The escape
Capitolo 1
"Due anni prima…"
..."Mi chiamavo Isabella Fellini, avevo 15 anni, la
vita davanti e la morte dietro..."
"La mamma è di sopra,
sigaretta in mano e cioccolata in bocca. Lo stress degli ultimi 2 giorni si è
andato a posare sull' accumulato di un anno di dolore. Mi sento in colpa a
lasciarla così, ma non ho intenzione di soffrire ulteriormente. Due giorni fa è
arrivata una mail di papà, il fisco lo ha trovato e lui ha di nuovo bisogno di
soldi, mi chiedo per quanto mamma riuscirà ancora ad andare avanti
così...
Sono le 21.30, ancora un ora e mezza e tutto ciò non
mi toccherà più, come se non mi avesse mai riguardato.
Mi alzo dalla poltrona, poso il libro aperto sul
tavolino, e mi trascino faticosamente fino in camera mia. Nella penombra della
stanza scorgo il profilo della borsa accasciata sulla sedia della scrivania,
sopra un paio di pantaloni azzurri, una maglia blu e un maglioncino di un blu
più strano. E' insolito che mi vesta di un solo colore, quindi ho scelto
perlomeno sfumature differenti. Le Converse color jeans sono sotto il letto.
Guardo un ultima volta la mia stanza, super variopinta come è sempre stato il
mio umore, almeno fino al 24 aprile dell'anno prima, quando..meglio non
pensarci...mi dirigo verso il mio bagno privato, prendo la spazzola e un
elastico per capelli viola, mi raccolgo i capelli in una coda di cavallo il più
alta possibile, esco e torno alla mia poltrona e al mio libro.
Mamma scende, dice che è stanca e che va a dormire.
Perfetto. Rimango ancora un po' sulla poltrona, mi lascio raggiungere dal dolce
calore del fuoco che scoppietta nel camino, rimango così per un lasso di tempo
indefinito, poi mi alzo e scosto un mattone dal caminetto, dietro ci sono due
lettere.
Le prendo e le metto nel libro che ho intenzione di
portare con me. E' ora, prendo la borsa e ci metto i vestiti che sono sulla
sedia, le scarpe e il libro. Mi siedo sull'abbaino aperto. Mi lascio cadere nel
vuoto e finisco nel laghetto sottostante. A metà caduta ho lasciato andare la
borsa sperando che atterrasse sull'asciutto come da copione.
E' andato tutto bene. Tiro fuori un asciugamano che
avevo precedentemente preparato da sotto un cespuglio di margherite. Mi asciugo
e mi cambio, metto l'asciugamano e i vestiti che mi sono tolta sotto lo stesso
cespuglio. Recupero la borsa e mi avvio verso il garage dove ho il tempo di
controllare meglio cosa c'è in borsa: portafogli con carta di credito e
documenti. Io uccido: un regalo di Natale di una persona speciale, ora contiene
le due lettere. Un paio di jeans, una gonna e due o tre maglie. Ah, e le chiavi
di casa, le poso sulla sagoma di una macchina rally rotta e piena di polvere.
"Dannazione" fa ancora male, credo che non salirò più su una macchina in tutta
la mia vita...ora non pensiamoci.
"Addio" e nel momento in cui lo dico la macchina
sembra quasi capire le mie intenzioni.
Esco e mi reco in strada, mi fermo pochi minuti dopo
di fronte alla casa della mia migliore amica e del mio ex ragazzo (ex, da quando
è morto mio fratello e sono caduta in depressione) Stefania e Francesco. Prendo
le lettere e le poso davanti a casa loro. Mi concedo solo un ultima visita al
loro giardino sul retro, nel posto dove io e Francy ci eravamo visti seriamente
l'ultima volta...quando stavamo insieme.
"Ci torno anche io, a volte" il suono della SUA voce
mi colpisce forte come una cannonata in pieno petto e si trasforma in un dolore
quasi fisico. Le lacrime mi inondano gli occhi e non ho il coraggio di voltarmi.
Qualcosa mi cinge i fianchi da dietro e io non riesco più a trattenere le
lacrime, mi piego in due scossa dai singhiozzi. Sento un odore simile a quello
delle cicche alla menta e di nuovo quella voce, vicino al mio orecchio "Sono
qui". E' bassa e in un qualsiasi altro momento mi avrebbe tranquillizzato ma ora
non fa che peggiorare le cose. "Ti ho lasciato una lettera sulla porta" la mia
voce esce lagnosa e sottile, mi detesto. "Sei qui, perché non me lo spieghi?"
Come posso spiegartelo, fa troppo male. Tutto ciò che riesco a fare è voltarmi e
abbracciarlo forte, desiderando che quel momento non finisca mai, sperando che
il profilo di poco prima che mi inonda mi convinca a restare ma non è così.
Sciolgo l'abbraccio e guardo in quegli occhi stranamente blu che adoro tanto.
Quegli occhi che se sapessero vorrebbero tenermi qui, gli occhi che mi danno la
forza di correre via da quel giardino, gli stessi occhi che mi permettono di
ignorare la voragine che mi si è appena creata dentro.
Mi fanno male i polmoni per lo sforzo e non mi sento
più le gambe...svolto a destra nel vicolo che porta al molo e non mi fermo
finché non vado a sbattere in un tipo e crollo per terra. quello mi guarda
incuriosito, è un ragazzotto biondo e muscoloso sui 25 che dà l'idea dello
slavo. Mi offre una mano e mi aiuta a rialzarmi.
"Tutto bene?"Sembra veramente preoccupato, non devo
avere un bell'aspetto...il suo italiano ha un accento buffo che me lo rende
subito simpatico, evidentemente non è di qua.
"Sì, scusi tanto", mi giro e faccio per andarmene
quando un idea si fa spazio fra i miei pensieri come un ago da cucito attraversa
una stoffa particolarmente sottile.
