IT’S OUR DRUNK NIGHT
La porta si aprì con un lieve
cigolio, subito trattenuta da due mani che la accompagnarono per evitare che il
rumore si protraesse, insieme a un’imprecazione soffocata. I passi, lievemente
dubbiosi, si susseguirono leggeri nel corridoio, interrompendosi a intervalli
regolari per permettere al loro proprietario di ascoltare il silenzio della
notte.
In una delle stanze silenziose,
Akasuna No Sasori abbandonò un’attimo
la marionetta che stava costruendo, disturbato da quei movimenti circospetti, e
tese l’orecchio per tentare di determinare che cosa, o chi fosse la fonte di
tali rumori. All’avvicinarsi dell’incerta camminata, ruotò lo sgabello sul
quale sedeva e si alzò da tale postazione, scocciato, per andare alla porta
della sua camera e accostarla quel tanto che gli consentiva di sbirciare fuori,
nel buio più totale : ancora suoni strascicati,
titubanti, quasi intimoriti. Che stava succedendo?
Poi si avvertì uno scalpiccio
convulso, un tonfo secco, qualcosa che rotolava e una sonora parolaccia
all’indirizzo dell’universo; il rosso aprì definitivamente l’uscio,
appoggiandosi scontroso allo stipite mentre allungava il braccio per accendere
l’illuminazione artificiale con un gesto secco. Ormai in quel covo di matti non
si poteva più stare tranquilli neanche in piena notte? E dire che sceglieva
proprio quelle fasce orarie per lavorare nella sua stanza per non venir in
alcun modo interrotto.
Sbuffò contrariato, riconoscendo
nella figura spalmata a terra, inciampata in un’arma lasciata sbadatamente in
giro da Hidan in mezzo al camminamento, quella ormai molto familiare di
Deidara.
-che diavolo stai facendo?- gli
chiese con un sospiro esasperato, incrociando severo le braccia.
Il biondo alzò lo sguardo,
lasciando perdere per un istante la caviglia che si massaggiava con foga, e in
pochi secondi inquadrò e registrò la presenza, e il cipiglio, del compagno di
squadra. Normalmente, avrebbe biascicato qualche scusa o sarebbe strisciato via
con la coda fra le gambe, ma quella sera appariva parecchio strano, quasi
nervoso: sbuffò, alzò gli occhi al cielo, e puntò le braccia al suolo per
rimettersi in piedi
-che cavolo ci fai ancora
sveglio, danna?-
-che ci fai tu sveglio, idiota. Lo sai che io non dormo- rispose lo Scorpione
con astio, squadrandolo velenoso da capo ai piedi. L’altro reagì con una
smorfia di ironia acida, storcendo gli occhi e il viso
-oh, scusa tanto se me lo sono
dimenticato, uhn. Posso sapere ora che caspita vuoi?-
-senti, ragazzino, sei tu che al
posto di startene nel tuo letto sei andato in giro a far casino, quindi vedi di
tener bassa la cresta- con un gesto secco del polso, fece aderire dei fili di
chakra azzurro alla marionetta e allo sgabello, trascinandoseli vicino per
ritornare a lavorare: aveva la netta sensazione che quella conversazione
sarebbe durata ancora un po’ -allora, dove stavi andando?-
-da nessuna parte. Mi sgranchivo
le gambe, uhn- rispose rigido il biondo, evitando
accuratamente di incrociare il suo sguardo e iniziando a giocherellare con le
lunghe ciocche di capelli.
-ah, certo. Siccome oggi non hai
fatto sufficiente chiasso, mi pare logico che tu continui pure di notte!-
-abbassa la voce, danna- si
guardò attorno, le iridi chiare a soffermarsi sulle porte chiuse,
accompagnandosi con ampi cenni delle braccia –sennò si svegliano tutti-
-perché? Hai qualcosa da
nascondere, nel tuo peregrinare notturno?- gli domandò a bruciapelo con un
sorriso si sufficienza e godendo della sua espressione furiosa e arrabbiata.
Però venne colto subito dopo da una strana agitazione, quando Deidara, senza
rispondere in qualche modo alla provocazione, tentò di superarlo per proseguire
la sua camminata.
