02
Capitolo secondo
Il
Gran Consiglio
Il
clima del Paese del Vento era generalmente secco e torrido. Il sole
di mezzogiorno incrinava le pietre e faceva tremare l’aria
avida di
frescura, ma l’afa per fortuna era rara. Nella sua conca di
arenaria rossa il villaggio di Suna riposava sotto un cielo luminoso,
circondato dalla coperta troppo calda della sabbia che si infilava
ovunque; il suo silenzio era rotto soltanto dai ronzii degli insetti
nascosti tra le ombre e da sporadiche voci dalle camere da letto,
dove gli abitanti del villaggio si ritiravano a riposare dopo il
pasto di metà giornata.
Nel
suo studio, con l’aria fredda del condizionatore puntata tra
gli
occhi, il Kazekage teneva la testa appoggiata a una mano e fissava la
porta senza vederla. La mano libera era posata sul piano della
scrivania, morbida, ma con le dita tamburellava nervosamente sul
legno.
Gaara
era teso, il che di recente gli capitava troppo spesso. Da qualche
giorno aspettava un messaggio, certo che fosse sulla strada per il
suo studio, ma ogni volta che attendeva uno
di quelli non
poteva fare a meno di sentire la sudorazione aumentare in maniera
esponenziale. Proprio mentre iniziava a considerare l’idea di
temperare tutte le matite della scrivania un bussare educato ma
improvviso lo fece sussultare.
«Sì,
avanti» disse un po’ troppo in fretta,
ricomponendosi rapido.
Sulla
soglia comparve una donna dall’aria impeccabile, con lunghi
capelli
rossi raccolti in una crocchia e occhiali dalla montatura spessa.
Entrando gettò uno sguardo interrogativo a Gaara, ma quando
si
richiuse la porta alle spalle non fece nessun commento.
«E’
arrivato un messaggio dalla Foglia» disse invece, andando a
raggiungere la scrivania. «Sembra che sia successo
qualcosa.»
Gaara
nascose l’emozione e prese il foglio che lei gli tendeva. I
suoi
occhi lo percorsero velocemente in cerca delle notizie che aspettava,
ma mano a mano che procedeva nella lettura si rese conto che il
messaggio non era quello sperato, anzi: arrivato all’ultima
parola
dovette trattenersi dal serrare il pugno per non stropicciare la
carta.
«Si
direbbe una situazione incresciosa» commentò la
donna. Un sorriso
freddo le incurvò le labbra tinte di rosa.
«Davvero una fortunata
coincidenza, non trovi?»
«Per
voi» sibilò Gaara caustico. Appoggiò il
messaggio sulla scrivania,
bloccandolo sotto un fermacarte di pietra; prima di rialzare lo
sguardo si costrinse a distendere i muscoli del viso.
«Nobile
Kazekage, dovreste rilassarvi» ribatté la donna
ironicamente,
appoggiandosi alla scrivania con un fianco. «Il vostro ruolo
è così
pieno di preoccupazioni che forse sarebbe il caso di delegare
qualcosa alla vostra preziosa segretaria.»
Gli
occhi di lui mandarono un lampo, il sorriso della donna si
ampliò.
«Cos’è quello sguardo, Gaara?»
chiese, lasciando perdere la
finta deferenza. Appoggiò le mani sulla scrivania e si
piegò verso
di lui, osservandolo attraverso gli occhiali. «Non puoi fare
nulla.
Lo sai. Da bravo, non fissarmi così. Anzi, rallegrati: le
notizie
che vengono da Konoha sono ottime notizie, e quando noi siamo
soddisfatti le cose vanno bene per tutti. Non sei sollevato?»
alzò
una mano e sfiorò la guancia di Gaara per una frazione di
secondo,
prima che lui scostasse bruscamente il suo braccio. Il sorriso
scomparve in fretta dal volto della donna. Si fece indietro.
«No,
forse non abbastanza» mormorò piano.
«Stai attento Gaara... Se
dovessi vedere qualcosa che non mi piace nel tuo comportamento, sai
chi ne farebbe le spese.»
Di
scatto si voltò verso l’uscita e la raggiunse in
pochi passi.
Giunta davanti alla porta si fermò, sistemò la
crocchia sulla testa
e lo guardò un’ultima volta, sul viso
l’espressione
professionale della segretaria affidabile.
«Buon
lavoro, nobile Kazekage» disse cortesemente. «Io
credo che mi
assenterò per un paio d’ore, se non vi
è di troppo disturbo.»
Quindi,
senza attendere risposta, uscì.
Non
appena fu di nuovo solo Gaara riprese il messaggio di Konoha e lo
lesse una seconda volta, assottigliando gli occhi nello sforzo della
concentrazione. Tra le righe, dietro gli ideogrammi, lui riusciva a
leggere ciò che nessun altro vedeva: il codice nascosto
dietro il
codice, il vero messaggio che aspettava con tanta impazienza. Quando
arrivò in fondo alla pagina le occhiaie sul suo viso si
erano fatte
più profonde.
Si
passò una mano sulla fronte. Avrebbe dovuto immaginare che
le cose
si sarebbero complicate all’ultimo: fino a quel momento tutto
era
proceduto in maniera troppo scorrevole... Tornò
a guardare il messaggio, rilesse le ultime righe.
Beh.
C’era un grosso impedimento, ma c’era pure qualche
appiglio,
dovette riconoscere.
Anche
se, ne era certo, Naruto doveva essere furioso.
