PROLOGO
-Dopo
questi starai buono, eh, bastardo?!-
Il
calcio lo colpì in pieno stomaco; si sentì quasi
sfondato. Percepì il sapore metallico del sangue in bocca,
mentre si proteggeva la faccia con le braccia. Fu sollevato per la
maglietta, rischiando di soffocare, e fu sbattuto contro il muro:
-Allora,
ti è passata la voglia di fare l'idiota, o ne vuoi ancora?-
-Ma
bravo, in sei contro uno...-
-Ti
conviene chiudere la bocca, Hiwatari, o finisci male.-
-Che
paura.-
Gli
occhi dell'altro si illuminarono di una luce sadica; Kei iniziò
a pensare, ma non gli venne in mente niente. In tre lo tenevano
fermo, e ogni tentativo, ogni colpo di reni per liberarsi era vano.
Prima
che il pugno dell'armadio si schiantasse sulla sua faccia, il rumore
del cancello li interruppe: -Che diavolo succede qui?! Tornatevene ai
vostri posti! Okata, che cazzo stai facendo?! - il gigante strinse la
presa nel collo di Kei, e avvicinò il viso al suo:
-Ringrazia
la guardia, figlio di puttana.- poi fece un cenno agli altri e il
ragazzo fu lasciato andare.
-Hiwatari,
tu vieni con me. C'è il tuo avvocato.- annunciò l'uomo
in divisa trascinandolo letteralmente fuori.
-Non
mi toccare idiota, so camminare da solo.-
-Ma
se non ti reggi in piedi! Muoviti.-
Lo
fece entrare in una stanza e chiuse la porta alle sue spalle, con due
giri di chiave. Kei guardò storto l'uomo che lo fissava a sua
volta, seduto dietro al tavolo:
-Tu
devi essere Kei Hiwatari. Vieni, siediti.-
Il
giovane si avvicinò zoppicando, e si sedette facendo un gran
casino.
-Sei
ridotto male. Non ti hanno medicato?-
In
tutta risposta l'altro alzò un sopracciglio, sarcastico.
-Allora...
io sono Kanako, il tuo avvocato. Puoi darmi del tu.-
Kei
lo guardò con aria interrogativa, senza perdere il cipiglio
seccato e dolorante.
-Che
vuoi?-
-Credo
che sarebbe meglio se ti facessi medicare, stai sanguinando.-
l'avvocato era particolarmente tranquillo, nonostante gli occhi di
fuoco che aveva puntati addosso.
-Si
faccia i cavoli suoi.-
-Ho
detto che puoi darmi del tu, non serve essere così formali...-
-E
allora fatti i cazzi tuoi.- ringhiò il ragazzo abbassando lo
sguardo.
-Ti
hanno conciato bene vedo... sei dentro solo da due giorni.- gli fece
notare Kanako raddrizzandosi sulla sedia. Era un uomo affascinante,
sulla quarantina, molto distinto ed elegante.
-Sono
tutti dei figli di puttana qui dentro.-
-Sì...
Kei, da adesso mi occuperò della tua difesa legale; la
situazione non è buona, ci sono tre accuse in corso contro di
te. Furto d'auto, detenzione di una pistola senza porto d'armi e atti
di violenza. Allora, vuoi iniziare a spiegarmi cosa è
successo?-
Kei
non rispose, fissava con ostinazione un punto imprecisato del tavolo.
-Dove
sono i tuoi genitori?- insistette Kanako cambiando argomento,
sperando di trovare una risposta.
Dopo
qualche secondo di silenzio teso, il ragazzo rispose:
-Bella
domanda. Sono morti. Incidente.-
L'avvocato
annuì:
-Mi
dispiace. Da poco?-
-No.
Ero piccolo.-
-D'accordo.
E con chi hai vissuto finora?-
-Da
solo.-
Kanako
lo guardò, scettico. -Legalmente,
a chi sei affidato?-
-A
mio nonno.-
-E
si è occupato di te?-
Gli
salì un brivido lungo la schiena quando sentì la risata
fredda e vuota in cui proruppe Kei.
-Ne
deduco che no, non si sia occupato di te.-
-Appena
sono morti i miei, sono stato affidato a lui. Mi ha mandato in un
posto in Russia.-
-Che
tipo di istituto?-
-Sta
diventando una psicanalisi.- protestò Kei.
-No,
non lo è. Queste informazioni mi servono, vuoi che ti difenda
o no?-
-Quello
che non capisco è perché un avvocato bravo e damerino
come lei sia finito a difendere uno come me.-
-Di
norma i casi come il tuo mi interessano. Allora, parlami di quel
posto.-
Il
ragazzo sbuffò sonoramente: -Era una specie di monastero. Ma
era solo una facciata. Era un campo di concentramento.-
-Perché?-
-Perché
ci massacravano.-
-D'accordo.
E quando ne sei uscito?-
-Boh.
Mi sa a tredici anni.- fece Kei, vago.
