Soli tra il vento e il cielo

di lunadelpassato
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Elsa si staccò dall’abbraccio della sorella appena sentì il sibilo di una freccia diretta verso Josè. Il bambino la schivò abilmente, ma la regina non riusciva a sentirsi tranquilla. Intanto le ombre andavano moltiplicandosi con il diminuire della luce. Con un grido di sforzo lanciò una lancia di ghiaccio contro quella più vicina a lei; l’ombra cadde e si dissolse nell’aria.
-Forza Anna, dobbiamo aiutarli.
La sorella minore si alzò di scatto e di conseguenza un piccolo capogiro si fece strada nella sua testa. Subito Elsa trasse dall’aria due spade di ghiaccio e lanciò la seconda ad Anna, ancora intenta a cercare di vedere dritto. Fatto questo, si gettarono tra le ombre. Era un combattimento impari: infatti le figure di buio si moltiplicavano sempre più, tanto che ben presto tutta l’arena ne fu piena, mentre gli unici a combatterle erano una regina, una principessa e due bambini sotto i dieci anni intenti a schivare anche i colpi mortali della strega.
Sembrava non ci fossero speranze.
Espèra era intenta ad osservare la scena a bocca aperta. Sembrava veramente la fine di tutto quello che conosceva e aveva sempre conosciuto: ai suoi occhi, quella era una battaglia tra una Strega e una Maga, anche se quell’ipotesi non spiegava i bambini e le due donne. Magari è una Strega talmente potente che una sola Maga non basta a sconfiggerla, pensò in un piccolo angolo della sua mente. Ma c’era qualcosa che escludeva totalmente questa ipotesi, e questa cosa era la quantità abnorme di magia che aleggiava nell’aria. Poteva riconoscere almeno tre tipi di quella magia, tra cui una a lei sconosciuta, una che conosceva fin troppo bene e l’altra… l’altra era strana. Non riusciva a capirla.
-La persona da salvare è la in mezzo – disse Jack riportandola alla realtà, -anche se sembra aver ritrovato il senno anche da sola.
La fata chiese chiarimenti, e il ragazzo dai capelli d’argento le indicò la regina. Per poco Espèra non scoppiò a ridere.
-Tu volevi salvare una Maga con un’ intruglio di erbe?
Jack la guardò interrogativo. Quella ragazza che sembrava tanto interessata all’arena si rivelava piuttosto strana per essere una “normale persona comune” come si era definita.
-Non ho mai detto che è una Maga, e infatti non lo è.
La fata corrugò la fronte incerta. Ma allora…
-Non so se noti, ma sta usando la magia. Si vede anche da qui perfettamente. È… ghiaccio. Sta usando ghiaccio. Ma perché? Non lo sa che la miglior cosa contro una strega è un fiore?
Sentì la punta da qualcosa di duro e appuntito premergli sotto la gola. Jack la guardava con occhi duri e indagatori, mentre con la mano destra stringeva il manico del suo pugnale, ora puntato al collo della ragazza.
-Dimmi chi sei. Basta giochetti sul “sono normale sei tu strano”. Sei amica  o nemica?
Espèra deglutì sonoramente. Non le piaceva il contatto della sua pelle contro il metallo freddo (reso ancora più gelato dal tocco di Jack) ma allo stesso tempo non voleva spargere ai quattro venti la sua vera identità. Ringraziò il cielo di non avergli detto il suo nome. Sentì con orrore il pugnale premere nella sua gola. Una solitaria goccia di sangue trasparente si allungò nella lama del pugnale.
-Allora? – ringhiò Jack.
Sapeva che non poteva dirglielo: lui non avrebbe capito, come non aveva mai capito nessuno al di fuori di lei. Spinse il ragazzo all’indietro con una forza straordinaria, poi scappò via verso l’arena, arrampicandosi nelle ultime pietre, mentre dietro di lei Jack gridava con il pugnale ancora in pugno: - Non ti permetterò di farle del male!
Quando raggiunse il bordo più esterno dell’arena era ansante. Davvero quel ragazzo pensava che fosse capace di far del male a qualcuno? Illuso. Un’ ombra dagli occhi rossi le sbarrava il passaggio per arrivare al posto in cui le altre figure combattevano eroicamente, così con uno schiocco delle dita la fece sparire nel nulla, come se non fosse mai esistita. Avanzava lenta ma decisa.
Elsa combatteva a fianco di Damio e allontanava le ombre a suon di lance di ghiaccio e mostri di neve, mentre il bambino era impegnato ad attaccare la strega davanti a lui. Sembrava ancora in perfetta forma. Stupido pidocchio, credevi veramente che sarei stata sola? Ho il Male dalla mia parte. La ferita della guancia si era ormai cicatrizzata del tutto, ma perfino nella scarsa luce della notte appena scesa si poteva notare che la sua pelle aveva assunto un colore grigiastro, assumendo una consistenza squamosa. Alla donna non dispiaceva: la faceva sentire sempre più vicina al suo scopo. La nube che uscì dai suoi palmi questa volta si trasformò in un lungo tritone nero con cui si scagliò addosso al bambino. Damio preferì creare dall’aria un meraviglioso scudo candido, che fece sparire subito dopo che questo aveva adempito al suo compito. Il tritone andò in mille pezzi.
