Note: in questo capitolo parlo di tante piccole tradizioni
giapponesi. Come l'importanza data alle prime volte del nuovo anno - la
prima visita al tempio, la prima alba - o la scrittura dei desideri su
una tavoletta di legno chiamata 'ema' - una cosa che in
realtà si fa un po' tutto l'anno. Una curiosità
che ho scoperto: in Giappone sembra che sia considerata musica da
capodanno la Nona Sinfonia di Beethoven. Per questo la nomimo :)
Corrente
naturale
di ellephedre
1 gennaio 1997 - Makoto e Gen.
Felicità
Le una del mattino del primo gennaio. Makoto non avrebbe mai
pensato di
passare Capodanno sdraiata su un divano, in una casa che non era la sua.
Sorrise quando sentì qualcuno che scendeva le
scale,
cercando di
non fare rumore. Sapeva chi stava venendo da lei, ma quasi non riusciva
a crederci.
Al buio l'ombra di Gen, imponente, entrò in salotto
e si
accucciò al suo fianco. «Stai
ridendo?»
mormorò.
«Sì!» sussurrò lei.
«Sei pazzo.»
«Perché?» Gen sussultava come
lei,
di un'allegria che quietarono insieme con un bacio morbido e innocente.
Makoto gli prese la testa tra le mani e tenne la fronte unita
alla sua. Era felice.
«Grazie per essere rimasta.»
Non erano necessari ringraziamenti. Si era divertita molto
durante il
piccolo torneo di Go che avevano fatto tutti insieme. Quando poi si
erano impegnati in una partita di sugoroku, le sorelle di Gen avevano
dato il meglio di sé inventandosi una battuta per ogni tiro
di dadi. Erano state capaci di farle venire i crampi per le troppe
risate. «Mi piace
la tua famiglia.»
«Tu piaci a loro. Hai visto che non avevi niente di
cui
preoccuparti?»
Non ne era tanto sicura. «Tua madre ti
avrà
sentito scendere. Chissà cosa starà
pensando...»
Lui non se ne curava. «Sa che passo le
notti da
te.»
«Sì, ma...» Preferì
avvertirlo. «Ora non possiamo fare
niente.»
Gli uscì un suono strozzato. Il movimento convulso
delle sue
spalle le fece capire che stava ridendo.
«Ehi!»
«Sono sceso solo a salutarti! Non sapevo che fossi
così perversa.»
Lo colpì sul petto. «Quello sei
tu!»
Soffocare le risate fu un esercizio di volontà per
entrambi.
Makoto si tirò su e lo abbracciò.
Era
stata una
serata
tranquilla e molto bella: aveva visto Gen ridere con sua madre e le sue
sorelle, sotto il tetto in cui lui era sereno. Le giornate da incubo
erano finite.
«Andrò via domattina» gli fece
sapere.
«Puoi venire al tempio con noi.»
Non era il caso. «È una cosa
vostra.»
Nella tradizionale visita al santuario del primo dell'anno
sarebbe stato inevitabile per loro avere in mente Akito Masashi, che li
aveva lasciati da soli
sei mesi. A ogni capodanno lei ricordava ancora la sua
famiglia, e
com'era stato passare le feste assieme a loro.
«Devo andare a sistemare casa mia. Dopo il tempio
puoi
passare
a trovarmi,
se vuoi.» Aveva reso la voce ancora più sottile,
forse per
un recondito senso
di pudore.
Per tutta la sera, in quella casa, aveva cercato di non
toccare troppo Gen. Si era vergognata quando gli occhi della madre di
lui
si erano soffermati sul contatto di mani che Gen continuava a cercare.
Le sembrava qualcosa di molto intimo tra loro, che la signora
analizzava con benevolenza, ma con tutta la consapevolezza di un
genitore. A Gen non era parso un problema: non c'era stato un solo
momento in cui lui si fosse sentito a disagio.
«Certo che passo.» Gen si
allontanò, per guardarla meglio in volto. «Intorno
alle
dodici?»
Come al solito era preciso. «Va bene.»
Vi fu un attimo di silenzio.
Lui mosse le mani sulle sue braccia, saggiando la sua
presenza.
«Non sarei riuscito a immaginarti a casa da sola questa
notte.
Sono contento che tu sia qui.»
Lei lo era di più. Quel giorno lo aveva scoperto
allegro,
rilassato e appagato. Incredibilmente, era stata lei a dargli pace.
Appoggiò la
bocca sulla sua. «Ora va' a dormire.»
«Ti vergogni sul serio.»
«Certo. Sapere che ci possono ascoltare mi
fa
sentire...»
Divertito, lui ricambiò il bacio e si
sollevò le
gambe.
«Domani non ci sentirà nessuno.
Buonanotte.»
Lei lo lasciò andare con una carezza.
«'notte.»
«Allora...» Shori Masashi entrò
in
cucina in
pigiama, i capelli scompigliati e uno sbadiglio in bocca. «Tu
e
mio fratello ve la siete spassata stanotte? La vostra prima volta
dell'anno?»
Makoto avvampò e controllò la porta. Non
c'era nessun altro ad ascoltare. «Non...»
balbettò.
«Non è
il...»
«Caso?»
Deglutendo, annuì.
«Ma l'avete fatto o no?»
«No!»
«Hm.»
Mentre la diabolica Shori Masashi meditava su una nuova
battuta, Makoto
sporse la testa verso il corridoio. La madre di Gen non era ancora
uscita dalla propria stanza.
Provò a essere diplomatica. «Almeno
abbassa la
voce, per favore.»
«È difficile farti arrabbiare,
eh?»
«Sono ospite in casa tua. Sto cercando di essere
educata.»
«Secondo me sei così di natura. Remissiva
e
modesta.»
Makoto si mangiò un sorriso. Solo un membro della
famiglia
Masashi poteva descriverla in quel modo.
«Anche ieri sera eri cauta»
continuò
Shori-san. «Come un gigante sgraziato in una casa di
nani.»
