguardo dal ragazzo tra
le sue braccia
riconobbe l’agente con cui aveva dato in escandescenza prima;
gli sorrise
avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Blaine.
«Sì,
fortunatamente sì.»
L’uomo li salutò
con un cenno, andando poi a compilare un
verbale richiesto da un suo superiore.
«Chi era quello?»
«Non importa.»
appoggiò la testa alla sua e gli baciò una
tempia «Stai bene?»
«Diciamo che sto meglio,
ora.»
«Dove sono i tuoi genitori?
Saranno in pensiero visto che io
ti ho monopolizzato.» gli accarezzò uno zigomo con
un pollice, incapace di
lasciarlo andare e di non toccarlo anche solo per un secondo.
«Non sono qui, sono in
viaggio e torneranno solo domani. Il
problema è che non so come tornare a casa.»
“E nemmeno come fare a
stare da solo fino a domani.” pensò,
ma non si azzardò a dirlo.
«E quindi stasera tu
dovresti stare da solo a casa dopo ciò
che è successo?»
«Sì, sempre se
riesco a tornare a casa.» accennò al tremore
che lo scuoteva leggermente e di cui si rendeva conto solo
perché vedeva Kurt
oscillare un po’ davanti a sé.
«Ci penso io.»
sempre tenendolo avvolto con un braccio lo
allontanò dalla folla nel piazzale che si stava lentamente
diradando.
Gli lanciò uno sguardo
confuso ma lasciò che si prendesse
cura di lui come meglio credeva; a ben vedere gli bastava che fosse
lì, poi
andava tutto bene.
«Intanto ti porto a casa,
poi vediamo cosa fare.»
«Sei venuto in
macchina?» chiese quando Kurt gli aprì la
portiera.
«Come avrei fatto ad
arrivare da New York in macchina in
un’ora?»
«Vero…»
entrò nell’auto e si abbandonò contro
lo schienale.
«Dai, andiamo a
casa.» gli posò una mano su una gamba e la
strinse leggermente, cercando di infondergli calore e di fargli capire
che ora
era tutto passato.
Gli sorrise brevemente, poi chiuse
gli occhi e rimase in
silenzio fino a quando non sentì la macchina arrestarsi nel
vialetto di casa
sua; sapeva che avrebbero dovuto parlare, che avrebbe dovuto dire
qualcosa per
convincerlo a restare, che avrebbe dovuto scusarsi ancora una volta, ma
non ce
la faceva proprio ad affrontare una conversazione simile in quel
momento.
«Blaine?» lo
chiamò piano, con un sussurro dolce volto a
farlo sentire il più rilassato possibile.
«Mmh?»
«Siamo arrivati,
scendiamo?»
Annuì e con aria assente e
aprì la portiera, trafficando con
la fibbia della tracolla per riuscire a recuperare le chiavi, ma le
mani che
ancora gli tremavano gli impedirono di riuscirci.
«Lascia, faccio
io.» posò una mano sulle sue,
spostandogliele in modo che non lo intralciasse.
«Sono nella tasca
a…»
«So dove sono.»
gli sorrise usando ancora quel tono dolce
che lo faceva sentire così bene.
In un attimo ebbero le chiavi e Kurt
aprì la porta prima di
spingerlo all’interno.
«Ora sei a casa, va tutto
bene.» lo rassicurò. Ormai aveva
messo da parte la propria paura, riconoscendo – seppur
inconsciamente – che ora
non poteva dimostrarsi scosso per cosa era successo e che doveva essere
il
punto di appoggio del suo ragazzo.
No, un momento. Non poteva averlo di
nuovo definito il suo
ragazzo. Perché loro non stavano insieme, non importava cosa
era successo al
matrimonio fallito di Shuester, loro non stavano più insieme
da quando Blaine
lo aveva tradito e anche se lo aveva perdonato questo non voleva dire
che
potessero tornare insieme.
«Devi già andare
via?» domandò piano, non riuscendo a
parlare più forte dopo ore passate a sussurrare.
«C’è
un volo a breve, ma posso rimanere con te se mi vuoi.»
