La sorgente dei
desideri
Prologo
Non credo d’essermi mai
considerato fortunato. La mia, una
stella nata sotto l’insegna della mala sorte. Adesso,
immaginatevi come
ragazzini. Semplici marmocchi sedicenni col solo scopo di raggiungere
l’utopia
della grandezza. Io, a quel tempo credevo che la forza fosse la
ricchezza
maggiore che potesse avere un uomo. Oh si, ero e sono
tutt’ora un fermo
credente della mia virilità. Eppure, non immaginavo che
questo mio maschilismo,
si sarebbe trasformato prima o poi in una maledizione vera e propria.
Rocce. Le sorgenti di Jusenkyo. Io e
mio padre l’uno dinanzi
all’altro. Un allenamento classico, di quelli tra padre e
figlio. Ricordo
ancora l’adrenalina lungo le braccia e, i muscoli tesi dallo
sforzo. Poi un
tuffo. Acqua e, ti ritrovi ad essere donna, improvvisamente. Scalciato
via dal
mio corpo e recluso in una gabbia piccola, decisamente sexy e
provocante ma pur
sempre una gabbia. Freddo. Un incredibile freddo nell’animo a
ritrovarti
quell’ideale spezzato, incatenato improvvisamente ad una vita
non più tua.
Ebbene, dopo ciò. Non è che nella mia vita sia
migliorato nulla, anzi, le cose
sono andate peggiorando. Il fidanzamento con lei, l’unica
donna al mondo capace
di farmi ribollire il sangue con una
parola, l’unica a lanciarmi contro accuse, picchiarmi.
Violenta, decisamente .
Eppure ho dovuto condividere quella vita sino ad ora, reduce
d’un matrimonio
fallito, d’una schiera d’amanti al seguito,
d’un esercito di nemici. Insomma,
la si può riassumere in una parola : Disastro.
Non voglio soffermarmi su allora, di
cose ne sono successe
mentre sto raccontando. Mi fermerò qui,
a vent’anni suonati da pochi giorni. Gli
avvenimenti accaduti
ultimamente hanno cambiato le cose radicalmente, se non di
più a partire da
quell’annuncio, tre giorni esatti da ora. E’ da li
che comincerò a raccontare …
Ero immobile. Fermo, coi piedi scalzi
sulla radura. Un
fremito. Seguito dallo sbattere d’ali improvviso
d’un rapace. Poi lui aveva
cominciato a parlare, alitando basso quella frase che m’aveva
scosso in quel
momento. “Ti concedo due giorni per trovare la mia sorgente,
se fallirai,
allora mi prenderò ciò che sai” se
n’era andato, con gli occhi intrisi d’un
insana malignità, iridi che non erano le sue, non del Ryoga
che conoscevo io.
“Fermati” gli
avevo intimato sollevando il braccio a
mezz’aria e compiendo un breve passo. Non era cambiato nulla,
non aveva
ascoltato il mio ordine perentorio. Ricordo d’aver stretto la
mano, così forte
da non sentirla più. La sua sorgente la chiamava, quella che
l’aveva
trasformato in un mostro. Dovevo tornare a casa, in qualche modo avrei
dovuto
avvertire Akane. Non mi premeva così tanto quella stupida
dopo tutto, ero sin
troppo sicuro di trovare quel che m’aveva chiesto lui. Il
senso del dovere
però, m’imponeva di tornare a Nerima. Avevo
continuato ad osservare quel maiale
ambulante allontanarsi, era illogica quella richiesta. Non avrebbe
potuto
pensarci da solo? Se voleva Akane, se la fosse presa. In
realtà, ero io stesso
a non voler credere a quella storia, più mi convincevo della
sua assurdità e
più, l’intreccio di situazioni che
m’aveva colpito si intensificava, divenendo
una sorta di collare stretto alla gola. Abbassai lo sguardo sul
terreno, una
macchia di sangue, ne stavo ancora perdendo. Lanciai uno sguardo torvo
al
braccio ferito. Stavolta ci andava pesante quel cretino.
Quando si parla d’una serie
sfortunata d’eventi, c’è sempre
di mezzo il nome Ranma. Scossi il capo, spiccando un salto breve su
d’un ramo.