Già. Era stata attenta, per non rischiare di
rovinare in partenza il rapporto con la famiglia di Gen.
Comunque... «'Nani'? Tu sei alta quasi quanto me.»
«Non mi riferivo all'altezza.»
Il tono di Shori-san era allusivo. Makoto si
domandò cosa volesse dire.
Lei sciolse le braccia piegate.
«In ogni caso, mi vai a genio. Almeno finché vai a
genio a
lui.»
C'era qualcosa di incomprensibile nell'atteggiamento della
sorella di Gen.
«Anche tu non sei male. Però preferirei che non
mi
prendessi in giro.»
«Allora sciogliti un po'.» Shori
sorrise.
«O non farlo, non so. Scommetto che a Gen piace
stuzzicarti.»
Makoto evitò di rispondere, ma la sorella di lui
non ebbe
bisogno di sentirla parlare.
«Lo sapevo. Conosco mio fratello
e
le sue ragazze.»
Le sue ragazze?
Shori-san si appoggiò al bancone, per mettersi
comoda.
«Ero curiosa e a volte ne ho incontrata qualcuna. Alte,
basse,
sportive, studiose, belline, molto carine, veri e propri schianti,
altezzose, divertenti... lui le ha provate tutte. Ma avevano una cosa
in
comune: Gen le aveva conquistate. E a loro la cosa piaceva
molto.»
Il discorso le ricordava qualcosa.
Nella sua mente fece un
rapido
riepilogo del rapporto tra
lei e Gen, dal momento in cui era nato fino a quel giorno. Nella sua
testa si
insinuò un minuscolo dubbio.
Shori continuava a fissarla. «Ora sei
preoccupata?»
«... io e tuo fratello ci conosciamo da
poco.»
Anche se si amavano molto; di questo era sicura.
«Tu hai
qualcosa di diverso dalle altre.»
Makoto sorrise. «Che cosa?»
Shori-san fissò gli occhi su suoi, come
aspettandosi una sua
precisa reazione. Quando non la ottenne, non disse niente.
Infine, si
staccò dal bancone. «Be', lui ti ha presentata a
mamma. Vado a
farmi una doccia. Ci si vede, Kino-san.»
«... Ciao.»
La sorella di Gen era una
ragazza assai
particolare.
Hatsumode, la prima visita al tempio dell'anno.
Non avevano avuto scelta sul luogo a cui andare: Gen si era
informato e
sapeva che, in tutta Minato, esisteva un solo tempio accessibile con la
carrozzina.
Durante il tragitto verso il piazzale sopraelevato, lungo il
corridoio
adattato per i disabili, Shori e Miki non si erano allontanate da lui e
mamma, per non rischiare di perdersi tra la folla. Comunque sarebbe
stato impossibile per Gen non notarle tra la gente: indossavano un
kimono rosa e azzurro ed erano colorate come non le aveva viste da
molto tempo. Lo avevano fatto per creare allegria, supponeva, ma non
per se stesse.
«C'è più ressa del
solito.»
Shori aveva ragione. «Le persone sono qui per
paura.»
Mentre avanzavano, sua madre prese una mano a Miki.
«Sono
giorni incerti. Ma noi
siamo insieme, sani e salvi. Vostro padre ci veglia
dall'alto.»
Man mano che il tempo passava, Gen si rendeva conto di un
nuovo dolore,
non proprio: sua madre non era più parte di una coppia. Lei
guardava
avanti sapendo che avrebbe vissuto metà della sua esistenza
senza
la
persona che amava. Si faceva forza pensando a loro, ma lui aveva
già trovato qualcuno, e Shori e Miki stavano crescendo
lentamente, inesorabilmente. Come figli si sarebbero allontanati prima
o poi. E
lei... cos'avrebbe fatto? Sarebbe rimasta sola, o si sarebbe sposata di
nuovo?
Lui non voleva. Nella sua mente, i suoi genitori esistevano
solo l'uno
per l'altra. Per sua madre era ancora così, un'idea che
faceva male.
«Per cosa pregherai, mamma?»
A chiedere era stata Miki.
«Rivoglio le mie gambe.»
Causò un sorriso a tutti e tre, per una forza
d'animo che
non svaniva mai.
Sua madre piegò la testa all'indietro, per
guardarlo.
«Quest'anno mi impegnerò per tornare a camminare.
Poi
pregherò perché voi ragazze diate il meglio per
gli esami
di ammissione.»
«Manca un anno!» Fu un coro a due.
Sua madre picchiettò entrambe su un braccio.
«Non
è
mai troppo presto per cominciare. Sistemate voi figlie,
pregherò
perché Gen torni a studiare sereno
all'università. Al
resto dei suoi desideri lui ha già pensato da
solo.»
Miki ridacchiò. «Mi piace Kino-san! Non
lasciarti
con lei, vuole insegnarmi a cucinare!»
«Cosa?» Gen si divertì.
«Ha tentato di corromperti?»
Miki scosse la testa in direzione di Shori. «Voglio
fare le
torte come
lei. Gliel'ho chiesto io!»
«Fatica sprecata. Sta per aprire una pasticceria.
Non hai
capito
che avremo scarti a volontà sulla nostra
tavola?»
«Sbagliato» precisò Gen.
«Anche gli scarti si
pagano. Non saremo dei parassiti per un'impresa appena
aperta.»
Shori si indignò. «Scarti, Gen, scarti!
Non li
venderebbe
comunque. Ma non ha senso parlarne con te: basterà chiedere
a
lei, scommetto che non sa dire di no.»
«Secondo te io lascerò che te ne
approfitti?»
«Non intrometterti nella relazione tra due future
cognate.»
Gen chiuse la bocca. Meno parlava, meno forniva a sua sorella
materiale per
battute
improprie.
Miki si unì a Shori davanti alla carrozzina,
incrociando le
braccia con lei. «Hai visto che scenette ieri sera?»