Non gli rispose nemmeno, si
limitò a gettarsi di nuovo tra
le sue braccia alla ricerca di tutto il calore e la sicurezza che
poteva
dargli.
«Ho capito, ho capito,
resto qui.» lo avvolse in un
abbraccio e gli fece posare la tracolla a terra «Ora vieni
con me, stai
tremando ed è meglio se ti rilassi un
po’.» lo condusse gentilmente nella sua
camera e lo fece sedere sul letto prima di andare a prendere una
coperta
nell’armadio in cui avvolgerlo.
Lo guardò senza dire
niente, in evidente stato di shock. Era
riuscito a non crollare di fronte agli altri, a rassicurarli, ma ora
che era
tutto finito la paura si era riversata completamente su di lui come un
fiume in
piena, lasciandolo spossato e incapace di fare altro se non di stare in
silenzio mentre qualcuno si prendeva cura di lui. Ebbe solo la
lucidità di
togliersi le scarpe prima che Kurt lo facesse sdraiare sul letto e gli
stendesse la coperta addosso.
«Forza, adesso è
passato.» si sfilò anche lui le scarpe e
andò a rannicchiarsi accanto a lui, prendendolo tra le
braccia e cullandolo
piano. Quel letto conteneva tanti ricordi per loro, ricordi importanti
e indimenticabili,
ma ora anche se quel pensiero aveva sfiorato la mente di entrambi non
era al
centro dell’attenzione.
Blaine rimase in silenzio, con gli
occhi chiusi,
semplicemente accoccolato contro la persona che amava e che avrebbe
sempre
continuato ad amare, cercando di calmarsi tramite il battito regolare
del suo
cuore contro il suo orecchio.
«Vuoi mangiare qualcosa?
Penso di poter riuscire ad
arrangiare un piatto senza dar fuoco a niente.»
«Resta solo qui, per
favore.»
«Certo.» gli
accarezzò una guancia e quando alzò Blaine il
viso verso di lui lo baciò dolcemente, in un modo che aveva
quasi dimenticato
«Non farmi mai più una cosa simile.»
«Evito volentieri,
fidati.» riuscì a ridacchiare contro il
suo mento.
«Sarà meglio, o
sarà solo colpa tua se mi verranno le rughe
per la preoccupazione.»
Sorrise. Gli era mancato il suo Kurt,
che nascondeva le cose
più importanti dietro commenti frivoli ma che ora si stava
prendendo cura di
lui come mai aveva fatto prima; forse nemmeno quando lo avevano operato
all’occhio
era stato così presente e attento, ma la situazione ora era
decisamente
un’altra. Bisognava però considerare che non
stavano più nemmeno insieme.
«Mi dispiace.»
«Non ne puoi niente, non
dispiacerti.»
«Non per oggi.»
Sospirò «Sai che
ti ho perdonato.»
«Non lo hai veramente
fatto.»
«Se non lo avessi fatto non
sarei qui.»
«Scusa.» concluse
lasciandosi andare con la schiena contro
il materasso «Sei corso qui perché ti ho detto che
ero in pericolo e ora ti
stai prendendo cura di me come se non fosse successo niente, non
dovremmo
parlarne.»
«Ascolta,» si
puntellò su un gomito per guardarlo e lo
costrinse a spostare il braccio con cui si era coperto gli occhi
«Sarei corso qui
comunque e mi starei comunque prendendo cura di te, perché
siamo amici.»
«Sì,
amici.» sospirò.
«Amici.» si
sporse a baciarlo ancora una volta «Con qualche
eccezione nella definizione.»
Trascorsero il resto del pomeriggio
stretti l’uno all’altro,
scaricando la paura di quel pomeriggio ed esorcizzandola con dei lunghi
baci
che ricordavano a entrambi quel bel periodo in cui stavano ancora
ufficialmente
insieme; era così facile tornare a quel periodo che ora
sembrava perfetto
nonostante i suoi alti e bassi, era così facile abbandonarsi
all’illusione che
nulla fosse cambiato, era così facile tornare a stare
insieme.
«Kurt, davvero, se devi
andare vai posso cavarmela da solo.»
