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Capitolo 1. Principio
Il vento era troppo freddo per credere che fosse
quasi Agosto.
L'erba e fiori si muovevano in
maniera confusa, cercando di seguire una direzione che probabilmente non c'era.
Il piccolo era troppo impegnato a
fissare la gonna della mamma, che muovendosi a quel modo creava delle sfumature
di colori capaci di rapirti per ore.
In effetti lui non aveva alcuna
intenzione di di distogliere lo sguardo, proprio ora che il sole rendeva tutto
più lucente; sua madre si abbassò su di lui, e solo allora vide una casetta
emergere dalle sua spalle e due giovani che sembravano aspettare qualcosa.
I suoi occhi fissarono
un po' quei due individui, poi esitarono su quelli della
madre... che erano tristissimi.
“Tesoro... Tesoro, ascoltami”, lo
chiamò lei, con una voce che sembrava quella di un angelo. Ebbe il potere di
ridestarlo dai suoi mille sogni ad occhi aperti. “Ti affiderò per un po' a
questa famiglia... sono brave persone, hanno detto che si occuperanno di te.”.
Il bambino la guardò senza
espressione, e lei sorrise, tentando di celare il dolore che la stava
opprimendo. Lui sembrò capire.
“Mamma... è un addio?”.
La donna deglutì. Tentò di gettare le
lacrime nell'antro oscuro da dove volevano uscire. Vinse lei, e il sorriso
rimase.
“No... no... tesoro... ci rivedremo.
Ci rivedremo un giorno. Non so dirti quando, ma credimi...”, cominciò, poi si
interruppe, accarezzandogli la testa dolcemente, “Non è un addio!”.
Si fissarono per un po', e il vento
non cessò. La fredda brezza che accarezzò la loro pelle, gelando tutte le
sensazioni che li stavano opprimendo.
Il bambino annuì.
“Allora... ci vediamo presto, eh?”,
sorrise lei, tentando di sdrammatizzare quel quasi certo addio. Lui tentò un
sorriso.
“Sì, a presto Mamma!”, rispose,
semplicemente. La donna si abbassò sulla sua testa castana e gli posò un bacio
sulla fronte, che le sembrò durare un'eternità... e quando si staccò, le sembrò
che fosse durato troppo poco.
Si buttò il cappuccio sulla testa,
assentì in direzione della coppia poco lontana, e si voltò correndo via.
Il vento non si fermò... anzi forse
aumentò... e lasciò che le lacrime di entrambi percorressero tutto il mondo.
...........
“Signor Justice...”.
Il ragazzo mugugnò
qualcosa, ma non era intenzionato ad alzare gli occhi. Anzi, di tutta risposta
si voltò dall'altra parte.
l'uomo che lo stava
chiamando lo mosse un po' e sembrò riuscire nel suo intento.
“Signor Justice... lo sa
cosa stava facendo?”.
Apollo ci mise un
po' per mettere a fuoco la situazione... si guardò intorno, batté gli occhi
un paio di volte e si disse: “Stanza ordinata... non è la mia
camera... posto pulito... non è casa mia... il Signor Gavin di fronte a me...”,
Le ultime furono come una doccia fredda che ti scivola addosso
all'improvviso.
“Oh, Porc... Signor Gavin... mi
creda, davvero! Non succederà più, glielo prometto!” si
giustificò, inchinando troppo la schiena e sentendola scricchiolare.
Gavin lo fissò, poi
sorrise mestamente: “Non sono arrabbiato Justice... più che altro mi sto
preoccupando. È forse successo qualcosa? Non hai dormito abbastanza stanotte?”,
inclinò la testa per guardarlo meglio. Apollo era davvero piccolo accanto a lui.
Si passò una mano sul
collo, massaggiandoselo.
“Oh, no, no...
semplicemente non dormo molto bene... continuo a fare lo stesso sogno ogni notte
e...”, si blocco, e sembrò rivolgersi più a se stesso che a Gavin “l'ho rifatto
anche ora...”. Istintivamente la mano che stava massaggiando il collo andò a
giocherellare col suo braccialetto, nervosamente.
Gavin non disse nulla,
si limitò a guardarlo da dietro gli occhiali da vista.
“è evidente che sei solo
un po' stressato. Stanotte ti consiglio una buona camomilla!”, disse, con uno
strano sorriso ombrato.
