Prologo
1-Aqua
Coalbrookdale, Shropshire
Ottobre
1861
Pioveva.
Non
sapeva neanche da quanto tempo il cielo aveva cominciato a piangere.
Aveva
sollevato lo sguardo e l’acqua le aveva bagnato il volto
ancora da bambina.
Pioveva.
Non
sapeva nemmeno da quanto le sue mani erano state lavate dal sangue di
quell’uomo ne di quanto tempo fosse passato a lavare il suo,
versato per
quella causa.
Ne
sentiva ancora le urla stridule, simili a quelle delle streghe che
giungevano
nei suoi incubi di ragazzina e che non la facevano dormire la notte.
La
pioggia non cessava da giorni e non ricordava da quando il cielo aveva
cominciato a piangere insieme a lei. Proprio come quel giorno, aveva
chiuso gli
occhi a fessura e aveva compreso che sarebbe stata lei la Prescelta.
Proprio
lì. Sull'Iron Bridge.
2 -
Terra
Wheterby, West
Yorkshire
Gennaio
1845
Era
il 1845 e nei sobborghi, o meglio, nei bassifondi di Wheterby, nel West
Yorkshire. Stava
correndo insieme agli
altri ragazzi, ricordava di avere solo quattordici anni e lavorava in
una delle
miniere vicino alla sua cittadina.
Sì,
in quel periodo non potevamo permettersi certo di andare a scuola e
dovevano
aiutare la famiglia così come potevano, trasportando i
carrelli con sola forza
di schiena e gambe, lungo angusti corridoi che risalivano in
superficie. I più
fortunati e i più agili facevano gli spazzacamini. Lei non
era ne agile e ne
forte, e quello nelle miniere, era l’unico lavoro a cui
poteva aspirare.
Il
boom della rivoluzione industriale era ormai una eco lontana, da quando
le
fabbriche avevano aperto tutto era cambiato. Dalle campagne le persone
si erano
riversate all’interno delle città in cerca di un
lavoro più redditizio e molti
ne erano rimasti completamente delusi. Ma dopotutto era un lavoro e non
potevano permettersi di lasciarlo.
Molti
di loro morivano per le esalazioni all’interno delle miniere
o investiti da
qualche masso, o semplicemente rimanevano bloccati nei macchinari delle
fabbriche. Era una cosa forse usuale a quei tempi e nessuno osava
ribellarsi,
anche perché il progresso era andato avanti.
Questa
era una cosa che Bernedette non riusciva a comprendere,
poiché lei non era mai
stata istruita e lavorava dall’età di otto anni.
Nessuno si era mai accorto che
i bambini dei bassifondi non sapevano né leggere e
né scrivere. Ma forse era
meglio così.
La
ragazza aveva gli occhi puntati davanti a sé, fissi. Non era
molto alta e sotto
le vesti pesanti si poteva notare un corpo smagrito dalla fame. Non
mangiava
ogni giorno e i turni alla miniera erano sempre più pesanti.
Glielo avevano
detto che non era adatta a quel lavoro, ma cos’altro poteva
fare per aiutare la
famiglia?
Sapeva
di alcune ragazze che vendevano il proprio corpo e come lavoro non ci
voleva
assolutamente pensare. In fondo aveva una sua dignità di
lavoratrice. Anche se
sembrava bruttina, sotto tutta quella polvere e sotto la fuliggine che
coprivano i capelli biondi, c’era una ragazza che aveva dei
sogni e delle speranze,
che al momento sembravano offuscarsi come quando i condotti delle
miniere
venivano invase dal fumo.
Ne
aveva visti tanti morire sotto le pietre o per la poca accortezza che
c’era in
quel mestiere.
Però
quello che le premeva di più era stato
quell’incontro che ricordava vivido
nella sua mente. L’uomo che aveva incontrato pochi giorni
prima che aveva
fissato i suoi occhi, rossi come il sangue, in quelli azzurri di lei.