"Scusi?" il tipo contro cui sono andata a sbattere
si gira e mi guarda in attesa che continui "Lavori su una barca vero?" L'ho
dedotto dall'accento e di solito sono brava a fare supposizioni, ma ora non ne
sono più tanto sicura. "Sì, sulla Salisbury, giù al molo n° 3. Salpiamo fra
poco" Lassù c'è qualcuno che mi ama! "Dove siete diretti?" Non che me ne importi
molto, anzi non me ne importa niente, ho appena trovato la soluzione ai miei
problemi. "Amsterdam" risponde, a quel punto sembra curioso di sapere perché gli
sto rivolgendo tutte quelle domande, non chiedo altro. "C'è posto per un mozzo
fra di voi? Non mangio molto e non mi interessa essere pagata" A questo punto
sembra davvero non capirci più niente, ma dura poco, solo un secondo, poi
riprende con la stessa allegria di prima "Certo! Io sono Tom, benvenuta a
bordo!" Uno spontaneo sorriso a trentadue denti mi si allarga sul viso, e si
specchia negli occhi del buffo ragazzo che mi si trova di fronte "Io sono Is..."
non voglio avere più nulla a che fare con quella vita, ogni volta tutto ciò che
la riguarda mi fa solo male " Veleno" Veleno, come quello che avrei voluto si
riversasse sul mio cuore in quel momento.
"Veleno?! Che nome insolito! Ma in fondo quale
ragazza normale va in giro chiedendo di poter salpare come mozzo su una barca
che non conosce e senza voler nemmeno essere pagata?" se non tenessi così tanto
a quel passaggio quel tipo sarebbe già in acqua. Mi sorride, evidentemente lo ha
detto per essere simpatico... non importa. "Molo 3"
"Sì, per di qua seguimi" mentre cammino al fianco di
Tom (in realtà devo quasi correre per stargli dietro) prendo i documenti e li
lancio nel fuoco di un senzatetto che dorme lì vicino. Tengo la carta di credito
in mano e la chiudo nella tasca interna della borsa prima di alzare gli occhi al
cielo da dove "Il mio fratellino" mi sta guardando. Salgo sulla barca appena in
tempo. Tom mi avverte che per quella sera posso andare in cabina a riposare.
Sono stremata e crollo su una branda. Mi sveglio 48 ore dopo per scoprire che il
viaggio è terminato da quasi due ore. Sono mortificata e mi scuso con Tom che
però mi tranquillizza con il suo solito sorriso rassicurante."
..."Fu così che arrivai ad Amsterdam"...
Isabella Fellini, 15 anni
Amsterdam
"Sono ad Amsterdam!"
non faccio in tempo a pensarlo che vengo quasi
investita da una banda di ragazzini in bicicletta, arretro per lo spavento e
picchio contro Tom che stava scaricando una cassa.
"Ahi!" di nuovo! Ma possibile che non riesca a
rimanere in piedi! Tom ridacchia e posa la cassa su di un carretto lì vicino. Mi
guarda e sorride, ha un bel sorriso, ed è anche contagioso perché gli sorrido a
mia volta. Ad un tratto mi dispiace doverlo lasciare."Senti, visto che ho
dormito per tutto il viaggio lascia almeno che ti aiuti a scaricare" Sembra
valutare se io sia o meno in grado di farlo. A quanto pare decide di sì perché
mi fa segno di seguirlo nella stiva e mi dà in mano una cassa di non so cosa.
Come la lascia ne sento il peso reale, mi cedono le ginocchia, sono sicura di
picchiare per terra ma un attimo prima di venire a contatto con il legno duro
della stiva vengo presa e tirata in piedi da Tom, "PORCA MISERIA", lo guardo,
anche se non dice niente capisco dallo sguardo che è seccato, molto
probabilmente sono viola in faccia ma lui sembra non rendersene conto, prende la
cassa che avevo in mano fino a pochi secondi prima e sale le scale che portano
su al ponte. Vorrei che si aprisse una voragine, esattamente sotto i miei piedi
e mi inghiottisse. Sento dei passi, dev'essere Tom, prima ancora di esserne
sicura comincio a dire" Mi dispiace tanto, davvero scusa per tutto il viaggio
non ho fatto altro che combinare disastri..." le parole mi muoiono in gola. L
persona che ho davanti non è Tom, senz'altro gli somiglia ma non è
Tom.
Quello che ho davanti è un ragazzino con i capelli
biondi, abbastanza lunghi, un po' tipo Jesse MC Cartney agli esordi, solo molto
più chiari. E gli occhi azzurri, come il mare d'estate, a riva, di quell'azzurro
che ti riempie il cuore di serenità. E' alto e magro, indossa un paio di jeans e
una felpa marrone col cappuccio. Il ciondolo di una collana portata a
braccialetto gli fa due giri del polso. Mi rendo conto di botto che lo sto
fissando, mi sento avvampare, abbasso lo sguardo e arretro dandogli così modo di
scendere gli ultimi gradini che lo separano dalla stiva. Non ho il coraggio di
guardarlo. "Di cosa dovrei perdonarti, scusa? tu non mi hai fatto
niente!"esordisce in un perfetto italiano.
Ha una bella voce, calda, mi viene in mente la voce
di un bambino, piene di innocenza, senza rabbia o rancore.
Alzo lo sguardo, ancora rossa in viso, lo trovo lì
che mi fissa, gli sorrido e cerco di riprendere il controllo della mia voce "Sì,
scusa, non era riferito a te. Conosci Tom? Pensavo tornasse presto, stava
portando su della casse ma non è qui, forse è arrabbiato con me, e avrebbe
ragione non ho fatto altro che essergli d'intralcio.." Ma che sto facendo, ho
cominciato a parlare velocemente e a dire cose assurde. Che figura! " Tu per
caso sai dov'è?Mi disp..."
" Tranquilla" mi interrompe lui " Mio fratello non è
il tipo che se la prende per queste cose, anche io da piccolo non facevo altro
che stargli tra i piedi! E' solo andato a parlare con il proprietario del
carretto , a quanto pare c'è stato un disguido".
" FRATELLO???"
