DISCLAIMER:
“Once Upon a Time” e tutti i suoi
meravigliosi personaggi appartengono all’ABC, ad Adam
Horowitz e ad Edward Kitsis, ecc… io li prendo in prestito
con amore.
AMBIENTAZIONE: Un giorno o due dopo
l’episodio 2x09,
“Regina di Cuori” (what if).
Touch
Il
momento fu così breve. È strano, il modo in
cui azioni che durano ore potessero scivolare dalla memoria come raso
tra dita incerte, mentre il più piccolo dei gesti poteva
bruciare come un faro attraverso la percezione e la memoria.
Era
successo così tanto nei precedenti cinque giorni (e
settimane). Emma non era ancora sicura di cosa fosse reale e di dove i
suoi sogni si ingarbugliassero con la realtà. Niente seguiva
le regole del mondo conosciuto, non più.
Un
piano per proteggere Henry si era trasformato in una sessione
notturna per pianificare come proteggere tutti loro da Cora. Gli adulti
si erano raccolti nello studio dello Sceriffo (e non sembrava tutto
questo appartenere a una vita fa, rivestire il ruolo di Sceriffo in una
piccola città nel Maine, come se lei non fosse la figlia di
Biancaneve e del Principe Azzurro), mentre Henry dormiva in un semplice
letto da Granny in fondo alla strada. Cappuccetto Rosso lo aveva
accompagnato ed era rimasta con lui sinché non era stato
fuori gioco.
Alla
fine, esausta per giorni su settimane di follie, era Emma che si
era addormentata con la testa sulla sua scrivania durante una pausa
nella conversazione mentre i suoi genitori e qualche nano e la Regina
Cattiva si muovevano attorno a lei. In quei giorni essere sveglia
sembrava più un sogno.
L’incubo
fu inaspettato. Henry. Fuoco. Cora e il respiro che
veniva strappato dal petto di Emma da una sorta di nebbia verde,
infida, che le si avvolgeva attorno alle gambe come un serpente.
Cercare di raggiungere Henry, essere incapace di respirare, incapace di
muoversi. Urlare.
Si
svegliò di soprassalto in un ufficio dello Sceriffo
debolmente illuminato. La folla si era dispersa, lasciando solamente
suo padre in un angolo lontano, un nano da qualche parte, e Regina
seduta sul bordo della scrivania di Emma. Così, fu Regina ad
essere vicina quando Emma si destò per lo spavento. Una
Regina ammorbidita dalla notte, la giacca del completo che penzolava
dalle spalle e il trucco sbiadito e leggermente colato
all’angolo degli occhi di cioccolato.
L’ex
Sindaco abbassò lo sguardo su Emma con una
lieve grinza di preoccupazione sulla fronte. «Stai
bene?» chiese, la voce roca per l’ora tarda, per i
giorni di preoccupazione. L’intimità del tono,
l’inaspettata familiarità era stranamente
confortante.
Emma
sentì suo padre stare in guardia, guardando
dall’angolo. Ma lui non si avvicinò di
più che di un passo. Questa tregua era disorientante. Emma
non era inconsapevole del cambiamento che era avvenuto in sua assenza.
Trasse
un respiro profondo, cancellando i pezzi sfocati del sogno dai
margini della sua visuale. Distese le spalle indolenzite.
«Sì» disse sommessamente.
«Solo… non un gran
sogno».
Regina
annuì, l’espressione ancora lievemente
preoccupata, che mancava del sarcasmo che una volta aveva offuscato
ogni respiro tra le due donne. «Mia madre ha questo effetto
sulle persone» disse Regina alla fine,
un’affermazione semplice e brutale.
Emma
rilasciò uno sbuffo di respiro attraverso il naso e si
strofinò le guance raggrinzite dal sonno.
Il
momento fu breve. Senza guardare Emma, girandosi verso il muro
lontano, spostandosi come se stesse per alzarsi dal suo posto sulla
scrivania, Regina allungò il braccio e appoggiò
una mano confortante sul retro della testa di Emma. Il tocco
indugiò per un momento, poi lei mosse le dita in una tenera
carezza lungo i capelli di Emma mentre si raddrizzava per mettersi in
piedi. Regina si allontanò dalla scrivania.
Emma
trattenne il respiro. Il tocco era stato così materno.
Caldo. Il genere di tocco che Emma aveva sentito così
raramente in vita sua, il genere che aveva sognato nei momenti di tarda
notte in cui si era permessa di desiderare i suoi veri genitori, di
desiderare che l’avessero amata abbastanza, di desiderare che
sarebbero arrivati e l’avrebbero salvata, trascinata via
verso il suo lieto fine. Regina era la madre del suo bambino.
La
carezza confortante che indugiava sullo scalpo di Emma era stata
un’abitudine molto allenata, semplice istinto. Qualcosa che
Regina aveva fatto così tante volte che in questa notte
tarda e stanca aveva agito prima di ricordare perché forse
non avrebbe dovuto.
A
causa di Henry.
Terrori
notturni e disappunti e disillusioni e malattie e paure. Quel
tocco magnificamente caldo aveva stabilizzato i giorni e le notti di
Henry dalla tenera età di tre settimane. Emma
guardò mentre la donna più scura passeggiava
pigramente lungo la stanza, faceva scivolare le braccia nelle maniche
della giacca del suo completo.
«Penso
che abbiamo fatto abbastanza per stanotte»
disse quietamente Regina a David, e il padre di Emma annuì.
Regina s’infilò le mani nelle tasche e
fissò i propri stivali coi tacchi.
Emma
non riusciva a strappare gli occhi da Regina.
Certi
momenti erano così brevi. |