Al
sol pensiero Bernedette aveva ancora i brividi.
Ricordava
tutto di lui. Si ricordava il suo cilindro enorme, nero, con un grande
fiocco
blu. L’abito era scuro e nascondeva la sua pelle
così bianca da sembrare morta
e che si intravedeva dal volto appena coperto dal cilindro. Ricordava
il suo
bastone da passeggio con un meraviglioso intarsio in avorio come
manico.
Ricordava anche la sua andatura, tranquilla e serena, come qualcuno che
non ha
nulla da perdere ma soprattutto molto da dare.
Lo
aveva osservato quel giorno, ritornando a casa dal lavoro. Aveva fatto
tardi
anche quella sera e per strada non c’era quasi nessuno, ma
soprattutto perché i
signori di altre classi sociali solitamente si tenevano ben lontani dai
puzzolenti e malfamati bassifondi di quella zona.
Era
per questo che lo aveva notato, soffermandosi per qualche istante. Non
sapeva
come, ne ebbe immediatamente timore, perché dalla sua figura
traspariva
qualcosa di più pericoloso della morte stessa.
Così
come lo aveva visto, così scomparì quella sera,
lasciando dietro di sé una scia
di nebbia e fumo. Ma ciò che la rese inquieta fu lo sguardo
fisso su di lei.
La
ragazza allargò gli occhi per lo stupore e ,
successivamente, per la paura. Solo
poche persone popolavano quella via e doveva affrettarsi,altrimenti
sarebbe
incappata in altri spiacevoli incontri. Infatti era già
pieno di prostitute e
persone di dubbia fama e quindi, si avvolse i capelli nel suo
fazzoletto lacero
e sporco, lasciò di gran fretta quel luogo. Fortunatamente
tutti erano stati
rapiti dalla visione di quell’uomo ben vestito e molti gli si
erano avvicinati.
Non
sapeva perché, ma si era poggiata in un angolo con il
fiatone come se avesse
corso per un miglio intero. Quell’uomo l’aveva
destabilizzata e non ne capiva
il motivo. Era come se lo conoscesse da una vita, ma se
l’avesse già incontrato
in qualche altro luogo non se lo ricordava proprio.
3 -
Focus
Wheterby, West
Yorkshire
Agosto
1848
Mentre
in Europa si scatenavano le rivoluzioni, l’Inghilterra stava
vivendo un periodo
di industrializzazione e del calo della manodopera grazie alle macchine
a
vapore che moltiplicavano la produzione.
E
Bernedette era sempre lì, nella miniera di Wheterby. Aveva
appena finito di
lavorare ed era stanca, come sempre in quei giorni di agosto. Sudava e
credeva
di essere anche malata. Si guardò le mani sporche e le
strofinò per qualche
istante alla gonna pesante. Poi posò la mano sulla fronte e
sentì che era molto
calda, ma diede la colpa alla calura che stava sopportando e il caldo
che vi
era all’interno dei cunicoli. Quel giorno aveva trasportano
più di quindici carichi
di pietre e voleva solo riposarsi, insieme ai suoi fratelli,
nell’unico letto
disponibile all’interno della casa. Non che fosse un
giaciglio comodo. Era solo
un materasso riempito di paglia e posato in un angolo della stanza che
era la
loro casa.
Era
sera, come sempre del resto e improvvisamente, in un momento di
sbandamento le
sembrò di vedere fumo e nebbia e uno strano odore di fuoco.
Prese
un leggero respiro e si sentì come chiusa in una morsa di
paura che le era
scaturita dal nulla. Cos’erano quelle spire che la
stringevano fino a non farla
neanche respirare?
Cos’erano
quegli occhi che la fissavano fino a scavarle nell’anima?
Socchiuse
gli occhi per qualche istante e non riuscì neanche a parlare
quando nuovamente
di fronte a lei, vide l’uomo dal cilindro nero e il grande
fiocco blu.
Erano
passati poco più di tre anni e la paura era la stessa
sentita quel giorno.