«Certo.» In due dondolarono con le mani
unite.
«'Gen, no! La tua famiglia ci vede!'»
«'Figurati, Mako-chan! Su, incrociamo le dita sotto
il
tavolo. Ti voglio bene!'»
«'Anch'io! Non farmi arrossire!'»
Se solo lui avesse potuto investirle con la carrozzina...
Sua madre stava ridendo di gusto.
«Anche tu?» protestò Gen.
«Sono spassose! E poi è vero, era bello
guardarvi ieri. Lei era così timida...»
Adesso era Shori a interpretarlo, le mani sulla testa di Miki.
«'I
tuoi capelli sono così morbidi, Mako-chan...'»
«Basta!»
Le sue sorelle ridacchiarono e scapparono, quasi
scontrandosi
tra loro. Sarebbe stata una giusta punizione, ma erano arrivati al
torii posizionato all'ingresso del tempio.
Shori si portò dietro di lui. «Spingo io
la mamma, tu
cerca
di capire dove dobbiamo andare. Non si vede niente da qui!»
Con un po' di fortuna, individuarono prima l'altare e poi il
gazebo
dei
talismani. Per avvicinarsi a quelle postazioni c'erano lunghe code da
fare, perciò tutti insieme scelsero di fare prima
un giro lento dei dintorni.
Quando fu tempo, Gen recuperò un
ema in legno
per sua madre. Con lei si erano fermati sul ciglio del giardino che
circondava il santuario, minuscolo rispetto al boschetto del tempio
Hikawa. Miki e Shori erano in coda per comprare degli omamori e un paio
di omikuji.
Gen porse a sua madre il pennarello a punta grossa che si era
portato
da casa, proprio per scrivere sulle tavolette. «Ti lascio da
sola?»
«No. Ne hai un altro?» Gli
indicò il
pennarello.
«Sì.» Si era premunito, ne
aveva quattro.
«Allora scriviamo insieme i nostri
desideri.»
Lui tolse il tappo al suo strumento di scrittura. Per qualche
momento tenne la
punta
sospesa in aria.
Qualche settimana
prima, parlando con Makoto, le aveva detto che con riguardo a lei il
suo desiderio era quello di conoscerla di più. Dopo gli
ultimi
eventi, tutti i suoi auspici per il futuro potevano essere riassunti in
uno solo.
Abbassò il pennarello e scrisse.
'Voglio vita'.
Vita per sua madre, che era stata troppo vicina alla morte
quell'anno.
Vita per Miki, che doveva crescere ancora molto e diventare
adulta.
Vita per Shori, che lui doveva proteggere di più,
affinché lei potesse vivere serena.
Vita per Makoto, che doveva vincere tutte le proprie
battaglie,
uscendone sana e
salva.
Infine, vita per se stesso. Per avere ancora molti giorni da
passare
con la
sua famiglia e con la ragazza che gli stava cambiando l'esistenza.
«Cosa hai scritto?»
Mostrò l'ema a sua madre. Lei sorrise e gli fece
vedere la
tavoletta col suo desiderio.
'Ai'.
Amore.
Sua madre si spiegò. «Mi auguro che ci
sia
molto amore
nella
nostra famiglia. Tra di noi, ma non solo. Voi figli state trovando il
vostro amore lontano da casa ormai.»
«Siamo ancora con te, mamma.»
Lei lo tirò per un braccio, imponendogli di
inginocchiarsi.
«Tu ormai passi metà del tuo tempo
fuori, Gen.»
Aprì la bocca assieme a lui, facendogli capire che non aveva
finito di parlare. «Sono contenta. Kino-san mi piace come
futura nuora.»
Lui arrossì. «Veramente...»
«È presto? Certo, ma non togliere
la
speranze a una
madre che si illude. Sai, una volta ho parlato con una delle tue
ragazze.»
Ah, sì? «Chi?»
«Non ricordo il nome. Capelli vaporosi, ben
truccata...»
Scosse la testa. «Vi avevo visti da lontano. Mi sono
avvicinata
per un saluto dopo che vi siete separati. Per il modo in cui lei
rideva,
l'avrei strozzata.»
Gen ebbe l'impressione che stessero parlando di Chiyako Mizui,
una
ragazza che aveva lasciato per la facilità con cui rideva a
battute idiote. Lei aveva nascosto quel lato del suo carattere per le
prime due settimane in cui
si erano conosciuti, perciò lui non se n'era accorto prima.
Notando che aveva capito, sua madre annuì.
«Vedi? Da allora avevo il terrore su chi mi avresti portato a
casa. Il sospiro di sollievo che mi è uscito ieri ha fatto
vento in
Cina.»
Gen rise e sua madre gli afferrò la faccia con le
mani. Come
fosse un bambino, gli stampò un bacio sulla fronte.
«Continua a fare buone scelte, Gen, e la vita ti
sorriderà.»
«Oggi sei piena di massime.»
«È il primo dell'anno. Se non oggi,
quando?»
Dalla sua posizione in coda, Miki li salutò
agitando a ruota
la mano.
«Spero che compri un omamori per lo
studio» commentò
sua madre. «O per un ragazzo.»
«Meglio che Shori non lo faccia. Dovrebbe comprarne
tre o
quattro.»
Sua madre sospirò. «Quella
ragazza...»
In lei crebbe
una risata bassa, che si sciolse nel silenzio.
Tra il vociare della
gente si sentiva il frusciare del vento
tra le foglie.
«Tuo padre sarebbe felice.»
Gen non riuscì a commentare. In gola gli si era
formato un
blocco, pesante come pietra.
Era già passato mezzo anno.
Se cercava di ricordare la voce di suo padre, non era
più così semplice riportarla alla mente. Aveva
ancora la sensazione di lui in testa, ma vi si erano sopravvrapposti
nuovi ricordi. Più faceva come avrebbe voluto suo padre -
andare avanti - più lo lasciava indietro. Era arrivato a un
punto in cui non avrebbe più azzerato gli ultimi mesi pur di
parlargli un'ultima volta.
