Star-crossed
Tutto era cominciato la mattina prima, quando Haru aveva aperto il
cellulare per controllare l'ora e aveva lanciato un piccolo urletto di
sorpresa che l'aveva immediatamente svegliata dal suo piacevole sonno
ristoratore. Prima ancora di rendersene conto il suo corpo aveva già
agito d'istinto, ed era saltata in piedi con il coltello, che
nonostante tutto continuava ancora a tenere sotto il cuscino, certe abitudini erano dure a morire,
stretto in mano e gli occhi intenti a scandagliare centimetro per
centimetro ogni più piccolo affranto della loro camera. La vista dello
sguardo leggermente stupito dell'altra ragazza era bastato a
convincerla che si era trattato di un falso allarme, e che nessuna
serial killer psicopatica era scappata di prigione per l'ennesima volta, per tentare
di fare la pelle alla persona per cui sembrava aver sviluppato una non
particolarmente sana ossessione.
E dire che aveva perso il conto di quante volte glielo aveva ripetuto,
che andarle a consegnare il diploma di persona era stato uno sbaglio:
nel momento stesso in cui la guardia aveva aperto loro la porta ed
avevano messo piede nella stanza, Takechi si era lanciata a peso morto
su Haru con l'agilità di un leopardo affamato, ed una scintilla di
pazzia che aveva ormai imparato a riconoscere nei suoi occhi. E come
avrebbe potuto reagire in altro modo lei di fronte a quella sfrontata
presunzione, che in altro modo non avrebbe potuto chiamare se non
immane stupidità, di poter riuscire dove già altre volte aveva fallito,
se non inserendo un pugno adeguatamente chiuso tra le loro due facce?
Che poi, dentro di sé, una vocina le avesse suggerito di aver trovato
un insospettabile piacere nel sentire il naso di quella pazza fissata
con le forbici scontrarsi contro le sue nocche… sperava che sua madre,
dall'aldilà, non avesse da biasimarla troppo per il sogghigno che aveva
dovuto faticare per non lasciarsi scappare.
Non aveva forse detto, solo pochi mesi prima, che per proteggere
qualcuno sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa? Se poi nel farlo
avrebbe trovato anche una qualche forma di soddisfazione, meglio
ancora. E la risatina un po'sforzata di Haru, mentre Takechi Otoya
crollava sul pavimento stringendosi il naso e elencando ogni possibile
e creativo modo in cui avrebbe potuto dare sfogo alla sua abilità di
taglio sul suo corpo, qualora mai qualcuno fosse stato tanto pazzo da
rimetterle in mano anche solo un paio di forbici dalla punta
arrotondata, erano state l'accompagnamento musicale perfetto.
Da quando le cose si erano finalmente aggiustate, e le sue azioni
avevano iniziato ad essere guidate solo più dalla sua volontà e non
dagli ordini altrui, aveva scoperto la piacevole sensazione che si
accompagnava ad un lavoro ben fatto. Che il lavoro fosse montare le
tende del loro appartamento senza rischiare di rompersi l'osso del
collo cadendo da una sedia in bilico, e dire che dopo lo scontro con
Inukai doveva averci fatto il callo con le cadute da luoghi decisamente
alti, o rompere il naso di una serial killer repressa vestita come
l'ultimo degli operai, il risultato non cambiava.
Fortuna che, dopo quel piccolo incidente, le acque si erano calmate e
Takechi, giunta alla conclusione che ancora una volta avrebbe dovuto
mettere da parte i suoi istinti assassini, era ritornata al carattere
allegro e sfacciato che aveva mostrato nei primi giorni della sua
permanenza alla Kurogumi. E, posto che probabilmente lo scontro con il
suo pugno doveva essere stato più forte del previsto e doveva aver
causato danni permanenti al suo cervello, giunta alla conclusione che
due più due dovesse necessariamente fare cinque e che quindi ogni
domanda fosse lecita, aveva velatamente domandato a che punto fosse
giunto il rapporto tra lei ed Haru. Il che stava a significare che,
essendo la ragazza un'assassina con tendenze da violentatrice seriale
ed un insano gusto per il bondage estremo, l'aveva fissata negli occhi
con sguardo schifosamente complice, cosa che non aveva mancato di farle
scendere un brivido di disgusto lungo la schiena e, mettendole un
braccio intorno alle spalle, le aveva candidamente domandato che sapore
avesse Haru.
Le sue parole si erano lentamente adagiate nel silenzio greve della
stanza, mentre le sue orecchie cercavano di trovare il bandolo che si
nascondeva dietro quella decisamente strana scelta di parole: la prima
a reagire era stata Haru che, portandosi le mani alla bocca con un
singulto strozzato, aveva rapidamente assunto una colorazione
assolutamente in tinta con quella dei suoi stessi capelli, cercando
senza successo di dare una risposta inevitabilmente persa tra i
balbettii che ne erano conseguiti.
In un primo momento, non aveva saputo spiegarsi il perché di quella
reazione da parte della compagna, ma forse Kaiba non aveva avuto tutti
i torti a ripeterle continuamente di essere totalmente incapace di far
funzionare il suo cervello. E, quando il senso di quelle parole aveva
finalmente fatto presa nella sua mente, mantenere un'espressione stoica
si era rivelato incredibilmente difficile, specie quando aveva sentito
un bruciore che nulla aveva a che fare con la calura della stanza
spandersi sulle orecchie e sulle guance.
Per l'amor del cielo, non poteva stare seriamente arrossendo, vero?
Dopo quell'incidente, erano servite tutte le parole di Haru, ed il
fatto che la ragazza l'avesse molto preventivamente placcata per
impedirle di muoversi, per riuscire a convincerla che tornare indietro
e far sputare tutti i denti a Takechi non sarebbe stata una cosa
particolarmente carina da fare.
