PROLOGO
▬
C A P I T O
L O U
N I C O
▬
“ Lui voleva redimerlo
Lei affogava con lui nell'abisso „
{ E che nessuno si
permetta di chiamarmi eroe
L'ho fatto
per motivi solamente miei
Sono troppo
diverso dai vostri eroi
L'ho fatto
per me, non per voi }
L’eroe –
Mercanti di Liquori
C’era
stato un tempo, disperso nelle onde del passato bruciato nella foga
della giovinezza, nella quale Loki ricordava di essere stato quasi
sulla stessa linea d’onda di moralità della
maggioranza di Asgard. Era sepolto a fondo, una concordanza dimenticata
presto, cancellata rapidamente dall’evidenza di
ciò che la sua natura era a dispetto di qualsiasi
avvenimento – non
era stata la realtà attorno a sé ad averlo reso
il dio degli inganni, era ciò che era ad aver plasmato gli
accadimenti. Mai avrebbe permesso che qualcosa –
o qualcuno – lo influenzasse. Per questo la parte ancora
intatta da quel fuoco nero di rancore e insoddisfazione,
l’aveva regalata all’unica persona che mai lo
avrebbe desiderato diverso dalla propria attitudine – la sola
che lo aveva amato fino all’ultima fibra nonostante le mani
sporche di sangue, nonostante
l’odore di morte attaccato alle sue vesti, nonostante lo
sguardo di un assassino.
Lady Sigyn non recriminava, non condannava, non giudicava. Lei si
ergeva oltre, andava sempre al di là di tutto quanto,
guardando in lui come nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare,
abbracciando e accettando come sue tutte le nefandezze compiute dalle
mani e dalla lingua del marito. Perché lei era come Loki,
era contorta, immorale e discutibile – e fedele. Nella sua
discrezione, era forse maggiormente subdola in un certo qual senso,
ammantata nel suo sorriso candido con il quale si schermava dal mondo,
lasciando la propria ambiguità in fondo a una maschera che
solo lui le aveva tolto con gesti lussuriosi. Si era esposta per amor
suo, perché nelle iridi di un verde accecante, in cui le
fiamme del potere esplodevano in favelle incandescenti, aveva scorto la
grandezza di un Re senza tempo. Non avevano peso i peccati, le
bassezza, i crimini – la
sua morale non era stata corrotta da Loki, la sua morale era nata
disfatta come la sua famiglia. Per tale ragione non aveva
necessità di spiegarle i suoi piani, non perché
non ne facesse parte, ma per l’esatto motivo opposto
– era talmente capace di leggere attraverso le sue illusioni
e bugie, da intuire cosa lui avrebbe compiuto e cosa quale sarebbe
stato il proprio ruolo in quel macabro teatrino.
«Lei fa sempre quello che gli dici, non è
vero?», la domanda di Thor giunse appuntita come una lama,
con l’intenzione di infilzarsi tra la carne e i tendini di
Loki, per cercare di ferirlo almeno in parte nella costatazione del
tradimento messo a punto a danno della moglie, ma di cui il dio degli
Inganni gli aveva appena rivelato la complicità
nell’orchestrarlo. Infatti, Loki si limitò, in un
primo momento, a rivolgergli blandamente un sorriso compiaciuto quanto
compassionevole.
«Sigyn?» lo interrogò teatralmente,
scivolando via dalle lenzuola sfatte di un letto che aveva disfatto per
scopi che nulla a che vedevano con sentimenti puri, ma solo con
desideri marci e putrefatti dalla malevolenza. Non c’erano
imperfezioni nei gesti con cui riallacciava le cinture, lisciava i
vestiti e si ammantava nuovamente delle sue vesti come se nulla fosse
accaduto. «Sigyn è la dea della
Fedeltà, stupido fratello, non
dell’obbedienza. È mia sposa perché ha
voluto esserlo; mi aiuta perché vuole essermi di sostegno
delle mie imprese e desidera vedermi re; e mi ama nella
semplicità di ciò che siamo. Senza alcuna pretesa.»