La
ragazza si era acquattata lungo il muro. Aveva sentito la paura
scivolare lungo
la spina dorsale, tanto che le mani avevano cercato di stringersi la
gola
perché si sentiva mancare l’aria. E solo poco dopo
le stesse mani si spostarono
sul muro, a palmo aperto, come se cercassero una via di fuga che in
effetti non
c’era.
Bernedette
si guardava intorno e gli occhi, contornati dalle occhiaie, scorrevano
lungo i
muri bui e poco illuminati. In quelle zone l’illuminazione
era anche un lusso.
-Chi
sei?
La
ragazza aveva gridato con tutti il fiato che aveva in corpo, anche se
gliene
restava davvero poco e rischiava di svenire. Non era mai stata una
persona
coraggiosa. Gli impavidi erano gli altri, quelli che se lo potevano
permettere.
La
figura dell’uomo scivolò verso di lei, come
un’ombra che ghermisce le ombre, e
solo pochi istanti dopo se lo ritrovò davanti senza neanche
accorgersene.
Bernedette
lo stava guardando negli occhi color sangue. Lui invece di rimando la
stava
fissando con un sorriso disegnato sulle labbra scure come la pece.
-Shh!
Potrebbero sentirti.
Lo
sguardo della ragazza si spostò intorno a lei cercando
quella fuga che adesso
le sembrava quanto mai lontana.
-Non
ho soldi.
Lo
aveva detto non pensandolo davvero. Non le sembrava un ladro. Sembrava
più un
qualcuno che volesse farle del male, del vero male fisico.
L’uomo
chinò il capo su un lato, portando il dito sulle labbra
della ragazza. Aveva i
guanti e non lo aveva notato subito. Scuri, in contrasto con la sua
pelle
chiara.
-Non
dire sciocchezze.
L’uomo
scosse il capo in segno di diniego e staccandosi infine da lei,
allargando le
braccia e facendo un lieve inchino, portando il bastone con la punta
verso
l’alto. Non alzò il busto, ma solo il volto e
quella bocca nera mostrò due file
di denti bianchissimi.
-Cosa
vuoi allora?
Non
si era accorta di tremare come una foglia e di non avere neanche
più la forza
di dire frasi di senso compiuto.
Lei
che si era sempre tenuta lontana dai libri e dall’istruzione.
Non perché non
volesse poter andare a scuola, ma non le era assolutamente permesso
perché
doveva aiutare la famiglia.
-Sono
qui per farti un dono.
Bernedette
aveva allargato gli occhi e sollevato le sopracciglia senza credere
alle parole
dell’uomo. Anzi le fecero ancora più paura.
L’uomo invece si riportò dritto e
dalla mano libera dal bastone, iniziò a formarsi un lieve
globo di fuoco e luce.
La
ragazza non poteva credere ai suoi occhi. In quel globo riusciva a
vedere
un’anima rinchiusa. Aveva le sue stesse fattezze e quel globo
illuminava in
modo sinistro il volto dello sconosciuto che, non se ne era neanche
accorta, si
era avvicinato. Due profonde occhiaie delineavano il contorno degli
occhi
rossi.
-Adesso,
mia cara. Osserva all’interno e ti racconterò una
storia.
Bernedette
non fece altro che fissare il suo sguardo all’interno del
fuoco e, come
attirata da un vortice che l’aveva ipnotizzata, cadde in un
sogno buio e scuro.
L’uomo
aveva cominciato a raccontare.
“Quando fu il tempo
perduto in cui la
magia era la sovrana che comandava ogni cosa, non è dato a
nessuno saperlo.
Pochi erano coloro che potevano
permettersi di possederla e il destino decideva chi doveva schierarsi
per il
bene o per il male. Dipendeva tutto dall’animo di colui che
accoglieva la magia
e che l’assoggettava per i suoi scopi o per aiutare il
prossimo.