-dove stai andando?- gli chiese
ancora, con un’insolita intonazione accorata, maledicendosi subito per quella
minuscola e per lui incomprensibile debolezza. Il munekin della pietra, per
quanto stupito pure lui, tornò a voltarsi nella sua direzione fulminandolo con
uno sguardo di fuoco
-ma a te che importa,
uhn? Non puoi tornare a giocare con le tue bamboline?-
Sasori sussultò, ma non diede a
vedere che dopo essersi esposto tanto, quella battuta cattiva lo aveva in
qualche modo colpito, e reagì con altrettanto livore.
-voglio sapere dove vai, baka, in modo tale che se ti perdi so cosa dire al leader
per venirti a cercare. Sei capace di questo e altro, tu-
Il dinamitardo sembrò ponderare
la questione, boccheggiando per un’istante
alla ricerca di qualcosa d’arguto con cui controbattere, ma si arrese: fece un
gesto con la mano e cambiò espressione; sembrava ci fosse qualcosa che lo
turbasse, e che premesse vivamente di andarsene da lì
-vado a prendere una boccata
d’aria, se non ti dispiace. Ora mi vuoi lasciare stare,
uhn?-
Prima che potesse fare un solo
passo verso l’uscita, però, un filamento di chakra azzurro si avvolse attorno
al suo polso, bloccandogli ogni possibilità di ulteriore movimento; spazientito
e coi nervi ormai logorati, Deidara tornò a rivolgergli la propria attenzione
in uno svolazzo dorato
-insomma, Sasori, che cazzo vuoi
ancora?-
-conoscere la motivazione che ti
spinge a mezzanotte passata a ricercare altrove dell’aria fresca. Come se qui
dentro non ce ne fosse abbastanza- gli rispose serafico, senza neanche alzare
lo sguardo dal lavoro certosino di livellamento del legno che stava eseguendo , mantenendo puntato sull’interlocutore solo il mignolo
destro –sai, qualcuno potrebbe pensare che tu stia tremando qualcosa. Magari
un’insubordinazione-
-che vuoi che me
importi?- deidara si strinse con noncuranza nelle spalle, la smorfia di
indifferente ironia a distorcergli malamente i lineamenti raffinati, la voce
distorta dall’esasperazione –come se avessi deciso io di venirmene a stare qui
a far parte della vostra banda di cretini, uhn. Vai
pure a raccontare al tuo prezioso leader che me ne vado a spasso: la cosa non
mi tange nemmeno. La mia volontà conta meno di zero, e andare a cercare per
mari e per monti delle bestie pelose e codute
rischiando pure la vita non è esattamente il sogno della mia vita, quindi se mi
ammazza mi fa felice, se mi sbatte fuori pure, uhn.
Ah già, certo, ci siete voi, sua maestà Itachi Uchiha coi suoi begli occhietti,
e sua santità Akasuna No Sasori, mister faccia di legno. Oh, non voglio
ritrovarmi a camminare a testa in giù o chissà che altro, grazie, preferisco
filarmela finchè sono in tempo: ho una fama da
codardo da rispettare, io, uhn-
Le dita del rosso continuarono a
muoversi sul ciocco di legno destinato a diventare un braccio, ma la mente
galoppava ormai altrove: con la coda dell’occhio aveva seguito tutto lo sfogo
di Deidara, restando affascinato dalla mobilità di quel corpo flessuoso. C’era
una cosa che in Deidara spiccava sul resto: la gestualità. Quando parlava,
specie se infervorato come in quel momento, l’artista biondo accompagnava alla
voce ampi gesti delle mani, movimenti estesi delle braccia, piccoli scatti
delle dita e una discreta mimica facciale, tanto che pure le lingue che
sbucavano dai palmi si muovevano di conseguenza, senza intralciare minimamente
il resto degli arti. Spesso le dita correvano ai capelli biondi, o alla borsa
di argilla; sembrava essere dotato di un modo tutto suo per gesticolare, anche
quando assumeva pose grottesche per prenderlo in giro, e accompagnava tale
espressività a qualunque conversazione. Immancabilmente, Sasori non si perdeva un’istante di tali movenze anche
solo millimetriche, ammirandolo silenziosamente e senza neanche accorgersene:
quando si risvegliava da tali contemplazioni, attribuiva il tutto al solo
interesse tecnico di esperto marionettista per un corpo tale da essere
adattissimo per la trasformazione in meccanica. Certo non ammetteva mai a se
stesso che con tale considerazione automaticamente attribuiva al biondo un
corpo perfetto.
