Stony
NdA.
Prima Stony che scrivo, un po' sperimentale. La narrazione è
a frammenti ma spero non sia troppo caotica.
Il titolo è un verso della meravigliosa “Pensieri e parole”
di Battisti.
Spero vi piaccia. Ho amato molto scriverla.
Buona lettura.
Dedicata a cips980,
ossia la mia Tany, alla quale avevo promesso una Stony da una vita,
sperando di non aver fatto un gran casino.
Poesia di
un amore profano
La prima volta che Steve
Rogers si era innamorato aveva sette anni. Lei era Caroline, e di anni
ne aveva tredici. Era la figlia della signora Parket, che abitava in
fondo alla strada. Caroline portava i capelli raccolti in due trecce
castane, e sorrideva quando gli accarezzava la testa.
Steve non
sapeva cosa fosse l'amore ma quando Caroline si trasferì e
non la vide più, gli mancarono le sue dita che gli
accarezzavano i capelli, gli mancava il suo sorriso.
Decise che
era amore.
-+-+-+-+-+-+-+-
Il cuore batte così
forte che si chiede se lui possa udirlo. Steve ha il fiato corto, la
pelle sudata e sente freddo, coperto solo da quel lenzuolo.
«E
adesso?» La voce tradisce la sua incertezza, la sua paura. Si
volta e scruta il suo profilo. Tony guarda il soffitto, è
silenzioso, il suo respiro appena udibile.
Un braccio
piegato dietro la testa.
Tony guarda
il soffitto e non risponde.
-+-+-+-+-+-+-+-
La lotta era stata
più ardua del previsto, le strade cosparse di detriti
puzzavano di fumo e polvere, e la polvere seccava le labbra, la
fuliggine entrava dalle narici con violenza.
Avevano
attaccato, si erano difesi.
C'era stato
caos e frastuono, come d'obbligo in ogni guerra.
Steve aveva
visto tante guerre, forse troppo poche per averne disgusto, forse
abbastanza per volerne fare ancora.
Per il bene
del mondo, per la giustizia, per impedire che follie come quella del
‘40 si potessero ripetere.
La guerra
era fatta di soldati, e i soldati lottavano in squadra, gli uni con gli
altri.
La loro
squadra non era la più perfetta, eppure Steve si sentiva
come un tassello perfetto che si incastrava perfettamente con gli
altri. Nessuno era perfetto, nessuno voleva esserlo. Nessuno a parte
Tony, forse.
«Potevi
fare ammazzare tutti!» gli rimproverò una volta
giunti alla Tower. Lo scudo cadde a terra con un tintinnio metallico.
Clint si
stava ancora tamponando la ferita al braccio. Natasha aveva una benda
attorno al palmo destro. Bruce non c'era, era ancora in fase da
recupero.
«Calmatevi
adesso.» Thor cercò di fare da paciere ma Steve
aveva afferrato comunque il bavero della costosa camicia di Tony e
l'aveva stretto con forza.
«Per
colpa della tua voglia di esibizionismo hai messo in pericolo la vita
dei tuoi compagni.»
Tony non
mostrò alcun intento di scusarsi, di giustificare le proprie
azioni.
«Ma
siamo tutti vivi e Abominio è stato sconfitto. Fine della
storia.»
«E
questa è stata solo una fortuna, Stark!»
«Avevo
un piano e tutto si è svolto secondo quel piano, Rogers! E
adesso molla che devo farmi una doccia.»
Steve gli
diede uno spintone lasciando andare la presa e Tony lasciò
la stanza poggiando rumorosamente sul tavolo il suo bicchiere di
cristallo.
Il ghiaccio
all'interno tintinnò contro le pareti.
-+-+-+-+-+-+-+-
Bucky era stato un amico, un
fratello. Bucky era la persona su cui Steve sapeva avrebbe sempre
potuto contare. Bucky ci sarebbe sempre stato perché Bucky
era tutto.
Quando lo
vide cadere, Steve capì che Bucky sarebbe stato tutto anche dopo.
