Song for a Ghost
Provi di nuovo il ritornello
allungando la nota finale, ma la voce si spezza.
Sbuffi stizzito,
alzandoti dal divano con uno scatto improvviso, con la voglia di
fracassare la chitarra in mille pezzi e saltarci sopra; invece la metti
da parte, appoggiandola orizzontalmente, riverente, come fosse il corpo
morbido di una donna.
La testa ti
scoppia.
Non dormi da
circa
trenta ore, incapace di rilassarti.
Strofini
vigorosamente
il viso con i palmi delle mani, scompigliandoti poi i capelli
già in disordine.
Hai fumato
l’ultima sigaretta appena due minuti fa ma te ne accendi
subito un’altra; aspiri rapido con voluttà la
prima boccata e con un sospiro rauco butti fuori il fumo, chiudendo gli
occhi.
Lentamente ti
avvicini
alla finestra, scrutando il cielo: sono passate da poco le undici di
sera e c’è ancora il sole.
In un altro
momento ti
saresti goduto l’arrivo dell’estate, la luce,
l’aria calda…
In un altro
momento ti
saresti goduto anche l’adrenalina, l’eccitazione
che precede ogni tour.
Dell’adrenalina
ora te ne fai poco: sei teso come una corda di violino, nervoso come
non mai, irritabile e acido.
Prima o poi i
tuoi
compagni della band ti prenderanno a pugni in faccia.
Li esasperi con
la tua
celebre pignoleria, facendoli provare e riprovare i nuovi pezzi,
insistendo fino allo sfinimento affinché tutto sia come tu
vuoi.
La
verità
è che non ti piace più rifugiarti nella tua torre
e cerchi la compagnia delle uniche persone che ti fanno sentire meglio:
i tuoi compagni di viaggio da vent’anni ormai, quelli che ti
capiscono al volo con una semplice occhiata.
Che ti
sopportano,
nonostante tutto.
La
verità
è che ogni cosa ti sta stretta e tu ti senti come in
procinto di esplodere.
E sarebbe meglio
esplodere e dare di matto piuttosto che tenere ingabbiata dentro
insoddisfazione, rabbia, stanchezza; sfogarsi una volta per tutte e
trovare un po’ di pace.
Invece sei
così abituato a nasconderti dietro l’apparente
impassibilità che ti contraddistingue che ti rendi conto di
essere al limite solo quando sono gli altri ad esasperarsi.
Spalanchi le
finestre
che erano solo accostate per tenere fuori il calore e la luce troppo
forte; hai addosso solo dei jeans vecchi e a torso nudo, incurante di
chi possa o meno vederti, ti sporgi sul davanzale.
Respiri a pieni
polmoni
l’aria ormai tiepida e lasci che la sigaretta si consumi tra
le tue dita.
Punti il tuo
sguardo
ovunque, lo lasci vagare su quel paesaggio che ami tanto, evitando
però accuratamente quello alla tua sinistra, in basso.
Tre case
più
in là, un muro di mattoni rossi, un cancello, un vialetto,
la porta con una maniglia nuova.
E un cognome
diverso
sul campanello.
Con la coda
dell’occhio percepisci movimenti all’interno, luci
accese in tutte le stanze, risate di bimbo ovattate portate da un alito
di vento.
Sai che ora,
quella
casa che conosci così bene, è abitata da una
coppia giovanissima con un bambino piccolo.
Li hai incontrati
più volte e ricambiato a fatica i loro sorrisi gentili.
Hai ignorato il
piccolo
dai capelli biondissimi che ogni volta ti strizza l’occhio,
sperando di farti sorridere.
Ignori chiunque
ti
passi accanto, a dire la verità.
Se non fossi
costretto
a parlare con chi lavora con te, ignoreresti anche loro.
A volte ignori
anche te
stesso.
Qualcosa ti
sfiora
leggero le caviglie e subito dopo un’ombra nera salta sul
davanzale, agile e silenziosa.
«Vedi
di non
tuffarti di sotto come l’ultima volta.», sussurri
grattandole il muso.
Katty gira la
testa a
fissarti con gli occhi verdi stretti a fessura.
Ti aspetti quasi
che
inizi a sbuffare, con la sua aria di condiscendente tolleranza.
Lei continua a
strofinarsi contro la tua mano e tu la accarezzi distrattamente,
lentamente, ritrovando in quel movimento un rituale che calma entrambi.
Dovresti proprio
andare
a dormire.
