Il Giocattolaio
(chiamato anche Mandarino o più precisamente Guardiano di Cristallo o
Guardiano dei Sogni) è uno dei nemici più antichi del Dottore, se non
il più antico in assoluto. Compare per la prima volta nel serial "The
Celestial Toymaker" della terza stagione, ma il primo incontro tra lui
e il Dottore è narrato nel romanzo Divided
Loyalties.
Il background di Dorium è una mia pura speculazione, dettata
soprattutto dalla sua somiglianza con Varys di Game of Thrones :P
Lo strappò brutalmente al sonno e ai ricordi
del cinquantaduesimo secolo e alla quiete della TARDIS, risvegliandolo
con un singolo e preciso schioccare di dita nel suo regno folle.
La prima sensazione che Dorium ne ricavò fu
di estrema vertigine. Per la prima volta da tanto tempo era fuori dalla
sua scatola, e sembrava fluttuare nel vuoto. Stava a più di cinque
piedi da terra e non era appoggiato da nessuna parte, e ciò gli sembrò
tanto strano e inquietante da indurlo a guardare giù.
E vide.
Stava direttamente sul pavimento a
scacchiera, su una casella bianca, per mezzo delle proprie gambe, le
gambe flaccide ma ancora in buono stato di cui era stato privato a
Demons Run insieme al resto di sé.
Un tizio dall’aria solo in apparenza
rassicurante, dai tratti gentili ma con occhi infinitamente più antichi
di quelli del Dottore, si profuse in un lieve inchino beffardo.
- Signor Maldovar, benvenuto nella mia
modesta dimora.
Non c’era nulla di modesto in quel paesaggio
e nulla che assomigliasse ad una casa. Montagne di carte da gioco e
fiumi di palline numerate, sotto un cielo fatto a scalini capovolti,
circondavano l’immensa scacchiera e il labirinto che si apriva, sghembo
e minaccioso, poco distante. Uno schermo fluttuava in aria sopra di
esso, recando immagini di un mondo del tutto diverso…
- Che razza di scherzo terribile sarebbe,
questo? Non so chi lei sia, ma non mi piace essere preso in giro.
- Sono il miglior amico che potrai trovare.
Possiamo darci del tu, non è vero? Dopotutto ti ho fatto un regalo
piuttosto cospicuo. Avanti! Occorre riabituarsi, naturalmente. Hai
tutto il tempo… un tempo infinito, se sarai collaborativo.
Riabituarsi.
Iniziò a sentire di nuovo quel corpo, una
parte alla volta, e la sua mente lo riconobbe come familiare ed amato,
per quanto non l’avesse mai particolarmente tenuto da conto prima della
battaglia.
Mani che si aprono e si chiudono. Cuore, tum,
tum, lo sentiva sotto il tessuto prezioso e trapunto d’oro di una
tunica color corallo. Le ginocchia che stanno per cedere e per magia si
ricordano come stare su. Ossa, carne e grasso, una massa pesante e
sgraziata, ma più che mai concreta e riaccolta con uno stupore per
nulla dispiaciuto.
- Non ricordo di aver mai chiesto niente di
simile. Non so nemmeno chi tu sia… come credi che possa fidarmi? - Il
brillio dei suoi occhi contraddiva le sue parole.
- Lo chiedi ogni giorno, invece. Quel
cervellino rumina. Lo chiedi ad ognuno degli dèi di cui conosci il
nome. Ogni volta che vedi il Dottore e la sua amichetta affaccendarsi
intorno alla console come in una danza. Quando sai che stanno provando
dei vestiti. Provano spesso dei vestiti, alcuni vecchi di duemila anni,
e ridono. E mentre ridono, alzano e abbassano le spalle. E corrono, li
vedi quando corrono? Li senti quando si accoppiano, in camera loro? O
forse loro dicono fare l’amore. È la prima stanza
a destra, appena imboccato il corridoio, non è vero? Si deve sentire
molto bene.
Fu questo l’errore nel piano del Giocattolaio.
Perché sì, era tutto vero, tutto, dalla prima
alla penultima parola.
Era vero che li invidiava.
Che talvolta sprofondava
nell’autocommiserazione, soprattutto se veniva dimenticato per un mese
nel deposito bagagli di una stazione di teletrasporto.
E sì, se ciò che stava vivendo fosse stato
davvero un miracolo benigno, Dorium l’avrebbe accolto con gratitudine.