Talmente perso in questo rimuginio indistinto, abbassò lievemente la guardia, quel
tanto che bastava al compagno per liberarsi dalla sua presa con uno strattone e
allontanarsi con passo spedito, ma prima che riuscisse a girare l’angolo scattò
in piedi e trovò il fiato per richiamarlo un ulteriore volta
-Deidara!
Insomma, vuoi dirmi dove vai?-
Quello si fermò, indugiando
qualche secondo di spalle per decidere se ignorarlo o meno,
ma poi tornò a girarsi per guardarlo
-ancora? Ma sei proprio un
rompiscatole!- scocciato, gettò un’occhiata rapida a tutte le stanze, casomai
qualcuno si fosse destato a causa del chiasso, prima di ritornare sui suoi
passi e avvicinarsi al collega –basta che non lo dici a nessuno, non voglio
grane: qui vicino c’è un piccolo villaggio, vado lì a fare un giro, uhn- sussurrò circospetto
-e perché ora, di grazia?-
-oh, ma quanto sei noioso, uhn. Saranno affari miei o no?- il povero munekin aveva
ormai i nervi a pezzi, sia per l’alzataccia, sia per la conversazione, sia per
i misteriosi motivi che l’avevano spinto a cercare di allontanarsi dal covo, ed
era al limite della sopportazione. Possibile che il danna
potesse essere tanto cocciuto e rompiballe? All’espressione neutra ma
indagatrice che quegli li rivolse, gettò le armi e si arrese.
-e va bene: ho bisogno di alcol.
Tutto qui, uhn-
Sasori alzò un sopracciglio
sconcertato da quello che aveva udito: -cos’è, oltre
che pazzo sei pure alcolizzato?-
-ovviamente no, cretino. Mica mi sbronzo tutti i giorni, uhn-
-e ogni quanto lo faresti, per
curiosità? Ogni due?-
-solo una volta all’anno, uhn. Ora posso andare, o l’interrogatorio non è ancora
terminato?- Deidara sembrò tornare ad allontanarsi con un’espressione che
doveva essere sdrammatizzante, ma la successiva occhiata truce di Sasori lo
fece desistere.
-a che cavolo serve sbronzarsi?-
-sai, voi marionette non potete
capire: la sbronza è la migliore amica dell’uomo. E a volte
è utilissima per dimenticare- e lo disse con un’ironia stretta che celava
molto, moltissimo altro; da lui sembrava stillare una disperazione immensa, un
dolore tanto acuto che poteva trapassare da parte a parte come una lama. I suoi
occhi grigioazzurri erano spenti, opachi, inquieti, privi della vivacità che
generalmente li caratterizzava, di quella vena di follia accesa che
esprimevano; tutta la sua persona esprimeva sofferenza, un’angoscia vibrante
che soffocava ogni altra emozione. Cos’era che Deidara voleva a tutti i costi
dimenticare, che lo piegava in due in una morsa di dolore e lo faceva stare
tanto male? Sasori quasi non riusciva a riconoscerlo, in quel relitto umano in
cui la sua vivace personalità si era trasformata in qualche attimo: per lui,
che negli slanci di fantasia del biondo, nelle sue battute, nel suo brio, nei
suoi concetti assurdi, riusciva a vedere qualcosa che ricollegava alla vita
stessa, quella manifestazione di strazio era insopportabile. Non era forse
Deidara, quello che rideva sempre? Quello che affrontava sempre le situazioni
con vigore? Che faceva lo sbruffone in continuazione, a costo di ridicolizzarsi
agli occhi degli altri munekin? Vederlo ridotto a qulla
maschera lo fece sentire in qualche modo vulnerabile: se un tipo come Deidara,
sempre solare, sempre incrollabile, sempre sicuro di sé e delle proprie idee,
poteva venire abbattuto da quacosa, che speranze
c’erano per lui, misero pezzo di legno trasportato dalla corrente degli eventi?