La strega imprecò aspramente contro tutti i presenti in quell’arena, poi con un ringhio che non aveva nulla di umano richiamò a sé tutto il suo potere. Anche le ombra si fermarono un attimo per guardare meravigliate la metamorfosi che avveniva nella donna dai capelli corvini. I suoi occhi divennero enormi e infuocati della luce rossa che sprigionavano, mentre il vestito malmesso divenne un tutt’uno con il corpo, tramutandosi in una folta pelliccia che rivestiva la donna da capo a piedi. Anche i capelli divennero più corti e folti, e la strega aumentò di statura e di massa, diventando infine un mostro di tre metri dagli occhi lucenti e le zanne nere delle carie. Per poco Anna non svenne a quella vista.
Un’ombra si accorse della distrazione della principessa e con un balzo fulmineo riuscì a morderla. Tre dita della sua mano sinistra volarono via, mentre il mostro si apprestava al suo secondo morso. Anna lo vide e fulminea schiacciò i pugni sanguinanti nel globo evanescente che aveva per testa, ma era troppo tardi. Barcollante dal dolore, si trascinò fino a Kristoff, dove finalmente si lasciò cadere a terra esausta. L’ombra le aveva spezzato di netto la caviglia.
La regina assistette a quella scena da lontano, e subito vide rosso. Raggomitolò la parte superiore del corpo (come aveva già fatto tanti anni prima, quando l’unica vittima era stata sua sorella)e, in uno slancio di rabbia, gridò. Mille scaglie di ghiaccio volarono tutt’attorno a lei, colpendo tutte le ombre presenti e dissolvendole nell’aria fresca di quella sera. Era stata attenta a risparmiare dai proiettili congelati le zone in cui si trovavano Damio e Josè, mentre Anna e Kristoff erano al sicuro rifugiati dietro ad un cespuglio di more. I frutti della pianta erano grandi e succosi come le olive del bosco che circondava quell’arena.
Appena la polvere di ghiaccio si sciolse strinse i pugni rabbiosa. La strega era ancora lì, ora tornata nelle sembianze della ragazza dai capelli neri, e la guardava con una furia cieca da dietro un liquido scudo nero che teneva in vita con i palmi rivolti davanti a sé.
-Hai mai sentito la frase : tento il freddo non mi ha mai dato fastidio?
Elsa spalancò gli occhi dallo stupore. Ricordava di essere completamente sola quando aveva sussurrato quella frase alla montagna. La strega restava ansante e immobile, un’ ascia scura in pugno che le accarezzava il fianco. Forse c’era ancora speranza che cambiasse idea.
-Noi sappiamo tutto di te. Possiamo essere una famiglia. Una grande famiglia di regine vendicative e di ragazze sottovalutate. Che ne pensi? Non è fantastico?
Non rispose. Damio preparò una sfera di luce tra le piccole mani, pronti a scagliarla in caso di attacco da parte della strega a sua mamma. La donna stava perdendo la pazienza. Aveva finto fin troppo di fare la buona. Lanciò una piccola sfera di inchiostro, che andò a schiantarsi a pochi centimetri dai piedi della regina. Damio non intervenne.
-Allora? Non mi piacciono le persone silenziose. Parla!
Elsa continuò nel suo silenzio. Non poteva lasciare i suoi bambini in preda ad una strega affamata che non vedeva l’ora di ammazzarli. Avrebbe dato la sua vita per loro. Se era quello il prezzo per la felicità di Damio e Josè voleva pagarlo lei, e voleva pagarlo fino all’ultimo centesimo. La strega preparò un’altra sfera di nero, questa molto più grande della precedente e molto più distruttiva. Voleva far sparire dalla faccia della terra quell’odiosa figura così sicura di sé. Voleva vincere. Intanto Josè aveva incominciato a far fluire di nascosto il suo potere nella sfera di Damio; entrambi sapevano che sarebbe bastato un secondo di ritardo per renderli orfani, e quel secondo sembrava stesse per venire da un momento all’altro. Elsa chiuse gli occhi lentamente. Non provò nemmeno a spostarsi. Era giunta l'ora di mettere fine all'inverno che la dominava.
-Questa è la tua ultima possibilità, - urlò al donna, - Unisciti a noi e avrai salva la vita.
Una lacrima calda scese dall’occhio sinistro della regina. A contatto con la pelle fredda del suo viso si solidificò, poi cadde nel pavimento crepato con un rumore di cristallo che rimbombò dappertutto nel silenzio dell’arena. Jack a quel suono cominciò a correre a perdifiato. Aveva intuito cosa stava per fare la regina. Nella sua mente si susseguivano troppo veloci pensieri sconnessi sul fatto che nonostante la sua immortalità, poteva essere ucciso se l'azione era dettata da una creatura appartenente al Male. Con la sua morte sarebbe morta una stagione, ma lui accantonava quel pensiero in un' angolo recondito della sua mente. Non gli importava se l’inverno non fosse più tornato. Voleva soltanto salvarla.