L’ultima frase del dio degli Inganni fu intessuta come una
vera accusa, non contro Thor solo, ma contro l’intera Asgard
che mai aveva compreso una realtà a loro due tanto semplice,
istintivo. All’inizio si era sentito realmente disturbato da
tale costatazione, da come solo lui e Sigyn riuscissero a scrutare
nelle piaghe reciproche, scendendo in antri delle loro anime tanto
oscuri da far terrore alle tenebre stesse. Poi, era giunta la
consapevolezza di come in realtà lei fosse un regalo di
chiunque gli avesse affidato anche la sua natura, l’unico
spiraglio di luce e purezza concesso, la sola consolazione e
soddisfazione nel quale dissetarsi – la singola vittoria
davvero realizzabile, perpetua anche nelle altre vite da quanto
immutabili erano le loro costanti.
«È pazzia, Loki, non è amore
quello» replicò Thor alzandosi a sua volta, con i
lineamenti imprigionati ancora in una paralisi sconvolta e interdetta.
Era stato ingannato una volta in più, tanto a fondo, tanto
orribilmente da essere Thor in persona responsabile di
quell’illusione nella quale era affogato, sopraffatto da una
tentazione tanto dolce da non essere riuscito a scorgerla per
ciò che era – una menzogna, l’ennesima.
«No, Thor. Abbiamo, io e Sigyn, innumerevoli difetti, una
costatazione che non obbietterò. Ma nella nostra
imperfezione, nelle nostre perversioni, nei nostri modi di essere
labirinti privi di uscita, noi lo abbiamo capito davvero
cos’è
l’amore e non è quello tu che credi
sia»,
pacatamente, replicò Loki prima di scoppiare
in una lieve risata di scherno nell’osservare lo stato del
fratello. Aveva predisposto un piano tanto insano da essersene quasi
stupito lui stesso, aveva deciso di aprire ferite nell’anima
prima ancora che squartare la carne, per infliggere un tipo di
sofferenza che mai si sarebbe potuta scollare via dalla mente di Thor.
Lo aveva depredato di parte della sua incorruttibilità,
aveva agguantato la parte più debole del suo cuore in cui
l’affezione che provava per lui lo rendeva una facile
vittima, per poterlo portare a credere a ciò che da molto
desiderava per lui, o forse per se stesso – redenzione. Illuso, portato a
sperare che se era un amore malato la cura per Loki, allora poteva
macchiarsi di un simile peccato, infangandosi il corpo e la coscienza
di una simile immoralità pur di riportarlo a ciò
che era stato – prima che tutto di disgregasse, spingendoli
al conflitto. Ma era stato un trucco, una tragedia scritta con sapienza
dall’astuzia depravata di Loki.
«E va bene così», continuò
Loki, portandosi al centro della stanza dorata del fratello, illuminata
tenuamente da candelabri che mai avrebbero visto consumarsi le loro
candele, dalla tremula fiammella. Il calore che emanavano era esile
come il chiarore rossastro, scarso per poter combattere il grumo di
ombre ammassate nella camera. «Perché mi ha
permesso di usarti, di ingannarti e di sporcare quel tuo cuore
così disgustosamente puro che ti portavi addosso come un
monito a chi non era come te. Ora
sei corrotto, fratello. Ora, almeno un po’, sei come me.»
«Non sarò mai come te» sputò
tali sillabe stringendo i denti in una morsa furiosa. Avrebbe voluto
raggiungere Loki, ergersi di fronte a lui e rendergli evidente la
distanza che li separava semplicemente con uno sguardo ravvicinato, ma
sapeva che ora non ne era capace – forse non ne sarebbe
più stato in grado dopo ciò che gli aveva fatto.
Sentiva il cuore torturargli il petto in battiti accelerati ammantati
di rovi, mentre prendeva coscienza di come Loki lo avesse circuito,
richiedendo a gesti un aiuto di cui non necessitava per poterlo
macchiare con un peccato del quale mai la sua anima si sarebbe potuta
liberare – e di cui mai si sarebbe dato perdono.
«No, certo, il figlio di Odino non potrà mai
essere come me. E sarebbe un peccato diversamente, altrimenti chi
desidererei annientare?»
«Dici seriamente, Loki? Anche dopo…»,
gli morirono nella trachea, le parole. Il nodo che formarono fu
difficile da ingoiare, con ancora le immagini vivide di quanto avevano
appena compiuto in quel letto – di quello che Loki gli aveva
fatto, tenendolo inchiodato sul materasso, tra ansiti e mugolii nei
quali gli aveva rivelato come in realtà non avesse bisogno
di lui, di come avesse orchestrato quel finto ricongiungimento solo per
poterlo rendere un dio meno pregevole. «Anche dopo aver
salvato Asgard?»