E tutto questo mentre si ritrovava a combattere una battaglia
apocalittica con l'imbarazzo che ancora premeva per uscire, rendendola
al tempo stesso incredibilmente consapevole delle braccia di Haru
strette con fermezza, ma gentilezza, intorno alla sua schiena. Aveva
dovuto prendere più di un respiro profondo, prima che il suo
riaffiorato istinto omicida tornasse nuovamente sopito, e molti di più
per riuscire a ricostruire la propria maschera inespressiva prima di
riuscire a guardare nuovamente la sua protetta negli occhi.
Tentativo che si era rivelato assolutamente fallimentare quando, nel
momento stesso in cui i loro occhi si erano incrociati, Haru aveva
assunto una invidiabile sfumatura bordeaux, accompagnata da un
preventivo scioglimento dell'abbraccio, che l'aveva riportata allo
stesso stato di agitazione interiore precedente alla loro uscita
frettolosa dal carcere.
Per la seconda volta in vita sua, Azuma Tokaku si era scoperta incapace
di sostenere lo sguardo di Ichinose Haru, e mera consolazione aveva
trovato nel fatto che questa volta l'altra ragazza non la stesse
fissando con le lacrime agli occhi ed il sollievo evidente dipinto in
faccia, dopo che una bomba le era stata sfilata dal collo, ma stesse
mostrando un notevole interesse nello studiare la crescita dell'erba
nelle crepe del marciapiede.
Era occorsa la maggior parte del tragitto fino al loro appartamento
perché Haru si decidesse a tornare, con la cautela di chi si avvicina
ad una belva feroce, a camminare al suo fianco, avvolgendole
timidamente un braccio con il proprio come, dal giorno in cui era
uscita dall'ospedale, aveva sempre continuato a fare.
Alla fine, avevano semplicemente lasciato cadere l'argomento, e se per
i primi tempi Haru si era mostrata quasi timida in sua presenza, cosa
che mai fino a quel momento era accaduta, poco tempo era passato prima
che la ragazza dai capelli rossi tornasse a spuntare in bagno con un
sorriso a trentadue denti mentre lei si faceva la doccia, chiedendole
se avesse bisogno di aiuto a lavarsi la schiena. In un primo momento
l'aveva liquidata con silenzi o sbuffi infastiditi, ma mentre il tempo
passava e le proposte non diminuivano di frequenza, aveva trovato quasi
piacevole lasciarsi andare ad atteggiamenti che altro non avrebbe
potuto definire se non giocosi, come lanciarle dietro una spugna ancora
coperta di sapone od innaffiarla con il getto della doccia,
ridacchiando di fronte agli strilli sorpresi dell'altra.
E da quel giorno erano passati già due mesi, mentre ora si ritrovava a
fissare con espressione confusa la compagna di stanza che,
evidentemente consapevole di averle appena offerto non il più
tranquillo dei risvegli, le stava rivolgendo un flebile sorriso di
scusa, il cellulare aperto ancora acceso in una mano.
"Cos'era quell'urlo?" le domandò con tono vagamente rassegnato, mentre
tornava a nascondere il coltello sotto la federa del cuscino, e uno
sguardo alla sveglia la convinceva che fosse ormai giunto il momento di
alzarsi.
Il viso ancora leggermente contrito di Haru perse ogni traccia di
vergogna, mentre saltava in piedi e correva a stringere la mano della
ragazza dai capelli blu, sbilanciandola per un attimo con la forza del
suo abbraccio.
"Tokaku, guarda, guarda! Guarda che giorno è oggi!"
Ad onor del vero, sarebbe stato impossibile anche per qualcuno dotato
di un migliaio di occhi riuscire a leggere la data scritta sullo
schermo illuminato del cellulare, considerando che la veemenza con cui
l'oggetto veniva scrollato rendeva difficile persino capire che quello
fosse, di fatto, un telefono.
Sospirando, più per il divertimento nel vedere il viso della compagna
praticamente risplendere di gioia, che per vera e propria
rassegnazione, con un movimento improvviso le afferrò il polso, badando
di non stringere troppo per non causarle dolore, strappandole
l'apparecchio dalle mani e fissando con attenzione i numeri colorati
sul calendario.
"E'il sette luglio… perché, è qualche ricorrenza particolare?"
"Tokaku-san!" l'esclamazione che sfuggì dalle labbra di Haru, insieme
all'onorifico che sempre più spesso aveva imparato a lasciar cadere,
erano il segno che la ragazza doveva essere rimasta particolarmente
sconvolta dalla sua risposta. Come se i suoi enormi occhi, che la
fissavano come se si fosse appena trasformata in un orripilante mostro
a due teste, non fossero già una dimostrazione sufficiente.
"Dovrei saperlo?" mormorò la giovane assassina, nella speranza che il
tono diplomatico bastasse a placare l'animo della compagna "Seriamente,
non ho idea di che giorno sia oggi"
"Tokaku, non dirmi che tu non hai mai sentito parlare del Tanabata!"
"Il che cosa?"
Il tono veramente confuso con cui la domanda fu rivolta bastò ad Haru
per capire che la compagna non solo non aveva la minima idea di che
cosa fosse quel giorno ma, addirittura, non ne aveva mai sentito
parlare!
"Veramente non sai cosa sia?" le domandò più per cortesia che per vera
e propria necessità di conoscere la risposta, quando lo sguardo
dell'altra era già una prova più che sufficiente per convincerla della
sua ignoranza.
"Ehm, è una cosa grave?"