*
Il
primo pensiero che attraversò la testa di Chiharu, quando
incrociò
lungo la strada Baka Akeru, fu che quella si prospettava una giornata
disgraziata. Di solito, da quando lo conosceva, ogni volta che lo
incontrava finiva in sangue o insulti.
Pensò
di ignorarlo, ma ovviamente lui non glielo permise.
«Quale
onore!» commentò non appena fu abbastanza vicino
per scoccarle
un’occhiata piena di stizza. «La novella
maggiorenne.»
«Ciao,
Stupido» sospirò lei.
Crescendo
Akeru si era fatto più alto, e, come se non bastasse, alla
sua già
generosa boria era andato ad aggiungersi un aspetto decisamente
piacevole, probabilmente fin troppo. Mentre camminava impettito lungo
la strada, poi, sfoggiava con orgoglio il tatuaggio che gli marchiava
la spalla sinistra, una fiammella stilizzata che lo qualificava come
membro della squadra speciale del villaggio; e quello, considerato
che era l’unico tra i coetanei ad essersi guadagnato un posto
tra
gli Anbu, sarebbe stato motivo di orgoglio per chiunque, figurarsi
per qualcuno con uno smodato bisogno di complimenti, come era lui.
«Allora?
Mi dicono sia stata una bella festa di vecchietti»
proseguì,
bloccando la strada a Chiharu. «Età media
trentaquattro anni, e
solo perché i figli degli invitati la abbassavano
drasticamente.»
«E’
stato tre giorni fa!» esclamò lei incrociando le
braccia sul petto.
«Per quanto hai intenzione di recriminare? Volevi davvero
venire a
quella festa e farti tormentare da Hitoshi e Kotaro?»
Akeru
arrossì indispettito e le scoccò
un’occhiata offesa. «Quello
là lo hai
invitato» bofonchiò a mezze labbra. «E
nemmeno lui è esattamente
amico dei tuoi stupidi compagni di squadra.»
«Yoshi
non li provoca, almeno» spiegò lei con uno sguardo
eloquente. «Non
avevo voglia di sorbirmi le tue frecciatine e la tua antipatia anche
al mio compleanno, e soprattutto non avevo proprio voglia di imporle
agli altri.»
Il
rossore sulle guance di Akeru aumentò. «Ti hanno
mai detto che sei
una stronza arrogante?»
«Sì,
ma tu puoi fare di meglio» replicò lei.
«E ora scusa, ‘i miei
stupidi compagni di squadra’ mi stanno aspettando. Riesco ad
essere
in ritardo anche da sola, ma se ti ci metti pure tu Hitoshi e Kotaro
finiranno per avere ragione a lamentarsi.»
Prima
che lei potesse muovere un passo lui le prese il braccio e le mise in
mano un pacchetto avvolto in carta velina viola.
«Cos’è?»
indagò Chiharu con una smorfia, mentre Akeru schivava il suo
sguardo.
«Mettilo
su quel livido» borbottò, accennando alla chiazza
bluastra che
ancora le sottolineava l’occhio sinistro. «Lo
farà sparire più
in fretta.»
«Oh.
Grazie» rispose Chiharu sorpresa. Ricevere regali in cambio
di
sarcasmo e battute cattive era un’esperienza nuova.
Akeru
arrossì e la lasciò andare. «Spalmane
un po’ la sera e un altro
po’ la mattina. Nel giro di quattro o cinque giorni non
dovrebbe
più vedersi niente» spiegò affondando
le mani in tasca.
«Non
sei un po’ in ritardo per i regali di compleanno?»
domandò lei,
incapace di ribattere alla gentilezza.
«Te
l’avrei dato alla festa, ma non mi hai invitato. Visto che
non
riesci mai a tornare tutta intera dalle missioni ho pensato che
potesse esserti utile.»
«Se
ben ricordo all’esame per diventare Chunin eri tu quello
messo
peggio.»
«Io
invece non ti ricordo all’esame per diventare Jonin... Ah! Ma
tu
non c’eri proprio, ecco perché!» con
gesto teatrale Akeru si
batté una pacca sulla fronte.
Chiharu
assottigliò gli occhi. Baka la imitò.
«E’
davvero da stupido
che tu mi chieda perché non ti ho invitato al
compleanno» sibilò
lei.
«E’
davvero triste che tu non abbia amici della tua età a parte
i tuoi
compagni di squadra» ribatté lui tra i denti.
«Detto
da uno che si è preparato un regalo da darmi anche se non
era tra
gli invitati fa quasi compassione!»
«Oh,
non ti preoccupare. Non succederà mai più, stanne
certa!» sbottò
Baka tagliente. «Vai a farti ammazzare dove ti pare! Io ti ho
già
aiutata più volte di quante meritassi, non alzerò
un altro dito per
darti una mano!» con espressione furibonda, senza aspettare
la sua
replica, la oltrepassò per andarsene.
Chiharu
lo guardò allontanarsi e poi spostò gli occhi sul
pacchettino che
ancora stringeva in mano. Sorrise, canzonatoria.
«Vai
a farti ammazzare, eh...» ripeté tra sé
e sé. «Come no.»
«Venti
minuti!» sbottò Hitoshi, additando
l’orologio che ancora
campeggiava sulla facciata dell’Ufficio per lo smistamento
delle
missioni. «Venti minuti di ritardo! Giuro che la prossima
volta a te
diciamo che l’appuntamento è mezzora
prima!»
Chiharu,
che lo ascoltava con un orecchio solo, sbadigliò vaga.
«Scusa» fu
il suo commento mentre tormentava distrattamente il livido sullo
zigomo.