«Desidero Asgard per
me, Thor, non voglio vederla ridotta in cenere –
o almeno non da altri», e Loki era a conoscenza meglio di
chiunque altri come non era mai davvero stata in pericolo la bella
capitale, e nemmeno il Regno. L’aveva lasciata scoperta a un
attacco nemico, creando una falla, unicamente per poter inscenare un
fasullo ravvedimento, solo per poter arrivare a ottenere una vittoria
diversa dalle altre – ma che possedeva un gusto tanto dolce
da inebriarlo a ogni secondo che trascorreva osservando gli occhi
cerulei del fratello, ricolmi di un dolore stordente. «Tu non
sei Asgard, sei un
ostacolo, e non ho mai apprezzato chi si mette tra me e i
miei obbiettivi.»
«Come puoi essere davvero il fratello con cui sono
cresciuto?»
«Ed è qui, esattamente in questo semplice punto
che nasce il tuo originale errore. Quello che ti ha portato alla
sconfitta, fratello. Io non sono mai stato quel fratello che tu hai
creduto, hai visto ciò che volevi perché accecato
dal tuo amore; e io l’ho sfruttato, l’ho
alimentato, ti ho reso cieco. Desideravi a tal punto che in me ci fosse
molto più bene di quello che esiste, da pensare che io
meritassi – e
potessi, e volessi – redenzione.»
Rimasero echi, tali parole, anche quando furono del tutto estinte
nell’aria, appiccicate dentro Thor in effluvi evanescenti,
insieme a
fantasmi di memorie passate, frammenti di ciò che era stato
e in ciò in cui aveva creduto. Possedevano contorni
trasparenti, appena accennati, ma pressanti nella loro concretezza
anche in quello stato – forse più di quanto lo
sarebbero state se avessero assunto definizioni nette, in cui la
realtà e la finzione erano due concetti definitivamente
separabili.
«So che la nostra infanzia è stata reale, non era
una bugia» riuscì infine a pronunciare in un
rantolo Thor, impossibilitato a credere concretamente che tutta la sua
vita fosse parte di una menzogna – e in quel momento, in quel
punto della sua vita, si rese conto di cosa doveva aver significato,
almeno in parte, per Loki scoprire le sue vere origini. E poteva
scorgerla negli occhi, di un verde prepotentemente scuro e
scelleratamente sgargiante, quale fosse stata la sua reazione
– rabbia accecante, dilaniante, talmente viscerale da aver
infranto la compostezza di cui si ricopriva solitamente, e non era per
il dolore della bugia in sé, ma per l’affronto
fatto alla propria dignità, alla propria immagine di dio che
circuiva gli altri con gli inganni senza venirne soggiogato. Invece,
Thor non provava tale impeto ustionante, ma una sconsolatezza glaciale,
un cedimento alla propria fede, da sempre riposta nel passato in cui
era davvero stato felice – non una contentezza momentanea, ma
presente ogni giorno, quando si svegliava e poteva contare sulla
presenza di Loki in qualsiasi circostanza.
«Dipende cosa intendi per bugia, Thor. Credi che
perché le mie azioni fossero primariamente finalizzate a
guadagnarmi il trono in modo leale, almeno all’inizio, allora
tutto quello che abbiamo passato abbia meno valore?
Un’illusione genera sentimenti ed emozioni concrete,
fratello» obbiettò Loki, spostandosi vicino al
grande tavolo rotondo posto a qualche passo di distanza da dove si
trovava. La stanza di Thor era adornata dei suoi trofei, in una
bellezza selvaggia che gli apparteneva, lasciando perdere qualsiasi
tipo di eleganza per imprimere a chi entrava il possente vigore di cui
disponeva, attraverso l’esibizione di quanto aveva guadagnato
con la forza nella propria vita. Loki ricordava molte delle occasioni
legate agli oggetti su cui i suoi occhi si posavano, una nostalgia
tanto effimera da percepirla appena mentre li passava in rassegna, e
rimembrava come già nella loro infanzia il suo unico scopo
fosse sorpassare i risultati di Thor – non importava come, ed
era relativo valore se essi gli venivano riconosciuti,
perché a se stesso doveva dimostrare di quanta grandezza
fosse in possesso per poter davvero ambire al trono promesso. Ci aveva
provato, almeno all’inizio, a guadagnarselo nel modo
più leale possibile; la sua natura, tuttavia, non era quella
di un giocatore corretto – e ringraziava che così
fosse, perché immaginarsi in un modo diverso, pensare di
poter diventare un uomo lontano da ciò che era, gli
provocava ribrezzo. Era orgoglioso della propria attitudine, ed era
ciò che Thor non aveva mai voluto comprendere.