Non l'aveva
chiamato amore
perché l'orgoglio di un uomo era sciocco e la paura che
stringeva la gola e il petto, impossibile da spezzare.
Steve aveva
aperto gli occhi in un mondo così diverso e così
lontano e aveva voluto che lui fosse lì.
Bucky non
c'era. Steve si sentì solo come non era mai stato.
-+-+-+-+-+-+-+-
C'è un rumore
fastidioso, un sibilo. È un soffio di vento che penetra
dalla finestra. Steve lo sente sfiorargli la spalla e rabbrividisce.
Quel lenzuolo diventa più sottile ad ogni secondo che passa.
Si siede e
lo guarda. Poi gli da le spalle. Stringe i pugni sulle ginocchia e ha
voglia di urlare, ha voglia di piangere.
«Tony...»
Tony guarda
il soffitto e non risponde.
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Thor si era rivelato la
persona più diversa e più simile che Steve
potesse mai pensare di incontrare nel corso della sua vita. Ma aveva
imparato che nulla poteva essere predetto, che c'era sempre qualcosa
che poteva stupirti e scioccarti.
Steve aveva
conosciuto Thor e aveva pensato subito che sarebbe stato difficile far
funzionare le cose, che ci sarebbe voluto del tempo e molto impegno per
far funzionare una squadra così disomogenea.
«Tony
ha l'animo di un leader, ma al contempo sembra provare un'avversione
per le responsabilità.»
Steve
annuì alle sue parole.
«Ma
siamo una squadra, Thor, e l'azione del singolo condiziona tutti gli
altri.»
«Lo
so, amico mio, e sono certo che anche Tony ne è ben
consapevole.» Thor sorrise e gli avvolse un braccio attorno
alle spalle. «Va' e parla con lui. Due compagni non possono
portare astio nel loro cuore, perché quell'astio
logorerà il filo che li unisce.»
Thor aveva
sempre buoni consigli. Steve di solito li seguiva.
«Va
bene.»
Lo
seguì anche allora.
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La prima volta che Tony Stark
si era innamorato, il suo cuore aveva una cornice di schegge pronte a
perforarlo. Lei era Pepper Potts e l'aveva avuta davanti agli occhi per
anni senza vederla davvero.
Era
bellissima, intelligente e sapeva come metterlo al suo posto. Tony
sapeva di essere un bambino viziato e, nonostante i capelli bianchi che
aveva iniziato a coprire di nero, questo non sarebbe mai cambiato.
La cosa
divertente era che non aveva avuto una famiglia abbastanza a lungo da
poter essere viziato.
Sua madre
era un'immagine sfocata, di suo padre sembrava ricordare solo il suo
sguardo di rimprovero.
Soldi e
fama avevano comprato falsi amici e donne di ghiaccio che andavano in
frantumi al sorgere del sole.
Una
famiglia non l'aveva mai avuta davvero, la sua famiglia erano le strane
macchine che costruiva e con cui si circondava nella sua solitudine.
Quando
l'abbraccio metallico della sua Mark era stato sostituito da quello
caldo di Pepper, Tony si era chiesto se era questo che si provava ad
essere amato. Quando le sue braccia si erano avvolte attorno al sottile
corpo di Pepper, Tony si era chiesto se era quel panico che gli
annegava nello stomaco l'amore.
La prima
volta che Tony si era innamorato aveva avuto una fottuta paura.
-+-+-+-+-+-+-+-
Scende dal letto. Ignora il
freddo e la vergogna. Cammina a piedi nudi sul parquet tiepido e
raccoglie i suoi pantaloni. La cerniera sembra lo stridere di un treno
su una rotaia e porta con sé il frastuono che batte nel suo
cuore confuso.
Steve
raccoglie anche la sua maglia ma non la indossa. La tiene stretta nella
mano mentre si avvicina alla porta della camera.
Tony
è alle sue spalle, steso sul letto, appena coperto da quel
lenzuolo che su di lui appare pesante come una coltre.