Apollo esitò per un
secondo, poi annuì, richiudendosi subito dopo nel suo mondo tra le nuvole.
“Justice!”.
Si voltò di scatto,
sbatacchiando gli occhi un paio di volte: “Sì, capo?”
“Va pure a casa. Stasera
ho un appuntamento, e sarebbe inutile lasciarti lavorare da solo.”, rispose
Gavin, posando una cartellina arancione sul tavolo laccato.
Apollo si chiese se il
motivo per cui non volesse farlo lavorare da solo nello studio fosse la scarsa
stima che il suo capo aveva in lui, ma le parole di Gavin annullarono
quell'assurdo dubbio.
“Va pure. Stai
facendo un ottimo lavoro Justice.”, sorrise il biondo, in modo assai
sincero. Era il primo complimento che regalò al suo allievo dopo quasi 3 mesi
che lavoravano assieme.
Apollo arrossì:
“G-grazie signore!”, prese la borsa, vi inserì alcuni documenti e il suo
cellulare e se la mise in spalla “A domani capo, buona
cena!”.
Uscì dalla porta dello
studio, pensando a ciò che doveva fare: comprare qualcosa per cena, passare dal
panettiere a prendere la sua solita dose di pane, che gentilmente gli veniva
messa da parte.
“Ah, la gelatina!”,
esclamò ad alta voce, mentre iniziava a camminare diretto verso il supermercato.
Comprò più del dovuto,
come al solito. Ma, come si diceva sempre, era inutile entrare in un
supermercato e uscire solo con ciò che veramente serve.
“Buonasera signor
Yagami!”, salutò entrando nella panetteria semivuota. La calda luce del tramonto
rendeva quel pane ancora più invitante... e fu lì che si accorse di avere una
fame tremenda.
“Oh Apollo! Oggi sei in
anticipo!”, esclamò il panettiere, con una fragorosa risata cordiale. Apollo
sorrise.
“Oh, sì! Sono stato
congedato prima stasera... a quanto pare il mio capo ha un appuntamento
galante!”, spiegò, con un tono malizioso, che ricorda quello delle vecchine che
al parco spettegolano su ciò che accade nel quartiere.
Il signor Yagami si
lisciò il mento, ridendo alle parole del ragazzo.
“Eri di troppo, in poche
parole!”, sintetizzò, mentre Apollo sogghignava grattandosi la testa. “Allora,
cosa ti do di buono stasera? Sei in anticipo, e anche fortunato. C'è rimasta
molta più roba di quella che speravo di lasciarti!”.
“Hmm... È dura
scegliere... signor Yagami, non mi sono mai ritrovato a scegliere del pane... è
una scelta ardua.”
“Ahahah! Lo immagino
bene, ragazzo mio! Allora spero per te che il tuo capo non ti mandi più via
prima dal lavoro!”, rise così forte che la sua risata echeggiò anche dopo che si
zittì.
“Non lo dica nemmeno per
scherzo. Sono in giorni come questo che adoro fare l'avvocato!”, rispose,in
preda alla disperazione. Poi tornò a guardare il vetro che lo separava dal pane.
Alla fine si decise a prendere un bel filone che sembrava richiamare una bella
dose di buon affettato all'interno.
“Ottima scelta! Ma
d'altra parte...”
“Questo è il miglior
pane della città! Sì, ormai lo so! È scritto persino fuori.”, continuò Apollo,
ormai completamente assorbito dalla routine giornaliera. Ma era piacevole.
“Ahahah! Ti
adotterei come figlio se non portassi i capelli a quel modo!”, rise,
forte, fortissimo. E il povero Apollo arrossì cercando di
nascondere il suo vistoso ciuffo dietro una mano... ma senza risultati. “Fa una
buona cena, Apollo!” lo salutò l'uomo, porgendogli il pane in una busta. Il
ragazzo sorrise e la prese.
“Grazie. Arrivederci
Signor Yagami!”.
Quando arrivò di fronte
alla porta di casa, ci mise un po' a trovare le chiavi. Alla fine, rovistando
disordinatamente nella tasca più amena della sua borsa marrone, trovò le
fantomatiche chiavi, grazie anche al vistoso portachiavi a forma di chitarra
elettrica, un vecchio regalo di un suo compagno di stanza al college.
La porta si aprì,
rivelando il buio totale. Accese la luce con un gesto abituale e si chiuse la
porta alle spalle.