Noi esuli di quel tempo perduto
continuiamo
a reincarnarci in corpi sempre differenti e deboli. Molti di noi a
volte non ce
la fanno neanche a sopportare ciò che ci viene donato e tu,
ragazza, riuscirai
a trattenere in te ciò che ti voglio donare?
Io sono un Guardiano del Tempo, tuo
guardiano, e ti cercavo da molto tempo. Ti ho tenuta d’occhio.
Sì, ti stavo cercando.
Volevo vedere, dopo millenni che ti
seguo, in chi avevi avuto l’onore di reincarnarti e tu, maga
nobile del tuo
tempo, ti punisci riportandoti sempre in corpi che non sono degni del
tuo
essere.
Questo corpo, forse, è
uno dei pochi che
sia almeno presentabile.
Hai capito o ancora stenti a farlo?
Le due forze si sono risvegliate e
la
nostra forza avversaria sta già iniziando ad imparare
nuovamente come comandare
i poteri e usarli contro di noi.
Sei pronta a riceverli e ad avere
il tuo
addestramento?
La
ragazza aveva delle immagini nella testa. Di un mondo che stentava a
riconoscere.
Non
capiva assolutamente le parole di quell’uomo, di cui non
conosceva neanche il
nome.
E
solo poco dopo che egli ebbe finito di parlare, si sentì
sconquassare il petto.
Divorare le carni da un fuoco fatuo che rese il suo volto caldo, pronto
a
sciogliersi da un momento all’altro. Non gridò,
perché anche se sentiva il suo
corpo non risponderle più, non sentiva dolore.
Aveva
aperto gli occhi e fu allora che comprese tutto. Una nuova via le si
aprì
davanti e il mondo che aveva intravisto in quel sogno aveva un senso.
Aveva
tutto un senso adesso.
Gli
occhi sbarrati guardavano l’uomo e lo sguardo di lui era
compiaciuto, anche
senza sentirne le parole si vedeva che lui era fiero di ciò
che aveva fatto.
Bernedette
aveva preso le sue sembianze. I vestiti e il cilindro nero con un
grande fiocco
blu. Vestita da uomo e un bastone nelle mani, simile a quello che aveva
lui.
Non sembrava neanche più una ragazza ormai.
Le
sue mani, coperte da guanti, andarono a sfiorare la propria pelle. Lei
non
poteva vedere, ma i lunghi capelli biondi erano gli unici ad essere
rimasti di
quel colore, raccolti nel cappello, dove ne sfuggivano alcune ciocche.
Gli
occhi rossi e la bocca nera. La pelle così chiara da
sembrare morta.
-Ora
che sei tornata alle tue vere sembianze, quali sono le tue parole?
L’uomo
si era chinato verso avanti e aveva allargato le braccia.
Bernedette
si guardò le mani di nuovo e un sorriso sfiorò le
sue labbra. Una risata
sconquassò il suo petto, rendendola diversa dalla ragazza
che era prima. Una
ragazza donata ai lavori forzati per un bene che credeva superiore.
Quella
stessa ragazza non esisteva più ormai. Una consapevolezza
diversa le si era
dipinta sulle labbra.
Mosse
velocemente una mano e un leggero fuoco fatuo scaturì da
questa e fluttuò sopra
il proprio palmo.
-Kalsifer,
è arrivato il momento!
4
– Aer
Coalbrookdale, Shropshire
Aprile
1861
Quel
momento lo aveva ricordato per tutto il tempo in cui si era allenata.
Quel
momento in cui la sua anima era stata restituita al corpo che aveva
scelto e
alla ragazza che
aveva pensato di essere
fino a quel momento.
Aveva
proprio bisogno, dopo tutto quel tempo rimasta addormentata, di provare
il suo
potere. Anche se le persone non dovevano sapere che i maghi erano tra
loro.