A Tokaku non piaceva non sapere di cosa si stesse parlando, ma ancora
meno le piaceva vedere quella scintilla di delusione che aveva fatto
capolino per un attimo negli occhi della ragazza dai capelli rossi. Era
stata una cosa momentanea, quasi impercettibile, ma la sua vista
sviluppata in anni di allenamento era capace di cogliere il più piccolo
movimento anche in situazioni estreme: riconoscere qualcosa di così
piccolo nello sguardo di una persona a meno di mezzo metro da lei, era
quasi uno scherzo. Pure, la certezza di aver anche solo minimamente
potuto causare delusione ad Haru le lasciava ogni volta una sensazione
spiacevole nel petto, come di una spina piantata tra le costole che,
senza causarle vero dolore, le procurava un fastidio che non scompariva
fino a che l'altra ragazza non le rivolgeva uno dei suoi luminosi
sorrisi. A quel punto, era come se la scheggia si sciogliesse,
lasciando dietro di sé un residuo di pace e di un tepore di cui non
sapeva spiegarsi l'origine. L'unica cosa che sapeva, e di cui era
assolutamente certa, era che il sorriso di Haru aveva la capacità di
stirare le sue labbra contro la sua volontà, e non nel ghigno che
tanto spesso aveva rivolto alle sue avversarie durante l'anno alla
Myoujou, ma in un vero sorriso.
"Tokaku"
Il tono di Haru, in quel momento, sembrava non ammettere repliche. Lo
sguardo determinato negli occhi della ragazza dai capelli rossi era il
segnale che la compagna non era disposta ad accettare ancora più a
lungo la sua ignoranza sull'argomento. Quindi, afferratale una mano, la
guidò verso il letto costringendola a sedersi al suo fianco, prima di
incrociare le braccia al petto e fissarla in modo sorprendentemente
serio, per una persona consapevole di avere come interlocutrice una
assassina capace di ridurla in pezzi prima ancora di avere il tempo di
fare due passi.
"Quindi non hai mai, mai sentito parlare della festa di Tanabata?"
La ragazza dai capelli blu si limitò a scuotere il capo.
"E di conseguenza non hai mai festeggiato nulla il sette luglio?"
Altro cenno di diniego.
Un sospiro.
"Tokaku-san, dove hai vissuto fino ad oggi…"
Un mormorio di parole appena udibili, che suonava incredibilmente
simile ad un "in una accademia per assassine", per un attimo causò un
sussulto di colpa in Haru: anche se la sua vita prima della Kurogumi
era stata tra le peggiori che avrebbe mai potuto augurare ad una
persona, non aveva dimenticato che il passato di ciascuna delle sue
dodici compagne di classe era stato altrettanto oscuro. E Tokaku non
faceva eccezione.
"Mi dispiace, non avrei dovuto dire una cosa simile"
Il movimento del capo della ragazza bastò a farle capire che l'altra
non era rimasta offesa dalle sue parole. Ma nel vedere le sue spalle,
solitamente così dritte e forti, afflosciarsi come se un peso
invisibile la stesse lentamente schiacciando verso terra, qualcosa
sembrò far scattare un interruttore nella testa della giovane Ichinose.
Se non fosse stata intenta a fissarsi le mani strette con tanta forza
che le nocche erano diventate quasi bianche, Azuma Tokaku avrebbe visto
una incredibile determinazione lentamente dipingersi sul volto della
sua protetta, mentre quest'ultima le rivolgeva uno sguardo che, in
altre situazioni, l'avrebbe fatta probabilmente morire di imbarazzo.
Procedendo con cautela, Haru fece lentamente passare un braccio intorno
alla vita della compagna, fino a poter appoggiare la testa sulla sua
spalla. La sensazione dei capelli di Ichinose sul suo collo sembrò
risvegliare Tokaku dalla spirale di pensieri in cui sembrava essersi
lasciata affondare negli ultimi minuti, e quasi agendo d'istinto lasciò
che un suo braccio scivolasse lentamente lungo il lenzuolo, fino a
quando il palmo non poté avvolgersi intorno al fianco, ancora coperto
dalla tela del pigiama, dell'altra. Era un abbraccio un po'goffo,
nonostante da mesi a quella parte Haru si fosse impegnata a far
recuperare alla coinquilina tutti gli anni di gesti di affetto che, a
causa della sua particolare situazione famigliare, non aveva mai potuto
sperimentare.
E, se pure ora Tokaku non tremava più quando una mano le accarezzava la
schiena, o il suo braccio finiva stretto in una morsa mentre
camminavano insieme per strada, dire che non si trovava ancora
pienamente a suo agio quando doveva toccare l'altra ragazza sarebbe
stato riduttivo.
Haru dal canto suo, era pienamente consapevole di quanto il senso di
colpa dovuto al loro primo ed ultimo scontro tormentasse ancora i
pensieri della giovane assassina, e per questo aveva deciso di
procedere con cautela, un passo alla volta, nei suoi confronti. Di una
cosa era certa: Tokaku l'aveva protetta a costo della sua stessa vita
nei lunghi mesi in cui avevano frequentato insieme la Kurogumi e, se
pure non sarebbe mai stata in grado di ripagare il suo debito, pure
avrebbe fatto qualunque cosa per permettere alla ragazza di vivere,
finalmente, una vita felice. Sarebbe stata lei, Haru, a combattere
questa volta per costruire la felicità della sua protettrice.
E lo scoprire che l'altra non avesse mai sentito parlare del Tanabata,
né avesse in alcun modo avuto occasione di festeggiarlo, aveva causato
in lei un'ondata di dolore più intensa di quanto potesse aspettarsi.
"Non devi sentirti in colpa, Tokaku" mormorò affondando il naso nel
collo dell'altra ragazza. Adorava respirare il suo profumo: nonostante
l'assassina ripetesse spesso che quelli come lei non potevano puzzare
altro che di sangue, e di cadavere, Haru era sicura di non aver mai
sentito un odore simile sulla sua pelle. Ciò che avvertiva era
piuttosto il profumo del suo bagnoschiuma, un semplice sapone quasi
privo di aromi, come se Tokaku potesse veramente essere una persona da
essenze floreali o simili, ed un altro che non sapeva come definire.