" Sì, Tom è mio fratello maggiore, ah! Non mi sono
ancora presentato, io sono Daniel" per tutto il tempo non ha smesso un secondo
di sorridere, è un sorriso contagioso come quello del fratello, non so perché ma
mi sento subito meglio. Daniel si gira e si dirige verso una cassa più grande
delle altre, capisco al volo e lo seguo. La solleviamo in due e non mi sembra
così pesante ma credo che lui si sia caricato molto più peso di me! Appena sulla
banchina ci imbattiamo in Tom che ci saluta e ci dà una mano a caricare la
cassa.
" Vedo che hai conosciuto Daniel!" gli occhi azzurri
più allegri del solito, si avvicina a Daniel che gli sussurra qualcosa
all'orecchio. Dev'essere qualcosa di molto divertente perché Tom butta la testa
all'indietro e scoppia in una fragorosa risata, è una risata vera, affatto
preparata, una risata forte e roca che mi ricorda vagamente il ringhio di un
orso, che riempie tutta l'aria attorno a noi. Guardo Daniel con aria
interrogativa, ma lui non dice niente e tira una gomitata al fratello
intimandogli di smetterla. Mi sfugge una risata, è da tanto che non mi sento
così leggera, forse andarmene mi ha fatto bene per davvero , forse questo è
veramente l'inizio di una nuova vita.
" Allora, hai un posto dove andare?" La voce di
Daniel spezza il filo dei miei pensieri riportandomi alla realtà " Ecco,
veramente no! Cioè, ho intenzione di andare in un albergo..."
" Ti accompagno io, se vuoi. conosco un posto molto
carino"
"Ma tu non aspetti mai che la gente finisca di
parlare?!" mi dà fastidio! Però è così tenero, ha una faccia che riflette tutto
il suo dispiacere. E' ovvio che non l'ha fatto apposta! " Per farti perdonare
dovrai come minimo farmi vedere un ottimo ristorante dove andare a cena oltre
che l'albergo!".
Il volto gli si illumina di nuovo. " Vieni, per di
qua ".
Mi giro e cerco Tom con gli occhi, lo vedo sul
ponte, alzo un braccio e lo saluto e sono sicura che quel sorriso nasconda
qualcosa. Raggiungo Daniel. Mentre gli cammino affianco mi accorgo che un certo
numero di ragazze si voltano a guardarlo, a quanto pare è abbastanza noto,
mentre ci penso mi viene in mente che non gli ho detto il mio nome, mi blocco e
lui se ne accorge immediatamente. Si volta e mi guarda con le sopraciglia
inarcate per la sorpresa. " Che c'è?".
"Niente, è solo che non ti ho ancora detto il mio
nome!", ride, e mi guarda allegro. " Va bene. Facciamo finta di incontrarci per
la prima volta, ok?" propone lui.
" Va bene! Allora ciao! Io sono Veleno"
" Daniel, piacere di conoscerti, Veleno"
" Scusa, non è che mi accompagneresti? sono in cerca
di un albergo".
" Molto volentieri".
Lo guardo e scoppio a ridere, anche lui ride e io
penso che quando ride è molto bello. Sono contenta di essere lì con lui. Quando
smettiamo di ridere riprendiamo a camminare. Amsterdam è enorme, però non mi
piace molto, è grigia e fredda, e mi ricorda un ammasso di blocchi di cemento,
fa freddo, il vento mi scompiglia i capelli, c'è pieno di gente e non ci
metterei più di due secondi a perdermi, Daniel sembra capirmi e mi prende per
mano. Arrossisco automaticamente.
" Scusa, è solo che non ci vuole molto a perdersi se
non si conosce la città", il fatto che ogni volta si preoccupi mi
diverte.
" Continua a camminare, vorrei arrivarci prima delle
4 in albergo"
" Sono la due, abbiamo un mucchio di
tempo".
Siamo in una via pulita, con alti palazzi color
panna, fra tutti spicca un palazzo bianchissimo, con una scalinata d'oro che
scende sulla strada. Al centro la scalinata viene percorsa da un tappeto rosso,
fermato sugli scalini da alcuni cilindretti di ferro che fungono da peso in modo
che il tappeto non si sposti. Fino ad ora quella tecnica l'avevo vista applicata
solo sui tappeti degli altari in chiesa. Alzo gli occhi sul palazzo. La scritta
"Hotel Royal" spicca in lettere d'oro su una porta a vetri, dietro si intravede
una Hall con il pavimento di marmo e i muri chiari. Stringo la mano a Daniel che
si ferma. Gli indico l'hotel.
Lui mi guarda per un momento come per accertarsi che
io non stia scherzando.
" Devo dire che sei una persona poco appariscente!"
dice fra il sarcastico e il divertito.
Ha ragione, è un luogo troppo appariscente, e poi se
pagassi con la carta di credito verrei sicuramente rintracciata. Senza contare
che dovrei spiegare come posso permettermi una camera in quell'hotel che costa
sicuramente più di qualsiasi cosa mi venga in mente in questo
momento.
" Senti, i miei hanno che dovrebbe essere di mio
fratello ma che non viene utilizzato. A dire la verità penso che Tom non ci sia
neanche mai entrato. Comunque, loro si ostinano a tenerlo, puoi stare lì per un
po', mamma e papà non avranno niente in contrario"
Un appartamento, sì, non sarebbe una brutta idea, ma
non vorrei approfittare troppo di Daniel.
" Va bene. Se ai tuoi non dispiace."
" Ma no figurati! Vieni ti accompagno"
" Grazie. Allora Daniel, quanti anni
hai?"
" Sedici, e tu?"
" Quindici"
" Avrei detto sedici, sembri più grande"
" No, sei tu a sembrare più piccolo!" dico
scherzando.
" Uffa, non è vero. Dite tutti che sembro più
piccolo!" fa il tono un po' imbronciato, ma poi si volta e si mette a ridere, è
una risata pura, bellissima, priva di pensieri.
" Tutti?"
" Sì, tu, i miei genitori, Tom, i miei amici... ma
loro hanno ragione sono davvero il più piccolo del gruppo..."