Ma non era un ingenuo. Non lo era mai stato,
e per sua fortuna; sin da quando i suoi genitori l’avevano venduto ad
una congrega di Neo-Epicurei Venusiani. Ricordava ancora l’odore della
rozza anestesia e la ninna nanna che echeggiava tra le pareti del
tempio:
Klokleda partha menin klatch, haroon haroon haroon…
Era cresciuto in fretta e aveva imparato a
ingannare così com’era stato ingannato, a rubare così come gli era
stata rubata la possibilità di imparare ad amare, a dare un prezzo ad
ogni cosa così come lui stesso ne aveva avuto uno, forse poco più di
una manciata di crediti, troppo poco per quella cicatrice che bruciava
e pulsava, per quelle parole aliene che continuavano a rimbalzare nei
suoi incubi, troppo poco...
Non era un ingenuo e non avrebbe accettato un
dono da uno sconosciuto, soprattutto se dimostrava di non conoscerlo
affatto. Gli faceva capire di aver letto nei suoi pensieri, tra i suoi
rimpianti, eppure no, aveva commesso un errore grossolano.
Perché era vero che li invidiava.
Ma non per quella cosa.
No, no, non l’aveva mai rimpianto.
E gli faceva orrore possedere quella parte
del corpo, dopo decenni e decenni di oblio. Di sentirla. Di provare ciò
che non aveva mai provato e tutto questo mentre era prigioniero di un
folle.
Soprattutto perché quello schermo che gli
stava sopra, così inclinato e immenso, ecco, ciò che mostrava, ora
capiva cosa fosse, e non voleva guardare, perché era sbagliato, era
un prato sotto la luce di una strana luna, o forse era una
stella, molto grande però, molto vicina e molto grande, e quelle due
figure nude e addormentate erano loro, stava guardando dentro di lei
ed era qualcosa di così bello che dovette
costringersi a distogliere gli occhi.
- Ora basta. Dimmi che cosa vuoi.
- Che cosa voglio in cambio?
Soltanto il piacere della tua compagnia, dopo che avrai convinto il
Dottore a rinunciare ad un certo viaggetto verso l’ignoto. - Il suo
ospite non aveva distolto lo sguardo. Continuava a godersi la scena ed
era sbagliato, oh, tanto sbagliato...
Tentò di attirare la sua attenzione,
distrarre anche lui da ciò che considerava sacro. - Non vuoi… non
intendi fargli del male?
- Non è mai stata mia intenzione, no. Sarebbe
la mia ultima risorsa, e non esiterò a sfruttarla se lo renderai
necessario rifiutandoti. Ma no, non ce ne sarà bisogno. Un giorno il
Dottore verrà da me, solo e senza scopo… sarà un prezioso guscio vuoto
da riempire, una marionetta sotto il mio comando, oh! Saremo una cosa
sola, avremo un potere infinito… con il permesso del Guardiano Nero,
naturalmente. Oppure no? Forse potrò infischiarmene anche di lui.
Nessuno potrà rovinarmi il divertimento, allora… in nessun universo. Ma
questo non deve accadere ora, non necessariamente, vedi… potrei
lasciarlo persino vivere in pace fino alla prossima rigenerazione, se
seguirai le mie semplici istruzioni.
Dorium si trattenne dal mostrare il disgusto
che gli saliva dallo stomaco - perché sì, ora aveva di nuovo uno
stomaco, già. - Cosa dovrei fare per te?
- Oh, ma certo. Nulla di più semplice. Dovrai
convincerlo, e su questo ti lascio carta bianca, che il ritorno dei
Signori del Tempo è oltremodo una cattiva idea. Una pessima idea.
Un’idea che fa inorridire! - Aveva abbandonato il
tono mellifluo e divertito per mostrare, anche se per un istante
brevissimo, la sua reale e mostruosa natura. Si ricompose, poggiandogli
le mani sulle spalle con fare amichevole. Per quanto lo sconosciuto gli
facesse ribrezzo, Dorium non si ritrasse.
- E poi tornerai da me, se lo desideri, in
modo definitivo. Ma non puoi non desiderarlo, certo, perché soltanto
qui sarai... intero.
Oh, si trattava di questo, naturalmente: un
ricatto, uno schifoso ricatto. E per avere che cosa? Una sofferenza in
più? La coscienza ancora più sporca in una falsa realtà?
- No. - Chiuse gli occhi, e seppe che nel
momento in cui lo faceva era di nuovo nella TARDIS. Li riaprì e ancora
quella messinscena illusoria, le caselle del pavimento, il labirinto,
lo schermo indecente che stuprava l’intimità di Honey
(non doveva guardare non doveva sentire non
doveva essere)
Non era un miracolo, era una tortura.
- Non lo farò. - Scandì ogni parola con la
forza di una convinzione ormai indistruttibile. - Io non tradirò il
Dottore! Gallifrey tornerà e tu non potrai impedirlo!