In un
silenzio che non gli appartiene, rimane con lo sguardo al soffitto.
Steve ha la
mano ferma sulla porta eppure non riesce a spingerla.
-+-+-+-+-+-+-+-
Captain America e Iron Man si
erano incontrati la prima volta a Stoccarda, mentre cercavano di
fermare quello che si sarebbe rivelato solo il primo di una lunga serie.
C'era stata
un buona intesa, c'era sempre una buona intesa sul campo. Captain
America e Iron Man erano gli ingranaggi di un sofisticato orologio:
insieme e solo insieme funzionavano.
Steve
Rogers e Tony Stark si erano incontrati nel laboratorio di uno strano
aereo che poteva divenire invisibile a qualsiasi radar.
Non si erano piaciuti.
Steve
ricordava uno Stark amico, che gli mancava. Tony vedeva un uomo che non
pareva la leggenda che gli era stata raccontata.
Mentre sul
campo Iron Man e Captain America camminavano sempre più in
sintonia, Tony Stark e Steve Rogers continuavano ad avere due strade
troppo lontane affinché potessero incrociarsi.
Poi una
sera, mentre fuori diluviava, Tony gli offrì un bicchiere di
Coca Cola “perché
dal momento che non ti puoi ubriacare almeno mi farai compagnia
ruttando.”
Steve aveva
scosso la testa ma aveva accettato il suo invito.
Dalla
grande finestra della Tower, New York sembrava una macchia sbiadita, un
quadro che si stava sciogliendo pennellata dopo pennellata.
Avevano
parlato. Tony si era ubriacato e aveva anche ascoltato.
Steve aveva
bevuto la sua Coca Cola e aveva anche riso.
La sera
successiva pioveva ancora e Tony gli offrì un'altra Coca
Cola ma Steve preferì anche lui dello scotch,
perché il sapore era migliore.
Tony aveva
bevuto di meno e non si era ubriacato ma aveva ascoltato comunque.
Steve gli
aveva parlato di Bucky. Tony aveva iniziato a bere di più.
Al mattino
le strade erano piene di pozzanghere e dal cielo erano cadute un paio
di presenze poco amichevoli.
Captain
America e Iron Man, per la prima volta, non erano stati un ingranaggio
privo di imperfezioni.
-+-+-+-+-+-+-+-
Si era avvicinato al suo
laboratorio, sapeva di poterlo trovare lì.
Doveva fare
lui la prima mossa, perché Tony era troppo stupido
nonostante fosse un genio. Così diceva lui. Steve credeva di
aver incontrato diverse persone che si ritenevano geni, eppure si erano
rivelate le persone più stupide di sempre.
Ma poteva
anche mettere da parte l'orgoglio e fare il primo passo. Era per il
bene della squadra.
Tony stava
guardando qualcosa allo schermo. Steve non perse tempo neanche a capire
cosa fosse. Troppi numeri, troppi schemi.
La porta si
era aperta con uno sbuffo ed era entrato.
«Sei
qui per mettermi in castigo, Cap?» Gli aveva chiesto senza
neanche voltarsi a guardarlo, muovendo le dita sullo schermo e
mutandone l'immagine.
«Sai
bene cosa volevo dire oggi» ribadì e lo
udì ridacchiare.
«Non
mi sarei fatto ammazzare, lo sai bene.»
Steve
rivedeva la scena del mattino, il modo stupido con cui Tony aveva
attirato Abominio e con cui aveva rischiato di essere ucciso.
«L'armatura
che porti non cambia ciò che sei, Tony: un uomo e come tale
puoi morire. Perciò non fare più nulla di
così stupido. Mai più.»
Tony aveva
riso ancora e aveva ruotato la sedia.
«Ti
mancherei se morissi, Steve? Di' la verità...»
Era un
gioco, il suo solito modo di prenderlo in giro eppure Steve non
riuscì a impedire a quella strana sensazione di
attraversagli il braccio e salire fino al collo.