" E, se non sono troppo indiscreta com'è che parli
così bene l'italiano?"
Daniel smette di ridere e mi guarda con quei suoi
occhi azzurri che mi trasportano in mondi lontani e sconosciuti, cavolo, lo sto
di nuovo fissando...
" Niente, solo che ho vissuto per un po' in Italia,
a Genova"
" Come mai lo dici così? Sembra che sia stata una
tortura"
" Bhé, in parte è così, non mi è piaciuta molto come
esperienza"
" Perché?"
" Non era un bel momento i miei genitori erano in
crisi e così mi hanno spedito in Italia da una zia di mia madre, perché secondo
loro là sarei stato più tranquillo..."
" Mi spiace. Anche i miei genitori sono
separati"
" Oh! Ma i miei non hanno divorziato, si è messo a
posto tutto. Come se non fosse mai successo nulla."
" Va bhè! Non importa, come mai, invece, mi hai
salutato in italiano?"
Daniel arrossisce visibilmente, la cosa mi fa
sorridere anche se mi lascia perplessa. " Ehm...ecco...hai parlato prima tu, in
italiano, e così ho parlato in italiano" dice senza troppa convinzione, poi
azzarda un sorriso" Ma se preferisci l'olandese..."
" No! No! L'italiano va benissimo! Un altra cosa,
cos'hai detto a Tom, prima quando si è messo a ridere?"
Arrossisce di nuovo, ancora più violentemente di
prima. " Io, nulla!".
" Sì invece, gli hai detto qualcosa all'orecchio e
lui si è messo a ridere, non sai che non è educato" dico in tono scherzoso,
sperando che basti a farlo parlare.
" No, niente davvero, non è niente di
importante".
" Dimmelo!".
" Non è il caso, davvero"
"Daniel!" cerco di avere un tono il più autoritario
possibile. Alla fine, anche se a malincuore, Daniel cede.
" Gli ho detto...però non ridere ok?"
" Non riderò, promesso"
"Gli ho chiesto perché le ragazze carine beccano
sempre lui..." dice tutto tenendo gli occhi fissi sull'asfalto, sono sicura che
la sua pelle bianchissima sia ancora più viola di quanto lo sia diventata la
mia.
"Bhé! Io a Tom gli sono picchiata dentro non l'ho
esattamente "beccato"" dico cercando di sdrammatizzare.
" Quindi dici che se mi " allargo" un po' cambia
qualcosa! Potrei provare con la palestra!" Scoppiamo a ridere tutti e due, la
gente intorno a noi si gira a guardarci, non importa, per la prima volta dopo
quasi un anno sono contenta! Non importa se sono in una città sconosciuta, con
un ragazzo che conosco da un ora appena, Daniel mi piace. E' simpatico e dolce e
gentile e con lui mi sento a casa. Lo prendo per mano e lui si volta a
guardarmi.
" Non ci vuole molto a perdersi se non si conosce la
città" dico cercando di ricordare le sue parole.
" Vieni, siamo quasi arrivati" Da quel momento in
poi parliamo e scherziamo come due vecchi amici, quando mi chiede come mai sono
arrivata ad Amsterdam su una barca come la Salisbury senza un posto dove andare
mi viene quasi voglia di dirgli la verità. Ovviamente non lo faccio. Quella
domanda è sufficiente a ricordarmi cos' ho perso andandomene, e quelli che mi
passano nella mente sono un paio di occhi azzurri che conosco troppo bene per
appartenere a Tom o a Daniel. Fortunatamente in quel momento Daniel esclama
"Ecco, ci siamo" e indica una porta in stile inglese pitturata di un lucidissimo
colore rosso.
" Queste sono le chiavi dell'appartamento" dice
porgendomi una chiave che ha un moschettone a forma di stella come portachiavi e
un biglietto" e il mio numero di telefono. Chiamami se hai bisogno".
" Ecco, io non ho il telefono però..."
" Puoi usare tranquillamente quello di casa, anzi se
non lo fai ti sbatto fuori" lo guardo sbigottita, dalle mie parti nessuno si
sarebbe preso tanta cura di me.
" Se hai bisogno di qualcosa..." continua Daniel
allegramente.
"Sì, ho bisogno di una cosa!"
Sembra sorpreso, evidentemente non si aspettava di
ricevere una richiesta così presto. Forse sto esagerando. Ma ormai sono in ballo
e questo gioco mi diverte, VOGLIO BALLARE.
" Hai promesso di mostrarmi un buon posto dove
mangiare, ricordi?".
" Ah! Sì! E' che pensavo che volessi stare u po' da
sola. Nuova città...nuova casa..." E' indubbiamente in difficoltà. ma non potevo
stare zitta!
" Bhé sì, ma è la prima sera, dovrei fare un po’ di
spesa..." Eccola! Un idea, di quelle buone, quelle che sai che riescono! E' lì,
a due passi da me, come Daniel in quel preciso istante.
" Se vuoi c'è un supermercato qui dietro
l'angolo"
" E...non è che c'è anche una boutique?"
" No",risponde ridendo " ma se vuoi ce n'è una in
piazza............... . E' vicina, un giorno ti ci porto"
Sorrido, quando fa così mi viene voglia di saltargli
al collo e urlare come una bambina di 3 anni.
" Ok! Allora ci vediamo!"
" Va bene, passo domani a vedere come va,
ok?"
" D'accordo"
Daniel si volta e muove qualche passo verso la
strada dove ha detto che si trova il supermercato. Lo guardo camminare da solo
in mezzo alla strada deserta. E' bello, le spalle dritte e il passo sicuro. Se
non fossi appena scappata di casa e non avessi il cuore frantumato in mille
pezzettini grandi come briciole sarei felice...
" DANIEL!" urlo appena prima che volti l'angolo. Si
volta per guardarmi.
" Grazie" è un grazie generico, per avermi aiutato a
trovare un posto dove stare, ma soprattutto avermi reso quasi
felice.
Lui sorride e si congeda con un gesto della
mano.