«Non ci penso
nemmeno.» lo baciò di nuovo «Sono corso
qui
pensando che mi sarebbe venuto un infarto per la paura che ho provato
sapendoti
chiuso a scuola con qualcuno armato, perciò ora penso che
resterò con te fino a
quando potrò.»
«E noi saremmo solo
amici?» si portò sopra di lui
impedendogli di scappargli e di distogliere lo sguardo dal suo.
«Di sicuro non stiamo di
nuovo insieme.» lo allontanò con
uno spintone giocoso ma il ragazzo riuscì ad afferrarlo per
la camicia e a
trascinarlo su di sé.
«Sai, dicono che
bisognerebbe assecondare le persone sotto
shock.» si sporse a dargli un lento bacio bagnato sulle
labbra a cui Kurt non
riuscì a resistere.
«Le persone sotto shock
dovrebbero anche strare rannicchiate
in un angolino a piangere.»
«Preferiresti?»
«Assolutamente
no.» lo abbracciò stretto e affondò il
naso
nel suo collo prima di iniziare a lasciarvi piccoli morsi e baci, non
potendo
trattenersi dal lasciare il proprio segno su di lui.
«Ehm… hai il
telefono in tasca, vero?» chiese quando sentì
qualcosa vibrare contro la sua coscia.
«Perché…?
Oh, sì.» si spostò di lato per prendere
il
cellulare e rispondere alla chiamata che gli era appena arrivata, senza
però
poter nascondere un sorrisetto divertito per l’espressione
vagamente delusa che
si era dipinta sul volto dell’altro.
«Kurt,
si può sapere
perché non mi hai risposto?!» la voce di
Rachel lo investì così forte che
anche Blaine sobbalzò, probabilmente non riuscendo ancora a
sopportare bene i
rumori forti e improvvisi.
«Io,
ecco…»
«Stanno
tutti bene?
Dove sei? Cos’è successo?» il
suo tono si fece sempre più concitato ma
almeno scese di volume, permettendo al più giovane di
tornare a rilassarsi
contro i cuscini.
«Sì, stanno
tutti bene, non ci sono stati feriti e sono
usciti tutti. Sono a casa di Blaine, non sapeva come tornare e gli ho
dato un
passaggio, poi ho deciso di fermarmi un po’ qui per non
lasciarlo da solo.»
«Come
sta? Me lo puoi
passare?»
Lanciò uno sguardo al
ragazzo per cercare una conferma ma
questo scosse la testa con espressione stanca.
«Al momento sta dormendo,
ma sta bene, è solo un po’ provato
per cosa è successo. Non aspettarmi sveglia stasera, non so
quando tornerò,
devo ancora cercare gli orari dei voli.»
«Se
vuoi li cerco io.»
«Lascia stare, ci penso io.
Adesso ti lascio, non lo voglio
svegliare. A dopo.» la salutò e concluse la
chiamata, andando ad accarezzare il
petto del su-… del ragazzo «Cosa
c’è?»
«Non ho voglia di parlarne,
e Rachel sa essere parecchio…
insistente.» cercò la parola che potesse sembrare
meno un insulto e scelse
quella.
«Puoi anche dire
“petulante”, sappiamo che è la
verità.» rise
baciandolo ancora una volta, sentendo le mani dell’altro
stringersi attorno al
suo viso.
«Mi manchi così
tanto…» mormorò.
«Non ora, Blaine.»
«Ora sei qui, poi tornerai
a New York e non appena proverò a
riprendere questo discorso tu mi attaccherai il telefono in faccia e
non
riuscirò più a dire niente.» si
cimentò nella sua migliore esibizione dei
propri occhi da cucciolo ma fallì quando l’altro
distolse lo sguardo dal suo.
Kurt sapeva che se gli avesse permesso di guardarlo ancora
così lo avrebbe
incantato e lui non sarebbe più riuscito a resistere visto
che già faceva
fatica senza il suo contributo.
«Non ora, dico
davvero.» si separò da lui «Non puoi
accontentarti del fatto che sono qui?»