Come al solito il
silenzio la faceva da padrone, a parte qualche automobile che passava sotto casa
a tutta velocità, così Apollo decise di sedersi sul divano di casa, sospirando.
Si tolse la giacca e la gettò dove capitava, ricordandosi poi che il giorno dopo
gli sarebbe servita intatta e che lui era un frana a stirare; si alzò, recuperò
la giacca rossa e la depose con cura su una sedia, poi si buttò letteralmente a
stile libero sul divano, fissando poi il soffitto.
Mani dietro la testa,
gambe incrociate; una noia mortale.
Si voltò verso il
televisore di fronte a lui. Non lo accendeva mai. Non era un tipo da “serata in
compagnia della tv”. Anzi, se poteva, evitava di guardarla. In fondo per le
notizie del giorno c'erano i giornali, e per i gossip... non aveva mai avuto
interesse per cose di questo genere.
Accese pigiando un tasto
a caso... apparve una donna sulla 40ina che tentava in tutti i modi di ricevere
telefonate per l'acquisto di un frullatore iper-tecnologico.
“Tutto ciò m fa venire
fame!” esclamò, cambiando su un canale qualsiasi, dove trasmettevano un vecchio
episodio del Samurai D'acciaio.
Si alzò dal divano e si
diresse in cucina. In effetti erano quasi le otto di sera.
Prese il suo pane ancora
tiepido, lo tagliò e ci infilò dentro qualche fetta di prosciutto crudo. Ne
andava matto. E poi erano tutto carboidrati... o almeno era quello che gli
diceva spesso il suo Personal Trainer della palestra che aveva frequentato
qualche anno prima.
Addentò il suo panino,
mentre prendeva dal frigo una birra fredda.
Si buttò di nuovo sul
divano, abbandonandosi infine alla visione del Samurai D'acciaio.
Poggiò la testa su un
cuscino, pensando un po' a quanto solo si sentisse.
Il ticchettio di un
orologio gli entrò nel cervello e, malinconicamente, girò la testa richiudendosi
nel cuscino, sospirando.
Uscire presto dal lavoro
rendere tutto molto più solitario. Di solito tornava a casa per le 9, mangiava e
si buttava sotto la doccia e infine si metteva a dormire.
Ora, anche se era
tornato solo un'ora prima, sembrava che fosse rincasato 3 ore prima.
Si massaggiò la testa,
poi si arruffò il ciuffo rialzato. La gelatina secca gli rimase sul palmo della
mano, così si alzò e decise di buttarsi sotto la doccia.
Era davvero ora di
rinchiudere tutti quei pensieri, e spegnersi.
Il mattino seguente si
alzò come suo solito di buonora. Era una giornata afosa e opaca. Non prometteva
nulla di buono.
Era una di quelle
giornate che, malgrado tu faccia di tutto per svegliarti, si appesantiscono le
palpebre più che mai, e la voglia di dormire torna alla carica.
Si alzò dal letto
arruffandosi i capelli castani, che forse solo lui aveva avuto la fortuna di
vedere abbassati, nella sua vita.
Scese dal letto con i
piedi scalzi. La fortuna del parquet era proprio quella di non lasciare impronte
fastidiose. Era soddisfatto della scelta di quell'appartamento. Era degno di un
avvocato che tornava a casa solo per dormire.
Si avviò verso la
cucina, dove lo attendeva il frigo e la macchina del caffè.
Girando l'angolo
del salotto notò che la segreteria lampeggiava, premette il tasto di ascolto, e
si voltò di nuovo verso la sua metà, sbadigliando.
“Signor Justice, si
ricordi che domani c'è la riunione di condominio per parlare dei guasti dello
scorso mese e dell'ascensore. E questa volta cerchi di venire. Le ricordo che
anche lei vive qui! Arrivederci!”, la voce della vecchia padrona del palazzo era
davvero nauseante di primo mattino. Il caffè che stava versando sembrò meno
invitante di quanto non lo fosse prima.
“Certo... ma io sono un
avvocato... non ho orari, a differenza delle altre persone!”, rispose Apollo,
come se la vecchia strega potesse sentirlo; la segreteria proseguì, mentre
borbottava: “Roba da non credere!”, versandosi del caffè e prendendo una
ciambella da un sacchetto.
Si sedette al tavolo.