Si
credeva, erroneamente, che i maghi fossero coloro che richiamavano le
anime dal
regno dei morti. Questo, a Bernedette, l’aveva fatta
sorridere. La sua anima
secolare aveva visto tanti maghi susseguirsi, che quei ciarlatani non
si
avvicinavano nemmeno alla metà di quelli dei tempi passati.
L’anima
non moriva, ma rimaneva nelle mani dei Guardiani del Tempo e solo loro
aveva il
potere di restituirla e di sentire il richiamo del corpo che
l’anima aveva
scelto. Non era poi così difficile capirlo e quei menagrami
che tentavano di
fare ciò che un custode faceva da ormai millenni, era
simbolo di capire poco
della magia e della forza che li circondava.
Camminavano
lungo le strade di Coalbrookdale e cercavano sempre di tenersi in
disparte
dagli sguardi delle persone. In quelle strade che neanche i loro dei
avrebbero
percorso. Dove la malvagità era tale da sentirsi come
l’aria che si respirava.
Bernedette
fece roteare a mezz’aria il bastone con l’intarsio
di una fenice che l’accompagnava
e volse il capo verso Kalsifer, proprio accanto a lei e suo protettore.
-Certo
che questo non sono le strade che percorrevano secoli fa.
La
voce da bambina era ancora persistente e un broncio delicato e
pestifero, le si
era disegnato sulle labbra nere.
-Il
tempo passa. Anche tu hai scelto un luogo insolito questa volta.
La
ragazza annuì. Volse il capo verso l’alto, verso
una luna brillante e
bellissima. Gli occhi rossi di lei si posarono in quelli del Guardiano.
-Avevo
bisogno di cambiare. Ero stanca dei soliti abiti dentro i quali mi
nascondevo.
Volevo provare la povertà e la fame questa volta.
L’aveva
detto con una innocenza disarmante e una tranquillità che
non lasciava adito a
dubbi che fosse davvero quello il suo desiderio.
Avevano
entrambi un pastrano e l’aria era pregna di
umidità che attecchiva anche le
ossa più forti. In lontananza la sagoma dell’Iron
Bridge, si stagliava nel
fulgore lunare.
-Dovremo
incontrarlo lì, non è vero?
Kalsifer
si voltò verso il ponte che si ergeva sul fiume Severn e non
poté far altro che
annuire. Non le aveva dovuto spiegare nulla. Lo aveva percepito da sola.
Bernedette
fece un rapido sospiro e si soffermo qualche istante, anche con i
passi,
guardando verso il ponte.
-Dimmi,
Kalsifer.
E
anche l’uomo si soffermò, osservando la ragazzina.
-Perché
proprio quel ponte?
E
curiosa fissò l’uomo con gli occhi rossi come il
sangue.
-Perché
quello è il Collegamento.
La
ragazza assottigliò gli occhi e le sopracciglia si
corrucciarono. Schiarì la
voce e poi, come se la consapevolezza le fosse arrivata in quel
momento, capì.
Non c’era bisogno di essere uno come loro per capire. Solo
pochi istanti dopo,
il cielo si oscurò e iniziò a piovere.
-La
fine è vicina. Dobbiamo andare.
Kalsifer
aveva tratto un respiro profondo e indicò il ponte. Le fece
solo segno di
seguirlo poi infine scomparirono così com’erano
arrivati. Nelle strade della
piccola cittadina si sentì solo un tuono feroce e un lampo
che squarciò il
cielo.
5
– Spiritus
Coalbrookdale, Shropshire
Ottobre,
1861
Bernedette
era arrivata all’Iron Bridge insieme a Kalsifer, suo fedele
guardiano ormai da
secoli.
Il
cielo era pieno di nuvole, una classica giornata inglese, e storse
appena le
labbra. Non le era mai piaciuta la pioggia, neanche ricercando nei
meandri
della sua testa ricordava di aver amato quel tempo atmosferico,
ricercando
sempre, nella battaglia, un posto dove il sole potesse trionfare.
-Siamo
in anticipo.
La
ragazza si era voltata verso il Guardiano e si era tenuta il cappello
nero con
il grande fiocco blu con entrambe le mani. Le stava per volare.