E invece indugi
davanti
a quella finestra aperta, godendoti quell’attimo di pace,
l’aria profumata di fiori e mare.
La porta con il
campanello con un cognome diverso si apre improvvisamente e tu,
d’istinto ti giri a fissare la donna che cammina lungo il
viale.
Il sussulto che
ti ha
stretto per un secondo lo stomaco evapora miseramente.
Ancora.
Dopo tutto quel
tempo,
ancora sussulti quando quella porta si apre o se alla finestra appare
un’ombra indistinta.
Ti odi e ti
biasimi,
per quello.
Anche Katty
guarda
curiosa, sporgendosi sul davanzale.
La donna ha i
capelli
lunghi, lisci e biondissimi, così chiari da sembrare quasi
bianchi, proprio come il piccolo che ti strizza gli occhi.
Cammina spedita,
un
sacco di plastica in una mano e nell’altra un cellulare che
sbircia di continuo.
Il segno dei
tempi.
Non si riesce a
fare a
meno di quell’aggeggio neanche per pochi minuti, neanche
quelli necessari per andare fino al più vicino punto di
raccolta differenziata e gettarvi l’immondizia.
«Non
è lei», sussurri a Katty senza
rendertene conto e subito dopo imprechi.
La gatta emette
un
suono basso, mugugnando contrariata.
Ghigni nella sua
direzione e vi fissate per lunghi minuti.
«Oh,
piantala, signorina.», sbotti ridacchiando dopo
non ricordi più quante ore.
O forse giorni?
Getti via il
mozzicone
di sigaretta ormai consumato.
Buffo come
l’unico essere vivente in grado di rasserenarti non sia
dotato di parola.
O forse,
è
proprio per quello che è l’unica compagnia
gradita.
Un gatto.
Un gatto che non
avevi
voluto.
Un gatto che
aveva
cambiato con la sua presenza, ogni cosa.
Capovolgendo il
tuo
mondo già così complicato.
Un gatto che
aveva
portato con sé il periodo più strano,
più sereno e allo stesso tempo più vivo da che ne
avevi memoria.
Un gatto che ti
aveva
dato modo di conoscere il “tuo fantasma”.
Di vivere per
qualche
mese nella convinzione che anche tu potessi avere un amore non
tormentato, appagante, “normale”.
La sogni
continuamente
da quando hai letto le date del tour europeo.
Ovviamente sapevi
che
prima o poi avreste suonato anche in Italia.
Lo sapevi, eppure
hai
fissato con gli occhi stralunati quelle tre date, da lì a
due mesi.
La sogni come una
figura evanescente, lontana ma presente.
Non riuscendo mai
a
guardarla in viso, mai a toccarla.
Senti
l’odore
della sua pelle come se ti fosse accanto. A volte senti i suoi capelli
che ti sfiorano il corpo nudo.
Ti sei spesso
chiesto
perché tra tante donne lei è l’unica
che non riesci a dimenticare, l’unica del quale ricordo ti
è difficile liberarti.
L’unica
della
quale non vuoi liberarti, a conti fatti.
Hai avuto storie
ben
più lunghe e tormentate, vissute in maniera diversa,
sofferte… eppure…
Eppure lei
è
lì. Da qualche parte dentro di te.
La senti.
E ti aggrappi a
quel
ricordo, nonostante gli anni, nonostante gli eventi e il fatto che lei
abbia scelto una vita lontana da te.
L’hai
accettato.
Non hai mai
provato
odio nei suoi confronti, ma verso te stesso sì.
Avresti dovuto
salire
sul primo aereo, cercarla e riportarla indietro.
A casa.
Tra le tue
braccia.
Il tuo orgoglio
ferito
di uomo mollato però ha avuto la meglio.
E la tua
testardaggine
ha fatto il resto.
Ci sono state
notti in
cui il tuo corpo soffriva dal desiderio intenso e disperato di essere
dentro quello di lei.
Di sentire le sue
mani
su di te, di sentirti stretto nella morsa delle sue braccia e gambe
avvolte intorno ai tuoi fianchi.
Di sentirla
fremere
sotto di te.
E non sono
bastate le
sbornie, le occasionali distrazioni di una notte a sanare quella fame.
Per un periodo ti
sei
stordito in ogni modo pur di non pensare a lei, al fatto che era
sbagliato non essere insieme, al fatto che forse eri stato troppo
distratto da altro per renderti conto che la paura che le vedevi negli
occhi durante le prime settimane in cui vi frequentavate, era tornata,
ma in modo diverso.