Sei davvero
qui, da
qualche parte?
Si apppoggiò allo schienale della carrozzina di sua
madre.
Posò la fronte contro la nuca di lei. Quando i loro respiri
si armonizzarono, seppe che stavano pensando a suo padre insieme.
Shori tornò indietro. Era riuscita a fare i suoi
acquisti.
Mostrò loro un foglietto. «'Grande
benedizione'» lesse, fiera. «L'ho aperta pensando a
tutti e quattro. Vado ad apprenderla all'albero!»
Gen fu felice per tutti loro.
«Sono dei dango.»
Sulla porta di casa sua, Gen le offriva un pacchetto.
«Non ho trovato nient'altro di aperto sulla
strada»
si giustificò lui.
Raggiante, Makoto ricevete il piccolo vassoio in cartone e lo
appoggiò sul bancone della cucina.
Lui gradì molto la sua reazione.
«Il primo sorriso dell'anno.»
Il primo? Era almeno il centesimo per lei.
«È solo il primo che
vedi
bene.» Ed era tutto per lui.
Gen fece un passo in avanti, entrando in casa.
«Questo
invece è il primo bacio.»
Lei non capì cosa intendesse finché lui
non
le separò le labbra con la bocca, cingendola per la vita
mentre la
assaggiava con la lingua, intensamente, facendole perdere forza nelle
gambe.
Riuscì a staccarsi da lui. «Il primo
bacio è
stato
ieri sera.»
Pochi secondi dopo la mezzanotte, Gen non aveva resistito e le
aveva
sfiorato la bocca con la sua davanti a tutta la sua famiglia - un
momento in cui Makoto si era sentita affogare in un mare di imbarazzata
felicità.
«Questo era il primo vero
bacio.» Lui si chinò a togliere le
scarpe. «Il primo di un migliaio, se teniamo un buon ritmo in
questo 1997.»
Ridendo, lei lo aiutò a spogliarsi della giacca.
«Grazie
del cibo.» Al pensiero, sospirò.
«C'è una cosa che non
potrò fare bene quest'anno: il primo pranzo. Ho la dispensa
vuota.»
Non aveva avuto il tempo di
passare in un supermercato.
Gen ricordò la ragione e scosse la testa, per non
pensarci. «Non importa. Mangiamo fuori.»
«I ristoranti saranno pieni.»
«Troveremo qualcosa. Nel frattempo, i dango terranno
tranquilla la fame.»
Non era una cattiva idea.
Gen captò i suoni nell'aria. «La nona di
Beethoven?»
«Sì, come da tradizione.»
L'aveva
ascoltata in
sottofondo a ogni capodanno quando viveva con i suoi genitori.
Conservava la musicassetta di quella melodia classica come un tesoro.
Mostrò a Gen la cucina. «Stavo cercando
di tirar
fuori una torta da portare a Rei.»
Lui si chetò. «Allora oggi hai sentito di
nuovo le
tue amiche?»
«Stanno tutte come ieri. Nessuna di noi
crollerà
all'improvviso, non preoccuparti.»
«Non temevo questo.»
Forse, ma lui le aveva guardate tutte come se
fossero bombe a orologeria
colme di
spavento, pronte a scoppiare a piangere da un momento all'altro.
«Siamo abituate. Abbiamo molta
esperienza.»
Gli lanciò un'occhiata e vide la stessa
espressione
che lui aveva
avuto sulla spiaggia di Yokohama, mentre osservava disperato la sua
gamba squarciata.
Makoto la agitò inconsciamente, come per accertarsi
che ci fosse ancora. «Stiamo
bene. Forse oggi Usagi vorrà parlare del matrimonio.
Comunque
avremo da lavorare.»
«Lavorare?»
«Be', il nonno di Rei ci ha ospitato per giorni, no?
Rei lo
aveva
convinto dicendo che lo avremmo aiutato al tempio per Capodanno. Oggi
sono carichi di lavoro.»
Lui si ricordò dell'incombenza e trinse i denti.
«Giusto.»
Makoto ridacchiò. «Non preoccuparti,
lavorerò io per
tutti e due. Hanno bisogno soprattutto di qualcuno che distribuisca i
talismani al tempio.»
Lui le sfiorò una ciocca di capelli, sull'orecchio.
«Indosserai un kimono?»
«Quello che mi darà Rei.» Quasi
si
vergognò.
«Non ho un bel kimono da mettere. Non pensavo
che...»
«Non ti sto criticando» rise lui, ma
Makoto si
appuntò di andare al più presto in un buon
negozio, a
prendere due kimono: uno per l'inverno, elegante e caldo, e uno per
l'estate, fresco e seducente. Finalmente aveva qualcuno per cui
agghindarsi. «Sono sempre andata al tempio con le mie amiche.
Pensavo di prendere un bel kimono per la festa dei
vent'anni...»
«Ti stai giustificando.»
Sì, non poteva farne a meno.
Sereno, Gen si sedette al tavolino, invitandola con
una mano a
riposarsi vicino a lui. «C'era una cosa che avrei voluto fare
con
te, oggi.»
«Hm?»
«Il primo sole dell'anno. Volevo andare da qualche
parte a
vedere la prima alba.»
A Makoto mancò il fiato. Era un'idea tremendamente
romantica, una
cosa
che aveva sempre desiderato fare col suo
ragazzo. «Tecnicamente, non si è ancora
visto il primo
sole.»
«Perché è nuvoloso?»
Esatto. «Se ti va - se puoi - magari
domattina...»
Il sorriso di lui conteneva una traccia di tenerezza.
«Non
chiedermelo come se potessi dirti di no.»
Ma lui poteva.
«Makoto, sì.
Andiamo domani, dove vuoi tu
se hai
in mente
un posto.» Fece una pausa. «Ah,
però...»
«Cosa?»