Non riuscì a rispondergli, e
lasciò che finalmente potesse allontanarsi nel silenzio più assoluto, mentre
ripensava alle proprie ferite. Il tempo di qualche minuto, e la tranquillità
cupa della notte gli parve troppo rumorosa per i suoi gusti; avvertiva una
strana inquietudine a restare lì fermo, così decise che tutto sommato poteva
permettersi una pausa; abbandonati gli strumenti di lavoro, si allontanò rapido
per raggiungere il biondo all’ingresso del covo, giustificando la sua presenza
con un contestatissimo “vengo con te, almeno non fai qualche cazzata”
Erano ormai arrivati all’ottava
bottiglietta di sakè, allineate in bell’ordine davanti al suo naso; gli occhi
cerulei di Deidara si erano fatti lucidi e le sue parole sconnesse, mentre il
barista della piccola locanda li fissava sempre più truce.
Dal canto suo, Sasori sembrava, e
lo era, preoccupato per il comportamento del compagno
di squadra, che diventava sempre più triste a ogni sorso che ingollava,
continuando a insultare mezzo mondo. Lui e Itachi in primis.
-siete solo dei coglioni, tu e le
tue marionette- biascicò riempiendosi di nuovo il bicchiere –coglione tu e
coglione loro-
-moccioso, vedi di moderarti o
qui ci sbattono fuori- lo avvisò prudentemente, nen
ricevendo però attenzione alcuna
-coglioni. Specie quel coso, il
tizio che hai ucciso coi capelli neri…chi cavolo era, hic?
Il kazekage? Coglione, comunque-
-d’accordo,
direi che è sufficiente così- il rosso si alzò dal tavolo, pagò di tasca
propria le consumazioni più un paio di bottiglie extra per tenerselo buono, e
trascinò di peso un Deidara barcollante fuori dallo stabile, lasciandolo andare
appena poté constatare che sembrava aver ancora un minimo di controllo motorio
-coglione-
ripeté quello, facendo due passi avanti –coglione- con un passo a destra.
Poi improvvisamente, crollò.
Sferrò un pugno micidiale al muro della stradina sconnessa che stavano
percorrendo, sbrecciandolo e tagliandosi la mano, cacciò uno stridio da animale
ferito e si accasciò a terra scoppiando a piangere a dirotto.
-coglione…io non volevo…sono solo..un coglione…io…-cercava di articolare qualcosa tra un
singhiozzo e l’altro, il petto squassato dal pianto troppo a lungo trattenuto.
Si graffiò le guance, tempestando poi la strada di pugni, si prese il capo tra
le mani sotto lo sguardo esterrefatto di Sasori, troppo sbalordito per muoversi
o tentare di fermarlo
-io la odio, l’argilla, uhn. Hic.- frignò- la odio, la odio, la odio. È colpa sua. Io..io..io
non l’ho fatto apposta…mi dispiace…-
Imbarazzato, ma sotto sotto incuriosito, la marionetta gli si accoccolò vicino,
cercando di consolarlo con dei leggeri colpetti sulle spalle
:-ehm…di che stai parlando, esattamente?-
-io non sono come voi, danna- uggiolò
l’altro, piangendo più forte –non sono diventato un ninja traditore perché…sniff…perché non avevo niente di meglio da fare che far
saltare in aria mezza Iwa. È che…che…tousan picchiava akasan. E io…
l’argilla…le bocche…- tirò su con il naso, versando altre lacrime copiose – è
uscito un ragno e gli si è attaccato alla faccia. Io non volevo, davvero…è
stata l’argilla…è scoppiato in aria tutto il quartiere, e lui… e lei…gli ho
visto il sangue…il cervello…e poi…- non riuscendo a continuare, troppo
sconvolto per affrontare quegli orribili ricordi, riprese a piangere,
frastornato, indifeso e vulnerabile.