«No, ho bisogno di sapere
che le cose torneranno come
prima.»
Sospirò e si
tirò a sedere, passandosi poi una mano tra i
capelli. Non ce la faceva a negargli qualcosa che volevano entrambi, ma
non
poteva nemmeno cedere e permettere che tutto tornasse al suo posto come
se
niente fosse accaduto.
Al suo posto.
Ecco, questa era la definizione
giusta: ora era tutto
confuso, in disordine, perché le loro strade si erano divise
e continuavano a
incrociarsi fin troppo spesso ma al tempo stesso troppo di rado.
C’era voluta
una sparatoria per farlo tornare una volta, cosa sarebbe accaduto dopo?
Blaine
avrebbe dovuto minacciare il suicidio per potergli di nuovo parlare
faccia a
faccia?
«Senti, ho bisogno di
tempo, okay?»
«Questa frase non significa
né sì né no, vero?»
Annuì, sapendo
già che la speranza di aver concluso così la
conversazione era più che vana.
Stranamente si sbagliava.
«Sempre meglio di un
no.» sorrise dal suo posto contro i cuscini
«Ora torneresti qui, per favore?» gli fece un cenno
e il ragazzo non esitò
nemmeno un istante a tornare contro di lui, godendosi la sensazione di
vicinanza che provava in quel momento.
«Che ne dici se ordiniamo
una pizza?» domandò dopo un po’
Kurt, rendendosi conto che nessuno dei due era nello stato di poter
cucinare.
«Basta che non suonino il
campanello per consegnarcela. Ho
sempre odiato quel suono e a quanto pare oggi non riesco a gestire bene
i
rumori improvvisi.»
«Sono sicuro che con il
tempo si sistemerà tutto.» disse con
voce calda, e nonostante non volesse rendersene conto non stava
parlando solo
della situazione di quel pomeriggio.
Quando sentirono la macchina del
fattorino Kurt si alzò per
prevenire il maledetto rumore e tornò con i cartoni della
pizza in mano, dando
così via alla loro prima cena insieme da soli da…
beh, sapevano entrambi da
quando.
Non si resero nemmeno conto di quando
iniziarono a sentire
la stanchezza della giornata, ma comunque finirono con
l’addormentarsi uno tra
le braccia dell’altro, beandosi di quella sensazione
così familiare e
piacevole. Kurt seppe solo che a un certo punto si svegliò
sollevando il viso
dai capelli di Blaine per dei rumori che provenivano
dall’ingresso; sbadigliò
cercando di scuotersi il sonno di dosso, ma prima di alzarsi per andare
a
controllare cosa fosse successo si fermò, non volendo
svegliare l’altro che
sentendolo muoversi si era rigirato nel sonno e aveva continuato a
dormire
stringendolo con più decisione a sé.
Non ce la faceva proprio a
disturbarlo quando dormiva –
aveva un’espressione troppo adorabile – quindi si
limitò a sporgere la testa
verso la porta per capire quale fosse il problema; inoltre non gli
sembrava il
caso di farlo ancora preoccupare dopo ciò che era
già successo.
«Blaine! Blaine, tesoro,
stai bene?» una voce femminile si
avvicinò alla stanza e Kurt iniziò a sentirsi
morire per l’imbarazzo.
«Abbiamo letto i tuoi
messaggi e sentito… oh, Kurt, che ci
fai qui?» domandò stupita.
«Ehm, salve signora
Anderson.» cercò di tirarsi almeno a
sedere ma rinunciò quando il ragazzo si lamentò
di nuovo nel sonno.
«Perché sei
qui?» chiese di nuovo, le sopracciglia sollevate
per lo stupore.
«Mi ha scritto dicendomi
cosa stava succedendo, non potevo
non venire qui, e quando mi ha detto che era da solo fino a domani
considerando
cos’è successo non mi sembrava il caso di
andarmene.» spiegò cercando di
scusarsi e pregando mentalmente che non arrivasse anche il padre del
suo
ex-ragazzo.
«Ma non vi eravate
lasciati?»
Ecco, appunto.