Ora è sparito dietro l'angolo, ma a me sembra ancora
di vederlo, lì, in mezzo alla strada, che cammina, per
me...
...L'Appartamento...
Mi chiudo la porta alle spalle e spingo un
interruttore sulla parete. La luce si accende rivelando una scala piuttosto
ripida che avrà a occhio una cinquantina di scalini, li percorro tutti, il luogo
è pieno di polvere. La cosa non mi sorprende, Daniel mi aveva avvertito che la
casa non era molto frequentata. Alla fine delle scale si apre una stanza. Un
salotto direi. I mobili sono tutti coperti da teli bianchi ma mi sembra di
riconoscere la sagoma di un divano. Accendo la luce della stanza e quello che mi
si para davanti mi lascia senza fiato. Le pareti dell'appartamento sono di un
caldo colore arancione, i pochi mobili scoperti sono di un legno scuro con delle
venature rosse che non fanno altro che addolcire l'aria della stanza. E' un
sogno. Muovo un passo per aprire la porta alla mia sinistra, le converse fanno
un leggero rumore a contatto col parquet. dietro la porta c'è una piccola stanza
arredata a guardaroba piena di scatole. Torno nella prima stanza ed entro in un
altra stanza, stavolta sulla destra. Trovo ad accogliermi una stanza rilassante,
i muri bianchi e il solito parquet. Al centro c'è un tavolino con sopra sei
sedie girate, come le mette la mamma lava per terra. Quella constatazione mi fa
male. sulla parete opposta due finestre chiuse fanno filtrare delle sottili lame
di luce che danno a quella scena un tocco di irrealtà. Faccio un giro intorno al
tavolo e mi porto vicino ad una di esse. E' di legno anche questa, o qui il
legno costa davvero poco o i proprietari della casa hanno una vera e propria
passione per quel materiale. Apro i vetri impolverati e spingo le persiane
all'infuori, si aprono cigolando ma con una velocità che dimostra quanto quella
casa abbia voglia di luce e di essere abitata. Apro anche l'altra finestra e mi
volto a guardare il tavolo alla luce. Vista così quella scena è molto meno
malinconica. Sul muro sinistro rispetto alla porta c'è un apertura che da su una
cucina, bianca e spaziosa, di quelle adatte per cucinare. Apro lo sportello del
frigo per controllare se funzione, ovviamente sì. Faccio la stesso con il
rubinetto del lavandino, l'acqua che ne esce all'inizio ha un brutto color
ruggine ma poi torna normale. La tocco, è gelida! Chiudo tutto e imbocco un'
altra porta che mi riconduce in soggiorno. Alla mia destra ci sono una scrivania
con un computer sopra e una poltroncina nera reclinabile che mi ricorda
vagamente il sedile di un automobile, ma potrei sbagliare, dopotutto, non salgo
su un auto da più di un anno...ahia, le briciole del mio cuore si stanno
frantumando ulteriormente diventando minuscole schegge. Non disperiamo proprio
adesso, ho ancora due porte da aprire, mi dirigo verso la parete opposta della
sala, mi ritrovo in un bagno azzurro e abbastanza spazioso. Abbastanza da
contenere sia la doccia che la vasca da bagno e uno strano cubo bianco che
presumo sia la lavatrice. Mi avvicino, sì, ho ragione, è una di quelle lavatrici
che si aprono dall'alto e che hanno un cestello in cui riusciresti a far entrare
anche un cadavere! Esco e apro l' ultima porta, vengo catapultata in un mondo
parallelo. La stanza è di una sfumatura indefinita tra il bianco e il giallo che
fa risaltare le venature del solito parquet. I mobili: due cassettiere, una
specchio con una base circolare alto circa un metro e ottanta e due comodini
sono di legno. Fra i duo comodini è posizionato un letto bianco con la testiera
imbottita che da un ulteriore senso di pace alla stanza. Sulla parete di fronte,
appena prima del letto, c'è una finestra uguale a quelle della sala da pranzo,
apro anche questa e torno di là. Mi guardo intorno in cerca di una finestra, la
trovo, e mi chiedo come ho fatto a non notarla prima, la finestra c'è, sì, ma è
grande come circa tre finestre delle altre, e distanziate fra loro di qualche
centimetro anche! Al posto delle persiane c'è una pesante tapparella. La alzo a
fatica ma ne vale la pena: il soggiorno alla luce è bellissima. Tolgo il
lenzuolo bianco dalla sagoma del divano e lo vedo, un due posti bianco di stoffa
davanti ad un grande televisore ultrapiatto attaccato alla parete. Tiro via le
lenzuola e scopro una libreria che occupa una buona parte del muro destro
insieme ad un tavolino con le gambe di legno e la superficie di cristallo.
Appoggiato al divano una dietro e uno affianco a sinistra, verso la finestra,
altri due tavolini in legno. Il pavimento quasi interamente coperto da un
tappeto dai colori caldi con alcuni disegni stilizzati che mi ricordano delle
tartarughe. E' incredibile ma in quel momento, in quella casa, a una distanza
assurda dal posto dove abitavo, mi sento, per la prima volta dopo tanto,
tantissimo tempo, a casa. Mi torna in mente il mio piano. Afferro le chiavi
dell'appartamento da sopra un tavolino vicino alle scale e mi precipito al
portone.
Uscita in strada comincio a notare il cambiamento di
clima. Mi dirigo verso il supermercato. E' dietro l'angolo e intanto faccio
mente locale:
1. Fare una spesa il più abbondante
possibile.
2. Trovare un negozio di vestiti e
"svaligiarlo".
3. Mettere in ordine e pulire la casa.
4.Trovare una scusa per chiamare Daniel.
"Coraggio Isabella" penso tra me "Non è così
difficile". Entro nel supermercato che riesco a riconoscere come mangiabile(io
mangio quasi esclusivamente cibo italiano) e pago con la carta di credito. Al
diavolo tutti. Quando mi rintracceranno io non sarò più a portata di mano,
almeno secondo loro. Chiedo alla commessa se mi può indicare un negozio di
vestiti, lei mi risponde che a un paio di isolati di distanza c'è una vi a di
negozi. La ringrazio ed esco. Poso le borse della spesa nell'androne delle scale
e mi precipito il più velocemente possibile nel luogo che mi ha indicato la
commessa. Come da copione, svaligio letteralmente la maggior parte dei negozi.