La sfera della donna seguì i sui palmi posizionandosi sopra la testa dai capelli corvini. I denti neri emersero dalla sua bocca in un ringhio sinistro, facendo trapelare l'enorme soddisfazione donatagli dalla voglia di morire della regina davanti a sè. Prese un leggero slancio all’indietro, poi lanciò la sfera oscura a tutta velocità verso Elsa. Jack aumentò il ritmo della sua corsa già forsennata. Mancavano solo pochi balzi per arrivare davanti alla regina. Non vide niente: sentì solo un grosso bruciore che gli si espandeva dallo stomaco, poi non sentì più nulla. La palla l' aveva colpito in pieno petto pochi secondi prima che colpisse Elsa, ma poi la forza di quel lancio aveva scaraventato il suo corpo all'indietro, colpendo anche la donna che voleva proteggere con il terribile morbo che si era esteso in tutto il suo corpo, rendendo vano il sacrificio.
Appena Damio aveva visto la grossa palla di nero staccarsi dalle mani della donna e puntare dritta verso sua mamma non aveva esitato a lanciare la sua. Con molto dispiacere notò che era molto più piccola di quella della strega, ma sperò che avesse abbastanza potenza per respingerla. La sfera candida si schiantò contro la nera un attimo dopo che l'ultima aveva tolto la vita dei due innamorati. I due bambini avevano aspettato un secondo di troppo, e come dar loro una colpa? Un bambino di sette anni e uno di quattro non possono sapere nulla sul tempismo e sulle leggi basilari della fisica.
I due corpi ricaddero con un tonfo secco sul pavimento di marmo. Lentamente, sotto l'effetto della sfera di Damio e Josè, ghiacciarono in un maestoso complesso che avrebbe tolto il fiato perfino al migliore degli scultori. Il nero restò ghiacciato all'interno dei loro cuori.
Anna si sporse per un secondo dal cespuglio che la proteggeva e ,alla vista della sorella tanto amata ormai definitivamente congelata e irrimediabilmente morta non riuscì più a respirare, il suo cuore perse un battito e le lacrime che avrebbero dovuto scendere copiose sulle sue guance si bloccarono irrimediabilmente all'interno dei suoi occhi.
Olaf, che per tutto il tempo era rimasto nascosto dietro una pietra sotto consiglio di Kristoff, svanì in uno sbuffo di neve candida.
Sembrava che fosse la fine. La fine della battaglia, la fine di tutto, la vincita della Distruzione.
Damio fissava impietrito il viso congelato della mamma, destinato per sempre a rimanere con la stessa espressione sorpresa e triste. La donna, invece, rideva di gusto.
-Alla fine sono sempre i migliori che se ne vanno. I migliori pappamolli! Pensa, piccolo Damio, e anche tu, Josè: se vostra mamma avesse scelto di venire dalla nostra parte, a quest'ora sarebbe viva, e sarebbe vivo anche quello spirito che vi ha fatto da padre per tutti questi anni. Era destinata a passare a noi tanti anni fa, quando inviammo Hans per farle odiare tutto quello che aveva, per farla diventare una normalissima regina cattiva; lei riuscì a scamparla grazie alla sorella, ma adesso Anna è irrimediabilmente ferita, come il suo adorato spaccaghiaccio che la stringe tanto affettuoso tra le sue braccia.
Josè aveva le lacrime agli occhi. Sarebbero rimasti completamente soli, sia lui che Damio, se fossero morti anche i loro unici zii. Sentì una sensazione sconosciuta ribollirgli nelle vene.
-Voi potete rimediare all'errore di vostra madre; basta che venite con me. Passate dall'altra parte, piccoli, e vedrete che non vi interesserà più nulla di nessun' altro che non sia voi stessi. Potrete lasciarlo andare.
Le ultime parole le uscirono dalla bocca lente e strascicate. I due bambini, che avevano sentito la storia della mamma migliaia di volte, rabbrividirono. Erano le due parole che avevano segnato la vita di Elsa.
-Ci prometti che zio e zia saranno vivi?- chiese il più piccolo avanzando di un passo. La strega rise di gusto a quella domanda, incurante dello sguardo truce dei bambini davanti a sé.
-Non vi posso promettere niente. Dipende tutto da voi.
Damio sentì un potere enorme riversarsi in ogni cellula del suo corpo, alimentato dalla rabbia e dalla disperazione che cercava di tenere dentro. Bastò solo allungare il braccio: dal palmo apparve una spada dall'elsa bianca. Era molto più affilata delle precedenti da lui create. Con un grido di battaglia, si gettò contro la donna che lo osservava divertita. Era ormai consapevole dell'enorme potere che aveva dentro: la Distruzione. Sbarazzarsi di quel nanerottolo che le correva incontro sarebbe stato un gioco da ragazzi. Mentre la donna aspettava il momento giusto per attaccare Damio, Josè fece apparire nel suo pugno una lancia di ghiaccio, che lanciò in direzione della strega distratta. La lancia colpì al fianco la donna, che si piegò immediatamente in due in preda al dolore. Dalla sua bocca usciva liquido nero. Damio completò la sua corsa, e la donna fu colpita anche alla spalla. Il suo sangue scuro incominciò a emergere a fiotti dalle due ferite. Incurante del dolore procuratogli dalla spada e dalla lancia la donna prese a scagliare una serie di piccole lance buie in direzione dei bambini. Nessuna di queste colpì i bersagli.