-Odio
il vento e odio la pioggia.
Mise
un leggero broncio come i bambini e alla fine fece roteare il bastone,
sorridente, e vi si poggiò con tutto il peso.
Il
cielo stava diventando via via più scuro e più
minaccioso e le poche persone
che ancora lo stavano attraversando, si apprestavano a tornare a casa.
Si stava
per prevedere un tempesta molto violenta e quindi tutti si erano
già sbarrati
in casa per evitare il peggio.
Bernedette
lì guardò di sfuggita, cercando di mascherare
quel che l’avrebbe fatta apparire
un mostro. L’unica cosa che la magia non poteva fare era
cambiarsi d’aspetto. Alle
persone apparivano solo come delle persone un po’ esuberanti.
-Com’è
che ci chiamano?
L’aveva
chiesto a Kalsifer e lui aveva leggermente sorriso. Anche
perché anche lui
aveva notato lo sguardo di qualche donna che, mentre lì
guardava, confabulava
con il marito che le teneva gentilmente il braccio piegato per
sostenerla.
-Dandy.
La
ragazza fu scossa leggermente da una risata, trattenuta e coperta con
una mano.
Rimase poggiata al bastone per diverso tempo e quella risata, che aveva
coinvolto anche il suo Guardiano, scomparve improvvisamente, con
l’arrivo della
prima pioggia e un fulmine che aveva squarciato il cielo.
Ed
eccolo. Di fronte a lei. Vestito nello stesso modo in cui era vestita
lei e di
fianco la sua Guardiana, che sembrava essergli molto affezionata.
Kalsifer
le si pose accanto, mentre i loro sguardi si incrociarono. Non ci volle
molto
per riconoscersi e per scrutarsi, ma entrambi sapevano che erano molto
diversi
da come si ricordavano. Entrambi avevano l’aspetto di due
ragazzini ancora nel
pieno dell’età. L’ultima volta erano due
adulti formati e la volta prima ancora
erano due maghi anziani e rachitici.
Bernedette
prese il cappello e lo portò davanti a sé per
fare un inchino, allargando
appena il bastone verso l’esterno. Lo guardava fisso e attese
uno scambio di
cortesia a quella mostrata. Un solo istante, quando vide che la sua
Guardiana
gli si era avvicinata e gli aveva sussurrato qualcosa
all’orecchio.
Per
le strade non c’era più nessuno, e la pioggia
iniziava a battere forte. Lampi e
tuoni facevano sentire la loro potenza e i fulmini illuminavano il
cielo come a
giorno. Questo, ai due ragazzi, non importava.
-Cara
Bernedette. Ci si rivede nuovamente.
-Frederich.
Aveva
accompagnato la parola con un cenno del capo. Il cappello nuovamente in
testa e
il grande fiocco blu che svolazzava ad ogni folata di vento.
Le
labbra nere di entrambi i ragazzi non fecero che allargarsi e, a quel
punto, non
ci fu più bisogno di parole. Perché
già sapevano che i loro destini erano già.
Lo
scontro fu duro, almeno il primo impatto.
Si
erano mossi alla velocità della luce e avevano cozzato i
loro bastoni l’uno
contro l’altro, a proteggersi guardandosi fissi negli occhi
rossi.
I
due Guardiani stavano solo a guardare. A braccia conserte e i loro
sguardi si
spostavano l’uno verso l’altra, in una continua
ricerca di una risposta.
Fu
un lampo ed entrambi si allontanarono dal punto di impatto. Avevano
già il fiatone,
perché la magia consumava l’anima e la pelle.
Quella che risucchiava di più le
forze era la magia nera. Colui che ha scelto la magia per il suo scopo.
Entrambi
sentivano un grande peso sul petto e i loro palmi bruciavano come se
tizzoni
ardenti vi si fossero poggiati sopra.
Poi
fu un attimo ancora. Dopo i vari attacchi fisici che vi erano stati.