Compro vestiti, maglie, scarpe, pantaloni, cappelli, sciarpe, guanti, pigiami e
anche un paio di ciabatte, ovviamente pago tutto con al carta di credito. Quando
esco dall'ultimo negozio non sono sicura di riuscire a portare tutta quella roba
fino a casa. Circa a metà strada noto un barbone seminascosto nell'ombra di un
vicolo. Lo guardo, è piuttosto malridotto ma ha lo stesso un volto dall'aria
svegli, m accuccio in modo da poterlo vedere bene in faccia. Mi rispondono un
paio di occhi neri e brillanti, decisamente svegli.
" Ciao amico!" quello continua a guardarmi ma non
accenna minimamente a parlare. " Ho un lavoro per te! Io ora ti do questa carta
di credito, ci sono abbastanza soldi per andartene e comprarti una casa
rispettosa, puoi farci quello che vuoi, però devi andare il più lontano
possibile da Amsterdam. Va bene?" quello continua a guardarmi. Cavolo! Non ho
pensato che probabilmente non conosce l'italiano. Ripeto la frase in inglese,
quel poco che mi ricordo, comunque lui mi capisce perché fa un ghigno che
interpreto come un sorriso e annuisce. Gli porgo la carta di credito e lui la
afferra ad una velocità spaventosa. " ah! You have never seen me!" quello
annuisce, " Go! Now!" il barbone coglie al volo l'occasione, si alza e se ne va
per il vicolo. Io mi alzo, raccolgo tutti i vari sacchetti e mi incammino verso
casa. Per la strada mi fermo a comprare dei fiori, sono tutti colorati,
bellissimi, e prendo anche un paio di mazzi di margherite e uno di strani fiori
bianchi tipici del nord. arrivata a casa sistemo la spesa in cucina e i vestiti
nei cassettoni in camera, vado nella cabina armadio dove ora stanno appesi
alcune giacche e cappotti e alcuni paia di scarpe e stivali con relative borse,
sciarpe e cappelli e comincio a tirare fuori una serie di piatti, bicchieri e
soprammobili dalle scatole. In un ora ho sistemato tutta la casa, se prima era
bella ora è magnifica, chiunque abbia arredato quella casa e comprato i vari
soprammobili ha un ottimo gusto. Sono le otto e mezza, e io sono stanca morta.
vado in bagno con tutta l'intenzione di farmi la doccia. Quando mi tolgo la
maglia mi ritrovo con un profondo solco sulla pelle lasciato dalla borsa a
tracolla che non ho mai tolto in quei due lunghissimi giorni, in quel momento mi
rendo conto che non c'è più niente in me a parte gli occhi che ricordi chi ero
fino a due giorni prima e mi viene in mente il titolo del libro di Faletti:
"Niente di vero tranne gli occhi" da lì a "Io uccido" c'è poco, giusto il tempo
di pensare che sono rispettivamente il 2° e il 1° libro di una trilogia.
Respingo le lacrime a fatica ed entro nella doccia. Lì, sotto l'acqua finalmente
mi sfogo, all'acqua che mi scorre sul viso si aggiunge quella delle mie lacrime.
Rimango sotto la doccia per un tempo che mi sembra infinito, sufficiente a
riposarmi e a far finire le lacrime. Quando mi specchi ho ripreso un po' di
colore, per fortuna. Afferro dal gancio attaccato al muro un accappatoio bianco
morbidissimo, frutto della mia quasi ora e mezza shopping. Infilo le pantofole e
mi trascino fino in camera. Apro il cassetto dove ho posizionato i pigiami e ne
estraggo uno. E' carinissimo, azzurro con delle righe verticali sui pantaloni e
delle stelline blu. La maglia a maniche lunghe è tempestata di stelline
brillantinose riporta la scritta "I am a little star". Poco esibizionista. Sono
le 21 e 30, decido che è troppo tardi per mettersi a cucinare qualsiasi cosa. Mi
siedo sul divano e accendo la tv con la netta sensazione di aver dimenticato
qualcosa, qualche istante dopo mi torna in mente il piano. Daniel. Non ci stavo
pensando, ora che ho lasciato andare la tensione non ho affatto voglia di
vederlo, dentro di me sento solo tristezza e un enorme senso di vuoto, sono
stanchissima, sento solo il rumore di qualche auto al quale non riesco a fare a
meno di sobbalzare. Piano piano sento i rumori della strada attutirsi, rimane
solo il rumore ovattato delle ruote sull'asfalto e poi più
nulla.
...Risveglio...
Sento un rumore sordo, simile a quello di un
citofono, di nuovo, ma non possono andare a rispondere? A quest'ora di seri poi,
e accidenti, cos'è tutta questa luce che entra dalla finestra? Mi costringo ad
aprire gli occhi e scopro con mia grande sorpresa che è mattina. E nemmeno tanto
presto direi, guardo l'orologio che conferma la mia ipotesi. Sono le
10!
Un altro trillo mi riporta definitivamente su questo
pianeta e mi avvisa che c'è un poveraccio che suona alla mia porta da quasi 10
minuti. Che figura! " Chi è?" riesco a biascicare non troppo
convinta.
" Veleno! Sono Daniel!"
Cavolo! Corro giù per le scale cercando di mantenere
l'equilibrio e apro la porta. E' lì davanti, i capelli in ordine e gli occhi
svegli, indossa una polo nera a maniche corte con una righina bianca ai bordi
delle maniche e del colletto, e un paio di jeans normalissimi che gli donano un
aspetto semplice e pulito. Il ciondolo che gli avevo visto al polso il giorno
prima è ancora lì. Mi piacerebbe sapere cosa significa.