Avrebbe quasi potuto affermare che Tokaku sapesse di… vento? Sapeva lei
stessa quanto fosse assurda la sua sensazione, ma se l'altra ragazza
aveva sempre detto di sentire sulla sua pelle l'odore del sole, perché
lei non avrebbe potuto dire lo stesso? E quale altro elemento naturale
avrebbe potuto associare alla velocità e all'eleganza con cui l'aveva
vista far roteare i suoi coltelli, impegnata nella danza mortale del
combattimento con le altre studentesse della Kurogumi? Per lei, la sua
protettrice avrebbe sempre portato con sé il profumo fresco e libero
delle tiepide giornate ventose di inizio primavera "Non è colpa tua se
fino a questo momento non hai mai potuto sperimentare queste cose"
"Perché, tu le hai mai sperimentate?"
Il tono di voce piatto avrebbe dovuto ferirla, o per lo meno farla
tentennare sulla risposta che sarebbe seguita. Ma tutto ciò ebbe solo
la conseguenza di farle desiderare di stringere ancora più forte tra le
braccia l'altra ragazza, e sussurrarle rassicurazioni all'orecchio.
Da quando erano andate via insieme dalla Myoujou, la maschera
inespressiva dell'altra aveva iniziato a creparsi sempre più spesso, e
aveva permesso finalmente a lei di scoprire dietro quella facciata di
freddezza e serietà la vera
Tokaku, la bambina che ancora fissava sperduta il corpo morente di sua
zia nel silenzio di un bosco nel mezzo del nulla, la persona che aveva
incespicato su una via che erano stati altri ad imporle senza
permetterle di elevare la minima protesta.
C'erano dei sentimenti dentro di lei, nonostante l'altra facesse di
tutto per negarlo, ed erano tanti e confusi. Perché, se pure entrambe
avevano visto tutte le persone intorno a loro morire l'una dopo
l'altra, il percorso che erano state costrette a seguire era stato
diametralmente opposto: Haru aveva vissuto grazie all'amore di quanti
si erano sacrificati per lei, Tokaku grazie alla sua assoluta mancanza.
Non c'erano dubbi che, ora che aveva potuto adagiarsi in una vita
tranquilla che non prevedesse più la necessità di uccidere e
combattere, tutti i dubbi ed i traumi dell'erede degli Azuma
stessero lentamente cominciando a emergere.
Ma di una cosa la giovane Ichinose era certa: un passo alla volta,
insieme avrebbero superato ogni cosa.
Avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per farlo.
E, il primo passo, sarebbe stato quello di far sperimentare alla
ragazza la semplicità di una festa come il Tanabata.
"E' vero, neppure io ho mai avuto modo di festeggiarlo. Ai tempi ero
troppo piccola per poter andare ad un Matsuri e dopo la morte della mia
famiglia… non ce n'è più stata l'occasione" il tono che le uscì forse
era un po' troppo amaro, perché sentì la schiena dell'altra ragazza
irrigidirsi di colpo.
"Ma non importa" continuò in fretta, prima che qualche parola di scusa
potesse interromperla "Questo significa che possiamo semplicemente
sperimentare insieme!"
"Haru…"
"E poi, ho sempre sognato" mormorò con un filo di voce, inclinando il
capo in modo che gli scomposti ciuffi di capelli rossi andassero a
coprire le sue guance improvvisamente scarlatte "Di poter guardare i
fuochi d'artificio insieme a Tokaku"
La stretta intorno al suo fianco fu il grazie silenzioso che l'altra
ragazza le rivolse.
Ora, doveva solo insegnarle tutto quello che sapeva sulla festività di
quel giorno.
Non avevano altro tempo da perdere.
La giornata era passata con la velocità di una treno in corsa: dopo
qualche minuto passato ciascuna persa nei propri pensieri, le due
ragazze si erano dirette l'una verso il bagno, per una doccia veloce,
ed una a preparare la colazione, che era trascorsa con le chiacchiere
inarrestabili di Haru che stava cercando, tra una forchettata e
l'altra, di raccontare alla coinquilina tutto quello che sapeva sul
Tanabata.
Così, a metà mattinata, insieme erano uscite per andare a cercare tutte
le cose che sarebbero loro servite per il Matsuri di quella sera: non
molto in verità, in quanto Tokaku si era assolutamente rifiutata di
indossare il benché minimo yukata, adducendo la scusa che con quella
roba addosso non sarebbe stata in grado di combattere in caso di
pericolo.
In compenso, Haru si era divertita a girare per i negozi in cerca di un
vestito per sé. In altre occasioni avrebbe provato vergogna nel farsi
aiutare ad indossarlo da qualcuna delle commesse, il senso di imbarazzo
dovuto alle sua cicatrici non sarebbe mai scomparso del tutto, ma la
vista delle facce con cui la sua compagna l'aveva accolta ogni volta
che usciva dal camerino, indossando un abito diverso, era stato un
ottimo incentivo. Perché, nonostante la fissasse con sguardo annoiato e
le mani testardamente affondate nelle tasche della giacca, era sicura
di aver visto quello che sembrava un leggero velo di rossore colorarle
le guance ogni volta che le aveva piroettato davanti dopo aver finito
di indossare tutti gli accessori.
Con un sogghigno che aveva dovuto faticare per trattenere, si era
cambiata nei suoi vecchi abiti ed erano uscite dal negozio, stringendo
possessivamente a sé la scatola in cui era contenuto il vestito: si era
fatta spiegare accuratamente come indossarlo dalle inservienti, e aveva
anche agito segretamente in modo che Tokaku non sapesse quale dei tanti
abiti aveva scelto. In effetti, si trattava di uno yukata che non aveva
neppure mostrato all'altra ragazza, ed il commento della giovane donna
che la stava aiutando a vestirsi su come avrebbe fatto colpo sulla sua
accompagnatrice, con un abito simile, era bastato a mandarle le guance
in fiamme.