Gli
puntò l'indice contro e lo guardò severo.
«Non
farlo più, Tony. Chiaro?»
Tony
alzò entrambe le mani e sorrise sghembo inclinato la testa
di lato.
«Non
farò più nulla di così stupido, Cap.
Promesso.»
Non credeva
a una sola parola, Tony stesso non ci credeva e infatti rise ancora e
Steve fu costretto a sospirare rassegnato.
Si era
voltato per tornare dagli altri quando Tony aveva parlato ancora.
«Io
dico che ti mancherei.»
«Sì,
certo» gli aveva risposto sarcastico ruotando la testa per
incrociare il suo sguardo.
Tony
sorrideva.
«Ti
aspetto stasera per una Coca?»
Non sapeva
se potevano definirsi amici o semplici compagni. Steve, quando si
trattava di Tony, non sapeva mai dare una definizione.
Annuì
con un piccolo cenno del capo sollevando un solo angolo delle labbra.
«Una
coca anche per te» propose e Tony gli mostrò il
pollice alzato.
«Gara
di rutti allora! Preparati, vincerò io.»
Steve aveva
sorriso mentre tornava nella sala.
Thor lo
aveva guardato e gli aveva regalato un ghigno soddisfatto.
Thor
sembrava saper dare quella definizione che Steve faticava a trovare.
Cosa siamo?
Non
osò fargli quella domanda.
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C'è ancora il
sibilo, sottile come un ago che perfora la testa.
Il vento
non dovrebbe fare quel suono, pensa Steve. Sembra un lamento, sembra un
pianto.
«Non
puoi restare lì senza dire niente» afferma
guardandolo e mettendo da parte l'imbarazzo a favore di una giusta dose
di rabbia.
Il petto di
Tony sembra sollevarsi un po' di più e il suo sospiro
risuona nella stanza.
«Pensavo
di cambiare il colore delle pareti,» gli risponde privo di
emozione.
Steve sente
un pugno dritto nello stomaco e vorrebbe piegarsi e coprirsi il viso.
«È
tutto qui? Hai da dire solo questo?»
Non accetta
che sia così inespressivo, così vuoto. No, Steve
non può accettare che dopo ciò che è
accaduto Tony gli riservi solo indifferenza.
Vuole
rabbia, la stessa che prova lui, vuole vergogna, vuole colpa. Vuole
paura.
«Potrei
farci disegnare qualcosa, magari... Pepper conoscerà di
certo qualcuno molto bravo e molto costoso.» Tony alza
l'indice e disegna una spirale in aria tenendo gli occhi su quel
soffitto.
Tony non ha
più rivolto quegli occhi verso di lui, quegli occhi neri che
ha visto sciogliersi e inghiottirlo.
Quegli
occhi che lo hanno guardato con un'intensità da farlo
sentire così piccolo e così fragile, come neanche
quando vestiva un gracile corpo.
Ora gli
sono negati quegli occhi e Steve vorrebbe guardarli solo per vedere se
troverà specchiato lo stesso sentimento che copre i suoi.
Ma Tony gli
nega i suoi occhi e la sua attenzione, gli nega una risposta e con
quella negazione gli porge cento domande diverse.
Steve non
ha forza di rispondere a nessuna di esse, non ha forza di cercare anche
una sola risposta.
Lascia
andare un lungo respiro e sente i suoi polmoni svuotarsi e il cuore
ingrossarsi. Sente i nervi tendersi e il sangue pompare.
Deve uscire prima di fare qualcosa di cui pentirsi davvero, deve uscire
prima di lasciare che il sangue di Tony imbratti quelle lenzuola
già sporche.
Gli
dà le spalle e chiude gli occhi qualche attimo prima di
convincersi a spingere la porta.
«Cap?»
Si sente
chiamare ed è un leggero sussurro.
Non
risponde, non si volta. Resta fermo ad attendere.
«Azzurro?...
Pensi possa andare?»
Qualcosa
gli sfiora la pelle e lo fa rabbrividire e non è quel vento
lamentoso.
