Un pomeriggio
“Iniziavo a sperare”
“Cosa?”
“Che non venissi”. Sesshomaru
piega appena le labbra e lo osserva da sopra gli occhiali e il giornale.
“Adorabile” Naraku gli
restituisce la smorfia e con un gesto veloce della mano afferra un quadratino
di cioccolato –extrafondente e al sale.
Buono e strano. Necessario. Ridacchia divertito e allunga le gambe sotto il
tavolino del bar. “Gentile, il pensiero”. Sesshomaru odia il cioccolato (sopratutto
il cioccolato al sale), ma Naraku ne è dipendente.
Quasi.
“Cosa prendi?”. Sesshomaru
inchioda gli occhi al giornale (economia
in ribasso, indici con il singhiozzo
e solite amenità finanziarie) e dimentica
di rispondere.
“Oltre al cioccolato?” ridacchia
Naraku, mentre scorre –attento- la
lista.
“Aha”.
Sesshomaru lo ignora. Premio letterario
fa capolino fra le parole (troppe) del giornale.
“Mmm”. L’indice tamburella sul
cartoncino. “Caffè alla liquirizia” Naraku scandisce schioccando la lingua.
Arrotola sciarpa, basco e cappotto in un angolo del
divanetto e appoggia i gomiti sul tavolino. Sesshomaru –ostinato- continua la sua lettura.
“La tua conversazione è squisita”. Naraku sgranocchia un nuovo
quadratino e studia l’effetto. Ci sa fare, quando parla. Soprattutto se si
diverte nel farlo, e adesso mi sto
divertendo.
Sesshomaru sbuffa, piega con
lentezza (estrema) il giornale e si toglie gli occhiali. Ha un maglione argento
– il suo preferito-; sarebbe un peccato macchiarlo. Ma la tentazione c’è.
Grande.
“Sono le cinque e mezza” precisa
calmo (quasi esagerato), sfiorando il quadrante. Un movimento lento e circolare
dell’artiglio.
“Esatto”. Naraku annuisce, mentre
picchietta un motivetto indefinito, le labbra strette nel sorrisetto divertito di quando fa finta
di non capire.
“Avevamo appuntamento un’ora fa”
“Lo so”. Il dito cambia velocità,
aumenta all’improvviso, si ferma e poi prende. Naraku mordicchia il labbro,
concentrato su nulla. Sesshomaru si porta due dita alla fronte e stringe gli
occhi. Prima lo mette praticamente sotto assedio – telefonate, messaggi, email, post it lasciati ovunque (ma perchè gli ho dato le chiavi di casa mia?)- e adesso si diverte a
fargli venire un travaso di bile.
“Mai sentito parlare di puntualità?” sussurra Sesshomaru
gettando nel cestino la bustina di zucchero e sorseggiando il caffè - il quarto,
in un’ora (il fegato ringrazia).
“Vagamente”. Naraku rigira le due
bustine e il caffè denso. E si blocca con il cucchiaino rovesciato in bocca,
schiacciato contro il palato, e gli occhi innocenti.
“Perchè?”.
“Lasciamo perdere”. Sesshomaru scuote
la testa: ci rinuncia. Glielo ha anche regalato, un orologio, di quelli da
taschino (un modo gentile- per lui-
di ricordargli gli appuntamenti), e Naraku, puntuale, lo esibisce ad ogni
prima. Rigorosamente fermo.
“Offeso?”.
“Ne ho motivo?” Sesshomaru curva
l’angolo della bocca, in modo pericoloso. Pensa al maglione –Kagome lo
ucciderebbe-; alla faticaccia che gli toccherebbe per lavarlo (acqua, sale e
poi ancora acqua tiepida. E sapone!).
“No” Naraku scrolla le spalle,
indifferente. Ma ha un sorriso soddisfatto. “Assaggia questo, piuttosto” e gli
avvicina la tazza fumante. “É squisito; e cura anche la depressione, sai?”
“Non sono depresso”. Sesshomaru
stringe le labbra. L’odore è pungente: un misto forte di amaro e dolciastro.
Allontana con cautela la tazza e respira a fondo.
“Va bene, va bene”. Naraku
rimescola il vasetto del miele e ne versa una generosa appiccicosa goccia. “Se ti fa piacere dirlo...”
Sesshomaru ruota gli occhi e
sbuffa. Ci risiamo! Quando vuole
fargli da psicologo e propinargli la sua consulenza (praticamente una volta su
tre) lo detesta. “Non mi fa piacere dirlo”
scandisce con la testa leggermente reclinata all’indietro. “É la verità”
“Dolce?” Naraku occhieggia
famelico verso il vetro dell’espositore. Lo ha ignorato; come al solito. Sta allungando il collo
per non lasciarsi sfuggire nulla.
“Digiuno?”
“Non io”. Naraku ferma al volo
una cameriera e ordina due paste (esagerate) alla crema. “Tu” aggiunge
centellinando i fonemi.
“Io?” Sesshomaru inarca un sopracciglio. Perplesso.
“Certo!” Naraku annuisce convinto
e correda il tutto con gesto della mano, plateale. “Digiuno d’affetto”, precisa
un minuto dopo, con un pezzo di profiteroles
infilzato nella forchettina.
“Adesso bas-“
“Zitto e mangia!” Naraku gli
infila in bocca la forchetta, soddisfatto. E Sesshomaru è costretto a
inghiottire.
“Ti è piaciuto?”. Naraku
giocherella con la sigaretta; spenta. E impreca contro il cartellino alle
spalle di Sesshomaru (vietato fumare).
“Troppo dolce”. Sesshomaru storce
il naso con una smorfia.