In men che non si dica era giunto il tramonto, e le due avevano
iniziato a prepararsi per uscire nuovamente e immergersi nell'atmosfera
festosa delle strade. Ad onor del vero, Tokaku non aveva avuto
necessità di grandi preparazioni, a parte nascondere un paio di
coltelli appena affilati sotto la cintura e domandarsi se fosse il caso
di portarsi dietro anche la pistola, almeno fino a quando lo sguardo
esasperato della coinquilina non l'aveva spinta a decidere altrimenti.
Forse in fondo avrebbe dovuto smettere di essere così paranoica, ma le
abitudini erano dure a morire. Ed un coltello poteva sempre tornare
utile, anche se non usato contro altri assassini.
Haru invece, era sparita mezz'ora prima in camera, chiudendola poco
elegantemente fuori e pregandola di non sbirciare, cosa che le aveva
causato un sussulto di orgoglio: non era uno di quei perversi
adolescenti guardoni, e che diamine, perciò era proprio il caso di
trattarla come tale?
Ma, quando la porta finalmente si aprì ed Haru fece il suo ingresso in
salotto, il perché di quella attesa assunse tutt'altro senso: quella
sera sull'ascensore, mentre lentamente si dirigevano verso il tea party
che avrebbe cambiato tutto, si era ritrovata incapace di staccare lo
sguardo dalla figura della ragazza dai capelli rossi, per poi cercare
di nascondere il proprio imbarazzo tornando a fissare il panorama oltre
i vetri quando era stata colta sul fatto. Ora, invece, i suoi occhi
sembravano impossibilitati a rinunciare alla vista che si poneva loro
davanti, e fu solo quanto la risata cristallina e divertita di Haru
ruppe il silenzio, che un imbarazzo feroce la costrinse a dirigersi a
passo di marcia verso il bagno, borbottando a mezza voce la prima scusa
che le venne in mente. Quando, finalmente di nuovo padrona delle sue
facoltà, e parecchi spruzzi di acqua gelata dopo, si decise a tornare
nel soggiorno, non poté comunque nuovamente impedire alla propria gola
prosciugarsi all'istante: era certa di non aver visto Haru con
quell'abito, quella mattina, o probabilmente le avrebbe chiesto di non
comprarlo. Per qualche motivo, l'idea della ragazza intenta a girare
per la città con quel vestito le faceva sudare le mani e venir voglia
di correre nel bosco più vicino per sfogare quella nuova sensazione su
tutti gli alberi che i suoi coltelli sarebbero stati in grado di
colpire. Ma, più ancora del vestito, era l'acconciatura della ragazza a
farle avvertire un senso di costrizione alla bocca dello stomaco: da
che si erano conosciute, non l'aveva mai vista con i capelli legati in
un modo che non fossero i due scompigliati codini laterali, con cui
sembrava persino dormire e farsi la doccia. In quel momento invece,
aveva i capelli raccolti con un semplice kanzashi che le bloccava uno
stretto chignon sul retro della nuca, mentre le ciocche che solitamente
le cadevano scomposte ai lati del viso erano state fatte passare
ordinatamente dietro le orecchie.
"Allora, come sto?"
Fu solo grazie alle sue orecchie allenate che riuscì a percepire la
traccia di timidezza che si nascondeva dietro quelle parole, come se la
sua interlocutrice fosse incerta del suo aspetto. Senza risponderle, si
limitò a far nuovamente scorrere lo sguardo dall'alto in basso lungo la
sua intera figura: quella persona era Haru, senza alcun dubbio, eppure
al tempo stesso non lo era, e la cosa le stava causando una sensazione
che non sapeva definire ma che in ogni caso non poteva catalogare se
non come spiacevole. Con uno scatto quasi invisibile del polso, le
strappò il fermaglio dai capelli, osservandoli tornare al loro
disordinato stato naturale
"Così è molto meglio" sentenziò, bloccando sul nascere la replica
piccata che già sentiva formarsi nella testa della coinquilina.
Così Haru era Haru. E basta. Non aveva bisogno di fronzoli od altro per
apparire qualcosa di diverso da ciò che era.
D'altro canto, la ragazza dai capelli rossi era rimasta assolutamente
stupida dal comportamento della sua guardiana: per un attimo, prima che
i suoi capelli tornassero liberi, le era sembrato di vedere quasi una
scintilla di rabbia negli occhi color ghiaccio di Tokaku, e la cosa
l'aveva non spaventata, ma lasciata comunque senza parole. Non aveva
mai visto la sua protettrice comportarsi in un modo simile.
Ma, se a lei piaceva di più vederla con i capelli sciolti, allora li
avrebbe tenuti così. In fondo, il primo scopo di quella serata era
rendere felice Tokaku, quindi lei si sarebbe adeguata ad ogni sua
scelta. E poi, ad onor del vero, non aveva mai tenuto i capelli
completamente slegati, quindi si trattava in ogni caso di un nuovo tipo
di acconciatura no?
La sua unica risposta, quindi, fu uno sbuffo fintamente rassegnato
"Tokaku, le brave ragazze non si comportano così" che l'altra, orecchio
da mercante, parve volutamente ignorare.
Al che, cercando di trattenere senza successo una risatina, Haru
afferrò il braccio della compagna per trascinarla nel caos delle strade
illuminate a festa.
In un primo momento, camminare in mezzo alla folla non era stato
facile: ogni volta che una persona si scontrava con loro, Tokaku si
irrigidiva e faceva gesto di portare la mano al retro della giacca, e
solo una stretta più intensa ed una parola di rimprovero sussurrata a
pochi centimetri dal suo orecchio bastavano a tranquillizzarla. Ma in
fondo l'altra poteva capire che, in quella massa di persone, per la
giovane assassina ogni persona, anche la più innocente, potesse
rappresentare un potenziale pericolo.
E sapeva anche che, tutta quella tensione, era dovuta solo al costante
desiderio di tenere lei al sicuro.
