Warnings: Angst,
Missing Moments, Pre-Movie.
N/A: Scritta
per il Marvel
Summer Fest,
prompt “spazi vuoti”, per l'iniziativa LDF's
The Pirates,
prompt “futuro + angst” e per 500themes_ita,
prompt “incidente fatale”.
Spazi vuoti
Quando
Hank perfeziona il suo siero, regalandogli allo stesso tempo le gambe
ed il silenzio, Charles scopre che una parte di sé inizia
seriamente a pensare che forse – forse –
in fin dei conti il peggio è davvero passato. Sì,
la sua scuola è vuota, sì, i suoi studenti sono
al fronte e i suoi amici sono perduti, ma lui ha di nuovo le gambe e
non ci sono più voci a riempirgli la testa.
Ora
a cercare di farlo impazzire ci sono solo i ricordi, e all'inizio, per
tentare di sfuggirgli (e anche per fare onore al dono di Hank), Charles
riprende a correre.
Si
alza ogni mattina all'alba, si infila una tuta e un paio di scarpe da
ginnastica, e corre. Corre fino a quando il respiro non gli brucia nei
polmoni, fino a sentire il sapore del sangue in bocca. Corre fino a
sentirsi troppo stanco e troppo dolorante per continuare a pensare.
Per
un po' sembra funzionare: ogni suo passo sembra rinnegare il passato,
cancellare tutto ciò che è successo ─ i missili,
Cuba, la pallottola, e tutto quello che ne è seguito ─ per
dargli una nuova possibilità, un futuro diverso ─ un futuro
senza voci, senza responsabilità così tremende,
senza amici pronti a voltargli le spalle.
Non
dura molto, però.
Inizia
ad andare in rovina anche lui, insieme a tutto il resto dell'America
sempre più infangata dalla guerra, quando prende infine
coscienza degli spazi vuoti, di quei brevi momenti tra la fine
dell'effetto del siero e una nuova dose, quei rumorosi istanti in cui i
suoi poteri insorgono e il dolore gli piega la mente e il corpo.
Durante
quegli indefiniti intervalli di tempo Charles si ritrova a camminare
barcollando sull'orlo di quel precipizio che divide la veglia dal
sonno, il sogno dal ricordo, la sanità dalla pazzia. E si
rende conto ─ ogni volta come se fosse la prima ─ che le voci sono
ancora lì, e premono al di sotto del silenzio come ombre che
si muovono dietro ad un sipario calato, come il ronzio furioso di un
grosso insetto intrappolato sotto un bicchiere di vetro.
E
per quanto veloce possa correre sa che loro saranno sempre
lì, pronte ad afferrarlo al primo segno di stanchezza. Le
sue di nuovo funzionanti gambe già non gli servono
più a nulla, e di sicuro non possono aiutarlo a vincere
quella gara tra passato e futuro.
Allora
si affida dapprima al whiskey per partire in vantaggio, e poi alla
chimica spiccia per mantenerlo. Funziona benissimo, e anche se non ha
un traguardo da tagliare, Charles riesce quasi sempre ad averla vinta
sugli spazi vuoti.
Troppo
assorto dalle sfide dentro la sua testa, le corse mattutine diventano
ben presto un vago ricordo.
*
Nonostante
la sua buona volontà di soffocare ogni parvenza di
lucidità nel primo bicchiere o nella prima pasticca su cui
riesce a mettere le mani non appena tornato cosciente, ogni tanto
qualche sussurro riesce comunque a riempire quei dannati spazi.
Fortunatamente
non è difficile ignorarli, ed è ancora
più facile dimenticarli subito dopo. Nessun problema,
davvero.
Poi
arriva il 22 novembre 1963 e mentre Hank gli infila un ago nel braccio
un urlo rabbioso gli riempie la testa; non avendo più una
televisione funzionante in casa, è così che
Charles viene a sapere dell'assassinio di Kennedy e della cattura di
Erik.
Un
intero anno di silenzio infranto infine da quel breve e furioso grido,
e Charles non fa quasi in tempo a rendersene conto, perché
chiunque abbia strappato via l'elmetto dalla testa di Magneto riesce a
renderlo di nuovo irraggiungibile subito dopo, e prima ancora che il
siero riprenda a funzionare la voce di Erik è già
un'eco lontana all'interno della sua testa.
Dopo
quel giorno passa quasi un mese prima che Charles si risvegli per la
prima volta completamente sobrio. È il mese migliore che
ricordi.
*
Ben
presto scopre che, nonostante tutto, di tanto in tanto gli capita di
trasmettere dei pensieri senza rendersene conto, di solito quando le
droghe hanno la meglio sui suoi freni inibitori e il passato e il
presente smettono di avere un senso logico.