Il munekin della sabbia lo
ascoltò in silenzio, analizzando le informazioni ricevute e provando un’isolita
sensazione a livello dell’unico organo in lui rimasto umano: non riusciva a
capacitarsi di come potesse un tipo solare, ironico, ed egocentrico come
Deidara, che non faceva altro che esaltare la sua arte, riuscire a covare un
tale odio verso se stesso. L’, nel buio quasi assoluto
di quel vicolo, appallottolato su se stesso, il volto rigato di lacrime che non
accennavano a scemare, il naso e gli occhi arrossati, tremante e singhiozzante,
sembrava più che mai un bambino inerme. Gli faceva male vederlo così. dopotutto, per quanto lui cercasse di essere impermeabile
alle emozioni, quel biondino dall’aspetto delicato suscitava in lui uno strano
attaccamento. Così vitale, così esuberante…avrebbe voluto che con quello
spirito vivesse per entrambi, anche la sua indolente esistenza a metà. Deidara
non poteva soffrire: era troppo perfetto perché potesse succedere.
Sospirò forte, appoggiando una
mano al capo del compagno e facendo scorrere le dita legnose tra i sottili fili
dorati; il giovane alzò subito il viso su di lui, fissandolo con gli occhioni imperlati sgranati
-quand’ero
molto piccolo, il Villaggio della Sabbia era in guerra con quello della Foglia;
accadde che, in un’imboscata tesa a un piccolo manipolo delle nostre forze, uno
dei loro shinobi uccise i miei genitori in combattimento. Sotto ai miei occhi,
che incautamente li avevo seguiti- sollevò mestamente lo sguardo a fissare le
stelle –avrei fatto qualunque cosa, pur di farli tornare da me, qualunque,
anche trasformarli in marionette; non ha funzionato. Così nessuno è più
riuscito a capirmi, nemmeno mia nonna, e ho finito per allontanarmi da tutti e
restare da solo. Come vedi, neppure io ho tradito Suna per divertimento- fece
una smorfia –io le odio, le marionette-
Deidara non reagì mentre
ascoltava il racconto, restando a fissare il nulla con sguardo vacuo e vuoto;
quando lo Scorpione ebbe terminato, cacciò in mano al burattino umano una delle
bottiglie che si erano portati dietro e che miracolosamente era ancora intera,
senza dire nulla
-beh? Lo sai che io non posso…-
-zitto, e bevi-
-Deidara, è inutile, non…-
-oh, falla finita, hic. Buttala giù in un sorso- e per dare l’esempio, scolò
di botto la sua. Seppur diffidente, Sasori accostò il
fiaschetto alle labbra e osò ingollarne una sorsata, avvertendo subito dopo una
strana sensazione mentre il liquido rotolava giù per la gola verso uno stomaco
inesistente: avrebbe pensato poi a liberarsene; ora, bere assieme a Deidara, lo
aveva in qualche modo tranquillizzato
-però che sia l’ultima volta,
ubriacarsi fa male. Toglie lucidità-
-la smetti di fare la piattola, uhn? O ti devo chiamare mammina? “mammina, ho paura del
buio, aiuto!”-
-quanto tempo è passato,
Deidara?-
L’altro non gli rispose subito,
restando a mugolare qualcosa di sconclusionato mentre rimestava il contenitore
di vetro e il poco liquido rimastovi; poi fece una smorfia e si mise a contare
con le dita
-quindici anni- proferì infine
con scarsa convinzione
-e questa cosa del riempirti di
sakè e venire a piangere sotto le stelle la fai da allora?-
-nooo,
solo da quando sono venuto a stare nell’Akatsuki, uhn.
Sopportare tutto questo quando sono con voialtri coglioni è più difficile, sai,
con questi jinkucosi rompete parecchio le palle. Hic-
Tacquero entrambi, pensierosi affranti. Il rosso
gettò un’occhiata al compagno, vedendolo finalmente acquietato, sperando in
cuor suo che il peggio fosse stato superato. Temeva però che passata la fase
triste della sbronza, ne subentrasse una attiva o
distruttiva
-e per te, Danna? Quanto…quanto
tempo è passato?-
-ventisei anni, più o meno-
-oh, beh…auguri- con sarcasmo e
una buffa espressione, il biondo alzò verso l’alto la bevanda in un brindisi
immaginario, per poi bersi avidamente anche le ultime gocce rimaste sul fondo.