 
Espèra raggiunse il bordo estremo dell'arena giusto i tempo per vedere i corpi esanimi di Elsa e Jack congelarsi. Mentre la strega parlava ai due bambini aveva sentito un rantolo da sotto i suoi piedi, così si era chinata e aveva visto gli ormai moribondi Anna e Kristoff cercare di comunicare con lei. Espèra, senza esitazioni, aveva curato le gravi ferite che laceravano i loro corpi (la magia di una fata ha questo potere), poi aveva chiesto loro i nomi e il perché sul come mai si trovavano in quel luogo pericoloso.
-Sono sicura che la chiave sia Damio. È incominciato tutto quando lo trovammo, io ed Elsa, davanti al portone esterno del castello. Dopo qualche anno abbiamo scoperto che controllava una strana magia...
Qui la fata aveva fermato Anna ed era corsa ad aiutare i bambini.
 
Una figura incappucciata emerse dall'oscurità della notte. Era stata lei a fermare i dardi neri rivolti a Damio e a Josè. La donna non la conosceva, ma era quasi sicura che volesse ostacolare la morte di quei due mostriciattoli contro cui combatteva ormai da ore.
-Chi sei?-le chiese soltanto. La figura si limitò a lanciare un' oggetto appuntito nella sua direzione. La strega sibilò quando la freccia candida le sfiorò la guancia destra, facendone uscire un leggero filo di sangue. Intanto le ferite precedenti avevano smesso di sanguinare  e incominciato a rimarginarsi. Una lancia nera si materializzò nella mano della donna, mentre la figura incappucciata creò nel suo palmo un' arco d'argento. Le frecce erano candide come la neve e decorate da leggere piume di cigno.
La lancia scura vibrò nell'aria ferma nell'esatto momento in cui una freccia bianca venne scoccata dall'arco argentato, ma nessuna delle due armi colpì o sfiorò un' essere umano.
Caddero nel pavimento polveroso, andando in frantumi al tocco.
La strega incominciava a sentire una leggera stanchezza. Fece un sorrisetto forzato, poi creò un piccolo globo scuro che lanciò contro la figura incappucciata (che altro non era che Espèra), che fu veloce a scansarlo ed a contrattaccare con un’altra freccia bianca. La donna dai capelli corvini era troppo stanca: non riuscì a scansarsi in tempo e la freccia le si incastrò nella spalla, tra l’osso e il tendine. Non un lamento uscì dalla sua bocca serrata in quell’odioso sorriso. Si strappò la freccia dalla spalla e la buttò per terra, ignara che la ferita provocata aveva i bordi bruciati e fumanti.
-Sei un’ osso duro – disse la strega mentre incominciava a sentire un leggero pizzicore nel punto in cui la freccia l’aveva colpita. L’ incappucciata fece sparire l’arco dalle sue mani.
-Me lo dicono in tanti. – ribatté. A Damio sembrò di riconoscere la voce della figura che li stava aiutando.
-La freccia che ti ha colpito conteneva un veleno molto potente, - continuò,
-Non vivrai a lungo. Non c’è più bisogno di combattere.
La donna rimase zitta. Sapeva che la persona che si nascondeva sotto il cappuccio aveva ragione; lo poteva sentire nell’inflessione della voce, così segretamente soddisfatta e orgogliosa. Il bruciore alla spalla scoppiò tremendo e la costrinse a premere la ferita soffocando un grido di dolore. Non voleva dare quella soddisfazione alla sua avversaria.
-Ho ammazzato tutta la loro famiglia, tesoro. Mi basta.
La donna cercava di non dare a vedere che il dolore le diventava insopportabile, ma la voce aveva incominciato a tremarle. Decise di non parlare più.
-Non esattamente, strega.
La donna vide stupefatta la principessa schierata in prima linea con una lunga spada di bronzo in mano. Nei suoi occhi balenava la luce del dolore.
-Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto a mia sorella. – disse atona saggiando la spada.
Con mossa calcolata avanzò di qualche passo verso la strega e le fece assaggiare il bronzo sul fianco. Il dolore fu immenso.
Non devo sentire dolore, io devo sconfiggerli.
Sentì una voce solitaria vagargli per la testa come non ricordava essergli mai successo.
(hai fallito devi morire devi morire hai fallito)
sentì le forze che le diventavano sempre più deboli. Le ginocchia le scivolarono a terra, e lei ricordò una cosa che tanto tempo prima aveva dimenticato.
Il suo nome era Celia.
L’aveva dimenticato a causa delle voci sempre più forti che avevano incominciato ad invaderle la testa, l’avevano torturata finché non era scappata di casa col suo abito migliore. Ricordava quando, un tempo, era solo una ragazza dai capelli neri e dagli occhi castani che faceva sparire qualche oggetto ogni tanto, niente di più.