“Gusti”. Naraku è rassegnato su quel punto. Arriccia il
labbro inferiore e reinfila la sigaretta nel
pacchetto. “Ma io intendevo la prima”
“Lo so”
Naraku si sporge sul tavolino.
Gli occhi di Sesshomaru sembrano promettere dolore.
Ci metterà un po’ prima di fargli sputare la sua opinione. “Allora?” lo
incalza.
“Allora cosa?” Sesshomaru ripiega
attentamente la salvietta di carta e preme un po’ troppo sulle linee. E al
solito sembra indifferente, anche se la voce vibra appena in una nota
divertita.
“Giudizio. Giu-di-zio”
scandisce bene Naraku facendo cadere l’indice sul tavolino ad ogni sillaba.
“Passabile”
“Passabile?”. Naraku incurva la
bocca e riprende il pacchetto dal taschino. Al
diavolo anche il divieto! Aspira a fondo e soffia verso l’alto. “Passabile”
ripete in un sussurro, mentre preme il filtro sul piattino e si arrende
all’occhiataccia di Sesshomaru.
“Deluso?”
“Affatto”. Naraku gli pianta in faccia gli occhi acuti e la voce fascinosa.
“Detto da te, è un complimento”. Ed è serio.
Accartoccia e liscia il tovagliolino. “Appunti?”
“Magari il blazer rosso di Jago”
geme Sesshomaru al ricordo.
“Bello, vero?” Naraku ridacchia. No, che non deve essergli piaciuta la
sartoria moderna al posto della giacca militare grigia. Sesshomaru ha un vera passione per le uniformi militari. “Una trovata
dell’ultimo minuto. Così ” e gli
schiocca le dita davanti al naso.
Sesshomaru sbatte le palpebre e
stringe gli occhi. “Provocatoria, immagino”, sospira abbozzando un mezzo
sorriso.
“Precisamente”. Naraku lascia
ondeggiare in aria un dito. “In barba ai fossili puristi accademici”
“A me, quindi”
Naraku affonda una mano nei
capelli (compostamente disordinati) e
ride. “Era difficile resistere alla tentazione”.
“Immagino”. Sesshomaru ripiega
con cura il cappotto sul braccio e arrotola al collo il foulard –detesta le
sciarpe. Soffocano. “Interviste?” indaga quasi per noia, senza decidersi ad
alzarsi.
“In
serata”. Naraku va un gesto vago, annoiato. “Con tuo fratello” aggiunge
trattenendo (male) un sorriso sornione.
“Ah”. Un brivido corre lungo la
schiena di Sesshomaru e l’immagine di vino, poltrona, musica e caminetto
svanisce. “Trattamelo...bene” sibila
appena.
“Benissssimo”. Naraku allunga e
calca troppo la parola; lo sta prendendo in giro. “Non dubitarne”
Sesshomaru respira sconsolato e appunta
in testa – caratteri cubitali- di controllare la riserva di aspirine e
calmanti. Dopo ogni intervista con Naraku, Inuyasha è intrattabile. E io ci rimetto la mia tranquillità
rimugina amaro.
“La cena di gala inizia alle
nove. Puntuale” gli fa il verso Naraku, inchiodandolo al divanetto. Con quel maledetto sguardo.
“Prego?”
“Andiamo!” Naraku allarga
divertito le braccia. “Non vorrai esimerti dal mostrare la tua garbata tolleranza”
Sesshomaru si alza sminuzzando il
suo autocontrollo e indossa (meticolosamente) il cappotto. “La tolleranza è un altro nome per
l’indifferenza1” precisa chiudendo l’ultimo bottone –dorato- in
alto.
“Appunto” precisa Naraku, mentre
Sesshomaru lascia (silenzioso) alcune monete sul tavolino e afferra la
ventiquattrore – rigorosamente in pelle nera - (regalo di laurea di sua madre).
“Appunto”.
Sesshomaru non gli lascia il
tempo di ribattere. Infila la porta, a passo sostenuto. Mentre Naraku lo
osserva uscire ridacchiando e ordina un bicchiere di buon vino. Rosso.
Note
(1) Wiliam
Somerset Maugham
Chiudendo
E siamo a tre.
Un piccolo record personale, se me lo permettete. Perché,
davvero, non credevo che sarei mai riuscita a scrivere qualcosa che fosse anche
solo vagamente comico (semiserio. E’ meglio). Straordinario davvero. Di solito
tendo troppo al tragico. O comunque al melanconico.
Ci sto anche prendendo gusto (e la cosa potrebbe rivelarsi
pericolosa). Comunque, per ora sono sicura che seguirà anche l’ultima piccola
parte: Una sera. E a quel punto, credo, il ciclo di pariniana ispirazione si chiude.
Anche se non è detto che non continui, presto o tardi. Ci
sto prendendo gusto, come ho detto.
In origine, l’idea era di mantenere il doppio titolo
(giapponese-italiano) anche per le altre parti, ma non disponendo (ancora) di
un vocabolario di Giapponese e vista la vacanza della biblioteca (un mese di
chiusura!), ho dovuto sospendere la titolatura in
originale. Se qualcuno conoscesse i tre termini mancanti (un mattino, un
pomeriggio, una sera) e me li potesse passare, avrebbe la mia più sentita
riconoscenza.
Intanto, vorrei ringraziare infinitamente chi ha letto sia Hitoyo sia Un mattino. Grazie per le belle parole
che mi avete usato e per la gentilezza che mi mostrate. Questo capitolo è per
voi.
Lete89
Rosencrantz
Miriel67
Blackvirgo
Celina
KaDe
Elyxyz
Jekka