“Justice, sono
Gavin. Passando per l'ufficio prendimi del caffè. Questa mattina non farò in
tempo a fare colazione. Ieri sera mi è stato assegnato un nuovo caso... anzi,
non proprio.. beh ne parleremo in ufficio. Puntuale. A più tardi!”, e il
messaggio si interruppe con un familiare bip.
Apollo rimase un attimo allibito,
con la tazza a mezz'aria e un pezzo di ciambella in bocca. La ingoiò, finì il
caffè e si alzò e, dirigendosi verso la sua stanza per vestirsi, cancellò,
pigiando velocemente un tasto, tutti i messaggi della segreteria.
Poggiò la schiena contro
i muro, con il bicchiere di caffè fumante in una mano e la borsa nell'altra.
Non gli era
permesso aprire l'ufficio. Non aveva le chiavi per farlo. Il signor Gavin non
aveva ancora questa fiducia in lui... o forse non ci aveva affatto pensato.
Il suo capo non ci mise molto ad arrivare.
Il signor Gavin aveva una posatezza che faceva invidia ad Apollo; lui, sempre di
fretta, disordinato, con la mania di sbarazzarsi della giacca del completo e di
rigirarsi le maniche. Vicino al signor Gavin sembrava davvero un novellino,
pensò.
“Oh Justice. Come al
solito puntualissimo!”, esclamò Kristoph, sorridendo, mentre si avvicinava e
trovava subito la chiave nella tasca destra della sua giacca blu.
“Già!”, rispose Apollo,
ridacchiando in modo poco carino, “Le ho anche portato il suo caffè! Mezzo
zucchero come sempre!”.
Gavin entrò nella stanza
e prese il bicchiere dalle mani del suo apprendista: “Grazie mille!”.
Si diresse subito verso
la sua scrivania e vi posò alcuni documenti. Apollo nel frattempo accese tutte
le luci e aprì una finestra. L'aria era irrespirabile, dopo una notte di chiuso.
“Capo, vado a prenderle
l'agenda per controllare gli appuntamenti”, disse il ragazzo, indicando col
pollice dietro di sé. Gavin lo guardò.
“No, oggi ho annullato
ogni appuntamento.”, spiegò, mentre la faccia di Apollo si trasformava in
pietra. Non disse nulla, perché c'era sicuramente un motivo.
“Justice, ieri sera è
accaduto qualcosa, durante... anzi, dopo la mia cena.”, cominciò, mentre beveva
a piccole sorsate il suo caffè nero. “Hanno ucciso una persona nel locale dove
sono stato.”.
“COSA? Capo, non sarà
mica che...”
“No, non è come credi!”,
lo interruppe subito, vedendo che le sue corde vocali d'acciaio si stavano già
preparando a un urlo tremendo. “Non sono stato accusato di omicidio... non io
almeno. Bensì, il caro amico che mi ha invitato a cena ieri sera”.
Apollo si massaggiò il
mento con una mano: “Oh, quindi non era un appuntamento galante” pensò, tra il
divertito e il deluso. Poi parlò: “Scommetto che il suo amico le ha chiesto di
difenderlo in tribunale, vero?”, chiese, su di giri. Gli piaceva assistere alle
udienze del signor Gavin. C'era sempre tanto da imparare.
“Beh, ha chiesto aiuto
allo studio legale Gavin... ma non direttamente a me.”, spiegò, rimanendo sul
vago, mentre spariva sotto i suoi occhiali di cristallo. Poi alzò di nuovo lo
sguardo e sorrise freddamente: “Ha chiesto di te, Justice. Vuole che sia tu a
difenderlo.”.
Apollo non seppe che
dire... non realizzò subito la situazione. Preso dal panico, poi, divenne un
peperone. La sua faccia era un tutt'uno col suo completo rosso.
“CHE COSA? ma... come...
questa persona... come sa che.... non è mai...?” balbettò, poggiando poi una
mano sulla scrivania del signor Gavin. Si sentì quasi mancare... un processo?
Lui? Che cosa sapeva fare, lui??
Gavin rise: “Oh ma sì
che l'hai visto, avanti! È venuto qualche settimana fa a trovarmi. Vi siete
anche presentati.”.
“Beh se parla di quel
tipo stran... ehm.. particolare... beh io solo mi sono presentato. Lui m ha solo
detto che avrei saputo il suo nome molto presto.”, spiegò con un pizzico di
amarezza nella voce.