Ricordava quando, vagando nel bosco oltre il suo villaggio, aveva dimenticato le ultime cose che sapeva di sé. Le voci l’avevano costretta a vedere tutto in una cattiva luce.
Le avevano fatto dimenticare quando i fratelli le portavano i dolci delle feste a cui non poteva andare; quando suo padre le leggeva le fiabe facendola sedere sopra le ginocchia. Ricordava anche lo schiaffo che le aveva dato la madre quando aveva solo tre anni e aveva fatto sparire un’intera bancarella. L’aveva fatto per scena, perché quando la mamma tornò a casa pianse amare lacrime e si fece perdonare con un’ abbraccio.
Il sangue che sgorgava dalle ferite era sempre più rosso, i suoi occhi che tornavano al loro colore naturale.
-Mi sono fatta abbindolare dalle voci- sussurrò lentamente inorridita. Guardò verso la figura incappucciata e verso i due bambini che la fissavano con gli occhi sgranati, poi disse solo una parola prima di svenire:
-Aiuto.
Damio si avvicinò subito alla donna rivolta a terra e, con un potere che non sapeva ancora di possedere, le curò le ferite e la guardò mentre il suo respiro accelerava e la sua pelle tornava rosea.
Anche Josè si avvicinò lentamente. Senza quel piccolo bambino di quattro anni, quante volte Damio sarebbe morto! La donna aprì gli occhi e la prima cosa che disse fu il suo nome riscoperto.
-Celia. Mi chiamo Celia. E sono la Distruzione, ma la distruzione non è sempre cattiva.
Sorrise a Josè, che la ricambiò tranquillo. Non era più un pericolo.
-Cosa vorresti fare adesso che non vuoi più uccidermi? – domandò Damio (segretamente pronto a lanciare qualsiasi cosa al minimo segno di pericolo).
Celia lo guardò con morbidi occhi castani e si rialzò in piedi.
-Vorrei solamente tornare a casa, dalla mia famiglia. E prometto che non mi farò più abbindolare dalle voci!
Kristoff, Damio e Josè la guardarono interrogativi, mentre Anna apprensiva le sorrideva; aveva visto gli effetti che quelle dannate avevano fatto su Elsa.
Celia ringraziò tutti per averla aiutata a riprendere il controllo di sé e particolarmente Damio per averle risparmiato la morte a causa delle ferite, poi si avviò lontano. Tutti notarono che il vestito che indossava da tanti anni si era vistosamente scolorito.
 
Dopo che anche l’ombra di Celia fu invisibile successero tante cose. Anna quasi stritolò i due bambini dalla felicità, mentre Espèra ancora incappucciata guardava la scena da lontano, sapendo di non poter ancora seguire l’esempio della principessa. Kristoff poi omaggiò la sua sposa di un lungo e dolce bacio.
-Credevo seriamente che l’ultima cosa che avrei visto sarebbe stata un cespuglio di more- confidò ad Anna.
-Anche io! Aspetta… ma dov’è Olaf?
Nell’arena scese il silenzio per la seconda volta, anche se tutt’intorno gli uccelli notturni intonavano il loro lugubre canto per la prima volta da quando era apparsa la strega.
Una tacita risposta era contenuta negli occhi di tutti. Olaf era svanito nel nulla, volatilizzato a causa della morte della sua datrice di vita.
Fu allora che Josè ed Anna scoppiarono a piangere. Espèra decise di aiutarli: prese alcuni grossi rami secchi e accese un grosso fuoco per scaldare gli  animi e far sciogliere i due corpi congelati che tutti piangevano. Non ci fu bisogno di fare la guardia per nessuno, così tutti dormirono attorno al fuoco, aspettando l’alba che non sarebbe tardata ad arrivare.
Un ciuffo biondo grano uscì da sotto il grosso cappuccio della donna mentre dormiva.
La mattina dopo si accorsero che i corpi di Elsa e Jack si erano sciolti sotto il calore del fuoco, ma non si erano altrettanto liberati i loro cuori dalla pestilenza nera che li aveva dati la morte.
-Damio, puoi resuscitarli?
La domanda di Josè era arrivata dritta al cuore del fratello e la scintilla si riaccese negli occhi di tutti. Solo la donna continuò a guardare la terra davanti a sé.
-Solo una persona che condivide lo stesso sangue con entrambi può farlo, e da quanto ho capito Damio è un trovatello.
Anna e Kristoff le lanciarono uno sguardo furente. Nessuno aveva mai definito il loro nipotino a quel modo, né l'avevano mai considerato tale; per loro era sempre stato il bambino di Elsa. Se se la prese a male per il nome lui non lo diede a vedere. Josè non ci aveva nemmeno fatto caso: stava tutto concentrato a pensare alla soluzione.
-Io però sono figlio di loro due. Quindi ho il loro stesso sangue. Posso resuscitarli!
Il tono gioioso del piccolo riscaldò i cuori di tutti i presenti. Senza indugiare oltre, si avvicinò ai due corpi senza vita e poggiò le mani sul posto dove doveva essere il loro cuore. Chiuse gli occhi e lasciò andare. Lasciò andare il potere ancora acerbo ma potente che gli era sempre scorso nelle vene. Restò inginocchiato in quella posizione per cinque lunghi minuti, poi aprì gli occhi e incominciò a fissare quelli dei suoi genitori, speranzoso di vederli riaprirsi.