Hitoshi
si passò una mano sugli occhi, sentendo
l’emicrania pulsare dietro
le palpebre come un martello pneumatico. Maledisse il giorno in cui
lo avevano messo in gruppo con lei, e poi il giorno in cui era
scampata all’avvelenamento, e ancora quando era sopravvissuta
alla
sua prima vera battaglia. Perché all’epoca era
stato felice
di simili
infausti avvenimenti?
«Sai
che per fare la predica a lei abbiamo perso altri cinque
minuti?»
gli fece notare Kotaro molto pragmaticamente.
Sulla
fronte di Hitoshi una vena pulsò in trasparenza.
«Entriamo e non
rompete!»
«Quand’è
che abbiamo deciso che sei tu il capo?» chiese Chiharu
incamminandosi per prima.
«Quando
tu ti sei addormentata durante quella missione nel Paese
dell’Acqua
e Kotaro si è ubriacato nell’altra al
Fulmine.»
«Oh.
Me ne ero dimenticata. Ma quella roba era di una noia tale che era
impossibile stare svegli!»
«E
io non mi sono ubriacato al Fulmine» puntualizzò
Kotaro. «Sono
stati i vapori dell’incendio. Erano andate a fuoco quelle
botti,
non ricordate? Io ero solo troppo vicino, sarebbe successo anche a
voi se foste stati in quel punto!»
«Noi
eravamo
lì, proprio di
fianco a te» disse Hitoshi.
Kotaro
unì le spesse sopracciglia in un unica riga riflessiva. Non
ricordava proprio, ma in effetti di quel giorno aveva solo
un’immagine molto nebulosa. «Beh, comunque stiamo
aspettando il giorno in cui il fumo o le emicranie ti metteranno K.O.
in terra straniera, signor
‘Ce-L’Ho-Solo-Io’; allora
pareggeremo i conti» disse seccato.
Un
tempo Kotaro era stato la personalità pacata che ammorbidiva
i toni
delle liti tra Chiharu e Hitoshi, ma dopo cinque anni con Naruto di
pacato non era rimasto proprio nulla nel gruppo
sette e anche
lui aveva finito per imparare a rispondere a tono.
Mentre
si punzecchiavano a vicenda i tre shinobi raggiunsero il tavolo delle
missioni e si fermarono davanti a un unico ninja, che li accolse
guardandoli storto.
«Voi
che ci fate qui?» chiese seccato, nascondendo sotto il tavolo
l’ultima copia della serie della Pomiciata.
«Cosa
vuol dire ‘che ci facciamo qui’?» fece
eco Hitoshi. «Siamo
ninja,
di solito svolgiamo missioni.»
«Non
oggi» replicò lo shinobi. «Oggi tutti,
dal grado di Chunin in su,
sono sotto il palazzo dell’Hokage; se la memoria non mi
inganna voi
non siete Genin.»
«Il
palazzo dell’Hokage?» ripeté Kotaro per
primo. «E’ successo
qualcosa?»
Lo
shinobi oltre il tavolo ghignò con malcelata aria di
superiorità.
«Ma come, non lo sapete?» chiese, appoggiando un
gomito al tavolo
sdegnosamente. «L’Hokage ha convocato urgentemente
il Gran
Consiglio, stamattina. Si vocifera che siamo in crisi, o qualcosa di
simile, e tutta Konoha è in fermento. Come fate a non averne
idea,
eh? Persino io sono qui solo per i gruppi che rientreranno in
mattinata, altrimenti sarei con tutti gli altri in piazza.»
Chiharu
scambiò un’occhiata con i compagni.
«Prima ho incrociato Stupido,
ma non ha accennato a niente del genere» mormorò
stranita.
«Ehi,
ricordi di chi stiamo parlando?» le fece notare Hitoshi.
«Un
nome, un perché*. Secondo me ne sa anche meno di noi che non
sappiamo niente.»
«Andiamo
a vedere che succede, no?» disse Kotaro, impaziente.
Sia
lui che l’Uchiha fissarono Chiharu, leggendo nel suo sguardo
le
allarmanti avvisaglie di una defezione pro pisolino mattutino, ma a
metterci l’ultima parola fu lo shinobi dello smistamento, che
ancora li guardava con sprezzante condiscendenza.
«Oh,
potete anche non andare» borbottò, sfilando da
sotto il tavolo
L’esperienza della
pomiciata,
edizione rilegata con sovraccoperta.
«Tanto dubito che siate abbastanza importanti da venir
direttamente
influenzati dalle decisioni del Gran Consiglio.»
«Dovremmo
smettere di avere questo orgoglio spaventosamente sviluppato»
commentò Kotaro, mentre insieme a Hitoshi e Chiharu si
faceva largo
nella calca cercando di guadagnare la prima fila. «Di solito
ci
porta a un mare di guai.»
«Oh,
ma sta’ zitto!» brontolò Chiharu,
seguendolo agile. «Siamo qui
solo perché vogliamo sapere qualcosa... e poi siamo Chunin.
Ne
abbiamo il diritto.»
«Io
sono Jonin» le fece notare Hitoshi, che chiudeva la fila.
Kotaro
roteò gli occhi e aumentò il passo tentando di
seminare entrambi.
Ciò che invece ottenne, purtroppo o per fortuna, fu soltanto
di
arrivare in prima fila con molta più rapidità del
previsto. Così
rapidamente che andò a sbattere contro uno degli shinobi che
presidiavano l’ingresso del palazzo.
«Che
cosa succede?» domandò all’uomo
scusandosi frettolosamente.
«Il
Consiglio è ancora in seduta» rispose quello.
«L’Hokage ieri ha
indetto una riunione straordinaria, ma non ha spiegato il
motivo.»