«Ma sono fondate su una menzogna!» urlò
Thor, con artigli fatti di sillabe a graffiare la notte fino a farla
sanguinare, spazzando via la delicatezza malata nella quale essa era
tata condotta fino a quel momento – forse per dispetto alla
compostezza di Loki, forse per impossibilità materiale di
essere calmo come lui davanti alla fine del mondo o forse per entrambe
le cose.
«È questa la differenza tra noi»
osservò blandamente Loki, quasi con fare annoiato per la
piega della conversazione. Fu questa strisciante sensazione di
stanchezza per una discussione che non accendeva in lui alcun interesse
residuo, a irritare maggiormente Thor – era di loro che
stavano parlando, della loro vita, di ciò che erano stati e
ciò che avevano condiviso al di là di quello che
era accaduto nelle ore antecedenti. Pensare che Loki provasse apatia
per un simile corollario di argomenti lo rendeva furioso, riportando a
galla nella sua mente lo sguardo di pentimento che aveva veduto sul
volto del fratello minore quando era giunto in soccorso di Asgard, per
aiutarli e chiedere in tal modo perdono. Non voleva cedere alla
verità di come la possibilità di una sua
redenzione fosse impossibile, di come in realtà non vi fosse
speranza per Loki di riprendere a camminare sullo stesso sentiero.
«Smettila di perseguire questa follia, smettila di affondare
nell’abisso, Loki, e smettila di trascinare con te Sigyn, se
è vero che la ami» supplicò, trovando
il coraggio di muovere qualche passo nella sua direzione, ma senza
riuscire a stroncare una divisione che ora si palesava anche nello
spazio nel quale risiedevano. La distanza percepita si era accresciuta
tanto da impedire a Thor di reciderla a gesti, lacerato
nell’infamia futile di aver ceduto a un peccato per poter
conquistare la salvezza del fratello – e mentre guardava il
volto del dio del Caos riempirsi di traboccante divertimento
nell’osservarlo devastato, prese finalmente coscienza di
quanto non lo avesse conosciuto mai fino in fondo. Aveva ignorato la
sua natura, blandito la sua magia come trucchi, abbassato la
qualità della sua strategia a furberie dal valore misero in
confronto alla gloria della battaglia, aveva cercato di evitare di
guardare nelle profondità delle azioni compiute al suo
fianco, di vederci le tenebre di cui erano farcite per non dover
ammettere a se stesso chi davvero Loki fosse –
perché fino a quando stava al suo fianco, poteva fingere che
fosse buono.
«Certo che è vero. Una delle poche cose vere della
mia vita» rispose Loki, infarcendo le proprie
frasi di ghigni malevoli nel sottolineare come lei fosse la sua unica
verità – l’unica del quale il dio degli
Inganni si avvalesse, mentre il resto, Thor compreso, rimanevano bugie
utili. Si mosse nella stanza con movenze eleganti, sottolineando le
proprie parole con gesti suadenti a rimarcare i propri concetti con la
maestria dell’attore – il protagonista indiscusso.
Era il monologo finale e Thor lo comprese dall’inizio, erano
quelle le ultime parole che Loki gli avrebbe rivolto amichevolmente,
prima di prendere possesso pienamente del suo ruolo
d’antagonista. In mezzo a quella consapevolezza, sfinito da
ciò che significava, lo ascoltò privo di forze e
della più benché minima ombra di trovarvi replica
– perché ogni parola non suonava come una
menzogna, ma come coltelli affilati da verità taciute
apposta per renderle più dolorose. «Non ce la fai
proprio a comprendere, vero? L’amore non è voler
cambiare qualcuno, renderlo una persona diversa per appagare se stessi.