«Avevo pensato di recuperare l'appuntamento della
vigilia di
Natale. C'è quel posto che non ti ho ancora fatto vedere.
Be', possiamo tardare di un altro giorno se...»
«No!» lo bloccò lei.
«Voglio
andarci!»
Lui avvicinò il volto al suo. «Avevi
scritto
'felicità'.»
Makoto non capì.
«Sulla tua agenda. L'ho visto il giorno che ho
lavorato al
tuo negozio.»
Oh, sì. E in quel ventiquattro dicembre lei lo
aveva quasi
perso.
«La felicità dev'essere domani.» Non
voleva
più rimandarla. Ogni momento era prezioso e sfuggente.
Lui stava riflettendo. «Può essere una
felicità
completa. Se ti va un tour de force, possiamo svegliarci alle sei e
goderci l'alba delle otto. Poi torniamo in città e ti porto
a-»
Lei gli coprì la bocca con un dito. «Non
dirmelo.»
«Vuoi la sorpresa?»
«Sì.» Proprio come lui l'aveva
originariamente concepita.
Gen respirò contro la sua bocca.
«C'è
un problema con questo piano.»
«Quale?»
«Questa notte con te io non voglio
dormire.»
Quando la baciò, per un momento neppure Makoto
desiderò un
istante di sonno. Era passata una giornata intera da quando lo aveva
avuto in sé, tra le braccia, pelle contro pelle nel suo
letto.
In quelle ore aveva pensato a un mucchio di cose diverse, ma
quando lo aveva avuto accanto, la consapevolezza dei loro corpi vicini
le aveva causato fremiti continui, deliziosi in quanto intensi
e
brevissimi. Era in grado di controllarsi, ma ora che erano da soli,
senza nessuno a disturbarli...
Gli offrì il collo scoperto. Sentendo la mano di
lui sulla parte bassa della schiena, si lasciò trascinare
sopra
le sue ginocchia. C'era qualcosa che stava dimenticando,
qualcosa di
importante...
Se ne ricordò quando strofinarono tra loro i
bacini.
«Oh.»
«Cosa?»
«Non...» Fu travolta dalla delusione.
«Oggi non posso.»
«Non puoi?»
«Noi... Questo.»
Gen si allontanò un poco.
«Questo?»
Incredulo, la sfiorò sullo stomaco, sotto la maglia.
Addolorata, lei annuì.
«... perché?»
Vinse l'imbarazzo per parlarne. «Io... non
potrò per
qualche
giorno.»
Gen ebbe mille pensieri prima di trovare quello
giusto. Gli si deformò la faccia.
Lei riuscì a stento a evitare la risata. C'era una
parola giusta per descrivere la reazione di lui e non era delusione.
«Sei affranto.»
Il divertimento di Gen si mischiò alla
disperazione.
«Ridi di me?»
Makoto lo abbracciò. «Mi dispiace.
Il mio ciclo è
iniziato ieri.»
Lui esalò un sospiro di patimento. «...
fino a
quando?»
Lei si fece due conti.
«Altri tre
giorni, compreso oggi.»
«Quindi... per il quattro?»
«Sì.»
«È il mio compleanno.»
Makoto quasi cadde a terra. «Mi ero dimenticata! Non
ho
ancora
pensato al tuo regalo!»
Gen la strinse più forte. «Sistemato.
Sarai
tu il
mio regalo.»
«Ma figurati. Pensavo a un regalo serio.»
«Più serio di te? Magari con quella
vestaglia rosa
e niente sotto...»
Lo colpì giocosamente su una spalla. Le
morì la
battuta in gola quando si ricordò un altro particolare.
«Il quattro gennaio tu compi...»
«Ventidue anni» completò lui,
incerto.
Lei non ebbe nulla da dire.
«Non lo sapevi?»
No. Aveva intuito che lui avesse quell'età - per
via
dell'anno
che frequentava all'università - ma non ne era stata
sicura.
Non aveva chiesto.
Invece di trovarla una mancanza terribile, Gen si
intenerì.
«Abbiamo tante cose di cui parlare.»
Lei gli accarezzò una guancia.
«Sì.»
«E pensare che hai già conosciuto la mia
famiglia...»
Infatti era imperdonabile. «Tu hai ascoltato tante
cose di
me... Ho parlato più io, vero?»
Sotto le sue mani, lui scrollò le spalle.
«Se
vorrai sapere qualcosa di me, basterà chiedere.»
Be', di fronte a tanta apertura... «Secondo te, a
Shori io piaccio
davvero?»
«Hm?»
«Oggi sembrava che mi stesse ancora
valutando.»
Anche se,
la sera prima, avevano trovato una bella intesa durante la loro sfida a
Go. Makoto era partita con l'intenzione di perdere per entrare nelle
sue grazie, ma la determinazione di Shori l'aveva portata usare tutto
il suo ingegno per vincere. Alla fine aveva perso per una singola mossa
sbagliata, ma persino la sorella di Gen si era resa conto che la sua
era stata pura sfortuna. A fine gara si erano strette la mano.
«Ho sorpreso Shori portandoti a casa
nostra» spiegò Gen. «Lei fa
sempre
così: quando pensa di aver concesso troppo, fa un passo
indietro. Stamattina già andava scherzando sul fatto che eri
la sua
futura
cognata.»
In estasi, Makoto quasi non riuscì a crederci.
«Ti ha accettato» confermò Gen.
«È solo che le piace fare la misteriosa.»
Lei sperava che fosse così. Scese dalle
gambe di lui, per smettere di tentare entrambi.
«... hai avuto tante ragazze.» Lo sapeva
già, ma voleva avere una sensazione più chiara
del passato di lui.
Gen era confuso: non capiva cosa gli stesse chiedendo.
«È stata tua sorella a parlarne. Diceva
che... le hai
provate tutte.»
«Ah, ha detto così?»
Non era quella la parte importante. «Ti piace
conquistare.
Hai conquistato anche me.»
Lui provò a capire dove lei stesse andando a parare.