Dovevo recuperare quel po’ di me rimasto abbandonato lungo la
riva del
fiumiciattolo. Per tutto il tragitto pensai ad Akane, al modo di
raggiungere
quella dannata sorgente senza che lei subisse angherie da parte di quel
pazzo,
l’avrebbe sicuramente portata con sé, avrebbe
approfittato della mia assenza.
Ricordo d’essermi fermato per un istante, affaticato quasi.
Il respiro mi si
era mozzato in gola senza motivo.
-
“Devi venire con me ti
dico” le avevo ringhiato contro per
l’ennesima volta, tirandola per un braccio ma continuava a
scuotere il capo
come una bambina. Soun e mio padre ci osservavano, stavolta non
v’era alcuna
felicità nei loro sguardi. Dal mio annuncio in poi,
s’erano tutti imbavagliati
d’un silenzio irreale per quella famiglia. Akane
s’era sollevata per tornare
alle sue faccende, quasi non fosse minimamente toccata dalla questione.
“Vuoi
davvero che Ryoga ti porti con sé? Non hai idea di come sia
diventato…”
ribattei piuttosto alterato, sbattendo il piede per terra. Lei scosse
la testa,
tornando ad osservarmi insicura. “Semplicemente non voglio
esserti d’intralcio,
me lo ripeti sempre. Ryoga, cosa potrebbe mai farmi?” non
capiva quella
stupida. Le lasciai il braccio lentamente, quasi allibito da quel suo
discorso.
Va bene, talvolta ero abbastanza acido con lei ma, non mi era mai
capitato un atteggiamento
simile da parte sua.
“Sei una sciocca, come
sempre. Se voglio portarti con me è
per proteggerti, non per altro” sputai, prendendo una dose
eccessiva d’aria nei
polmoni. Alla fine s’arrese, forse compiaciuta della mia
reazione o forse,
semplicemente per accontentarmi. Mi conosceva sin troppo bene e, se
dalla mia
bocca erano uscite quelle parole di certo non voleva dire che la
questione era
da prendere alla leggera.
“Aspettami, prendo un
po’ di cose” aveva detto, prima
d’allontanarsi da me. “Ragazzo, sei sicuro di
ciò che fai?” Tendo-san, m’aveva
posato una mano sulla spalla, stringendola appena. Io avevo annuito
appena, se
non ne fossi stato sicuro, non avrei mai portato quella pazza con me.
In quel
momento, associavo semplicemente un nome al nuovo Ryoga. Yuannichuan. La sorgente del desiderio.
L’unica, in
questo momento capace di potermi riportare alla normalità,
assieme alla
possibilità di far tornare normale quel folle. Una sorgente
che esaudiva
desideri, nata dal semplice fatto che tutti quelli che
v’erano andati, v’erano
annegati senza uscirne, ancora pregni di desideri irrealizzati. Chi ne
fosse
uscito vivo, vedeva realizzare il desiderio più grande
e… cos’aveva desiderato
quello sconsiderato? Akane ovviamente. Avrei dovuto ritrovare quella
dannata
pozzanghera, col senso dell’orientamento di quel maiale,
sarei sicuramente
arrivato prima di lui. Il patto era questo, prima
dell’avverarsi del desiderio.
Entro quarantotto ore dall’averlo espresso, avrei dovuto
ribaltare la
situazione. In quel momento, due pensieri contrastanti
m’attraversavano la
mente. Desiderare di poter tornare normale, era sempre stato il mio
obiettivo
primo ma… d’altra parte, non potevo di certo
lasciare che Lei si innamorasse di
quel suino. Beh, potrebbe anche essere stata una buona idea, infondo a
me non
piaceva lei no? Avevo sempre rifiutato quel fidanzamento. Avrei deciso
strada
facendo, anche se nell’animo, fremevo di poter essere di
nuovo completo. Come
un tempo.
Questa è solamente una
piccola introduzione per far capire,
più o meno come stanno le cose a questo punto della storia.
I prossimi
capitoli, saranno narrati sempre dal protagonista ma in prima persona,
non
attraverso il ricordo. Ci vediamo al prossimo capitolo XD.
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