Quel pensiero fece scoppiare qualcosa dentro il suo petto, qualcosa che
le causò come un senso di vertigini, che la costrinse ad appoggiare la
testa sulla spalla della ragazza al suo fianco. Alla domanda silenziosa
nascosta nell'occhiata che ricevette, rispose con il suo più luminoso
sorriso. Tokaku sembrò decidersi per lasciar cadere la cosa, ma era
certa di aver visto i suoi affilati occhi blu girarsi nella sua
direzione ogni volta che lei era distratta da qualche banchetto
particolarmente appariscente.
Raggiunta finalmente la zona degli stand, Tokaku si limitò a farsi
trascinare da una parte all'altra con un'espressione di sufficienza sul
viso, a contrapporsi a quella assolutamente splendente della ragazza
dai capelli rossi. La loro prima fermata fu lo stand della pesca dei
pesci rossi: sorridendo con la felicità di una bambina, Haru si immerse
nella sfida con tutta la determinazione di cui era capace, sospirando
affranta ogni volta che il cerchio di carta si rompeva prima di poter
raggiungere la preda. Dopo un paio di tentativi, Tokaku fu certa di
aver compreso cosa ci fosse di sbagliato nei suoi movimenti: immergendo
troppo presto e troppo violentemente il retino nell'acqua, quest'ultimo
finiva per rompersi prima ancora di aver potuto assolvere il suo
compito.
Haru quasi lasciò cadere il nuovo retino nella vasca per lo stupore,
quando sentì due braccia avvolgerla da dietro e delle dita chiudersi
delicatamente ma con fermezza sopra le sue, che ancora stringevano il
bastoncino di legno.
"Fa così" le sussurrò una voce nel suo orecchio, e combattendo l'ondata
di rossore che minacciava di ricoprirle le guance, lasciò che l'altra
ragazza guidasse i suoi movimenti, fino a portare la sottile struttura
di carta ad un soffio dalla superficie dell'acqua.
"Non ancora, aspetta che sia più vicino"
Era impossibile mantenere la calma, quando quella voce leggermente roca
le mormorava consigli ad un soffio dal suo collo, ma quando il conto
alla rovescia iniziò, riuscì a recuperare abbastanza lucidità da
seguire i movimenti che Tokaku le stava suggerendo e, con uno scatto
del polso, riuscì a far saltare il pesciolino nella ciotola che teneva
nella mano sinistra.
Osservando con stupore il piccolo animare nuotare ora nel contenitore
sferico, si girò per fissare negli occhi la persona ancora accucciata
alle sue spalle: gli occhi azzurri, che solitamente sembravano scrutare
ogni cosa con freddezza, le restituirono lo sguardo quasi divertito e
perché no, forse persino orgoglioso. Senza pensare, Haru le buttò le
braccia al collo quasi spedendo entrambe per terra, e fu solo grazie ai
riflessi allenati dell'altra che la ciotola non si rovesciò insieme al
suo piccolo abitante.
Mormorando un paio di scuse, si risollevarono aiutandosi a vicenda e
restituirono il tutto al proprietario, con la scusa che non avrebbero
saputo dove tenere l'animale: in realtà, anche se nessuna delle due lo
aveva detto ad altra voce, l'idea di tenere qualcosa, sia pure di così
piccolo, confinato in un sacchetto di plastica, da solo, faceva nascere
in loro un senso di nausea.
La libertà, entrambe l'avevano imparato a loro spese, era qualcosa che
non andava tolta a nessuno.
Per la successiva ora, girarono per i banchetti di cibo, e anche se
Tokaku parve vagamente delusa dal fatto che non ci fosse nessuno stand
di curry, cosa che non mancò di scatenare un attacco di risa nella sua
compagna, riuscirono comunque a consumare una cena piacevole.
Mentre si avviavano verso le zone meno affollate della fiera, lo
sguardo della giovane assassina parve cadere per un attimo su un
venditore di maschere, mentre il ricordo di un altro festival e di una
Haru che le sorrideva indossando un cerchietto con due orecchie da
gatto in testa, tornava a fare capolino nei suoi pensieri. Il Venus
festival era certamente stato qualcosa di grandioso, ma con una scuola
grande come la Myoujou non avrebbe potuto aspettarsi altrimenti, anche
se gli eventi che aveva portato con sé non erano stati fra i più
piacevoli. Chissà se Namatame e Kirigaya ora stavano bene… l'ultima
volta che le aveva viste, quando erano andate a consegnarle i diplomi,
oltre allo stupore di vedere entrambe le ragazze ancora vive, le era
sembrato che le cose tra loro fossero state un poco tese. Ma forse, con
tutto quello che era accaduto riguardo all'identità di Angel Trumpet,
sarebbe stato piuttosto normale aspettarsi una situazione simile.
Notando lo sguardo improvvisamente distante dell'altra ragazza, Haru
sentì come un uncino piantarsi nel petto: sicuramente Tokaku era di
nuovo persa in mezzo a ricordi spiacevoli, e l'idea che per quella sera
la compagna non potesse godersi appieno il suo attimo di libertà per
colpa del suo passato, la spinse a prendere una nuova decisione.
Le ci volle qualche secondo, e il fatto di non sentire più le sue
braccia strette intorno alla manica della sua giacca, per rendersi
conto che la ragazza dai capelli rossi si era fermata un paio di passi
indietro, e la stava guardando con l'espressione più indecifrabile che
le avesse mai visto negli occhi.
Prima ancora di aver potuto sbattere le palpebre però, la giovane aveva
già di nuovo accorciato le distanze tra loro e anzi, la stava fissando
negli occhi ad appena un palmo dal suo naso: ora che era più vicina, le
sembrava quasi di vedere un fuoco carico di determinazione bruciare
dietro le sue iridi ramate. O forse, era solo il riflesso delle luci
della festa.
"Tokaku" esclamò all'improvviso la ragazza, cogliendola vagamente di
sorpresa "Verresti con me in un posto?"