Aspettarono col fiato sospeso per pochi secondi soltanto: gli occhi di Jack furono i primi a schiudersi e a mostrare loro il celeste delle iridi. Lo seguì di pochi attimi Elsa.
-Cosa è successo?- chiese il ragazzo dai capelli d'argento. Si sentiva formicolare in tutto il corpo. Damio e Josè lo strinsero in un abbraccio forte, e anche se lui non sapeva ancora il perché di tutta quella intensità, li ricambiò. Elsa ricevette l'abbraccio stritolaossa della sorella minore.
-Per una notte ho creduto di dover diventare regina al posto tuo. - le disse con la voce tremante,
-Non sai quanta paura ho avuto.
Elsa la guardò dolcemente negli occhi, confusa. L'ultima cosa che ricordava era un forte sibilo e il peso di un corpo che la travolgeva e oltre quello i suoi ricordi si tranciavano di netto.
-Sarei grato se qualcuno mi spiegasse il perché su come mai siamo vivi e... dov'è sparita la strega?
Ci vollero venti minuti abbondanti di spiegazioni per metterli al corrente di tutta la storia, e alla fine l'abbraccio fu collettivo.
-Cosa mi sono perso?
Olaf aveva fatto ritorno da dietro la pietra e, stranamente, non ci fu bisogno di spiegazioni: aveva ascoltato tutto per poi fare l'entrata in scena a sorpresa. Si era ricomposto appena il cuore della regina aveva ripreso a battere, e appena il giro di sangue nuovo si era ristabilito nel corpo della sua creatrice, il pupazzo di neve era ormai di nuovo in grado di pensare.
-Credo che per adesso i pericoli siano finiti. Che ne dite di tornare tutti al castello?
-Aspettate!
Sette paia di occhi fissarono la figura incappucciata. Non aveva parlato da quando Josè si era avvicinato ai corpi ancora morti dei genitori.
-C'è una cosa che dovete sapere.
Si sedette comoda in una pietra sporgente dell'arena e tutti seguirono il suo esempio. Espèra sospirò tremante. Sarebbero state le uniche persone a cui avrebbe rivelato la sua vera identità.
-Il mio nome è Espèra, e otto anni fa scappai dal mondo a cui appartenevo. Sapevo che la mia fuga sarebbe stata molto discussa per via del mio stato, ma in quel momento la mia unica volontà era di cercare una prova di quello che fin da piccola mi era stato negato. Quando arrivai nella terraferma capì che il bambino che portavo era ormai prossimo alla nascita, e infatti poche ore dopo nacque la creature più dolce che avessi mai visto. Mi somigliava molto: aveva i miei stessi occhi e i capelli biondi come il grano. Mentre lo guardavo un'Ombra mi afferrò la caviglia e mi costrinse a seguirla, ma per fortuna riuscì a fare un' incantesimo sul piccolo che lo avrebbe portato davanti alla casa delle persone che se ne sarebbero prese cura con amore e attenzione. Non gli diedi un nome, ma nell'istante in cui entrai dentro le viscere del terreno seppi che lo avei rivisto. Così è stato: non nelle circostanze che credevo, ma in una migliore. La famiglia che l'ha preso con sé gli vuole molto bene e io sono mortalmente sicura di non poter strappare un bambino alla sua mamma. Lasciate almeno che lo abbracci un’unica volta, vi prego.
Espèra si portò le mani tremanti ai bordi del cappuccio che le nascondeva il volto e lo fece lentamente discendere nelle sue spalle. Due occhi celesti e fieri si mostrarono alla luce. Il viso era sottile e contornato da morbidi capelli biondi e lisci molto simili a quelli di Damio, mentre due leggere ali fecero capolino dalle pieghe della tunica bruna che ancora indossava.
Elsa strinse le labbra finché non le diventarono esangui. Aveva sempre immaginato che Damio fosse stato abbandonato da una donna senza scrupoli poche ore dopo la sua nascita, magari perché frutto di un rapporto non consensuale, e sapere che in tutti quegli anni non aveva fatto che ingannarsi la faceva sentire male. Il bambino che sette anni prima aveva accolto a palazzo ora le si stringeva contro senza mostrare segno di voler abbracciare Espèra. Con un gesto lento Elsa passò il braccio sulle spalle di Damio, come per proteggerlo.
-Dimostra che sei la madre di sangue di questo bambino. Solo allora ti permetterò di abbracciarlo.
Le parole della regina erano state gelide e terribili. Non voleva rischiare che la donna dalle ali diafane le portasse via il suo primogenito, il suo legittimo erede al trono, e temeva che Damio potesse scegliere di vivere con la sua mamma naturale. Damio è un bambino giudizioso, pensò nell’ unico angolino libero della sua mente dall’istinto materno, saprà fare la scelta giusta.