«Voglio essere io a conquistarti, Gen.»
Lo rallegrò. «Lo hai già
fatto.»
Sì, ma... «Voglio che ti affidi a me.
Voglio che
siamo pari nel nostro rapporto.»
«Lo siamo già.»
Come esempio di parità le veniva in mente
soprattutto il
loro piccolo scontro
accanto al fiume, e si era trattato solo di una dimostrazione di forza
fisica.
«Makoto. L'altra notte.»
«Che vuoi
dire?»
«Il modo in cui mi hai fatto...
abbandonare.» Lui faticò a usare quella parola.
«Non mi era mai successo con
nessun'altra.»
Rivivendo il momento, Makoto si riempì di un senso
di
vittoria
sottile, una sensazione di possesso che era dolce e lenitiva.
«Veramente?»
Gen annuì. «E visto che ti ho
già
offerto cuore e
anima, tanto vale lasciare che mi pialli fino alla fine. Hai lo
strumento adatto, sai? Il tuo viso, la tua voce, tu... Questa
è
la prima volta in tutta la mia vita che sono innamorato.»
Lei sentì il battito che accelerava. Dal
petto un
senso di
calore e leggerezza si diffuse alle sue mani, alla testa... Era come
volare, sapendo di essere a un passo dall'apice della
felicità. Per raggiungerla, rischiando di esplodere, le
bastava un unico
tocco.
Con un brivido, sfiorò un dito di Gen.
«Adesso mi
sto sciogliendo.»
Sorrisero con le guance vicine. Ancora una volta lei
trovò
incredibile che quella prossimità le permettesse di restare
intera.
Ma
con Gen andava così: era come disfarsi e ricompattarsi in
continuazione, sapendo di essere più forte con lui e al
contempo totalmente
scoperta, senza difese per ogni suo gesto, per ogni sua parola.
Lui le stava baciando sulla mascella. «Se
solo....»
«Cosa?» Si tenne alle sue spalle,
ancorandosi
per non ricadere sulla schiena.
«Vorrei essere in grado di farti sciogliere
completamente
già adesso.»
Bastava un po' di pazienza. «So cosa si
prova.» Ne ricordava ogni particolare.
«In realtà...» Gen scosse la
testa.
«Hm?»
«Ogni volta che è successo, mi
hai
distratto. Non ho fatto tutto quello che potevo per te.»
Lui era tornato al discorso precedente - molto dolce, ma non
veritiero.
«No. Mi sono davvero sciolta come neve al
sole.»
«Forse solo la volta che ho usato la
bocca.»
Perché lui doveva essere così
preciso? «Elimini il romanticismo.»
Gen la riportò sulle proprie gambe.
«È questo che voglio dire: è sempre
stato
molto piacevole. Per me troppo, ma... L'ultima volta tu non sei
nemmeno venut-» Si bloccò sulla parola.
«Cioè, non hai
provato quello che ho provato io.»
Lei non lo aveva trovato fondamentale. «Ho provato
qualcosa
di
altrettanto bello: averti tutto per me.» Lo strinse forte.
Per qualche attimo, Gen non disse
niente. «Devo
rimediare» decretò infine.
Makoto sospirò. «Dai troppa importanza
alle
sensazioni fisiche.»
«Ne parleremo dopo la prossima volta. Se tu sapessi
cosa puoi
provare, non diresti così.»
Lei si allontanò fino a guardarlo in faccia.
«Sei
condiscendente.»
«Sei testarda. Dopo il mio compleanno, avrai
cambiato
idea.»
«E se non succede?»
«Proveremo un'altra volta. E un'altra volta
ancora, poi di
nuovo, e infine...»
Risero.
Makoto gli accarezzò la testa. «Ti amerei
anche se
non mi toccassi mai.»
Lui soffrì. «Ne morirei. Tu sei fatta per
essere
toccata.»
Era una frase eccitante, che sembrava più adatta a
un film
che a
lei. Incoraggiata, Makoto provò un azzardo. «...
sono uno
schianto?»
La scelta del termine lo incuriosì.
«Tua sorella diceva che sei stato con ragazze
bellissime...»
«Io
sto con
una ragazza bellissima. Penso a te tutto il tempo.»
Rinfrancata, volle scusarsi. «Non sarò
sempre
insicura.
È
solo che, almeno una volta, volevo sentirti dire
che...»
Anche se fosse stato vero solo per lui, le sarebbe bastato.
«Non l'ho detto per farti contenta.» Gen
le sollevò il viso, per farsi guardare.
«Non dico cose a cui non credo. Ma se non ti dirò
abbastanza cose belle, picchiami, perché sarò
bugiardo
per omissione.»
«Parli sempre di violenza» sorrise lei,
commossa.
«Non sono ancora abituato a
lasciar uscire
altre
parole. Ma non le dirò per conquistarti, Makoto. Un tempo le
ho
dette con secondi fini, per uno scopo.» Incrociò i
suoi
occhi.
«Con te no. Ci sono cose che dico senza nemmeno voler
parlare,
perché mi sento quasi ridicolo quando...»
Lei capiva e non aveva bisogno di sentirlo andare avanti.
«In
fondo, non c'è bisogno di parlarne.»
Inspirò
dalla sua guancia. «So già tutto.»
«Ah, sì?»
«Parla il tuo odore. È penetrante,
piacevole. Dice
che
stai cercando di attirarmi, per stare abbracciati.»
Passò
le labbra sulla linea della sua tempia. «Mi fa sapere che ci
tieni tanto a essere bello per me, perché mi vuoi
disperatamente
vicina.»
«Quante cose vere...»
Lungo tutti i punti di contatto tra i loro corpi, Makoto
vibrò. Quella stava diventando una piccola e deliziosa
tortura.
«Saprò sempre cosa vuoi dirmi»
gli
disse.
«Forse ti sorprenderò lo
stesso.» Con la
punta della
lingua, Gen tracciò una scia lungo il suo collo, fin dietro
l'orecchio.