Annuendo con un cenno del capo, la giovane assassina si limitò a
seguire la sua protetta, per un attimo meravigliandosi di come l'altra
stesse camminando un passo davanti a lei, e non invece al suo fianco,
facendo di tutto per cercare di prenderla di nuovo a braccetto. Era
passato così tanto tempo, dall'ultima volta in cui era successo, che il
senso di mancanza le risultava quasi sgradevole.
Haru d'altro canto, sembrava quasi essere divorata dalla fretta, mentre
la guidava in una zona meno illuminata lungo l'argine del fiume, fino a
che non giunsero in una zona apparentemente prima di occupanti. Solo a
quel punto, la ragazza si fermò, girandosi finalmente a guardarla.
"Da qui potremo guardare tranquillamente i fuochi. E' ancora un po'
presto, ma avevo la sensazione che iniziassi a trovarti a disagio in
mezzo alla gente, e ho pensato che volessi andare in qualche luogo meno
affollato"
Anche se non poteva vederla, a causa della scarsa illuminazione, Tokaku
non riuscì a non sentirsi in imbarazzo per il leggero rossore che le
colorò le guance, di fronte a quella disinteressata dimostrazione di
preoccupazione nei suoi confronti. Non era abituata ad essere lei
l'oggetto delle cure degli altri.
"Oh, guarda quante stelle, è bellissimo!"
La voce ammirata di Ichinose la strappò per l'ennesima volta al flusso
dei suoi pensieri, mentre anche lei portava gli occhi a sollevarsi
verso il cielo: in effetti, era uno spettacolo incredibile da vedere,
con la Via Lattea chiaramente distinguibile sullo sfondo quasi nero
della volta celeste.
"Meno male, quindi questa notte Orihime-sama e Hikoboshi-sama potranno
riabbracciarsi" sospirò sollevata la ragazza dai capelli rossi.
"Chi, scusa?"
Le parve di vedere un sorriso amaro fare capolino sulle labbra
dell'altra, o forse era solo una sua impressione.
"Orihime-sama e Hikoboshi-sama, è a loro che è dedicata la leggenda di
Tanabata: Orihime era una dea, figlia del Re del Cielo, che si innamorò
del pastore Hikoboshi. I due si sposarono e vissero felici per qualche
tempo, ma il loro amore li portò a dimenticare i loro doveri, ed il
padre di Orihime li separò ponendoli sulle due rive opposte di un fiume
di stelle"
Lo sguardo di Haru sembrava essere perso nei ricordi di tempi remoti,
mentre i suoi occhi fissavano i riflessi delle stelle che baluginavano
sulle acque calme del fiume.
D'altro canto, Tokaku trovava che in quella storia ci fosse qualcosa di
sbagliato.
"Una storia tragica. Perché la gente dovrebbe festeggiare una cosa
simile?"
Il sorriso dell'altra ragazza sembrò allargarsi leggermente, pur senza
perdere del tutto la traccia di amarezza che, ora era certa, la
accompagnava fin da quando erano giunte in quel luogo.
"La storia non finisce qui, aspetta. Perché il Re del Cielo infatti,
impietosito dalle loro lacrime e dal loro dolore, decise di concedere
loro una sola notte all'anno per potersi rincontrare, una sola notte in
cui un ponte sarebbe sorto dal fiume per permettere loro di
riabbracciarsi, prima di dover affrontare un altro anno separati. Per
questo Orihime e Hikoboshi sono anche chiamati gli sfortunati amanti.
Una soluzione decisamente migliore, anche se non… meno definitiva"
Fu come se le tessere di un puzzle si fossero improvvisamente
incastrate tutte al posto giusto: procedendo lentamente, le mani
affondate nelle tasche, la ragazza dai capelli blu si avvicinò fino al
punto in cui l'altra se ne stava ancora in piedi, lo sguardo perso a
rimirare le luci di fronte a sé. Con lentezza, ma sorprendendosi lei
stessa per l'assenza della minima traccia di esitazione nei suoi gesti,
fece passare un braccio intorno alle spalle della giovane dai capelli
rossi, attirandola poi con un movimento improvviso verso di sé. Haru si
lasciò scappare un piccolo urletto di sorpresa, quando si ritrovò
sbilanciata di lato, ma invece di cadere a terra scoprì di avere la
testa appoggiata ad un supporto che ormai, dopo mesi, aveva imparato a
conoscere bene.
"Mi dispiace Haru, che il mio comportamento possa averti causato dei
dubbi"
La voce di Tokaku, ad un soffio dal suo orecchio, ebbe il potere di
farle scendere un brivido lungo la schiena.
"Non hai fatto nulla per spingermi a dubitare" mormorò di rimando,
affondando il viso nella stoffa ruvida della fronte della sua giacca
"Mi dispiace di averti fatto credere che… potessi avere dei dubbi su di
te, perché non ne ho mai avuti. Ma non mi piace vederti con quello
sguardo distante, quando sei persa nei tuoi pensieri. Non devi più
lasciarti condizionare dal passato, questa è la vita che ti sei scelta
tu, di tua volontà. Senza sensi di colpa o illusioni a spingerti a
farlo"
"Senza Api Regine e famiglie dotate di poteri magici nel mezzo, vorrai
dire"
Le parve di sentire una risata leggera scuotere il petto dell'altra
ragazza, mentre la sentiva appoggiare il mento sulla cima dei suoi
capelli con un sospiro di contentezza, ed un eguale sorriso faceva
capolino sulle sue labbra.
Ma, il pensiero di tutto ciò che insieme avevano affrontato durante i
mesi della Kurogumi, fece sbocciare in lei una domanda che fino a quel
momento, per un motivo o per un altro, aveva sempre preferito tenere
per sé.
"Tokaku non te l'ho mai chiesto ma… che cosa hai chiesto a Yuri-san,
come premio per aver vinto la Kurogumi?"
Il mormorio di risposta quasi si perse nel sibilo del primo fuoco
d'artificio che partiva verso il cielo, illuminando per un attimo le
gote incredibilmente rosse di una Ichinose Haru rimasta senza parole.