-va bene, direi che ora è proprio
il momento di rientrare, prima che tu ne esca col dire qualcosa di cui poi ti
potresti pentire a mente lucida- Sasori fece per rialzarsi, temendo che si
stessero avventurando su un terreno pericoloso per entrambi, ma come tentò di
svellerlo da terra, quello gli poggiò stancamente il capo sulla spalla e il
braccio con la bottiglia sul petto, con un’espressione ciondolante e sonnolenta
rivolta alla volta celeste.
-guarda quelle
cazzo di stelle, uhn. Mi piacerebbe proprio
farle saltare tutte quante in aria. Sarebbe un’esplosione fantastica- poi si
voltò verso il compagno, arrivando quasi a strusciare la punta del naso sulla
sua guancia –Danna, ti prego…possiamo restare qui, uhn?-
Senza voltare il capo, lo osservò
di sottecchi, teso e un po’ spiazzato: le guance arrossate, striate da righe
luccicanti, gli occhi ancora lucidi e persi, i capelli un po’ sparpagliati col
ciuffo disordinato mezzo appiccicato alla pelle. Le labbra rosee e lievemente
dischiuse.
“È ubriaco” si ripetè più volte mentalmente.
-mi spiace, Deidara…dobbiamo
rientrare al covo, lo sai- senza ascoltare le sue proteste (e anche quelle più
vellutate del suo cervello), lo sostenne mentre si rialzavano entrambi in
piedi, ma se lo ritrovò subito appeso addosso, le braccia strette attorno alle
spalle e la testa tuffata contro il suo petto. Rimase rigido, cercando di
mantenere l’autocontrollo.
-mi dispiace, danna…mi
dispiace…mi dispiace…- mormorava piano alla stoffa, ripetitivo, come spaventato
da qualcosa di indefinito. Il rosso gli accarezzò per un’attimo il viso, cedendo per un istante a se
stesso, poi decise che se voleva arrivare prima dell’alba era meglio
caricarselo sulle spalle o sarebbero rimasti lì in eterno.
-tranquillo, va tutto bene. Però,
promettimi che non ti ubriacherai più: ti preferisco in versione sobria-
-promesso-
biascicò in risposta il biondino, mentre scivolava docile sulla sua schiena,
stringendosi maggiormente a lui come alla ricerca di un disperato calore. Poi,
mentre stavano avviandosi, borbottò poche ultime parole con la voce impastata
di sonno –arigatou, Sasori no Danna-
L’interessato vacillò un istante,
avvertendo un piacevole tepore scivolargli dalle gote aride al petto, e
riscaldarlo internamente come mai gli era successo prima; sorrise lievemente, tremante
-grazie a te, Deidara-
Pian piano il biondino scivolò
placidamente nel sonno, mentre il compagno s’incamminava verso il boschetto in
cui era nascosto il loro nascondiglio, felice di aver rinunciato per una volta
a muoversi per mezzo di Hiruko. Era stata una serata
un po’ strana, e sentiva una strana euforia nel contatto prolungato con
Deidara.
Che fosse tutta colpa del sakè?
(Non direi, n.d.tutte
i/le fan dello yaoi qui presenti.)
Buongiorno a tutti! Arrivo un pelo in ritardo perché avrei voluto
pubblicare ieri, ma non ci sono riuscita, quindi ho dovuto posticipare.
Il mio regalo, per il mio compleanno, a tutti voi: perché vi voglio
bene!
Un po’ triste, magari, parecchio strano, però devo dire che mi piace. Sasodei rulez. Forse Dei biascica un po’ poco, ha la
sbronza coerente, ma non sapevo come renderla senza scivolare del demenziale.
A presto (perché io continuo a macinare atrocità. Non vi lascerò in pace, kukukuku) e grazie a tutti.
Besos
Vostra wolvie
Ps ah già, dimenticavo. Non sono a conoscenza di dettagli biografici
della vita di Deidara, quindi ho inventato tutto. Gli anni, pure. La dipendenza
di deidy dall’alcol, pure. Perché i personaggi
appartengono a Kishimoto, e blablabla
Eh no, sono una persona molto allegra, anche se non ci credereste mai ^^.