«Nessun
consigliere si è lasciato sfuggire qualcosa?»
intervenne Hitoshi
scansando Kotaro.
«Che
io sappia, no.»
«Siamo
in crisi?» indagò Chiharu sgusciando tra i
compagni di squadra.
«E
chi lo...»
«Sì,
sì, abbiamo capito» la kunoichi fece un gesto
stizzito. «Non sai
un tubo di niente!»
Lo
shinobi le scoccò un’occhiata offesa, ma non fece
in tempo a
riprenderla che dalla folla alle loro spalle si fece avanti un
trafelatissimo Akeru, scusandosi a destra e a manca.
«Sì,
scusate... Scus... Non stavo palpando niente! Ehi! Il mio
piede!»
Ansante, raggiunse il gruppo sette e scoccò
un’occhiata furiosa
alle persone che si accalcavano nella piazza. «Qualcuno mi ha
toccato il culo!»
«Beh,
se lo metti in mostra sopra quel collo è ovvio che prima o
poi lo
notino» commentò Hitoshi.
«Ah-ah.
Esilarante» ribatté Akeru squadrandolo male, poi
vide lo shinobi
davanti alla porta. «Posso salire?» chiese
mostrando subito il
tatuaggio sulla spalla.
Chiharu,
Kotaro e Hitoshi spalancarono la bocca quando la guardia si fece da
parte, e Baka li salutò esibendo un ghignetto di
superiorità. «A
dopo, pivelli.»
«Aspetta,
Stupido! Sai cosa sta succedendo?» tentò di
chiedere Chiharu, ma
Akeru le rivolse un gestaccio e sparì su per le scale.
I
tre ragazzi ancora fermi fissarono lo shinobi che lo aveva lasciato
passare.
«Possiamo...?»
iniziò Kotaro, ma quello scosse subito la testa.
«Niente
da fare, voi aspettate» disse con un sorriso perfido.
«Perché
quell’idiota può salire e noi no?»
sbottò Hitoshi indignato. «Io
sono Hitoshi Uchiha!»
«Non
mi sembri un Anbu né un membro importante del tuo cosiddetto
clan»
ribatté l’uomo, per nulla colpito.
«Chiudete la bocca e
lasciatemi fare il mio lavoro.»
I tre ragazzi non poterono che fare un passo
indietro e
disporsi all’attesa.
Con
un moto di stizza Hitoshi si accese una sigaretta. Cosiddetto
clan, eh? Un giorno quel tizio e tutti quelli che la pensavano come
lui si sarebbero rimangiati fino all’ultima parola. A costo
di
sfornare sedici figli, entro la prossima generazione avrebbe fatto
sì
che nessuno potesse più permettersi di nutrire dubbi sulla
legittimità del clan Uchiha!
Mentre
lui rimuginava sulle sue sventure, Kotaro si lamentò per il
fumo
passivo che era costretto a ingoiare, cercando di spingerlo
più
lontano. Incidentalmente lo mandò a sbattere contro Chiharu,
la
quale, già innervosita dall’arrivo e partenza di
Baka, non si fece
certo pregare per prenderli a male parole. Se c’era una cosa
che
non avevano mai imparato, nonostante tutti gli anni di lavoro come
shinobi, era la pazienza.
Per
loro fortuna, dopo circa mezzora e tre tentativi di defezione da
parte di Chiharu, un’insperata ancora di salvezza
arrivò a trarli
d’impaccio: dalle scale infatti scese Jin, le mani ficcate in
tasca
e le sopracciglia corrugate. Sembrava pensieroso.
«Jin!
Jin!» lo chiamò Kotaro al volo, sbracciandosi con
foga. «Siamo
qui!»
Il
ragazzino alzò lo sguardo e vide tutti e tre accanto allo
shinobi di
guardia. Li raggiunse, leggermente sorpreso.
«Non
vogliono farci passare!» si lamentò Kotaro.
«Hanno lasciato andare
Akeru, ma non noi!»
«Lui
è un Anbu, voi non siete nessuno»
ribatté il ragazzino con
disarmante franchezza.
Hitoshi
gli scoccò un’occhiata indignata, e anche Chiharu
si riscosse dal
letargo per esternare il suo disaccordo. Jin sospirò di
fronte alle
loro espressioni costernate, ma fece un cenno alla guardia.
«Lasciali
passare, per favore» chiese.
«Sicuro?
Di sopra non avevano finito le sedie?» replicò
quello, vagamente
deluso.
«Mi
prendo io la responsabilità» Jin si strinse nelle
spalle. «Almeno
la smetteranno di infastidirti.»
Lo
shinobi lasciò passare Chiharu, Kotaro e Hitoshi. Loro
tirarono un
sospiro di sollievo, ma erano ancora offesi.
«Vi
cedo il mio posto. Io ho lasciato una cosa in sospeso, devo
andare»
spiegò Jin una volta che furono ai piedi delle scale.
«Ah, Chiharu,
quando tuo padre uscirà di nuovo da quella porta per andare
in
bagno, per favore fagli notare che è la quinta, e che fa una
media
di una volta ogni nove minuti, grazie. Credo che a questo punto
richieda un trapianto di reni.»
Chiharu
si lasciò scappare un sorrisino, e d’istinto
pensò alla possibile
reazione di sua madre alla notizia che il marito scansava ancora ogni
responsabilità con metodo e dedizione. Shikamaru era nel
Consiglio
della Foglia da qualche anno, ma non aveva mai smesso di lamentarsi
della fatica che l’incarico comportava .