La fata non si sorprese della sfida che le proponeva Elsa: si era aspettata una reazione simile, ma la voglia di vedere il piccolo che non aveva potuto allevare si era fatta troppo intensa per lasciarlo andare così, ignaro delle sue origini. Incrociò lo sguardo ostile della regina che teneva stretto il suo bambino. Alzò il palmo destro verso l’alto, poi con un piccolo colpo della mano verso su fece apparire una piccola farfalla variopinta. La piccola si guardò intorno per qualche secondo prima di spiccare il suo primo volo come creature dotata di vita. Dense nuvole oscurarono il cielo sopra l’arena. Damio aveva azzardato pochi passi timidi verso Espèra, che aveva aperto le braccia con un piccolo sorriso disegnato in volto. Davanti a quell’espressione così sincera non poté resistere. Corse verso la fata, che lo strinse in un’ abbraccio caldo, poi scoppiò a piangere nel suo petto.
Anna e Kristoff sorrisero. Elsa rimase impassibile, immobile per evitare che il ghiaccio o la neve potessero turbare quel momento di riunione familiare. Le nuvole scure sopra di lei la tradivano.
-Se vuoi puoi venire con noi a palazzo.
Elsa tremava. Voleva tenersi stretto Damio e voleva la sua felicità e pensò così che quella sarebbe stata la soluzione migliore. Mettendo a nudo tutti i suoi timori, la fata declinò l’offerta.
-Mi dispiace, ma devo tornare nel mio regno. Sono mancata tanti anni e poi tutti vorranno conoscere Damio! Sempre se tu vuoi venire nel mondo a cui appartieni, s’intende.
Il cuore di Elsa perse un battito. Anna se ne accorse, e subito si strinse intorno alla sorella maggiore, cercando di donargli quel po’ di calore sufficiente a non congelare tutto. Dalle nuvole incominciarono a fiorire candidi fiocchi di neve.
Damio, da parte sua, non rispose.
-Scusatemi. Ho appena detto che non volevo rovinare una famiglia, ed ecco che la mia bocca mi tradisce. Non volevo dirlo… beh, in realtà si, ma non in questo modo. Il problema è che ho aspettato tanto chiedendomi che sorte fosse capitata al piccolo che non avevo potuto veder crescere… scusatemi. So di non essere nessuno per lui.
Allontanò dolcemente Damio dalle sue braccia e dall’occhio sinistro le volò leggera una lacrima. Quando toccò il terreno quella piccola goccia si trasformò in un fiore aranciato e visibilmente magico, ma nessuno se ne accorse.
-Questa volta sono io a chiederti di aspettare.- disse a mezza voce il bambino dai capelli di grano. La fata gli rivolse due occhi colmi di speranza.
-Sinceramente devo dirti che non mi sono mai chiesto quali erano le mie origini, anche se mi sono domandato tante volte quella dei miei poteri. Mia mamma –Elsa- è stata bravissima con me fin da quando ricordo. Per quanto riguarda la mia vita… tra diciassette anni verrò incoronato re di Arendelle, ho degli zii che hanno affrontato tanti anni la peggior bufera di neve dalle nostre parti, una mamma che può proteggermi con un solo dito e un papà che vola nel vento e mi racconta un sacco di storie buffe dai regni lontani. Per non parlare di Josè: anche se non è il mio fratello di sangue, lo considero tale e non immaginerei mai una vita senza di lui. Come vedi, non ho nessuna ragione che mi spinge a trasferirmi in un altro mondo.
Espèra rimase per un’ attimo sorpresa dal discorso del bambino di sette anni e qualche mese che conteneva il suo stesso sangue; dopo esplose in un caldo sorriso orgoglioso.
-Sono veramente contenta che tu sia così. Sai, la nostra famiglia è rinomata per i grandi avventurieri a cui ha dato origine e sono portata a credere che nelle tue vene scorre questa bellissima qualità. Spero ci rivedremo presto, Damio, e ti auguro la miglior vita che ci possa essere. Ti vorrò sempre bene.
Ci fu un’ ultimo abbraccio tra madre e figlio, poi Espèra aggiunse:
-Ricorda: io ci sarò sempre. Se hai bisogno di qualcosa non hai che chiedere alla prima stella ad ovest del Piccolo Carro: allora io ti sentirò.
Con queste ultime parole, le ali della fata incominciarono a vibrare veloci e a portarla sempre più su, finché non fu un piccolo puntino chiaro nel cielo ormai limpido.
Damio osservò il puntino finché non lo vide sparire completamente.  Elsa gli si avvicinò e gli posò una mano nella piccola spalla.
-Alla fine hai scelto di tornare ad Arendelle con noi. – chiese Elsa visibilmente sollevata.
Damio girò la testa per incontrare gli occhi della regina che gli voleva tanto bene. Pensò di non averla mai vista così tranquilla.
-Io vi voglio bene. – sussurrò.
Quella stessa sera incominciò il loro lungo ritorno a casa, capitanato dal piccolo Josè che, insieme al papà, controllava la strada dall’alto.
Le prime stelle erano apparse nel cielo ancora rischiarato dai primi raggi del tramonto. Damio, sopra le spalle forzute di Kristoff, guardò in alto, e vide una piccola luce rischiarargli la pelle da lassù.