-E
da lì sei tornato a vivere con tuo nonno?- insistette Kanako,
desideroso di conoscere ogni dettaglio.
-Mh...
si. Nella villona del nonno.- rispose sarcastico.
-E
ora? Lo stesso?-
-Ogni
tanto ci torno a dormire e a fottergli soldi.-
-Ah,
ecco. Tu sei minorenne, perché non è qui? Ti sono stato
assegnato come avvocato d'ufficio, possibile che un qualunque
avvocato non te l'abbia procurato lui?-
Altra
risata glaciale.
-Staranno
tentando di rintracciarlo... non gliene frega un cazzo di me, se mi
buttano in carcere e lo liberano dalla mia presenza è
contento.- disse sorridendo. Ma era un sorriso cattivo. Come se la
cose in fondo lo divertisse.
-Va
bene, in attesa che lo trovino vediamo di occuparci della tua
situazione; perché hai rubato quella macchina? Di certo non ti
serviva.-
-E
chi te l'ha detto?-
-Ho
capito chi è tuo nonno, cosa credi? Hiwatari. E' uno degli
uomini più potenti del continente. Di soldi ne hai, vero?-
Kei
sbuffò di nuovo. -Sì. Sono disgustosamente pieno.-
-E
allora perché?-
-...Perché
mi andava.-
-Ah,
ecco. Con chi eri?-
-Sarebbe
inutile fare i nomi.-
Piombò
il silenzio, rotto solo dal ticchettio dell'orologio appeso alla
parete della spoglia stanza.
-Va
bene. Quindi per la macchina vedremo di approfondire l'argomento. La
pistola? Perché avevi una pistola?-
-Per
non farmi ammazzare.- fu l'ennesima risposta secca e poco
approfondita di Kei, che sembrava intenzionato a non collaborare.
-Chi
te l'ha data?-
-Non
è importante.-
Kanako
sospirò e si mise una mano sugli occhi: iniziava a pentirsi di
aver accettato quel caso. Aveva esperienza con i ragazzini ribelli, i
teppisti ed elementi simili, e si era subito reso conto che amava
davvero aiutare quei ragazzi. Soprattutto quando sapeva che si
comportavano così non per propria colpa, ma a causa di
situazioni complicate che erano loro piombate sulle giovani spalle.
Aveva visto situazioni peggiori di quella di Kei, casi che non lo
avevano fatto dormire per giorni. La soddisfazione non era tanta, le
probabilità di vedere uno di quei ragazzi col sorriso sulle
labbra, diplomato e felice erano una su cento. Ma quell'una su cento
era impagabile. Con questi pensieri, si fece forza e riprese a
parlare col ragazzo.
-Va
bene. Senti, giocherò sulla legittima difesa. Hai solo sedici
anni, non ti potrebbero nemmeno tenere qui. Pagando la cauzione,
sarai fuori.-
Kei
rise di nuovo, in quel
modo:
-Ah ah ah, e chi me la paga secondo te?-
-Rintracceremo
tuo nonno, ci penserà lui immagino.-
-Non
ne sarei così sicuro.-
-Intanto
lo rintracciamo. Poi vediamo.-
-Abbiamo
finito?-
Kanako
lo guardò: aveva gli occhi di un viola particolarmente
intenso, carichi di orribili esperienze. I capelli bicolore, forse
tinti. La tuta arancione della prigione stonava parecchio, per non
parlare delle macchie di sangue, i lividi e le ferite.
-Sì,
abbiamo finito. Per oggi.-
I
due si alzarono contemporaneamente.
Prima
che Kei andasse nella direzione opposta rispetto alla sua, gli mise
una mano sulla spalla: -Ehi, non cacciarti nei guai.-
Kei
non lo guardò nemmeno, tenne lo sguardo basso e si scostò.
Dopodiché si voltò e se ne tornò verso le celle,
accompagnato e sorvegliato dalla guardia.
Kanako
lo seguì con lo sguardo, vedendolo rientrare in un luogo che
non era certo adatto ad un ragazzino di sedici anni turbolento: lo
avrebbero massacrato. Non gli sfuggì lo sguardo di Kei, che si
voltò indietro; appena però si accorse che l'avvocato
lo stava ancora guardando si girò di scatto, dando una
spallata ad Okata, che lo afferrò per un braccio.
-Non
ti è bastata, eh? Ci vediamo dopo, piccolino.- ringhiò,
vedendo la guardia nei paraggi.
Kanako
sospirò. Sarebbe finita male, se lo sentiva.
***
Ed
eccomi con una ficcy seria! Dai non ridete, è la verità!
Adesso vi spiego cosa mi è saltato in mente: Kei galeotto,
salvato dall'avvocato... ricorda the Oc, a cui mi sono ispirata.
L'idea mi piace molto, spero piaccia anche a voi! Non parlerà
solo di teppismo, anzi. Recensite e lasciate commenti, anche
negativi! Aggiornerò presto, se piacerà! Bacione.
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