«Tu
sai perché si sono riuniti?» chiese Kotaro prima
che Jin se ne
andasse.
«Non
ne ho la minima idea. Sono tre giorni che mio padre sta rinchiuso nel
suo ufficio e non vuole vedere nessuno a parte Koichi... Per essere
sinceri, se non avessi mollato a metà una missione
importante
resterei fino alla fine» il ragazzino lanciò
un’occhiata su per
le scale, pensieroso. «Scusate, ma ora devo proprio andare.
Ci
vediamo in giro.»
«Grazie!»
gridò Kotaro.
Per
un lungo istante Chiharu scrutò Jin che si allontanava,
quindi
corrugò la fronte.
«Non
vi sembrava preoccupato?» chiese.
«Dici?»
replicò Hitoshi, stizzito. «A me sembrava il
solito
menefreghista... ‘Una missione importante’! Tutti
gli shinobi
sono qui, che diavolo può esserci di più
importante?» gettò a
terra il mozzicone di sigaretta ed espirò l’ultima
boccata. «Su,
andiamo.»
Quando
raggiunsero la sala d’aspetto davanti al salone del Consiglio
la
trovarono gremita di gente, sia Anbu e capigruppo, sia nobili di
vario grado. Inutile dire che non una delle sedie era rimasta libera.
«Ma
bene. Si aspetta in piedi» brontolò Chiharu,
contrariata.
Mentre
lei si appoggiava al muro Hitoshi scoccò
un’occhiata rapida ad
Akeru, che occupava una poltroncina e discuteva tutto serio con un
altro Anbu. Visto da quella prospettiva Stupido era discretamente
irritante.
La
triste verità era che qualche mese prima, sulla scia di
Baka,
anche
Hitoshi aveva fatto richiesta per entrare nella squadra speciale. Ma
era stato respinto. Per fortuna la cosa era rimasta confinata
tra lui e Kakashi, però se ci ripensava bruciava ancora, e
sentirselo
rinfacciare persino dal Chunin ai piedi delle scale lo aveva irritato
oltre misura.
«Che
facciamo? Anche noi contro il muro?» propose Kotaro
sottovoce,
accennando a Chiharu.
«Per
forza» grugnì Hitoshi spostandosi.
I
due raggiunsero la compagna e si misero ai suoi lati come guardie del
corpo, pronti a una lunga attesa.
«Speriamo
che esca almeno il papà di Haru...»
mormorò Kotaro a un tratto.
«Sarebbe un bel diversivo.»
E
il diversivo arrivò, come richiamato dai suoi sospiri. Ma
non fu
Shikamaru, alla quinta pausa bagno.
Fu
un grido dalla sala del Consiglio.
I
consiglieri erano esponenti della nobiltà con molto tempo
libero e
poca immaginazione per occuparlo. Ufficialmente erano un organo
consultivo che doveva assistere l’Hokage nel governo del
villaggio
e dare o negare il consenso per le missioni più rischiose,
ma in
pratica erano una manica di vecchi arcigni che voleva assicurarsi che
gli shinobi non si montassero la testa. Unica eccezione era Neji
Hyuuga, sia per età sia per inclinazioni, ma nel gruppo si
trovava
quasi sempre in minoranza.
In
quel momento il giovane capo del clan dagli occhi bianchi era seduto
tra Shikamaru Nara, Stratega in carica, e una vecchia rugosa che
continuava ad accarezzarsi le mani. Tutti scambiavano occhiate
nervose da un capo all’altro della sala.
«E’
un’assurdità!» sbottò alla
fine uno dei consiglieri di fronte a
Neji.
Kakashi,
a capo del lato corto del tavolo, si prese un secondo per lasciarsi
andare a un lungo sospiro. Sapeva che non sarebbe stata una
passeggiata.
«Consigliere
Iida, comprendo le vostre perplessità...»
«Non
credo» lo interruppe il nobile. Rughe di disappunto si
disegnavano
attorno alla sua bocca, i muscoli delle guance risaltavano sotto la
pelle sottile. «Se davvero comprendeste le nostre
perplessità non
sareste venuto ad insultarci con le vostre dimissioni! Non con una
guerra alle porte!»
Nella
mezzora precedente l’Hokage aveva aggiornato il Consiglio
sulla
situazione con la Roccia e presentato un annuncio mai udito prima:
voleva lasciare la sua carica. Il che, considerato che oltre confine
si stavano ammassando eserciti di ninja e soldati, suonava molto male
alle orecchie dei consiglieri.
«E’
proprio perché la guerra è vicina che voglio
lasciare il campo a
shinobi più giovani» ribatté Kakashi
senza agitarsi. «In
battaglia avremo bisogno di un capo che possa guidare i suoi compagni
dalla prima linea, non di un politico di mezza età. Posso
essere un
buon Hokage in tempo di pace, ma non ho più
l’entusiasmo
necessario per trascinare gli eserciti in
un’offensiva.»
Shikamaru
e Neji aggrottarono la fronte, scambiandosi uno sguardo preoccupato.
«Potremmo
non arrivare mai a un conflitto vero e proprio...»
mormorò un
consigliere sul fondo. «Potreste iniziare a farvi affiancare
da
qualcuno, e poi passare la carica quando...»
«La
diplomazia ha fallito» lo interruppe Kakashi.
«Avete tutti una
copia del rapporto di cui vi ho parlato fino a poco fa. Secondo le
nostre spie la Roccia sta solo cercando un pretesto per aprire
ufficialmente le ostilità. Il consigliere Iida ha ragione:
siamo
sull’orlo di una guerra... Ma non sono io l’Hokage
che può
affrontarla.»