“Beh, è ora che tu
sappia chi è, allora!”, rise Kristoph, poi si sistemò gli occhiali sul naso con
un gesto abituale, “Quell'uomo era... Phoenix Wright... ti dice qualcosa questo
nome?”
“Oh merda!”, fu il solo
e unico commento di Apollo, che si pentì subito di averlo detto: “Cioè... in
senso buono!” si giustificò, mentre un divertito Gavin ridacchiava.
“Avrai modo di parlare
con lui domani mattina. Le prove in tuo possesso ti verranno consegnate qualche
minuto prima del processo, per via dei controlli di contraffazione e potrai
obiettare solo se la tua tesi sarà valorizzata da prove decisive, altrimenti
riceverai delle penalità più o meno gravi. Non mi sembra difficile!”, sorrise
Gavin, come se trattare un caso di omicidio fosse all'ordine del giorno, per
lui.
“Beh...”, sospirò
Apollo, passandosi una mano dietro al collo, “La fa facile lei... perché sono
anni che fa l'avvocato... ma io mi ritrovo col mio primo caso tra le mani, per
giunta un caso di omicidio. Non credo di poterci riuscire, specie se l'imputato
è il grande Phoenix Wright.”
Gavin lo guardò un po',
mentre una domanda gli saltava alla mente, e stette un po' a pensare se porgerla
o no... optò per esporla.
“Justice... tu non hai
mai creduto al fatto che il Phoenix Wright abbia falsificato delle prove,
vero?”, chiese, con molta calma, poggiando un gomito sul tavolo e posando una
guancia su un pugno.
Il ragazzo esitò prima
di alzare lo sguardo verso il suo mentore. Infine lo guardò negli occhi.
“Come tutti ho nutrito
molti sospetti su di lui... in realtà quando è accaduto avevo solo 15 anni e, a
differenza di altri, non avevo ancora deciso che carriera intraprendere. Ma
quando iniziai i miei studi di giurisprudenza, cominciai a studiare a fondo i
casi del signor Wright. Era un grande. Trovava sempre la verità, anche quando
era impossibile farla emergere.”, fece una pausa dove incrociò le braccia al
petto e sospirò di nuovo, “Quando lessi vagamente del suo ultimo caso... beh, mi
chiesi cosa fosse davvero successo. I giornali parlarono poco dell'accaduto, e i
dettagli non erano stati pubblicati nemmeno nei dossier. Dubitai di lui... un
po'. Ma poi, col tempo, dissi a me stesso che un avvocato grande come lui era
scomodo e poteva essere anche ingannato... non crede anche lei, signor Gavin?”,
chiese infine, sperando che condividesse quell'idea.
“Indubbiamente!”,
rispose lapidario Kristoph. “Io fui l'unico a votare contro il suo
allontanamento dalla professione di avvocato. Ma la maggioranza vince... ero
come una formica in mezzo ai giganti, ma non potevo tradire un amico.”.
Apollo parve
illuminarsi. Ora era ancora più preso dal suo capo.
“Questo... questo le fa
ancora più onore Capo!”, sorrise in modo vistoso.
Gavin rise educatamente,
poi si alzò, prese un dossier giallo e lo consegnò al ragazzo.
“Justice, va a casa e
studia per bene il caso, devi essere prontissimo per domani!”
“DOMANI???”.
“Justice, tu...”.
“Sono tranquillissimo!”.
Gavin strabuzzò
gli occhi, allibito dalla risposta affrettata del suo
allievo, ma poi sorrise, ricordando il suo primo processo.
Erano arrivati
da poco più di 10 minuti nella sala d'attesa del tribunale
distrettuale. Apollo in un bagno di sudore, Gavin tranquillo come al solito e
Phoenix Wright... beh, di lui non c'era traccia.
“Signor Gavin, non ho
avuto modo di parlare col mio cliente, ancora...”, disse abbattuto, mentre
giocherellava col braccialetto, sguardo basso.
“Non preoccuparti
Justice, sarà qui a momenti.”.
E infatti così fu.
Scortato da due poliziotti in divisa, un uomo con un viso vistosamente spesato e
un buffo cappello blu in testa... Apollo stentava a credere che quello fosse
proprio Phoenix Wright... ma non poté far altro che fissarlo, mentre si
avvicinava.
Fine Capitolo 1.
Dedico questa Fic a
Aura, All'amore mio Ale, a Ceru e a tutti i fan di Apollo Justice >< al prossimo
capitolo
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