Il
combattimento stava per considerarsi concluso. I guardiani diventarono
lampi di
luce e l’ultimo scontro si apprestava a vedere un vincitore.
Colava
il sangue dalle mani di entrambi, poiché la magia stava
divorando la pelle. I
lampi di luce li avvolsero e si unirono in un unico corpo.
Si
erano allenati per questo da tanto tempo.
Fu
solo un istante quando qualcosa simile a un fulmine partì
dalle mani di
Bernedette e Frederich. Fu solo un istante che tutto si
zittì.
Anche
il cielo aveva smesso di lamentarsi.
Gli
occhi rossi di entrambi si guardarono. Quelli di Frederich si
allargarono e con
un urlo animalesco si accasciò a terra.
La
ragazza si portò entrambe le mani sulle orecchie, mentre
Kalsifer e la
Guardiana uscivano dai loro corpi. Un urlo che non aveva sentito
neanche nei
suoi peggiori incubi.
Il
suo guardiano le si mise accanto e posò una mano sulla
spalla.
Gli
occhi di Frederich ripresero il colore naturale che quel ragazzo aveva
avuto
fino a poco tempo prima. Il colore della terra e si chiusero. Sulle
labbra
rosee vi si disegnò un sorriso.
La
Guardiana di Frederich in quel momento parlò.
-Questa
battaglia è tua.
Detto
questo si dissolse, non senza portare l’anima del ragazzo con
sé.
Bernedette
si inginocchiò a terra e prese a respirare affannosamente,
fino a quando l’urlo
non si chetò anche nella sua testa e il suo corpo non smise
di tremare.
Finalmente il tanto atteso momento era giunto al termine.
Ogni
volta la sua anima si sentiva più sporca e ogni volta lei
sorrideva appena, per
poi far scendere quelle lacrime che aveva tenuto a freno per molto
tempo.
Kalsifer
le si avvicinò. La sua voce era fredda. Proprio come quando
l’aveva incontrato
la prima volta.
-Ti
ci abituerai. All’inizio è sempre così.
Il
male questa volta aveva vinto.
Note dell'autrice
Perché
ho scelto i cinque
elementi e perché il pentagono?
Mi
sono ispirata a quest’ultimo
per il significato di magia che ha per me. La perfezione concentrata
all’interno
di una stella circoscritta all’interno di un cerchio.
Ogni
punta rappresenta un
elemento, che ho cercato di descrivere con le varie parti della storia,
lasciando a voi le varie interpretazioni.
Il
quinto elemento. Lo
Spirito che è inteso come l’insieme di tutto
è ciò che è tutta la storia,
l’Epilogo
della storia di Bernedette.
Nel
fantasy e soprattutto
nei giochi di ruolo (a cui ho giocato per molto tempo) il pentacolo
riverso è
invece considerato il caos degli elementi, che non riescono
più ad essere
gestiti dallo Spirito.
Ecco.
E’ questo per me il
pentacolo e ciò che rappresenta per la magia, intesa a mio
modo.
Se
mai volete qualche
informazione non esitate a chiedere.
Faccio riferimento anche ad un collegamento, ma do a voi la scelta di
intendere ciò che volete. Dopotutto Kalsifer e Bernedette lo
pensano. Ognuno può capire.
Alla fine il nome Kalsifer l'ho gentilmente "rubato" dal film di
animazione di Hayao Miyazaki "Il Castello errante di Howl" per rendere
un mio piccolo tributo a questo personaggio. Anche se l'ho
modificato appena.
Infine
vi informo che
questa storia partecipa al contest indetto dal gruppo Facebook “La
crème de la crème di EFP” con il
titolo: L'EPOCA
VITTORIANA E I SUOI SEGRETI.
Infine
vi invito sulla mia
pagina FB dove scoprire curiosità e altro sul personaggi e
sulle mie storie.
Lotiel
Scrittrice - Com pioggia sulla neve
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