«Voi
siete l’Hokage che abbiamo!» esclamò
Iida.
Neji
si schiarì cortesemente la voce, prendendo la parola.
«Immagino che
l’Hokage intenda dire che ha già selezionato i
nomi degli
eventuali candidati alla successione... Mi sbaglio?»
suggerì con
cautela.
Lungo
il tavolo serpeggiò un brivido. Gli sguardi saettarono da
Iida,
livido, alle sedie scomode aggiunte in fondo alla stanza su cui
stavano seduti Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha e Sakura un tempo
Haruno, ora altrettanto Uchiha.
I
tre shinobi non erano membri del Consiglio, ma quella mattina si
erano visti convocare d’urgenza da un segretario e si erano
trovati
nel mezzo del discorso di dimissioni di Kakashi. Anche se Naruto
faceva fatica a capire tutte le sfumature di quel che veniva detto, a
quel punto della discussione persino nella sua testa si era acceso un
campanello.
Iida,
avvertendo la piega che stava prendendo la situazione,
sbatté una
mano sul ripiano lucido e passò a un registro molto
più minaccioso.
«Hatake, non puoi fare di testa tua! Ricordati che siamo noi
consiglieri a decidere chi deve diventare Hokage e chi no!»
«Non
agisco di testa mia, agisco nell’interesse del
villaggio» replicò
Kakashi un po’ più duro. «E penso che
Naruto Uzumaki, nei giorni
difficili che dovremo affrontare, sarà un Hokage migliore di
me.»
Un
silenzio di piombo scese sulla stanza.
Naruto
fissò Kakashi con occhi e bocca spalancati, incapace di
proferir
parola.
Da
quando aveva capito che c’era un posto da Hokage vacante una
minuscola fiammella di speranza si era accesa in fondo al suo
cervello; adesso, alimentata dall’eco delle parole del suo
vecchio
maestro, era appena divampata in un grande incendio: una
cosa è sognare per tutta la vita di raggiungere un certo
obiettivo,
un’altra, ben diversa, è raggiungerlo sul serio. E
lui ci era
riuscito. Finalmente, dopo tutti quegli anni di fatiche e di sforzi
sovrumani, Kakashi gli offriva la possibilità di far
scolpire il suo
volto sulla parete degli Hokage.
Il
sangue risalì di colpo alle sue guance, rendendole
scarlatte. Non si
accorse degli sguardi sgomenti dei consiglieri né delle
occhiate
preoccupate che si scambiarono Shikamaru e Neji. Non vide
l’espressione allarmata di Sakura né
l’occhiata di Iida, ma una
cosa non poté non notarla, e cioè le successive
parole di Kakashi.
«Non
da solo.»
La
porta della sala del Consiglio si spalancò con violenza
quando già
tutti nell’anticamera erano sull’attenti.
Chiharu,
Kotaro e Hitoshi, ora lontani dal muro e con i sensi
all’erta,
videro Naruto uscire con un diavolo per capello, e
all’istante
compresero che il grido che avevano sentito era il suo.
«Non
da solo!» esclamò il Jonin rabbiosamente,
attraversando la porta
con la furia di un tornado. «Che cavolo vuol dire non
da solo? Per chi mi
ha preso? Con chi crede di parlare?»
La
piccola folla radunata nella stanza si fece rapidamente da parte
mentre lui incedeva a passi pesanti. I tre membri della sua squadra
non si sognarono nemmeno di avvicinarlo. Lo guardarono passare con
espressione attonita, la schiena di nuovo premuta contro il muro, e
per un attimo a Chiharu sembrò di vedere una nota scarlatta
nell’azzurro dei suoi occhi.
In
meno di un istante, quando Naruto ancora aveva un piede nella stanza,
si diffusero i mormorii; i più vicini cercarono di sbirciare
oltre
il portone della sala del Consiglio, ma tutto ciò che
riuscirono a
intravedere furono i volti preoccupati di Sakura e Sasuke Uchiha,
prima che un inserviente si affrettasse a richiudere. Akeru, dopo
aver scambiato qualche rapida parola con un compagno della squadra
speciale, raggiunse Hitoshi, Kotaro e Chiharu.
«Voi
avete capito cosa è successo?» domandò
con espressione
preoccupata.
«Qualcuno
ha pestato i piedi a Naruto» rispose Hitoshi accigliandosi.
«Poche
volte l’ho visto tanto incazzato, e in una di quelle volte
ricordo
uno shinobi del Fulmine che chiedeva pietà.»
«Che
ci faceva nella sala del Consiglio?» insisté Baka.
«A voi non ha
detto niente?»
«Neanche
mezzo accenno» furono costretti ad ammettere. A dire il vero
non lo
vedevano dalla festa di Chiharu, perché si era preso qualche
giorno
di ferie per stare con la famiglia.
«Il
punto è che né Naruto né i genitori di
Hitoshi sono consiglieri»
intervenne Chiharu. «Hitoshi, tu non hai sentito niente dai
tuoi?»
«Stamattina
sono uscito presto, non li ho nemmeno incontrati»
mormorò l’Uchiha,
tacendo il dettaglio che ogni mattina cercava di schivare i suoi
genitori e in particolar modo suo padre.
«Ma
che diavolo hanno detto per far arrabbiare Naruto fino a questo
punto?» si chiese Kotaro per tutti. I ragazzi si guardarono,
senza
idee. Dalle porte chiuse della sala riunioni provenivano voci
soffocate e indistinte. Naruto era scomparso, i consiglieri erano
tornati a discutere, e nessuno era ancora uscito per spiegare
qualcosa. Poi, come predetto da Jin, la porta si aprì di uno
spiraglio e Shikamaru si affacciò all’esterno,
adocchiando
l’ingresso dei bagni e calcolando quanti dei presenti sarebbe
riuscito a schivare.