Ansimando, lei si staccò. «I
dango.»
Lui abbassò la mano, smettendo di toccarla.
«I
dango.»
Scoppiarono a ridere e lei si spostò verso la
cucina.
«La fame
sazierà gli altri appetiti.»
«Speriamo di no, o prenderò un quintale
prima del
quattro gennaio.»
Felice, Makoto canticchiò il ritornello della nona
sinfonia
di Beethoven e si mise al lavoro per servire i dolci.
«Allora non c'è più niente da
muovere?»
Yuichiro Kumada si pulì le mani dalla polvere.
«Niente. Grazie per avermi aiutato a spostare tutti i
pacchi.»
Gli scatoloni che avevano portato nel retro del gazebo erano
pieni di
amuleti. Gen ne prese uno. «Li venderete
tutti?»
«Oggi è giorno di grandi
affari.»
«Serve una mano?»
«Sì, ma non c'è più
posto
per un'altra persona che serva i clienti. Lo dirò al
maestro: il prossimo anno dobbiamo attrezzarci.»
Forse quell'anno i tempi erano più affollati solo
per via degli
incidenti su scala mondiale di due giorni prima.
Kumada osservò il suo silenzio. «Nel
bosco
c'è pace.» Gli indicò gli alberi dietro
le sue spalle, lontano dalla folla. «Io ci vado quando voglio
riflettere.»
Il consiglio era gentile. «Grazie.»
Mentre camminava sotto le fronde del bosco Hikawa - come lo
aveva
ribattezzato nella propria mente - Gen pensò.
Da quando aveva ritrovato Makoto a Yokohama,era la prima
volta che
stava da solo e si sentiva tranquillo. Come condizione gli pareva
anomala. Aveva la sensazione che ci fosse ancora qualcosa da fare, una
battaglia da combattere, un nemico a cui fare attenzione.
Se era tutto finito, la sua nuova vita gli sembrava ancora
più
strana: non voleva più stare da solo. Ogni suo pensiero,
ogni minimo progetto, includeva Makoto. Aveva pensato che fosse la
smania di rivederla, di avere un momento pacifico da solo con lei. Ma
avevano appena trascorso insieme tante ore e, se lui pensava a un
momento
qualunque dei prossimi giorni, si trovava ancora a chiedersi quali
programmi avesse fatto Makoto, per capire come far coincidere i
loro piani.
Era assurdo. Era innamorato di lei, voleva stare con
lei, ma adesso non
riusciva
più a esistere da solo?
Si era rimbecillito o era una cosa normale?
La sua sciarpa si era impigliata nella lampo della giacca.
Mentre
infilava
le mani per tirarla fuori, sentì qualcosa dentro la tasca
interna, all'altezza del petto.
Tirò fuori un pacchetto dimenticato di sigarette.
A Makoto non
piacerà se fumo.
Per sfida a quel pensiero, tirò fuori
l'ultima
superstite del pacchetto e cercò l'accendino.
Quando l'ebbe in mano, giocò con la miccia e
sospirò.
Probabilmente quella era l'ultima sigaretta che avrebbe mai
fumato.
L'accese e inalò. Piegando la testa all'indietro,
colorò il cielo di una piccola nuvola grigia - respiro caldo
che si condensava al gelo e vapori tossici che macchiavano l'aria.
Già, fumare non era una cosa salutare. Lui non era
mai
diventato
un fumatore abitudinario, ma una volta ogni tanto...
Tra gli alberi apparve Alexander -ovvero Golden Boy Foster in
tutta la
sua biondezza, bardato di un cappotto da sartoria con cui Gen si
sarebbe fatto vedere solo ad un prossimo funerale. Il peggio era che
Foster nemmeno lo faceva apposta: non si atteggiava come lui aveva
pensato inizialmente. Era nella sua natura andarsene in giro come se ci
fosse un fotografo pronto a immortalarlo a ogni angolo di strada.
Quando Foster lo vedeva, si impettiva, e almeno questa era una
cosa che
Gen riusciva a comprendere: in lui suscitava lo stesso tipo di
reazione.
«Fumi» furono le prime parole del ragazzo
di Ami Mizuno, un
rimprovero
contro cui Gen aguzzò i denti.
«Si muore di freddo.»
«Hanno inventato la lana. E le bibite
calde.»
Non sopportava quel tono di superiorità.
«Non ti
ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi
giudizi.»
Invece di rispondergli, Foster si chetò. Non lo
sfidò più con gli occhi e neppure con le parole;
esausto, si
allontanò di un paio di passi e rimase a fissare l'orizzonte
con una smorfia dolorante, appena nascosta. Aveva un po' di
colore sulle guance, come se fosse affebbrato.
Si era allontanato dal fumo e Gen si sentì in colpa.
Tirò fuori un fazzoletto e spense il mozzicone
semi-integro.
Con il primo argomento che gli venne in mente,
provò a fare conversazione. «Sai se Makoto ha mai
fumato?»
Foster non dovette nemmeno pensarci. «Compra verdure
biologiche.»
Già. Se n'era accorto persino lui, che la conosceva
poco. I suoi occhi erano fissi sul pugno in cui Gen teneva stretta la
sigaretta.
«Stai pensando di smettere?»
«Non è mai stata un'abitudine. Era solo
una cosa
che facevo ogni tanto.»
Sorrise tra sé, senza darlo a vedere. Il suo mondo
si
era
decisamente capovolto: trovava piacevole parlare con Foster, che nella
sua condizione malconcia gli inspirava un minimo di simpatia.
In fondo,
si trovavano in situazioni simili. Anzi, lui forse era l'unica persona
sul pianeta che stesse vivendo un problema simile al suo. Da quanto
aveva sentito, Foster era messo peggio: Mizuno lo
aveva lo
stretto attorno al mignolo e lui saltava solo quando lo diceva lei.