Staccatasi dall'abbraccio, si limitò a sollevare lo sguardo verso il
viso dell'altra ragazza, sentendo il cuore fluttuarle nel petto di
fronte alla gamma incredibile di emozioni che sembravano essere state
liberate tutte insieme negli occhi della sua protettrice.
Sentendo le lacrime iniziare già a rigarle le guance, si lanciò fra le
sue braccia come la notte in cui la ragazza era giunta in suo soccorso
durante l'attacco da parte di Isuke e Shinya, in cui aveva pensato che
l'assassina dai capelli rosa l'avesse veramente uccisa.
Tokaku si era aspettata qualcosa di simile, ed aveva preparato le gambe
a ricevere il contraccolpo di quando si sarebbero inevitabilmente
scontrate, ma la sua concentrazione venne meno quando sentì qualcosa di
incredibilmente morbido posarsi sulle sue labbra. La sensazione
famigliare, sfumata per molto tempo nella sonnolenza dovuta alla
carenza di ossigeno, sul fondo di una piscina a molti chilometri da lì,
la portò ad agire d'istinto, facendo passare le braccia intorno ai
fianchi di Haru mentre la ragazza, senza staccarsi di un millimetro, le
lanciava le braccia intorno al collo e premeva, quasi con febbrile
disperazione, il corpo contro il suo. Quando finalmente il bacio finì,
entrambe si ritrovarono a guardarsi negli occhi con due egualmente
intensi rossori dipinti sul viso, ma neppure per un attimo ebbero
l'idea di interrompere il contatto fra loro.
Ora che poteva veramente guardarla, Haru riusciva a riconoscere nello
sguardo di Tokaku ogni singola emozione che si agitava al suo interno,
senza l'ingombro di alcuna barriera che glielo impedisse. E sentì il
fiato mozzarsi in gola, quando capì finalmente cosa fosse quella
scintilla che in particolari momenti sembrava fare capolino negli occhi
azzurri della compagna.
Gonfiando le guance per l'imbarazzo, affondò il viso nel petto
dell'altra ragazza, passando nel frattempo distrattamente le dita nei
corti ciuffi blu che coprivano la sua nuca.
"Tokaku è crudele quando fa così! Se deve dire qualcosa, lo dica e
basta invece di far penare così tanto Haru per cercare di capirlo da
sola"
La risata finalmente spontanea di Tokaku fu contagiosa, portandola ad
affondare ancora di più il viso nella giacca dell'altra per cercare di
mascherare il suo tentativo, inutile, di non imitarla.
Sentendo una mano accarezzarle delicatamente i capelli, la ragazza si
ritrovò a sollevare nuovamente lo sguardo, venendo zittita questa volta
da un paio di labbra, le stesse che aveva assaggiato solo poco prima,
che si adagiarono perfettamente sopra le sue.
Qualche secondo dopo, si ritrovò a boccheggiare senza fiato, le guance
rosse come pomodori mentre fissava lo sguardo stranamente soddisfatto della sua compagna con
una smorfia di disappunto.
"Stai iniziando a giocare sporco, Tokaku"
Lo scoppio di altri fuochi d'artificio coprì la risposta che ne seguì,
ma ad Haru a quel punto non avrebbe potuto importarne più di tanto.
Non poteva sapere che, in quella serata, l'ultimo pensiero di Tokaku fu
un apprezzamento rivolto alla festività di Tanabata.
"Tokaku, che cosa hai chiesto a
Yuri-san come premio per aver vinto la Kurogumi?"
"Di poter stare insieme a te per
sempre"
NOTE:
Uff, che fatica! Ce l'ho
fatta al pelo pelo! Ma si sà, che se non faccio le cose all'ultimo non
sono contenta.
Questa storia, è stata un
vero casino: prima comica, poi introspettiva, poi fluff ed infine
romantica.
Inizialmente non doveva
andare così ma alla fine... non potevo non dare a quelle due un finale
felice!
Avrete notato parecchie
cose strane nel comportamento di queste due, e forse vi potrebbero
sembrare molto OCC ma fermatevi un attimo a riflettere: Haru potrebbe
apparire troppo intelligente (?) per alcuni, ma questa è la mia visione
del personaggio. Nel manga, ma anche guardando bene l'anime, si capisce
che è una persona capace di capire al volo le cose, soprattutto i
sentimenti delle persone. E sa cosa voglia dire essere amati, a
differenza di Tokaku che ha vissuto lontana dalle uniche due persone
che potessero mostrarle affetto sincero (sua madre e sua zia). Per anni
ha mostrato una facciata dura, da vera kuudere, ma più la serie andava
avanti più si notava come sotto la maschera si nascondesse una persona
capace di provare emozioni e soprattutto sentimenti. In questa storia
potrebbe sembrare un po'impacciata ma ehi! non è che abbia mai avuto
molte esperienze, in effetti mi ha meravigliato persino vedere la
risposta che ha dato ad Haruki nel capitolo 17. Credevo che
semplicemente non riuscisse a concepire l'amore. In ogni caso, all'alba
dell'episodio 12, l'unica ad aver detto chiaramente "Ti amo", pur se
solo nella sua testa, è stata Haru. Quindi ho voluto che fosse lei a
"dettare" la velocità e le norme del loro rapporto. Anche se alla fine,
il buon vecchio istinto, in Tokaku, ha avuto la meglio XD
Brava ragazza, prenditi
quello che desideri e fregatene dei rompiscatole che ti hanno rovinato
la vita.
Mi dispiace per i fan di
Otoya, è un personaggio che apprezzo tantissimo, ma non posso negare di
aver sghignazzato scrivendo la prima parte della storia.
E mi dispiace per voi
poveri lettori, ma appena finiti gli esami inizierò a pubblicare
parecchie altre cose su Akuma no Riddle!
Lettori avvisati, mezzo
salvati!
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