«Papà!»
lo chiamò Chiharu, battendo sul tempo tutti i curiosi che
volevano
interrogarlo.
«Che
ci fate qui?» ribatté Shikamaru stupito,
squadrando lei e i
compagni.
«Di
sotto c’è mezzo villaggio, che sta succedendo?
Abbiamo visto
Naruto andarsene furibondo.»
Shikamaru
li raggiunse e abbassò notevolmente il tono di voce.
«Siete la mia
copertura per arrivare ai bagni. Scortatemi e ve lo dico.»
I
ragazzi obbedirono, circondandolo come guardie del corpo. Per tendere
le orecchie quasi si arrampicarono sulle sue spalle, ma se non altro
nessuno osò tentare di insinuarsi oltre una barriera tanto
compatta.
«Kakashi
ha deciso di renderci la vita impossibile» spiegò
Shikamaru mentre
camminavano. «Vuole dare le dimissioni. Indovina chi ha
scelto per
sostituirlo?»
Chiharu
inarcò le sopracciglia per la sorpresa.
«Naruto?»
«Ah,
magari...» rispose Shikamaru con un lamento.
«Naruto e
me
e Sasuke
e Sakura.»
«Che
cosa?» la mandibola di Chiharu si spalancò.
«Non
oso pensare a quanto sarà orgogliosa
tua madre...» gemette Shikamaru.
«Ma
è legale?» borbottò Akeru confuso.
«Secondo
i consiglieri no. Andremo avanti ancora per ore, temo.»
«Perché
Kakashi molla?» domandò Kotaro, sconvolto
all’idea che qualcuno
potesse non avere più voglia di essere Hokage, obiettivo e
sogno
dichiarato di tre quarti degli shinobi di Konoha.
«Ragazzi,
scusate, adesso non ho proprio tempo» sospirò
Shikamaru, troncando
di colpo le altre domande. «Voglio andare in bagno e poi devo
tornare a litigare: non posso lasciare Neji a lottare da
solo.»
Lui
e lo Hyuuga erano stati i primi a sospettare i piani di Kakashi. Non
appena avevano sentito la parola ‘dimissioni’
aleggiare nella
stanza avevano guardato Naruto, collegato la presenza di Sakura e
Sasuke e fatto due più due. Solo, non pensavano che Kakashi
avrebbe
davvero proposto una cosa del genere: era riuscito in un colpo solo a
far infuriare sia il Consiglio sia il suo pupillo.
«Andate
a casa» consigliò Shikamaru ai ragazzi.
«Ne avremo ancora per un
bel po’, è inutile che perdiate tempo qui attorno.
Ci vediamo per
cena, spero.»
Con
un cenno che la diceva lunga sul suo entusiasmo, il padre di Chiharu
si allontanò verso i bagni. Subito un Anbu si
affrettò ad
avvicinarsi ad Akeru.
«Che
ha detto?» domandò ansiosamente.
Akeru
lo fissò vacuo, ancora stordito dalle notizie.
«Abbiamo
un sostituto Hokage» annunciò, mentre tutti i
presenti si
avvicinavano istintivamente.
«Anzi,
ne abbiamo quattro» lo corresse Chiharu, iniziando a far
lavorare il
cervello. Ripensando a quanto Naruto tenesse alla carica di Hokage e
alle parole di Kakashi di tanti anni prima, quella volta che le aveva
confessato che Naruto era il miglior ninja del villaggio,
improvvisamente realizzò che il suo maestro aveva
decisamente molte
ragioni per aggirarsi con i canini più affilati del dovuto...
«E’
una presa per il culo! Un orribile scherzo stupido!»
Naruto
faceva avanti e indietro nella stanza da letto della sua casa,
pestando i piedi sul tappeto decorato con passo più che
marziale.
Hinata era seduta sul materasso e lo guardava preoccupata, le mani
strette in grembo e le sopracciglia corrugate.
«Naruto,
per favore...» lo richiamò.
«No,
per favore niente!» scattò lui, fermandosi di
botto. «Sono
trent’anni che voglio quel posto e Kakashi lo sa benissimo!
Ma
quando viene l’occasione, cosa fa? Mi mette appresso delle balie!
Cosa pretende che faccia, ancora? Come diavolo gli dimostro di essere
pronto più di quanto abbia fatto fino ad oggi?»
«Naturalmente
l’Hokage può essere uno solo» Hinata
cercò di essere conciliante
«Deve averti affiancato Sasuke, Sakura e Shikamaru soltanto
per un
breve periodo, per consigliarti i primi tempi... Non potete diventare
Hokage in quattro, lo sa anche lui. E’ una cosa
temporanea.»
«Non
è vero» la interruppe Naruto. «Se non
crede che io adesso sia in
grado di reggere le sorti del villaggio, allora non lo
crederà mai.»
Hinata
sospirò, guardandolo passarsi una mano tra i capelli e
mormorare tra
sé. In quegli anni gli era stata vicino abbastanza da capire
quando
qualcosa gli faceva davvero male, e non erano i graffi sulle sue
guance o gli occhi screziati di viola a darle i primi segni di
allarme, ma semplicemente la sua voce, la nota d’angoscia che
trapelava dalle sue parole.
«Naruto»
chiamò di nuovo. «Ti prego, siediti un attimo...
Solo un attimo.»