Troppo preso
dalla
lavorazione all’album, per notare che lei si stava di nuovo
chiudendo in se stessa.
Non sei mai
riuscito a
capire il perché… le sue spiegazioni non erano
mai quelle vere.
Sapevi che ti
stava
mentendo, eppure hai aspettato, hai sperato che prima o poi potesse
cambiare idea e tornare a casa.
Hai aspettato che
lei
capisse che era una totale stronzata non stare insieme.
Hai aspettato i
suoi
tempi.
Hai aspettato
troppo.
E dopo era
passato
troppo tempo per tornare indietro.
Hai commesso
troppi
sbagli e non avresti potuto più guardarla come prima.
E insieme allo
sconforto disperato di non averla più tra le braccia, era
arrivata la voglia di buttarti lei e ogni cosa che te le ricordava,
alle spalle.
Ti eri lasciato
consolare.
Accettando che qualcuno
prendesse il suo posto nel tuo letto.
Ma non nel tuo
cuore.
Era durata poco
anche
quella parvenza di sostituzione: non sopportavi di svegliarti e trovare
un’altra donna accanto a te.
Non sopportavi di
non
trovare lei.
Non volevi che
nessuno
ti dormisse accanto, vedendoti nel momento in cui eri più
vulnerabile.
Volevi il tuo
spazio.
E così
avevi
detto alla tua compagna di letto, senza tanti giri di parole, senza
alcun tatto, che doveva prendere le sue cose e tornarsene a casa.
Amy non
l’aveva presa bene, come sempre.
Amy
però era
rimasta.
Come ogni volta
che la
tratti male, la offendi, che ti neghi o ti becca con altre donne.
Lei è
di
nuovo lì il giorno successivo.
La sua costanza
è l’unica cosa duratura nel vostro rapporto.
Non sai se lei se
ne
renda conto ma sai, intuisci, che ha sempre sperato prima o poi di
prendere un posto fisso accanto a te.
E lo spera
ancora.
La donna dai
capelli
biondi con il suo passo veloce è sulla via di ritorno e tu
la segui con gli occhi.
All’improvviso
lei alza lo sguardo sentendosi osservata e ti sorride maliziosa,
salutandoti con un cenno della mano.
Rimani spiazzato:
l’ultima volta che una donna ti ha beccato a spiarla le cose
poi avevano preso una piega che non ti aspettavi.
Alzi una mano e
stiri
le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso cordiale.
Ti rendi conto di
essere senza maglia e arrossisci, anche se lei non può
vederti.
In passato
mostrare il
tuo corpo non ti aveva mai messo a disagio, anzi: sapevi che nonostante
non fossi un adone palestrato con muscoli ben scolpiti, alle donne
piacevi lo stesso e tanto.
Vai a capire
perché.
“Mi piaci da morire…”.
Lou.
Come un fulmine
arrivò il ricordo della sua voce dolce che ti sussurrava sul
collo.
Solo quando erano
state
altre mani a toccarti, altre labbra che ti baciavano, ti eri reso conto
di quanto ti dessero fastidio.
Perché
non
erano le sue.
Perché
“lei” ti baciava e bisbigliava sul tuo collo in un
modo tutto suo, sfregandosi come una gattina, le dita attorcigliate
intorno ai tuoi capelli.
«Basta,
cazzo!», sbotti furioso,
allontanandoti dalla finestra.
Ti butti sul
divano con
le ossa doloranti e la schiena a pezzi, tornando alla tua chitarra.
“Dovrei proprio dormire…”, ti ripeti
mentalmente,accarezzandone il dorso come faresti con i fianchi di una
donna.
E
all’improvviso ricordi Lou sdraiata al tuo fianco, per una
volta senza il suo imbarazzo nel farsi vedere nuda.
Con gli occhi
della
mente ricordi ogni curva del suo corpo, ogni particolare che credevi di
aver dimenticato.
Il collo sottile
e
delicato, le orecchie minute, la forma della bocca piccola e rosea, la
fossetta che le si formava sulla guancia quando sorrideva.
Il seno piccolo e
perfettamente tondo che stava a perfezione nella tua mano, la vita
sottile che si allargava sui fianchi sinuosi, pieni e femminili.
«Oh,
per la
miseria…», scrolli la testa
velocemente, come a voler scacciare via quei ricordi pericolosamente
sensuali.