Le guerriere Sailor forse avevano capacità
particolari di
persuasione, o magari erano solo comuni ragazze - e loro dei
fortunatissimi malcapitati.
Inspirò aria pulita, fredda.
«È il
primo dell'anno.» Giorno di nuovi inizi e piccole rinunce per
un bene superiore. «E questa era l'ultima sigaretta che
fumavo.»
«Un proposito?»
«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono
più single.»
Foster lo guardò come se fosse stupido.
Gen ci passò sopra. «Mi sono reso conto
che non voglio più
essere single.» Terminando di dirlo, risentì la
frase e fu disgustato da se stesso: che discorsi faceva con uno
sconosciuto?
Aveva voglia di parlare con qualcuno che stesse vivendo la sua
stessa
esperienza, ecco la verità. Avrebbe scelto Kumada se non lo
avesse sentito
già lontano per ciò che era diventato -
più simile a Makoto e alle altre che a lui.
Foster lo osservò e aggrottò la fronte.
«Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»
Ecco: provava a comunicare e si beccava un insulto.
«Dovevo
immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea
della favola eterna.»
«Con più palle di te, senza
lamentarmi.»
Gen lasciò perdere. Era stato uno stupido ad aprire
bocca. Marciò via.
«Ehi.»
Si voltò, solo per la stanchezza con cui Golden Boy
aveva
pronunciato la parola. C'era un'ombra di pentimento dietro quella
sillaba.
Per il freddo Foster si era stretto nel cappotto.
«La tua
vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti
sembrerà così in futuro.»
Parole di incoraggiamento.
«Ci si vede,
Golden
Boy.»
Gen tornò indietro rinfrancato, con una
destinazione in
mente:
il bagno di casa Hino. Al tempio chiese rapidamente il permesso a
Kumada.
«Certo» rispose lui, dandogli la chiave
per entrare nella loro abitazione.
Gen si rifugiò in bagno e con l'acqua e un po' di
sapone provò a
liberarsi
di tutte le tracce di fumo. Passò un fazzoletto bagnato
sulla giacca e si sciacquò la bocca. Uscì da casa
Hino profumato d'aria. Andò in cerca di Makoto.
La incontrò sul retro del santuario, che parlava
con Aino
mentre entrambe facevano una pausa dal lavoro.
Appena lo vide, lei si scusò e gli andò
incontro. «Ti stai
annoiando?»
«No.» Al freddo le labbra di Makoto erano
screpolate e i suoi occhi lucenti. Senza resistere, Gen le
umettò la
bocca con un bacio, poi la tastò sulla tunica, sopra le
tasche. «Niente burro cacao, oggi?»
«L'ho lasciato nella borsa.» Makoto
sorrise,
tenendosi vicina a lui, splendida nel trasporto che provava, identico
al suo.
Aino canticchiò. «Trovatevi una
camera!»
Lui e Makoto rotearono insieme gli occhi al cielo.
Ti amo,
pensò Gen.
Tenné per sé la dichiarazione: certe
cose non si
dicevano in pubblico.
Aveva davvero bisogno di conservare un po' della
virilità che aveva costruito in ventidue anni di esistenza,
altrimenti Makoto non lo avrebbe più voluto.
Lei gli strinse le mani. «Hanno bisogno di me
per
altre due ore. Se vuoi, puoi uscire dal tempio e tornare dopo. O torna
a casa; ci sentiamo per telefono più
tardi.»
«No, rimango nei paraggi.» Non avrebbe
resistito senza
vederla fino alla mattina dopo.
Makoto si colorò di felicità, guance
rosa
d'eccitazione e occhi che diventavano di un verde fiammante.
«Servirò più clienti che posso.
Finirò in fretta!»
Aino sospirò. «Se rimango qui
comincerò a cantare ballate d'amore.»
Rientrò nel retro del gazebo.
Furono soli e Makoto lo guardò negli occhi, i loro
respiri
che si mischiavano. «Alla fine è uscito il
sole...»
«Per quest'anno è andata. Ci
sarà
sempre il prossimo anno...»
La menzione del futuro la riempì di sicurezza.
Lui avrebbe
continuato a parlarne fino a che lei non avesse più avute
paure da dimenticare. «Ma se vuoi vedere un'alba insieme,
devi solo dirlo.»
«Domani voglio il nostro appuntamento speciale. Il
nostro
primo vero appuntamento dell'anno, per cominciarlo in grande
stile.»
Decisamente sì.
Come due pali della luce, rimasero coi piedi piantati nel
terreno, senza
trovare la volontà di staccarsi.
«Vado» disse lei.
«Vai» la incoraggiò Gen.
Makoto rubò un bacio prima di danzare via con un
piccolo
salto. Rientrò nel gazebo con un sorriso, chiudendo la porta
prima di ripensarci.
Gen tornò a far funzionare i polmoni e
sospirò.
Per la reazione, rise di se stesso lungo tutta la strada verso
la scalinata del
tempio. Infine, stiracchiò braccia e gambe, aprendosi al
mondo.
Se quello era l'amore, lui era pronto a metterci la firma vita
natural durante.
1 gennaio 1997 -
Makoto e Gen. Felicità - FINE
NdA:
Ho
scritto questa storia senza pensarci troppo. Ho voluto sentirmi come
Gen e Makoto, che sono due creature d'istinto. Quando sono felici, si
lasciano trasportare, non si creano tante paranoie. Be', Makoto un po'
sì, ma quando non c'è davvero motivo di
preoccuparsi, si lascia
trascinare volentieri da Gen.
Questo sarebbe stato un capitolo molto lemon se non fosse
stato per le
circostanze spiegate da Makoto. Ciò vuol dire solamente che
le scene che ho in mente da tipo un anno e passa per lei e Gen saranno
ambientate nel giorno del compleanno di lui. Spero di far fare la ola
ai fan di questa coppia :)
Grazie per aver letto.
Se amate questi due, spero di avervi già fatti un
po' felici
(loro lo sono di sicuro ;) ).
ellephedre