«Beh, sì, ma
considerando cosa è successo non mi sembrava
importante.» si strinse nelle spalle e poi non
poté non imprecare tra sé e sé
quando anche il padre di Blaine comparve sulla porta.
«Tu che ci fai
qui?» chiese sospettoso.
«Non potevo certo lasciarlo
da solo dopo ciò che è successo
oggi pomeriggio.» si difese.
«Ora ci siamo noi qui,
quindi puoi anche andare.» lo congedò
bruscamente.
Tirò il proprio viso in un
sorrise cortese, cercando in
tutti i modi di non insultarlo «Preferirei non svegliarlo,
non so se
riuscirebbe a tornare a dormire.»
«Penso che
riuscirà a dormire anche senza di te.»
«Io non credo.»
si frenò dal dire anche tutto il resto che
spingeva per uscirgli dalla gola, visto che forse non era la cosa
migliore.
«Caro, penso sia meglio non
svegliarlo, Kurt ha ragione.»
Il ragazzo si trattenne dal
ringraziarla e quando quei due
uscirono finalmente dalla stanza chiudendo la porta tirò un
sospiro di sollievo
perché sapeva che non li avrebbe sopportati ancora a lungo;
ai genitori di
Blaine la loro relazione non era andata molto a genio nemmeno quando
stavano
insieme, ora che si erano lasciati non si facevano più alcun
problema a
dimostrare la propria contrarietà, o quantomeno il padre del
suo ex non se ne
faceva, sua madre sembrava conservare ancora un minimo di cortesia.
«Che succede?»
borbottò il moro rigirandosi per poterlo
guardare.
«Sono arrivati i
tuoi.» non gli servì aggiungere altro,
Blaine aveva capito.
«Cosa hanno già
detto?»
«Che non sono il benvenuto
qui, ma la cosa non mi stupisce.
Ora però abbassa la voce.»
«Perché?»
«Ho convinto tua madre a
farmi restare qui finché dormi,
quindi non dobbiamo farci sentire a parlare.»
«Non vedo il
problema.» sorrise brevemente prima di baciarlo
e da frenare così ogni parola che si sarebbe potuta mettere
tra di loro.
«Sai che devo andarmene
prima o poi.»
«Meglio poi.»
sembrò quasi incollarsi addosso a lui per non
lasciarselo scappare.
«Blaine, non stiamo
insieme.» gli ricordò, ma le dita con cui
gli scompigliò i capelli sembravano affermare il contrario.
«Lo so, smettila di
ricordarmelo.» chiuse gli occhi
appoggiando la fronte all’incavo del suo collo e non dando
cenno di volersi più
muovere di lì.
Sorrise contro di lui e si decise a
lasciare perdere,
rendendosi conto che era molto meglio per entrambi se si concedevano di
tornare
alla normalità almeno per qualche momento.
«Devo tornare a casa,
Blaine.»
Mugolò di disapprovazione
«Però tornerai a trovarmi, vero?
Non smetterai di rispondermi quando ti chiamo?»
«No.»
«Promesso?»
«Promesso.»
strusciò il naso contro il suo e prima di
alzarsi lo baciò ancora una volta, sapendo che avrebbe
dovuto farsi bastare
quel ricordo di lui a lungo, perché non poteva cedere di
nuovo e permettergli
di tornare subito nella sua vita come era successo quel giorno.
Fu così che Blaine
riuscì a ringraziare i colpi di pistola
di quel pomeriggio e a smettere di sobbalzare ogni volta che suonava il
campanello.
Note della
Vecchia
Volpe
Salve! Questo è il mio
debutto nel fandom di Glee dopo
essermi fatta una maratona che in una settimana mi ha portata a vedere
tre
stagioni (e a perdere qualche diottria).
In questa puntata nessuno ha nemmeno
considerato le reazioni
di chi si trovava a New York, e il mio primo pensiero è
stato questo, spero che
non vi sia dispiaciuto.
Ringrazio tutti coloro che hanno
letto, e se accidentalmente
aveste voglia di lasciarmi un commentino per farmi sapere se devo
proseguire in
questo fandom mi fareste un grande favore.
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