(Raven)
La
chiama senza saperlo, spinto da un bisogno così forte come
potrebbe esserlo la sete per un uomo perso nel deserto, e la cerca
senza volerla davvero trovare, mancando del coraggio necessario per
guardare di nuovo negli occhi quella sconosciuta nascosta nel corpo
della bambina che per prima gli è stata amica.
(Dove
sei)
A
volte ─ ma molto raramente ─ Charles riesce a sentire le loro menti
sfiorarsi senza mai davvero toccarsi. Lui è troppo debole e
incoerente per stabilire un contatto, lei lo rifugge senza guardarsi
indietro.
E
intanto i mesi si accumulano come pile di vecchi giornali, gli anni
portano i nomi di nuove battaglie combattute in località
fino a poco tempo prima completamente sconosciute, ma che adesso, quasi
all'improvviso, si trovano nominate in una lista infinita di necrologi
scritti troppo presto.
(Mi
manchi)
La
nostalgia prende fin troppo presto il posto della rabbia, i ricordi si
mischiano alle poche parole che la sua mente riesce a mettere insieme,
creando così attimi di immagini veloci, come un brevissimo
film muto proiettato nella distanza tra i loro pensieri.
(Sorella)
Case
di bambola, giochi da bambini. Merende in cortile, giocare a nascondino
tra le stanze infinite, fortezze di cuscini costruite in salotto sotto
lo sguardo distratto di cameriere indaffarate.
(Torna)
E
un giorno, ovviamente, lei risponde.
Di
nuovo anni e anni di silenzio, e poi soltanto due parole.
(Raven),
è la prima parola che torna indietro.
E
Charles vede ciocche bionde arrotolate intorno alle proprie dita,
carezze su guance bianche e soffici come buccia di pesca, labbra rosse
addolcite da baci e risate, occhi limpidi come il primo giorno d'estate.
(Mystica),
è la seconda e ultima parola che riesce a percepire.
Charles
vede tutto il testo. Vede la guerra, polvere e sangue, uomini nel
fango, amici e nemici con gli occhi chiusi e lividi sulla pelle.
Mutanti. Mutanti torturati, mutanti uccisi, mutanti torturati e poi
uccisi, mutanti vendicati e poi liberati.
(Sorella),
insiste Charles, quasi gridando, e i suoi pensieri sono bagnati di
lacrime.
Ma
il siero torna subito a fare effetto e Mystica torna a scivolare via,
lontana dalla sua portata, lontana da lui e dal suo mondo di rimpianti
che sta lentamente cadendo in pezzi.
*
La
luce grigia dell'alba trabocca dalle grandi vetrate del soggiorno come
uno spietato riflettore da obitorio, e gli ferisce gli occhi ancora
abituati alla penombra della notte. Fuori dalla finestra la pioggia
è così fitta che il mondo intero sembra diviso in
tante strisce sottili tracciate da leggere righe trasparenti; i tuoni
intanto trovano una più che soddisfacente eco della loro
forza tra i corridoi vuoti della scuola abbandonata.
Si
è svegliato con un mal di testa atroce, e metà
faccia gli pulsa in modo sgradevole e fastidioso. Quando si rende conto
del sapore metallico del sangue tra i denti si porta una mano alla
mascella, trovandola gonfia e dolorante.
Fa
fatica a concentrarsi, ma dopo qualche istante riesce a mettere a fuoco
i ricordi della sera prima: il volto alterato di Hank, le urla, le
recriminazioni, la frustrazione, l'impeccabile gancio destro che lo
aveva mandato ad osservare il parquet del pavimento fin troppo da
vicino.
«Dieci
anni! Sono passati quasi dieci anni, non puoi continuare a vivere nel
passato!», gli aveva gridato conto. «Quando
inizierai a vivere nel presente? A pensare al futuro?»
Sul
momento Charles gli aveva riso in faccia. Passato, presente, futuro...
dov'è la differenza? È tutto, tutto in rovina.
Quel giorno sulla spiaggia ha distrutto ogni cosa, e gli anni
successivi hanno completato il lavoro distruggendo tutti loro.
«Potremmo
riaprire la scuola. Potresti tornare ad insegnare», le parole
di Hank continuano a turbinargli in testa come strofe di una vecchia
filastrocca. Seduto su una poltrona infeltrita dal tempo, Charles si
rigira la siringa tra le mani, contemplando per qualche istante
quell'idea.
Ricostruire,
ricominciare, ritrovare la forza per tornare a crederci, ritrovare la
fede, mantenerla, cercare altri ragazzi da aiutare. Ma questa volta
senza Erik, senza Raven, senza le ingenue speranze dei primi anni,
senza l'incondizionata fiducia in un futuro migliore.
Intanto
la pioggia smette di battere con insistenza contro i vetri, e
improvvisamente torna il silenzio. Ma con il silenzio tornano le voci,
con le voci torna la voglia di scappare.
E
ancora una volta Charles si arrende, spinge l'ago fino in fondo e
smette di ascoltare e di pensare.
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