Primavera di solitudine

di OurChildhood
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Primavera di solitudine
 
Per l’ennesima volta in questa settimana di maggio ti ritrovi qui, davanti a questa lastra di marmo grigio, a passare le dita sulle lettere d’oro, sperando che non ci sia scritto il suo nome, illudendoti ancora di sentire la sua mano leggera posarsi sulla tua spalla.
E per l’ennesima volta in questa settimana di maggio ti ritrovi qui, a posare un giglio sul terreno davanti a te, sperando che poi lei lo colga.
Ma sai che non può essere così. Sai che lei se n’è andata ora e per sempre.
Ma non vuoi abbandonare i ricordi, non puoi abbandonarli proprio ora che il suo profumo si sta affievolendo, ora che i tratti del suo viso si stanno sfumando nella tua mente.
Non puoi lasciarli andare ora che i “ti amo” sussurrati nelle notti d’estate e dipinti nelle pareti della memoria vengono riverniciati di un nuovo strato di bianco.
 
E dopo un anno dalla sua morte ti ritrovi nuovamente davanti alla sua lapide per togliere dalla tua testa il suo volto sofferente e stamparti nel cuore il suo sorriso puro e genuino, quel sorriso che tanto ti ha fatto innamorare.
E serri nei pugni l’aria, deluso perché t’illudevi di poter sentire le sue mani incastrarsi perfettamente nelle tue.
Poi te ne vai, le mani in tasca, gli occhi lucidi nascosti dietro a un paio di occhiali da sole e il sorriso spento da ormai troppo tempo.
 
Parenti e amici ti chiedono continuamente perché sei triste e tu semplicemente scrolli le spalle e volti la testa, sperando di incrociare i suoi occhi ancora una volta e di poter trovare in essi la risposta a tutto.
Illuso, ti dicono.
Ma nessuno sa come ci si sente, nessuno può capire.
 
E mentre corri sul via letto di sassi che avete percorso miriadi di volte insieme, apri le dita per sentire il vento scorrere tra esse, quasi come facevano i suoi lunghi capelli.
Chiudi gli occhi e senti un vento primaverile urlare nelle tue orecchie.
E quando arrivi allo stagno vi è una sola rana che non gracida, urla anch’essa.
Ricordi quando, seduti lì, vi scambiavate poesie d’amore e senti come le poesie possano condizionarti ancora.
Tiri fuori il pezzo di carta dalla tua tasca dove, poco prima, hai scritto parole amare e sole.
Avresti potuto lasciarlo sulla sua tomba, ma il vento lo avrebbe portato via e con esso versi che non sarebbero più stati vostri, versi urlati, pianti, sofferti e recitati in silenzio tanto da averli ormai scolpiti nel cuore, nel cervello, perfino nelle ossa.
Allora lo doni allo stagno, al vostro stagno, lasciandolo cadere sulla superficie increspata dell’acqua che, pian piano, scioglie l’inchiostro che, per un momento appena, pare formare i tratti del volto della tua amata.
 
Ma non arrabbiarti ora se, dopo cinquant’anni, non hai ricevuto risposta. 
Il vostro gioco di poesie s’era fermato già da un pezzo e quell’ultimo Haiku altro non era che parole d’addio, un ultimo grido disperato e proteso a qualcuno che non c’era, che non poteva salvarti dalla solitudine che tu stesso hai creato.
 
E in questa settimana di maggio lo ripeti ancora fra le lacrime, prima che gli occhi si chiudano per l’ultima volta:
 
« La rana allo stagno
Urla.
Ecco la mia solitudine.»

~SPAZIO AUTRICE~
Non ho molto da dire su questa storia, penso parli abbastanza da sé.
Mi farebbe molto piacere sapere un vostro parere, è la  mia prima storia originale che pubblico, quindi vorrei poter migliorare.
Anche le critiche, quindi, sono bene accette.
Baci,
-A




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