-Non ti dimenticherò mai, mamma. – sussurrò prima che la sua testa si posasse stanca sopra quella di suo zio.
I grilli intonavano il loro canto nella tarda primavera che si espandeva tutt’intorno a loro.
 
EPILOGO
 
-Re Josè Primo, qualcuno chiede il permesso per entrare a parlare con la Sua persona.
L’uomo sulla quarantina che sedeva al trono si grattò lieve il pizzetto argentato, poi fece un cenno all’annunciatore.
-Fallo entrare pure, Roger.
Il servitore si esibì in un profondo inchino, poi corse a chiamare la persona interessata. Davanti al re si inchinò un’ uomo vestito di pelli brune e una faretra ricolma di frecce che gli mordeva la spalla. I suoi capelli erano biondi come il grano.
-Da quanto tempo, Damio.
L’uomo alzò la testa a cercare gli occhi del re che sedeva davanti a lui. I lunghi capelli gli accarezzavano lievi il collo. Subito si rialzò in piedi, si sistemò la faretra in modo più comodo e lanciò al fratello un’occhiata terribile dai suoi occhi blu chiaro.
-Da quando ho rinunciato al trono per la vita selvaggia. Più o meno… vent’anni fa, se non sbaglio.
Josè si alzò dal trono per andare incontro a Damio. Il mantello che portava, pesante e scarlatto, gli ricordava il peso dell’essere a capo di un regno. Il regno di Arendelle. Dai capelli argentati, tagliati corti, si intravedeva la mole di una corona d’oro massiccio.
-Sei invecchiato –osservò divertito Damio. Il re sbuffò a quella affermazione: non aveva dimenticato il carattere contemporaneamente serio e dolce del fratellastro.
-Non posso dire la stessa cosa, “fata”. Sei identico al giorno in cui, poche ore prima che ti incoronassero, hai detto al popolo che rinunciavi a mio favore al trono. Non sai quanti danni hai procurato alla vita da principe che mi ero programmato.
Damio esplose in una risata leggera, mentre Josè lo guardò bonariamente con i suoi occhi di ghiaccio.
Elsa era morta di un grave malanno due settimane prima l’incoronazione. I funerali erano stati fatti tre giorni dopo, suntuosi e regali come tutti si aspettavano. Anna e i suoi figli maggiori (due dei sei che la natura le aveva dispensato) avevano assistito a tutta la cerimonia, e sempre la principessa aveva consolato i due nipoti della perdita. Olaf era svanito nello stesso momento in cui se n’era andata la vita da Elsa, mentre Jack era stato richiamato a svolgere il proprio lavoro per riportare l’inverno, e ormai vedeva pochissimo i suoi “ragazzi”, anche perché era dura avere le sembianze di un ragazzino davanti a due omoni grandi e grossi e, soprattutto, mortali.
Josè era stato incoronato a vent’anni; quattro anni prima della data a causa dell’abdicazione del fratello, ma fin da allora non aveva fatto rimpiangere la regina perduta al popolo: i suoi  discorsi erano assennati, le sue alleanze ben studiate e i commerci sotto di lui andavano a gonfie vele.
Il fratello maggiore, invece, aveva rinunciato ai suoi diritti da principe e aveva deciso di viaggiare per tutti i regni conosciuti e non. Era stato lui a fondare tre città a sud e a scoprire diverse terre e popoli antichi e leggendari.
-Ho saputo che nonostante tutte le terre che hai visitato non hai ancora trovato una donna giusta - lo punzecchiò il re.
-Al tuo contrario, uomo sposato e con tre bellissimi figli.- rispose Damio. Nelle sue lettere Josè descriveva i suoi pargoli come i più bei doni che avesse mai ricevuto. La sua primogenita aveva ricevuto lo stesso nome di sua nonna, nonché gli stessi difficili poteri. La piccola Elsa aveva dieci anni ed era l’ unica sua figlia con il potere della neve. Il piccolo in mezzo aveva invece sette anni e tanta voglia di vivere, e il suo nome era Gherardo; mentre la più piccola, di soli tre anni, si chiamava Melissa. 
-Sai, fratellino, ci sono notti in cui ripenso alla nostra avventura. Sai, quella della strega e della mia madre di sangue.
Josè passò il braccio regale nelle spalle di Damio, che a confronto sembrava più giovane di almeno una decina d’anni.
-La ricordo bene. Se ci pensi bene è iniziato tutto da lì; la prima volta che siamo stati veramente soli tra il vento e il cielo.






Eccoci giunti alla fine di questa storia. Questo capitolo è stato abbastanza duro da scrivere, ma alla fine eccolo in tutta la sua...?
Vorrei ringraziare in particolare 
cats_4ever per le sue recensioni fantastiche e per il suo costante impegno nell'aver seguito la storia fino alla fine.
RINGRAZIAMENTI:
un'altro ringraziamento va a
Mintaka94 , Xemerius_Miggy, _angiu_ e Lady Darkrose per aver recensito (scusate se mi sono dimenticata qualcuno);
alle 22 persone che l' hanno seguita ed alle 9 persone che l' hanno preferita.




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