È qui che hai sempre sbagliato, tu e tutti gli altri, avete
sempre pensato che io desiderassi essere in qualche modo salvato,
perché volevate credere che io fossi come voi. non ero, non
sono e non sarò mai come voi. Non cerco
salvezza, non
desidero la vostra compassione, non mi interessa il perdono
perché non credo di aver commesso azioni che debbano essermi
perdonate - soprattutto
da voi. Ho compiuto ciò che desideravo in
totale
autonomia, liberamente, semplicemente perché desidero quel trono, quel titolo e quel Regno. Niente di
più e niente di meno, fratello, e questo Sigyn, mia moglie,
lei lo sa, lo ha sempre saputo e lo ha accettato. Ecco
cos’è l’amore, quello vero; è accettazione.
Tienilo a mente, prova a non commettere nuovamente questo errore, e
magari, domani, o dopo, o dopo ancora, riuscirai a battermi
definitivamente. Io sarò sul quel campo, dove devo stare, e
sarò tuo avversario come, in fondo, è sempre
stato, perché è così Thor, il Re è sempre un
uomo solo. Continuerò a chiamarti fratello,
perché a dispetto di tutto, siamo cresciuti come tali, ma
ciò non significa che non ucciderò tutte le
persone a cui tieni, per vederti soffrire, contorcerti dal dolore e
strisciare nel loro sangue, prima di uccidere te.»
Non aggiunse altro. Durante il suo discorso si era mosso come se la
stanza fosse un palco, rendendo vive le parole uscite dalle sottili
labbra, imprimendole nei gesti e negli sguardi rivolti a suo fratello.
Erano le uniche verità di cui disponeva Loki, e le aveva a
lungo taciute per aspettare l’attimo esatto in cui avrebbero
maggiormente sparso sofferenza nel cuore di Thor, riversando in lui
parte della propria insoddisfazione. Se mai avrebbe potuto davvero
ottenere il trono, se era destinato a perdere in eterno, allora Thor
avrebbe convissuto con la consapevolezza di non poterlo redimere come
desiderava, di aver errato nel profondersi in un amore che non era
davvero tale, e che aveva condiviso anni con un fratello che era sempre
stato in grado di atrocità. Soprattutto, che il buono, quel
piccolo frammento di luce che resisteva
nell’oscurità degli abissi di cui era formato
Loki, non era dovuto a Thor, ma a Sigyn.
Rimase solo il dio del tuono, a fissare il vuoto lasciata dalla
scomparsa della figura del fratello minore a lungo. Non ebbe percezione
di quante ore fossero, di come scorresse via quel lasso di tempo,
semplicemente seppe che fu molto perché infine Lady Sif
giunse a cercarlo, preoccupata.
All’inizio sentì appena la sua presenza, quasi
fossero mani di un fantasma a toccarlo, guidarlo lontano dal letto fino
a spingerlo sul terrazzo, accompagnandolo nel sedersi sul pavimento di
marmo sul quale si infrangeva un solo caldo, capace di attraversare
– lentamente –la propria pelle, riscuotendolo dal
torpore apatico nel quale era caduto. La prima sensazione certa che
ebbe, quando si riscosse, prima ancora di sollevare il capo verso Sif
per cercare i suoi occhi ad attenderlo con pazienza, furono le dita
della donna a stringergli le mani – anche se erano troppo
piccole per poterlo fare bene, anche se erano piene di calli dovuti
alle guerre, apparivano più tiepide dei raggi sotto i quali
stavano assieme.
«Forse ha ragione lui, Sif» riuscì
infine a pronunciare, senza aver bisogno di raccontare nulla
– perché Sif non ne aveva bisogno, lei non
pretendeva risposte. Aveva amato molte donne, Thor, e sarebbe stato
ingiusto affermare che a qualcuna avesse riservato più
dedizione che ad altre, ciò che semplicemente differenziava
la dea della Guerra dalle altre non era la quantità o
qualità dei suoi sentimenti, ma il fatto che ad essi si
sommavano un rispetto profondo che andava al di là di
ciò che i loro cuori provavano reciprocamente.