Pizzichi leggero
sulle
corde.
Le note vengono
fuori
da sole.
Da quanto tempo
non la
suoni più questa canzone?
Anni…
L’hai
registrata da solo, proprio lì in quel salotto, appollaiato
su una sedia davanti alla finestra.
Di tanto in tanto
guardavi verso le finestre ormai buie di Lou, offuscate dalla neve che
cadeva copiosa.
La conoscevi da
poco
eppure ti sembrava di averla sempre avuta tra le braccia.
La canzone si era
modificata nel tempo, prendendo in sé tutta
l’amarezza, la frustrazione per la sua mancanza.
Prendendo il
posto di
quella prima canzone che era così diversa dal tuo stile,
quella che Lou ti aveva ispirato, quando la conoscevi solo da qualche
settimana e tu eri già completamente cotto.
Non avevi
più voluto cantarla con Amy, che stupidamente aveva creduto
per tutto il tempo che fosse per lei, che fosse lei e non la tua “Prinsessa”,
a
ispirarla.
L’avevi messa da
parte: troppo piena di speranze per essere una tua canzone.
E durante le
prime
settimane lontano da Lou, durante le notti insonni in cui fumavi una
sigaretta dietro l’altra, quando ti sentivi soffocare e
uscivi di casa negli orari più impensati, camminando da solo
fino alla spiaggetta dove trovavi ad aspettarti quella panchina di
legno e ti sedevi a guardare il mare e il girovagare del sole nel
cielo, per ore.
Oppure consumando il pavimento
di legno scuro della torre, facendo avanti e indietro, senza sosta,
senza fermarti.
Una sera invece ti eri
fermato… avevi preso la tua chitarra ed era venuta fuori,
senza prima scribacchiarla sul tuo taccuino come fai sempre.
Avevi buttato
fuori le
parole come se fossero state sempre lì, pronte per essere
cantate.
Song
for a ghost
I still try To
hold onto whatever is left of you and die
I showed my
card and I stopped to breathe
Eyes like a wind
soulful eyes
swift dream
frozen heart
Dry your eye
Shake dreams
from your hair
Are you her? Do
you look like that?
How could you
be when no one ever could…
Worship with
words, with sounds, hands, all
Lost in the
vanity of the senses
Swift beat of a
proud heart
I can forgive
my wounds just in the name of Love
But you were
like a light that went away
A symmetrical
angel
And dream of
you
way out the
light and go down, down...
Do you love me?
“Just for tonight”.
Where are you
going? “To the other side of
morning”
Wandering in
hopeless night
A cat yowls In
the gloom
And the skies
screaming like my soul.
La voce diventa
un
sussurro rauco.
“Masochista testa di cazzo.”
Continui a
stringere la
chitarra fra le mani, aggrappandoti ad essa.
Qual è
il
modo migliore per non dimenticare? Comporre una canzone per lei.
Katty
è
seduta composta davanti a te e ti guarda.
La tua piccola
pantera
nera dal pelo lucidissimo, così elegante e sinuosa,
così diversa dalla minuscola palla di pelo arruffato che tu
e Lou avete salvato dalla morte, in quella notte nevosa…
«So di
essere
un coglione, non c’è bisogno che mi guardi
così, eh…»
Lei gira la testa
con
aria indifferente poi torna a fissarti e lenta, ti si avvicina
saltandoti sulle ginocchia.
Dovresti
smetterla di
perdere tempo, andare a riposare, ritemprarti con una sana notte di
sonno e lasciare che questa malinconia perenne si affievolisca.
Se dormi, puoi
sognarla
ancora. E farti del male.
Ancora.
Lei sa del tour?
Lei
pensa a te? E poi cosa te ne dovrebbe importare, dopotutto?
"Bugiardo".
Sei
così
allenato ormai, che ti fai le domande e ti rispondi anche da solo.
«Diventerai
un noiosissimo, acidissimo
vecchietto
stronzo.», ti
dice sempre il tuo migliore amico, con una risata divertita.
«Fottiti.», gli ringhi
trattenendo una risatina, sapendo che è alquanto possibile.
«Di
quelli che si mettono sulla finestra e aspettano che qualche vicino o
ignaro passante parcheggi la macchina dove non dovrebbe e tu inizi a
sbraitare e inveire contro.», continuava ridendo di gusto
facendo ballonzolare la sua voluminosa pancia rotonda.
Menti a tutti,
perfino
a te stesso. Alzi lo sguardo sul quadro appeso sopra il tuo pianoforte.