"Buongiorno principessa!" esclama lui dopo un attimo
di silenzio. Colgo al volo la citazione al film "La vita è bella" di Benigni.
Adoro quel film. Provo ad abbozzare un sorriso ma mi viene la nausea al solo
pensiero. "Ciao Daniel" rispondo senza tanto entusiasmo. " Entra pure" il suo
solito sorriso non scompare neanche dopo aver constatato che non sono dell'umore
giusto per scherzare. Noto che ha dei sacchetti in mano. Li indico con un cenno
della testa. Lui ne alza uno e dice " Lenzuola, mi sono reso conto troppo tardi
che non c'erano e dubito che ci fossero anche quelle dentro la borsa. "
"Oh! già " dal momento che mi ero addormentata sul
divano non ci avevo fatto caso. E no le avevo nemmeno comprate se è per questo.
" Grazie " afferro i sacchetti e mi incammino su per
le scale. é di nuovo Daniel a rompere il silenzio " Ti va se restio un po’ qui?
"
Annuisco " Non sarò una bella compagnia.
"
" La mancanza di casa comincia a farsi sentire, eh?
" dice sedendosi sul divano.
Mi immobilizzo per poco non lascio cadere i due
sacchetti, mi volto lentamente, pienamente consapevole di essere bianca e
sudata, sono sicura di non avergli detto niente di chi ero. Lui mi guarda
tranquillo ma non sorride più. " Non hai ancora acceso la tv? " guardo verso il
televisore, devo averlo spento prima di addormentarmi. Daniel afferra il
telecomando e accende su un canale olandese.
" forse è meglio se ti siedi. " non ci vuole la
traduzione per capire, le immagini spiegano tutto. Le immagini che scorrono
dietro il giornalista sono una spiegazione più che valide tutte recano la
scritta " Isabella Fellini scomparsa. " in inglese comprensibile a tutti. Guardo
Daniel che però ha ancora un aria tranquilla.
" Cosa dice? "ho il coraggio di
domandare.
" Oh! Nulla di che! parla di te, della tua vita dei
motivi che probabilmente ti hanno spinta ad andartene. ti hanno psicanalizzato
senza conoscerti! ". Intanto alla tv continuano a scorrere immagini, cartine di
Amsterdam e foto dei luoghi in cui ho usato la carta di credito e un video che
mostra mia madre, la sua voce coperta da quella del doppiatore olandese, sembra
distrutta. Non pensavo ci arrivassero così presto, Daniel alza il telecomando ma
continua a fissare il mio viso. Spegne la tv " Ti va di raccontarmi la tua
versione dei fatti? " annuisco ancora.
" Ho un fame da lupi,ti spiace se ci spostiamo in
cucina a parlare? " Daniel non risponde ma si alza e mi segue nell'altra stanza.
Apro il frigio e ne tiro fuori un cartoccio di latte, " Vuoi qualcosa? " lui
declina l' invito con un gesto della mano. Verso il latte i una tazza rossa con
delle righe giallo sole sopra e comincio a guardare il lattee a pensarlo come un
immenso mare bianco. Comincio a parlare sempre guardando il latte ma
evidentemente non è sufficiente a distrarmi perché appena dopo l'inizio sento le
lacrime rigarmi il volto. Daniel mi si avvicina e mi cinge la vita con le
braccia e mi stringe a se. Rimaniamo così per tutta la durata del racconto, lui
non fa altro che accarezzarmi i capelli. Quando ci stacchiamo io ho gli occhi
rossi e lui la maglietta fradicia! Lui affera la tazza che è ancora sul piano in
marmo della cucina e me la porge. La prendo e mi chino per afferrare anche una
scatola di biscotti che ho posto nel mobiletto sottostante il piano. Ci
dirigiamo nella sala da pranzo e ci lasciamo cadere sulle due delle sedie
intorno al tavolo, uno di fronte all'altra.
" Me ne sono andata perché non riuscivo più a
sostenere quel peso. La morte di Diego aleggia in quella casa come un onda
malefica pronta a distruggerti. Lui non l'avrebbe mai voluto, non avrebbe mai
permesso che io fossi triste e non avrebbe mai voluto che la mamma si riducesse
nello stato vegetativo in cui si trova ora. Ci avrebbe detto di reagire, di
andare avanti, di farlo per lui, di continuare a vivere la nostra vita dando il
massimo, per lui. Ho la possibilità di avere una vita e trascorrerla in quel
modo sarebbe un insulto a chi non la vita non ce l'ha più. Ma la mamma non lo
vuole superare, qualsiasi cosa glielo ricordi la manda in crisi, compresa me. E
le poche volte che si crea una sorta di finta calma ci pensa papà a rovinare
tutto. Non mi importa quello che ha fatto, se il fisco lo insegue che si faccia
prendere, non è giusto che si faccia aiutare da mamma, distrugge tutto quello
che abbiamo fatto per tornare a sembrare una famiglia normale. Non potevo più
sopportare di uscire per strada e incontrare gente che mi domandava come
stessimo e non sopportavo più di dover mentire dicendo che andava tutto bene.
Non sopportavo più di vedere le persone che amavo e non poter dire nulla se non
parlargli di cose vuote e senza senso. Non sopportavo più di guardarmi allo
specchio e non riconoscere più la persona che ero".
" Shhh! va tutto bene ora". Mi tranquillizza Daniel
con quei suoi occhioni dolci. " Solo devi evitare di uscire di casa per un po'
di tempo, tutto qui".
" Okay, tanto non saprei proprio dove andare, con
questo umore poi".
" Bene, allora, ti verrò a trovare tutti i giorni,
così sarà meno dura". Avrei tanto voluto che fosse vero, ma nessuno avrebbe mai
potuto rendere meno difficile quella situazione.
" Hai provato a metterti in contatto con i tuoi
genitori? Una telefonata, un e"mail non so, x tranquillizzarli, puoi usare il
computer di là se vuoi!"
" Grazie, magari do un occhiata alla mia casella di
posta elettronica" e immediatamente spero di non trovarci niente. " Ora però
vorrei restare un po'da sola se non ti dispiace".