Lui
le scoccò un’occhiata rovente, alla quale lei
ricambiò con il
solito sguardo mite. Allora sbuffò, amareggiato, e si
lasciò cadere
al suo fianco.
«Ho
completato missione dopo missione» gemette, prendendosi la
testa tra
le mani e posando i gomiti sulle ginocchia. «Mi sono preso
cura di
Chiharu, Hitoshi e Kotaro, ho salvato il villaggio come minimo tre
volte, ho riportato indietro Sasuke, ho superato mio padre, ti ho
sposata senza scatenare una guerra civile, grazie a me siamo alleati
con la Sabbia! Cosa manca ancora? Non sono abbastanza forte? Sono
stupido? Cosa?»
Hinata
posò la fronte contro la sua testa, poco sopra
l’orecchio, e gli
accarezzò il ginocchio con una mano.
«Sappiamo
tutti e due che saresti un ottimo Hokage, e lo sa anche
Kakashi»
sussurrò gentilmente. Naruto fece per protestare, ma lei lo
prevenne. «Io credo che l’abbia fatto per
proteggerti.»
Lui
si immobilizzò con la bocca pronta a sputare insulti.
Corrugò la
fronte, confuso, e le rimandò uno sguardo scettico.
«Il
Consiglio è potente, Naruto» spiegò
Hinata facendosi seria. «Neji
me ne ha parlato: ci sono un paio di consiglieri che di fatto
governano Konoha, e contrastare loro non è semplice. Anche
con tutta
la buona volontà e le migliori intenzioni, ciò
che loro vogliono è
ciò che loro ottengono, nel bene e nel male. Kakashi ha
imparato a
bilanciare le loro richieste con le sue e finora è riuscito
ad
andare avanti soltanto grazie alla sua diplomazia, ma tu ne saresti
in grado? Pensaci un attimo, Naruto, ne saresti in grado?»
«Che
c’entra?» arrossì lui. «Non
sono più il ragazzino idiota che
ero a dodici anni. So che a volte bisogna scendere a
compromessi!»
«Anche
come Hokage?» lo incalzò lei. «Se ti
chiedessero di scegliere tra
sacrificare una squadra Anbu e non ottenere importanti informazioni
che salverebbero la vita a Gaara, cosa faresti?»
«Sicuramente
ci sarebbe un modo per avere tutti e due!»
protestò Naruto,
piccato. «Le cose non sono sempre bianche o nere!»
«Quando
sei Hokage sì» gli spiegò Hinata.
«Spesso le decisioni sono
bianche o nere, e se il Consiglio ti mettesse davanti a una scelta
proibitiva, tu daresti in escandescenze.»
Naruto
si morse l’interno della guancia, offeso. «Non
è vero.»
Hinata
sospirò e gli prese una mano. «Kakashi ha fiducia
in te come in
nessun altro» gli ricordò. «Shikamaru,
Sakura e Sasuke saranno lì
solo per calmarti quando ti andrà il sangue alla testa e per
farti
vedere le soluzioni che non troverai immediatamente. Kakashi avrebbe
potuto scegliere Sasuke, se avesse pensato che fosse più
adatto di
te, invece ha fatto il tuo nome. Significa che in tutta Konoha non
c’è nessun altro che lui consideri
migliore.»
«Migliore
di me, Sakura, Sasuke e Shikamaru messi insieme» la corresse
lui.
«Naruto...»
sospirò Hinata, e se fosse stata una donna normale la sua
sarebbe
stata esasperazione.
«Scusa»
mormorò lui, giocherellando con le dita della sua mano.
«E’ solo
che... sono deluso. Molto deluso. E amareggiato. Era il sogno della
mia vita, capisci? Ciò a cui ho sempre puntato...
Cioè, anche tu
sei importante, Hinata, importantissima. Ma essere Hokage... essere
Hokage...»
Anche
senza bisogno di psicanalisi, Hinata riuscì a cogliere nelle
parole
amare di Naruto l’ombra di Namikaze Minato.
Essere
Hokage per lui significava essere riconosciuto, ma anche percorrere
le orme del padre che non aveva mai incontrato e in qualche modo
stabilire un contatto con lui: sedere sulla sua poltrona, prendere le
sue decisioni, provare ciò che aveva provato, erano tutte
cose che
poteva fare soltanto come Hokage. Avere Sakura, Sasuke e Shikamaru al
fianco significava sedersi solo su un bracciolo della sedia.
«E’
stato come prendere una manciata di sabbia» spiegò
Naruto. «Un
attimo prima era lì, tra le mie mani, e l’attimo
dopo Kakashi ha
detto ‘non
da solo’ ed è
scivolata via.»
Hinata
gli accarezzò una guancia. «Naruto, non devi
abbatterti» gli
sussurrò sollevandogli il viso. «Sono certa che
Kakashi abbia in
mente qualcosa. Sai bene che nel villaggio non esiste nessuno che lui
stimi più di te.»
Naruto
sospirò, incapace di sorridere, e d’impulso tese
le braccia e la
strinse al petto. «Scusa» disse, chiudendo gli
occhi contro la sua
spalla. «Scusa, adesso mi passa. Non sono così
scemo da rifiutare
la carica di Hokage, anche se è monca e suona come una presa
in
giro.»
Hinata
avvolse le braccia attorno alla sua schiena e lo sentì
tiepido come
sempre, non più caldo come Kyuubi.
«Sì»
mormorò confortante, accarezzandolo come se fosse stato uno
dei suoi
figli. «E poi ricorda che avrai sempre me.»
*Baka
significa stupido.
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