"Bugiardo, masochista, inguaribile romantico di una
testa di cazzo”.
Qual è
il
miglior modo per non dimenticare una persona?
Tenere in casa un
quadro che rappresenti lei, ovviamente.
Sorridi
amaramente di
te stesso.
La
verità
è che non hai mai neanche provato a dimenticare quei mesi
con lei, con Katty, con i suoi amici.
Non hai voluto
dimenticare ogni istante passato in quella casa a soli duecento metri
dalla tua, ma nella quale ti sentivi come in un altro mondo.
Tu, in quel letto
troppo corto perché ci potessi stare comodamente allungato.
Lontano dai tuoi
strumenti, in un posto così “normale”,
banale e sereno che ogni volta che uscivi e tornavi alla tua di
normalità, non vedevi l’ora di ritornarvi.
Posi nuovamente
la
chitarra e ti avvicini al quadro.
Quante notti hai
passato a fissare truce quel dipinto?
Quante volte hai
avuto
voglia di farlo in mille pezzi?
Quante volte hai
accarezzato con gli occhi le onde oro rosso dei capelli,
l’ovale delicato, le mani e le braccia della figura raccolta
ad abbracciarsi le ginocchia?
La guardi per la
milionesima volta e come ogni volta senti da qualche parte dentro al
tuo petto scarno, una stretta.
La figura
femminile
appariva sfocata come se fosse in un sogno, invece era il vetro della
finestra a mettere quel filtro che ne sfumava i contorni.
Seduta a terra,
le
gambe raccolte al petto e le braccia a stringerle.
La fronte posata
sul
vetro.
La figura guardava all’esterno con aria sognante, un leggero
sorriso sull’espressione seria. I colori del quadro variavano
dal bianco candido della neve che volteggiava tra
l’osservatore del dipinto e la figura rappresentata, al
grigio, al rosso ocra smorzato.
L’unica
nota
di colore vivo, vibrante era la figura stessa: i suoi capelli
sembravano lingue di fuoco, caldo e avvolgente.
Vestita di un
abito
corto, blu notte.
Un vestito che
non le
hai mai visto addosso.
Lo stesso blu
notte che
poi gradualmente sfumava in viola, magenta e giallo, in rotonde volute,
fondendosi con il rosso dei capelli, per tutta la restante parte
superiore del quadro, dove si stagliavano stelle e volte celesti, non
una ma molte lune a rincorrersi nel cielo.
Come se fosse la
figura
seduta a sognare quel firmamento intenso e vivo.
La prima volta
che
avevi visto quel quadro ti si era seccata la bocca. Non eri riuscito a
parlare per lunghi minuti.
L’opera
non
era ancora finita ma non c’era stato bisogno di chiedere
all’artista chi fosse la donna del quadro.
Lui ti aveva
risposto
lo stesso, intuendo probabilmente cosa stessi provando in quel momento.
«È
lei. È come
la vedevo sempre, come la
ricordo. È quello
che era. È quello
che è ancora. È quello
che vuoi.»
Ancora
una
volta eri rimasto senza parole, proprio tu che quando inizi a parlare
non ti fermi neanche con le minacce.
L’artista
ti
aveva guardato comprensivo e ti aveva lasciato da solo davanti a quel
quadro incompiuto come la vostra storia, come l’amore che non
avevate vissuto appieno.
Minuti, o forse
ore a
guardare il viso della donna non ancora finito.
Avevi deciso che quel quadro
apparteneva a te, doveva essere tuo e avresti fatto qualsiasi cosa per
averlo.
Sei tornato molte
volte
a guardarlo, rimanendo sempre in silenzio davanti ad esso e
all’artista che aveva saputo cogliere un lato della donna che
amavi in un modo in cui tu non avresti potuto mai.
In un modo
così profondo, che neanche con mille canzoni
l’avresti rappresentata com’era davvero.
Sei tornato e hai
visto
la tua ‘Prinsessa’ sbocciare come un
fiore dal pennello tenuto stretto dalle mani nodose del tuo anziano
vicino di casa.
Ti sedevi sempre
in un
angolo, dietro le spalle curve del Sig.
Korhonen e guardavi il sorriso con la fossetta appena visibile della
donna che amavi, prendere forma.
Sempre in
silenzio.
Un silenzio
confortante.
Un silenzio
carico di
parole.