Un terremoto scosse il pavimento e sottili
crepe si aprirono sulla sua superficie, ma il Mandarino non si agitò
più di tanto, pur facendo un passo indietro. Aveva un’aria vagamente
delusa, non certo sconfitta.
- D’accordo, non c’è ragione di scaldarsi
tanto, amico mio, è solo un gioco. Questa era solo una delle molte
opzioni del gioco, in realtà. Visto che non mi lasci scelta, torna pure
a goderti il tuo panorama ristretto e a dondolare come Humpty Dumpty
sul muretto, per quel poco che avrete ancora da vivere. Oh, sì, perché
prima ti lascerò ancora un piccolo omaggio, dritto in quel cervellino
moscio. Un regalo per tutti voi, con i migliori auguri degli Eterni...
Una quieta risatina, e poi il dolore -
potente, rosso fuoco, rosso come un urlo disperato.
- Sei sveglio? - Honey afferrò il braccio del
Dottore, il respiro affannato e il cuore che batteva all’impazzata.
- Ma certo. Che succede?
Il Dottore dormiva raramente, e ancor meno da
quando divideva il letto con la sua donna. Sarebbe stato un vero spreco
restare con gli occhi chiusi di fianco a tanta indifesa bellezza, così
come sarebbe stato stupido vagare per i corridoi della TARDIS
aggiustando qualche circuito, consultando mappe o codici o armeggiando
con le sue cianfrusaglie in uno dei magazzini, com’era solito fare
quando viaggiava solo o con semplici compagni di avventure.
- Qualcuno ci spiava. Qualcuno frugava nel
giardino, era dappertutto, era un fantasma, era davvero ovunque… ti
prego, dimmi che eri tu. Dimmi che sei entrato a guardarci.
- Era solo un sogno, Honey. Mi dispiace,
forse ti avrebbe tranquillizzata sapere che fossi io, ma no. Non ho mai
provato a entrare. Non desidero rischiare di sciupare la magia di ciò
che vi unisce. Ti guardo mentre dormi, sì, ma penetrare la vostra
mente? Mai.
Davvero, lui sapeva a malapena come fosse
fatto il mondo interiore di Honey. Sapeva dei libri, che erano tanti e
stampati fitti fitti ma pieni di illustrazioni, che contenevano persino
ciò che lui stesso non conosceva e non avrebbe mai voluto conoscere…
sapeva che era un luogo intimo e bello e sicuro in cui potevano far
apparire virtualmente tutto ciò che desideravano, e in esso Clara era
ancora Clara, bruna e deliziosa, e Ada era ancora Ada, sottile e
appassionata.
Sapeva dei quadri, dei fiori, delle sculture
immaginate che prendevano forma dai pensieri d’amore di entrambe, ma
non li aveva mai visti.
Non aveva idea della stella solitaria che
brillava in quel cielo, custode di un messaggio che nessuna delle due
poteva aprire. Né di ciò che le scrutava nell’ombra.
Honey si appoggiò a lui, alzando il volto a
guardarlo.
Le sue iridi chiare brillavano nella penombra
della stanza, colme d’amore. Erano quanto di più diverso da quella
presenza oscura e sfuggente che aveva sentito dentro di sé, e
ovviamente gli credette.
- Come diceva il poeta… “Donna, mistero senza
fine bello” - Lo bisbigliò in italiano, ma con il suo meraviglioso
accento scozzese.
In un contesto più piacevole, Ada e Clara si
sarebbero lanciate a gara in un tentativo di traduzione, ma la paura
impediva loro di pensare. - Non era solo un sogno.
Il Dottore sospirò, mentre un dubbio planava
tra i suoi pensieri. Mosse la mano ad accarezzarle i capelli, cercando
forse un granello di polline alieno che potesse aver causato tanto
spavento, ma già intuiva che non era quello il caso.
Honey non era più soltanto il sostegno fisico
di due anime. Non era più soltanto l’oggetto dei suoi desideri e dei
suoi più teneri sentimenti. Era lo scrigno di una nuova, preziosa vita.
Era davvero in grado di proteggerli, tutti e tre? Per la prima volta,
da quando avevano lasciato Tegan, iniziò a rendersi conto di essere
stato imprudente e forse anche irresponsabile. Ma come rinunciare a
quella speranza? Come pensare che non fosse la gioia più grande che gli
fosse mai capitata in duemila anni? Ma forse… forse doveva portarla
sulla Terra o in qualche altro posto sicuro, forse dovevano ripensare
tutta la situazione e all’improvviso Gallifrey non gli sembrò più una
priorità, tutto il suo mondo era lei e quel miracolo che portava in sé
e no, non c’era nulla di più importante...
Fu in quel momento che udirono le grida
provenire dalla stanza della console.
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