«Azzurro?»
gli chiede e può scorgere il suo sguardo i suoi occhi neri
su di lui, e lì dentro Steve lo vede: il suo riflesso, la
sua stessa paura.
Annuisce
debolmente.
«Può
andare» risponde sollevando appena le labbra.
Tony gli
regala invece un ampio sorriso che si apre e fa aprire allo stesso
tempo una voragine nel petto di Steve.
«Azzurro
sia.»
Steve ha
ancora voglia di tornare su quel letto ma non più per
coprirlo di sangue.
*
*
*
*
*
*
*
*
Ha indossato la sua tuta e sta
sciogliendo i muscoli. Vuole correre all'alba di New York, attraverso
il verde di Central Park e trovare quelle risposte. Sa che
sarà difficile ma che deve provarci.
Afferra con
la mano sinistra il gomito destro e lo spinge contro il petto. Fa lo
stesso con il sinistro mentre sente dei passi alle sue spalle.
«Ti
va un po' di compagnia questa mattina?» Thor lo saluta con un
sorriso e una richiesta che ne cela un'altra. “Ti va di parlare?”
Thor ha
notato che qualcosa è cambiato, che Steve è
più silenzioso e i suoi occhi più pensierosi.
Thor ha una
sensibilità difficile da leggere a prima vista eppure Steve
riesce a percepirla ogni volta che gli è vicino.
Accetta
quella richiesta, le accetta entrambe.
«Speriamo
solo che non piova» sussurra mentre camminano fianco a
fianco. Thor ride come avesse detto un qualcosa di molto divertente o
di molto stupido.
Quando
escono e il cielo di New York è azzurro come poche altre
volte, Steve capisce che lo ha fatto: ha detto qualcosa di molto
stupido.
Thor gli
poggia una mano sulla spalla.
«Non
pioverà,» gli assicura e inizia a correre. Steve
gli va dietro e lo affianca.
Corrono per
tutta la mattina, finché il sole non è troppo
caldo e il parco troppo affollato.
Steve gli confida i suoi timori, gli racconta ogni cosa. Thor lo
ascolta e non giudica, Thor sorride e Steve sente di poter sorridere a
sua volta.
Steve si
chiede se ha sempre confuso l'amicizia con l'amore, se ha confuso le
carezze di Caroline e i sorrisi di Bucky. Steve si chiede se quando ti
innamori è come se fosse sempre la prima volta. Steve si
chiede se forse ciò che prova adesso ha un nome tutto suo.
Steve non
ama dare definizioni, Steve non sa darle e forse non lo vuole.
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«Hai fatto una
cazzata?»
«Una
grossa cazzata.»
Pepper lo
guarda diffidente con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate
sotto al seno. È bella, la sua Pepper, anche quando lo
guarda come fosse l'ultimo dei babbei.
«È
qualcosa di risolvibile?» gli chiede e Tony gonfia le guance
e scuote la testa.
Poi butta
fuori l'aria e si lascia cadere con le spalle al letto aprendo le
braccia.
«Cambierà
la mia vita...» sospira guardando il soffitto. «La
nostra vita.»
Pepper gli
chiede se ha messo incinta qualcuna, se ha venduto le sue quote della
holding, se ha deciso di accettare la proposta di Doom e passare dalla
sua parte.
Tony
risponde a tutto con un lungo silenzio.
Sente un
peso sul materasso e sa che Pepper è seduta accanto a lui.
«Risolveremo
anche questo» lo rassicura e gli accarezza un ginocchio.
Tony sa che
Pepper non mente mai, che anche se fa male gli dirà sempre
la verità.
Tony la ama
per questo, Tony l'amerà sempre.
Tony si è innamorato una sola volta nella sua vita, ed
è sicuro che non potrà farlo mai più.
Eppure
guarda il soffitto e tace. E Pepper ascolta il suo tacere.
Il soffitto
è bianco, troppo bianco.
Tony vuole
che sia azzurro.
Fin.
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