Un silenzio che
non ti
pesava ma che invece era come un balsamo per la tua anima in fiamme.
Sospiri tuo
malgrado e
ridi di te stesso.
Amy aveva provato
a
farti togliere quel quadro un’infinità di volte,
insinuando che fosse orrendo, di quanto stonasse nel contesto della tua
casa, che non le piaceva.
Sapevi bene il
perché non le piacesse e le avevi detto solo una volta, una
sola, tanto era bastato per farla tacere:
«Il
quadro rimane, ma tu puoi andare via quando vuoi.»
Amy aveva
ingoiato la
rabbia e aveva taciuto.
E alla fine era
andata
via da sola non sopportando più di vivere con un uomo a
metà, o forse meno, accanto a lei.
Un uomo che la ignorava per la
maggior parte del tempo.
Un uomo che
passava le
sue notti insonni a scrivere forsennatamente la sua musica e staccare
solo per tornare al quadro e fissarlo.
Un uomo che
viveva
rinchiuso nel suo passato.
Consapevolmente.
Sospiri di nuovo
e
Katty miagola comprensiva, strofinandosi contro i tuoi jeans.
«Che
dici,
andiamo a dormire?», sussurri alla felina che ti risponde con
un “mao” sonoro.
Sei a pezzi.
Sei a pezzi da
anni e
tenti di rimettere insieme i cocci, anche se dall’esterno sei
come sempre.
Strafottente,
sicuro di
te, allegro e pungente, con la tua solita ironia sottile.
“Secondo te perché il cuore
batte?”.
Lou te lo aveva
chiesto
una volta, stesa nuda sopra di te, mentre con aria fintamente
indifferente giocherellava con i tuoi capelli, sfiorandoti il naso, il
collo…
Era stato tanto tempo prima e
tu le avevi promesso che ci avresti pensato su e se un giorno avessi
trovato la risposta…
Se un giorno
l’avessi trovata l’avresti detto anche a lei.
«Credo
di
aver capito perché il cuore batte, ‘Prinsessa’…»,
sussurri fissando il volto della donna nel quadro,
sperando quasi che alzi gli occhi e lei ricambi il tuo sguardo.
Due mesi.
E poi anche lei
lo
avrebbe saputo.
*****
Angolo dell'autrice:
Eccoci ancora qui, con un nuovo POV di Ville.
Come sempre mi prostro a terra e chiedo umilmente venia per osare
mettere i suoi pensieri nero su bianco e farli miei, ma stavolta ho
esagerato!
Ho anche scritto l'ipotetica canzone che Ville ha scritto per Lou.
Perdonatemi se potete! XD
Come ho detto in altra sede, se Ville fa il musicista e io la pirla, un
motivo ci sarà ma ho fatto del mio meglio per trovare
qualcosa di adatto e ho usato frasi qui e là di poesie di
Jim Morrison (devo chiedere scusa pure a LUI: non ne esco viva, povera
me...);
la frase iniziale che è ovviamente di Ville presa da Dying
Song, e
altre frasi qui e
là sono qualcosa uscite anche dalla mia testa bacata.
Siate buoni e non linciatemi che già lo faccio da sola! :D
Per
il banner ho usato una delle tante foto che la gentile Infernal_Offering di tanto in tanto mi manda
durante le sue lunghe passeggiate in giro per Helsinki.
In questo caso, la panchina in basso a destra... indovinate dove si
trova? :D
*Per la parola
"skies" al plurale, mi sono ispirata, con il prezioso aiuto della mia
socia Lady Angel 2002, ad una canzone di Alan
Parsons Project dove in una canzone sembra intendere "cielo", sia
fisicamente che metafisicamente parlando come di una battaglia da
intendersi sia terrena che ultraterrena e nel caso della canzone di
Ville per Lou, mi sembrava più che adatta, dal momento che
il cielo riflette il suo stato d'animo urlando e piangendo.
E per la prima volta ho anche provato a camminare da sola, senza le mie
due amatissime Beta Reader, Cicci Vivi e Ale: non so se ci sono errori,
nel caso fate finta di niente! xD
Bene... spero di avervi fatto cosa gradita e alla prossima!
PS:
Come molte autrici che seguo mi è venuta voglia di aprire un
gruppo
Gruppo Facebook dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa sulle
storie o le OS finora scritte,
dove potremo parlare liberamente, confrontarci come se fossimo in una
piccola sala da thè, riservata... da brave signorine
composte. ;)
Siete
le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci, *H_T*
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