" No, hai ragione, me ne vado" dice arrossendo
leggermente, poi continua" solo, sai come si imposta la lingua in un
computer?"
" Ehm, cosa?"
" Ti faccio vedere". Si dirige in soggiorno e
accende il computer silenziosissimo. Io intanto vado in cucina e lavo la tazza
che ho usato x fare colazione.
Dall'altra stanza mi arriva la voce di Daniel " Ho
impostato la lingua del computer su italiano, se mi dici la tua e"mail comincio
ad entrare, è tanto che non mi connetto ad internet da qui, non so quanto ci
mette".
" Ok! L'email è IsaVersace4e@hotmail.it e la
password è isaversace"
" Msn!"
" Certo!" finisco di lavare la tazza e lo raggiungo
di là, lo trovo che traffica sul PC. "Che fai? Sbirci la posta degli altri?"
dico nel tono più scherzoso che conosco.
" No, no! Tranquilla!" mi risponde con una risata
"Ora vado".
" Sì"
" Ah! Un ultima cosa!". Slega il ciondolo dal
braccio e me lo mostra. E' un cuoricino bellissimo, di ferro credo, perché non è
abbastanza luminoso per essere argento. Daniel lo volta e noto una piccola D
stilizzata incisa sul retro del cuore.
" E' tuo!". Mi si avvicina per legarmelo al
collo.
" D come? ...Daniel?" Sono allibita.
" Se vuoi, io lo intendevo come Diego". E mi incolla
con i suoi soliti bellissimi occhi. Sento il cuore scoppiarmi, lo
abbraccio.
" Oh! Daniel! Grazie! Grazie davvero!" riesco a dire
mentre sento le lacrime pungermi gli occhi.
Daniel scioglie l'abbraccio e finalmente si china
per legarmi il ciondolo al collo. Poi, appena prima di rialzarsi, così
velocemente da non darmi il tempo di reagire mi bacia. Velocemente, dolcemente,
teneramente. Non lo so neanche io. Si ritrae quasi subito, lasciandomi a occhi
sgranati. Mi sembra quasi di sentire la parola scusa uscire dalle sue labbra, ma
non mi dà il tempo di chiedere spiegazioni.
" Ci vediamo domani" mi saluta lui, e si dirige
verso le scale.
Mi lascio cadere sul divano e mi perdo nei miei
pensieri finché non mi ricordo che stavo controllando la mia e"mail. Mi avvicino
al computer. Una nuova e"mail si è aperta sul desktop. Francesco. Il cuore fa il
giro di tutta la casa prima di tornare nel mio petto e concludere il battito.
Con gli occhi già umidi di lacrime mi costringo a
leggerla:
" Isa,
Ovunque tu sia, ti voglio bene, ti mando qualcosa di cui so che
sentiresti la mancanza, qualcosa che spero ti aiuti a non dimenticare mai chi
sei. Copialo su un cd. Tua madre pensa che sia colpa di tuo papà se te ne sei
andata e non fa altro che insultarlo. Forse sarebbe meglio se tu la chiamassi,
ma so che se non ne sentirai il bisogno non lo farai. Non ti è mai piaciuto che
ti si dicesse cosa fare, se non fosse stato così forse ora non saremmo in questa
situazione.
Ma ora non importa, l'importante è che tu stia bene. Spero che
tu trovi la felicità, la pace, o qualsiasi altra cosa tu stia cercando perché so
che la meriti pienamente.
Ora vado, ti prego di rispondermi, sai che non ne parlerò con
nessuno.
Vai per la tua strada Isabella, non fermarti mai, spirito
libero e dolorante in cerca di felicità, non fermarti mai.
Sai che ti vorrò sempre bene... X Sempre...
.o0°Fra°0o."
Cerco di concentrarmi per trovare un cd vuoto e lo
inserisco. Mentre aspetto che il computer copi tutto sul cd mi accorgo che
vicino alla mail c'è un simbolo che dice che ho risposto ma non riesco a
scoprire nient'altro.
...???...
Il computer mi avvisa che il cd è completo. Lo
estraggo e lo infilo nello stereo, quando schiaccio play le note di "love show"
dei Sonohra si espandono per tutta la stanza. Dovevo immaginarlo. Mi ha mandato
l'intero album. Lo ascolto tutto, piangendo già alla seconda traccia. Quando
arrivo alla fine dell' undicesima traccia mi alzo per spegnere lo stereo ma il
cd va avanti. C'è di nuovo "Love show" ma questa volta è Francesco a suonarla,
quando finisce la canzone sento la sua voce che dice:" inutile ricordare che
questa canzone è fatta per noi, specialmente la seconda strofa..." mi sfugge un
sorriso tra le lacrime, poi la voce che esce dalle casse si fa se possibile
ancora più dolce " Ora non piangere, sei più bella quando ridi, lo sai" non
capisco a cosa si riferisce. Ma lo capisco subito dopo quando con la chitarra
inizia a suonare "Salvami", sempre dei Sonohra.
Salvami è la canzone che mi ricorda mio fratello,
quella che ha suonato Francesco dopo il suo funerale, quella sera, sempre nello
stesso giardino. E' la canzone che ho voluto a tutti i costi imparare a suonare
con la chitarra, anche se non la sapevo suonare affatto.
La canzone finisce e il display mi avvisa che il cd
è finito. Spengo lo stereo e vado in bagno a sciacquarmi la faccia. Ne esco
subito dopo perché la suoneria di un telefonino proveniente da un punto vicino
al portone mi fa precipitare di sotto. Appoggiato sul primo gradino delle scale
trovo il cellulare di Daniel accompagnato da un biglietto che dice: "Ho letto da
qualche parte che sono più difficili da rintracciare". Sorrido e rispondo."
Pronto?".
" Isabella, sei tu?"
Il cuore mi si ferma un istante quando sento la SUA
voce uscire dall'apparecchio. Anche con tutta quella distanza fra noi, mi sembra
di venire investita dal solito odore di menta che lo
accompagna...
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