«Non importa in assoluto chi ha ragione e chi torto, Thor,
nessuno può stabilire la Verità. Ciò
che davvero conta, ciò che più di tutto ha
importanza, è ciò in cui decidi di credere, chi
decidi di proteggere, cosa vuoi difendere e come vuoi rendere il
futuro. Credi nelle tue scelte e lascia a lui le sue, non sono una tua
responsabilità, ma le conseguenze... Quelle lo
saranno» asserì piano, muovendo senza foga le
proprie labbra e intensificando la presa delle proprie falangi attorno
alle mani dell’uomo, in un tentativo infinito di farlo
ridestare dallo stato di sconforto nel quale Loki lo aveva gettato. Sif
non poteva dire che da sempre aveva provato avversione verso il minore
dei due principi, non sarebbe stata sincera e poteva ricordare un
periodo in cui l’amicizia con Loki non era stata pura
apparenza, almeno da parte sua; tuttavia aveva visto l’uomo
che aveva deciso di essere e quanto questo avesse distrutto le certezze
di Thor – perché Thor amava suo fratello, troppo e
troppo malamente, e non aveva mai capito che non era sufficiente, che
l’amore non
bastava.
«Sarò ciò che sono sempre stato, Sif,
non so essere un uomo diverso» pronunciò
fermamente Thor, alzando il volto per poter lasciarle scorgere la forza
della propria affermazione. Voleva che almeno Sif scorgesse il vigore
della propria dichiarazione, e quanto questa sarebbe stata onorata ogni
giorno, tentando, in un modo o nell’altro, di cancellare la
propria debolezza – non scordando il peccato commesso, ma
impedendo che qualcun altro pagasse al proprio posto.
Anche se non sarebbe più stato per Jane, avrebbe protetto
Midgard e i suoi abitanti, tenuto al sicuro i Nove Regni e impiegato
ogni fibra del suo spirito per tenere Loki lontano dal trono
– e riversato in ogni suo colpo, la prepotenza di una simile
presa d’atto, anche a costo di ucciderlo. Perché
era polvere ciò che era rimasto della loro infanzia, e
avrebbe conservato solo essa, spazzando via tutto il resto.
«L’uomo che sei va bene, è
sufficiente», e fu in quell’istante che Thor se ne
avvide. Almeno su un punto, almeno qualcosa di quel contorto discorso
che gli era apparso tanto sbagliato, trovò un frammento da
condividere, da salvare – di buono. Lady Sif,
proprio come
Lady Sigyn, amava senza pretese, senza essere mossa da alcuna
volontà di mutare l’oggetto delle sue attenzioni,
comprendendone i punti deboli e riuscendo ad apprezzarli più
delle virtù. Un amore di cui Thor non conosceva ancora la
forma, sempre troppo accecato dal desiderio di rendere tutto secondo i
propri desideri, ma di cui avrebbe trovato le coordinate per
approdarvici – o quanto meno, le avrebbe cercate a dispetto
della meta alla quale lo avrebbero condotto.
Queste
note sono la cosa più difficile che io abbia mai fatto, le
ho cancellate e riscritte almeno dieci volte. E questa volta le
farò molto brevi, perché no, non devo
chissà quale spiegazione mistica.
Il punto è che a me la ThorKi piace, ma mi piace in una
concezione tutta mia e quindi nella mia poco lunga vita ne ho trovate
in scarsa quantità che mi soddisfacessero. Per di
più non sono proprio un'amante della visione di Loki come un
dio che ha carenze affettive, con una personalità fragile e
sul punto di crisi di nervi, tutt'altro. Sono decisamente più affascinata da lui nella sua giusta veste del bastardo
che è, trattandosi del dio del Male e del Caos. Quindi
diciamo che ne leggo ormai solo da persone che ho visto che ne sa
scrivere come piace a me - gusti personali!!! Non voglio sottintendere NULLA! Sono io in possesso di gusti decisamente difficili e particolari riguardo questa ship - e basta.
In realtà vorrei scrivere tutta la long che spiega per filo
e per segno quello che è avvenuto - attacco ad Asgard per
colpa di Loki, ripensamento (finto!) di quest'ultimo, e tutto il resto.
Un giorno magari lo farò.
Un ringraziamento particolare va Raxilia
e a u t u m n
che mi hanno sopportata, leggendosi in anteprima la storia e
rincuorata. Ah, la storia l'ho scritta un mese fa, più o
meno, ma so perfettamente che non è nei gusti del fandom
come ho dipinto i due, quindi avevo deciso di evitare di pubblicarla -
e ci ho ripensato, perché sono lunatica.
Ah, ho aperto qualche oretta fa una pagina Facebook per il mio account.
Questa è la prima pubblicità che faccio alla
pagina - dato che ai miei contatti sul profilo "serio" di Facebook non
voglio far sapere che scrivo fanfiction x°D. Venite pure qui a
insultarmi: Mania FB.
Mania
|